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E-book223 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Dall’autrice del bestseller Sei solo mio

Lucy è una ragazza insicura, cicciottella e piena di complessi. Una sera, uscita da una discoteca, entra per gioco nello studio di un mago insieme alla sua migliore amica. Ed è così che l’incantesimo ha inizio… La mattina dopo Lucy si ritrova a letto con Steven Darrin, attore famoso e bellissimo, di cui lei è una grande fan. Lui è spaesato: come è finito lì? E cos’è quel filo rosso che li lega e resiste a qualsiasi tentativo di essere tagliato? Liberarsi è impossibile, anche stando alle parole del mago. E così, intrappolati da quel filo che solo loro vedono, i due partono per New York, dove Steven sta girando un film. Per una star del cinema come lui, portarsi sempre appresso una ragazza è una vera tortura, ma pian piano il bell’attore si accorge che Lucy è diversa dalle donne a cui è abituato: non è attenta al trucco e all’abbigliamento, non è ossessionata dalla linea... Che ci sia qualcosa, in quella ragazza dalle curve morbide, capace di attrarlo?

«Davvero un bel modo di passare serenamente e con il sorriso sulle labbra qualche ora in attesa di un romanticissimo lieto fine.»

«Questo libro assomiglia a una fiaba, densa di magia, d’amore, di sogni, di dolcezza. E qualche scena densa di contenuti hot che la rendono piccante al punto gusto.»

«Originale ed esuberante! Brava davvero… leggetelo!!!»

Lui è un attore bellissimo. Lei una ragazza che passa inosservata. La magia di un mago però li ha legati… E la vicinanza forzata a volte può riservare piacevoli imprevisti…

Viviana Leo

Vive a Calimera, in provincia di Lecce. Laureata in Lettere e filosofia, scrive fin dall’età di dieci anni, legge da quando ha memoria ed è fermamente convinta che libri e animali siano il dono più bello che Dio possa aver fatto agli uomini. Con la Newton Compton ha già pubblicato Sei solo mio e, in ebook, Fammi dimenticare la pioggia.
LinguaItaliano
Data di uscita18 nov 2016
ISBN9788822703194
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    Anteprima del libro

    Questo piccolo grande errore - Viviana Leo

    Capitolo 1

    Dài, forza, pigrona! Usciamo e divertiamoci un po’!». Debby, la migliore amica di Lucy, se ne stava seduta sul pavimento, cercando di convincerla ad alzarsi dal letto e a dare una svolta alla sua vita. Lucy si lamentava sempre di quanto il suo lavoro da commessa facesse schifo e di non avere uno straccio d’uomo da mesi, ma non faceva mai nulla per modificare quella triste realtà. Era sdraiata sul suo letto a due piazze, con le braccia spalancate e gli occhi fissi sul soffitto, sempre a lagnarsi e mai davvero a reagire.

    «E perché dovrei? Odio fare tardi, lo sai. E poi domattina ho il turno al lavoro».

    Debby rovesciò gli occhi al cielo con uno sbuffo. «Ma che diamine, Lù. Per una volta potremmo anche far qualcosa di diverso, invece di vedere il solito film strappalacrime».

    Lucy guardò la sua amica e sospirò rumorosamente. «Parli facile, tu, Miss Capelli biondi e gambe da urlo». Alzò la sua gamba rotonda verso il soffitto. «Guarda qui. Non potrò mai indossare uno dei tuoi fantastici tubini con questa ciccia».

    «Smettila, scema. Sei solo morbida. E allora? Agli uomini piace».

    Lucy le indirizzò un’occhiata sarcastica. «Sì, infatti ho ventisei anni e tantissimi uomini che fanno la fila per me. Anzi, sai cosa? Mi nascondo in casa per questo. Non sia mai che mi vedano in giro e mi assalgano, incapaci di tenere a freno la libidine». Sollevò le sopracciglia, abbozzando un sorrisetto ironico.

    Debby si mise a sedere e tirò l’amica per un braccio. «Se sei tanto orribile perché, secondo te, proprio ieri mi hanno chiesto di te?».

    Lucy sgranò subito gli occhi. «Davvero? Chi?»

    «Il mio amico Mark».

    «Ma chi? Il meccanico che lavora dietro casa di mia madre?»

    «Proprio lui. Ha una cotta per te».

    «Aaaah. Ma quel tipo è… Debby, lo sai meglio di me, è sporco. Puzza sempre di sudore e credo seriamente che non si lavi il viso da un mese».

    «Non essere cattiva, Lucy. Non è male, è un bel ragazzo, e tu potresti insegnargli a lavarsi per bene…».

    «Non voglio un uomo al quale devo insegnare cosa sia l’igiene personale». Lucy sospirò, accese la tv e iniziò a cambiare distrattamente i canali. «Cavolo, stasera va in onda Blood Valley, me ne ero dimenticata!», esclamò entusiasta quando delle scene familiari apparvero sullo schermo piatto.

    «Però noi stasera usciamo…», provò a dire Debby, ma entrambe ammutolirono quando la scena cambiò e apparve il viso del loro attore preferito, Steven Darrin, un ambito divo di Hollywood. Lucy ammirò gli occhi verdi, i capelli che gli ricadevano morbidamente sulla fronte e il fisico scolpito che s’intravedeva dalla camicia nera abbottonata a metà. Stava sorridendo in modo seducente a un’attrice bella come una dea e magra come un chiodo.

    «Cavolo, Deb. È lui l’uomo dei miei sogni. Così dolce e gentiluomo… Perché Mark non gli somiglia nemmeno un po’?». Stava già per perdersi fra le sue fantasie quando Debby la tirò di nuovo per un braccio.

    «Lucy, mi hai stancato, stasera niente scuse. Si esce, magari alla ricerca di un uomo decente. Forse non sarà Steven Darrin, ma sarà reale». Accompagnò l’ultima parola con uno sguardo severo. «Non sarà un telefilm a fermarmi stavolta». Spense il televisore, ignorando le proteste dell’amica e la trascinò in bagno. «Lavati e indossa qualcosa di decente. Andiamo al Red Dance».

    Lucy si guardò intorno, sperando almeno di vedere qualche tipo interessante. Debby l’aveva costretta a indossare il suo vestito rosso un po’ provocante e sperava almeno che ne valesse la pena. Aveva raccolto i capelli lisci, di un colore castano chiaro, in una coda alta, passato un po’ di ombretto rosa sugli occhi neri e un lucidalabbra alla fragola sulle labbra piene. Con quel vestito appariva più magra di quanto fosse, e questo la faceva sentire più a suo agio. Debby, al suo fianco, era splendida, con un top striminzito e una minigonna in jeans. Se avesse indossato lei quella roba sarebbe di certo sembrata un salsicciotto incartato. Invidiava Debby, ma le voleva bene. Capiva perché l’amica cercasse di spronarla, lei stessa si sentiva patetica. Eppure, nonostante le lamentele, non era convinta di esser pronta per una relazione. Insomma, spesso gli uomini erano impegnativi: cene fuori, cene a casa, pranzi di lavoro, sesso obbligato, suocere invadenti, fino ad arrivare a guardare insieme a loro una partita di football alla tv con pizza, birra, pigiama e calzini di lana.

    No, forse non era affatto pronta.

    Cercò di evitare simili elucubrazioni e raggiunse insieme a Deb il bancone del bar. Ordinarono entrambe un drink alcolico e dopo poco le loro orecchie si abituarono al frastuono assordante della musica. Lucy notò qualche occhiata maschile interessata ma, come al solito, nessuno si fece avanti. Debby ordinò un altro giro di drink e dopo poco erano al terzo senza neppure essersene rese conto. Lucy poteva sentire il calore dell’alcol riscaldarla, le membra rilassate e la testa gradevolmente leggera. Era piacevole ogni tanto sentirsi euforica in quel modo e dimenticarsi di tutto per qualche ora.

    Debby la trascinò in pista e una volta lì mise da parte i pensieri fastidiosi di un lavoro poco gratificante, la mancanza di un uomo decente e una madre dispotica e all’antica che avrebbe pianificato volentieri tutta la sua vita. Aveva bisogno di passare del tempo così, qualche ora solo in compagnia di Deb e della musica.

    Finita la serata, Debby e Lucy uscirono dal locale, sudate e col sorriso sulle labbra. «Avevi ragione, Deb. Una serata simile mi ci voleva».

    «Ho sempre ragione», rispose lei.

    Lucy ridacchiò. «Non esageriamo».

    A un tratto Debby tirò l’amica per la manica. «Ehi, Lu, guarda!». Le indicò una grande insegna luminosa a forma di mano lampeggiante. «Andiamo a farci predire il futuro!». Gli occhi le brillarono eccitati.

    Lucy si voltò a guardarla disgustata. «Deb, non sono così ubriaca», sottolineò con tono sarcastico.

    «Non fare sempre la guastafeste. Sarà divertente!». Lucy non ebbe il tempo di replicare che fu spinta dentro e si ritrovò in un ambiente avvolto da una luce azzurra. Strizzò subito gli occhi, guardandosi attorno. Le sembrò quasi di entrare in un’altra epoca: quadri bizzarri con schizzi colorati, tele orientali, lampade a olio, candele accese, un forte odore di incenso e strani oggetti in quarzo o ametista a forma di animali.

    «Buonasera, visitatrici». Una profonda voce maschile le raggiunse, facendole sussultare. Entrambe si voltarono di scatto e videro un uomo alto e barbuto, vestito solo con un gonnellino in cuoio e sandali dello stesso materiale. Era talmente buffo che a Lucy sfuggì una risatina divertita. Debby la ignorò. «È lei il mago?», chiese subito.

    «Sono io». L’uomo gonfiò il petto, gloriandosi di certo dell’appellativo, ma si accigliò indirizzando un’occhiata perplessa a Lucy. Poi indicò loro un tavolo circolare intorno al quale sedersi. «Volete conoscere il vostro futuro?»

    «Esattamente!». Debby assunse un’espressione trionfante sotto lo sguardo incredulo di Lucy.

    «Solo il suo», precisò Lucy. «Il mio è talmente scontato che non ne ho bisogno». Scrollò le spalle e soffocò uno sbadiglio. L’alcol e la danza sfrenata l’avevano distrutta.

    «Ne sei sicura?», le chiese l’uomo con una strana espressione sul volto. I suoi occhi piccoli la scrutarono come se intendessero leggerla dentro.

    «Sicurissima», confermò imperterrita.

    Debby posizionò subito il palmo della mano sotto gli occhi dell’uomo. «Allora? Cosa mi accadrà di bello?», chiese, impaziente di conoscere cosa le riservasse il futuro.

    Il mago la prese e solo allora Lucy notò che aveva un anello a ogni dito. «Sembra che presto conoscerai colui che diverrà tuo marito», dichiarò solennemente. Debby emise un suono strozzato, raggiante di gioia. «Avrai tre figli e vivrai in una villetta bianca immersa fra i fiori».

    «Oh, mio Dio! Hai sentito, Lucy? Sono una donna fortunata! E come sarà la mia anima gemella? È un bel pezzo di figliolo, almeno?». Lucy alzò gli occhi al cielo a quella richiesta.

    «La tua anima gemella sì. Tuo marito no». Debby spalancò la bocca e restò con la mano a mezz’aria nonostante il mago l’avesse lasciata.

    «Ma, cosa…». La sua amica boccheggiò, neanche fosse un pesce fuor d’acqua.

    Lucy non riuscì a trattenere una fragorosa risata. «Ma dài! Che fandonie sono mai queste?». Aveva le lacrime agli occhi dal ridere. Una mano sulla bocca e una sulla pancia, tentando di soffocare una risata, guardò il mago come se fosse un pazzo.

    «Fandonie?». L’uomo la guardò con un’espressione severa . «Signorina, le mie predizioni sono del tutto veritiere. Non sono un ciarlatano».

    Lucy smise di ridere e sistemò dietro l’orecchio un ciuffo di capelli sfuggito dalla coda. «Ah sì? E quanto costa questa pagliacciata? Perché, onestamente, queste sciocchezze avrei potuto benissimo predirle io. Vieni, Deb, andiamo». Lasciò venti dollari sul tavolo, afferrò la mano ancora alzata dell’amica e scostò la sedia in velluto rosso dov’era seduta.

    «Se scettica sarai, l’uomo che desideri stanotte avrai e a lui ti legherai», mormorò di colpo lui prima che raggiungesse la porta.

    «E questa cos’è, una formula magica?». Lucy si voltò, sorrise e scosse la testa. «Allora posso esprimere un desiderio? Chiama quel bel tenebroso di Steven Darrin, sarò felice di accoglierlo nel mio letto». Abbozzò un sorrisetto derisorio, lo guardò un’ultima volta e si allontanò.

    Prima di uscire, però, le sembrò di sentire la risposta borbottata del mago: «Attenta a quello che desideri, ragazza, potrebbe avverarsi».

    Capitolo 2

    Sposerò un uomo che non amerò». Debby si accasciò sul volante della sua auto con un gemito e Lucy la guardò esasperata.

    «Credi davvero a quello che ti dice un mago da strapazzo? Debby, per favore!». Erano ferme sotto casa sua e non vedeva l’ora di fare una doccia e una bella dormita. Adorava la sua amica, ma non riusciva a comprendere come potesse essere così credulona. «Senti, ti va di dormire da me stanotte? Mi sembri sconvolta. Lascia perdere i ciarlatani, ho del gelato nel frigo». Sorrise trionfante, come se avesse appena rivelato di avere dei gettoni d’oro.

    «Gelato a quest’ora? Lu, poi non lamentarti per le gambe…».

    Lucy le lanciò un’occhiata dapprima ferita, poi sdegnata. «Ok, ho capito perché sei magra come un chiodo. Non c’è gusto a proporti qualche peccato di gola». Sospirò tristemente. «Vieni a dormire da me. Prometto che non ti offrirò nessun gelato».

    Debby scosse la testa. «No, grazie dell’invito ma voglio tornare a casa».

    Lucy scrollò le spalle. «Come preferisci. Ma te la senti di guidare?».

    «Ho smaltito già tutto, tranquilla. Sono abituata a ben altre bevute, io. E poi non morirò stanotte se è questo che temi, devo ancora sposare il non uomo della mia vita».

    Lucy le rivolse uno sguardo esasperato. «Come no. Buonanotte, Deb». Le schioccò un bacio sulla guancia e scese dall’auto.

    Una volta a casa sfilò con sollievo le scarpe col tacco e si diresse verso il freezer. Se Debby non sapeva gioire delle piccole soddisfazioni della vita, non significava che non potesse farlo lei.

    Mezza coppa di gelato dopo, fece una rapida doccia e si mise a letto, esausta.

    La mattina dopo la sveglia suonò alla solita ora: le sette in punto. Lucy allungò un braccio e la spense con una manata e un grugnito infastidito. Si stiracchiò nel letto, sentendo un leggero mal di testa post-sbornia. «Accidenti…», mormorò. Udì un leggero fruscio dall’altra parte del letto e un movimento la fece raddrizzare di colpo. Si voltò e per poco non le venne un infarto. Nel suo letto c’era un uomo seminudo che le dava la schiena e si muoveva leggermente nel sonno. Indossava solo un paio di boxer scuri e, dalla larghezza delle spalle, dal bacino stretto, il sedere sodo e le gambe lunghe e toniche si intuiva che doveva essere un gran bel ragazzo.

    In un secondo, Lucy cercò di far mente locale. Possibile che avesse portato a casa qualcuno e fosse stata troppo ubriaca per ricordarsene? Eppure ricordava benissimo di essere andata a letto da sola. Ripassò mentalmente quello che aveva fatto prima di addormentarsi e, a meno che il gelato non si fosse trasformato improvvisamente in un bel ragazzo, era sicurissima di essere andata a letto senza nessuno accanto. Niente panico, cercò di dire a se stessa, mentre il panico la stava invadendo eccome. Doveva svegliare quell’uomo e chiedergli di andar via immediatamente dal suo appartamento, dirgli che era stato uno sbaglio, un errore talmente tanto grosso da non ricordarlo.

    Si mosse cautamente, cercando di non fare rumore, salì sul letto e lentamente, molto lentamente, si affacciò sul suo viso, cercando di scorgerlo in mezzo a tutta quella massa scura e setosa di capelli. Da lì riusciva solo a vedere la piega delle labbra rosate, morbide e piene.

    Si chinò ancora di più verso lo sconosciuto e proprio quando era a circa due centimetri da lui, spalancò di colpo gli occhi, investendola con due iridi verdissime. Lucy urlò, più per lo stupore che per lo spavento, e anche lo sconosciuto si alzò di scatto gridando, fissandola come se fosse uscita dritta da un film horror.

    «Mio Dio, ma tu… tu…». La voce le morì in gola per lo shock. Si portò una mano alla bocca e non riuscì ad articolare più nessun suono di senso compiuto, solo un gemito strozzato, mentre scuoteva la testa incredula. Non poteva essere. non poteva essere.

    Quello di fronte a lei era Steven Darrin, il suo attore preferito, uno dei protagonisti super sexy di Blood Valley. Con un’aria assonnata e insieme spaventata, un paio di boxer e i capelli in disordine, certo, ma era lui, lo avrebbe riconosciuto anche con un sacco nero addosso. «Dimmi che non è vero…», mormorò con un filo di voce. Steven le lanciò un’occhiata disorientata. Era proprio lui, in carne e ossa. Forse, doveva ammettere con se stessa, più carne che ossa.

    «Chi sei tu?», le chiese con la voce che lei più volte aveva sentito in tv e mai dal vivo, e che tanto amava. Sbatté le palpebre e si guardò attorno. Lucy sapeva già cosa vedeva perché conosceva la sua camera da letto a memoria: carta da parati a fiori, un letto disfatto con lenzuola azzurre, una scrivania in disordine con fogli e penne sparpagliate, una libreria quasi sepolta dai libri e alcune delle sue scarpe sparse per tutto il pavimento. Ok, non era una fan dell’ordine, ma a sua discolpa doveva dire che quella stanza non era frequentata da nessuno che non fosse lei, al massimo Debby.

    «Io sono a casa mia», affermò Lucy risoluta. «Sei tu l’intruso qui, quindi faccio io le domande». Le tremava la voce ma continuava a mantenere un’aria da dura che mascherava i suoi veri sentimenti.

    Stava parlando con Steven Darrin, stava parlando con Steven Darrin, stava parlando con Steven Darrin! Era tentata di darsi un colpo in testa solo per assicurarsi di essere sveglia.

    «Aspetta un attimo, sei un sogno, vero?», si lagnò sedendosi sul letto. Ma certo, non era mica la prima volta che sognava il suo attore preferito.

    «Cosa?», chiese lui accigliato.

    «Sì, sei solo uno stupido sogno. Fra poco mi sveglierò e maledirò la sveglia e il mio lavoro». Mosse una mano davanti al viso, come se stesse scacciando un moscerino.

    «Tu… tu sei pazza», mormorò piano, come se stesse parlando con se stesso.

    «Ah, bene, mi becco insulti anche nei sogni. Non bastava la mia vita piatta e orribile».

    «Questo non è un sogno, idiota!». Steven alzò la voce, facendola trasalire. Il suo cuore perse un battito e all’improvviso si sentì mancare per l’emozione. Era tutto vero? No, impossibile. Doveva calmarsi. Respirò profondamente e tornò a guardarlo.

    «Non credo che…», balbettò a occhi sgranati.

    «Non capisco», biascicò il giovane. «Ieri sera ero nella stanza del mio hotel…». Lo sguardo si fece cupo. «Ho capito! Mi hai rapito!». Lanciò un’occhiata velenosa a Lucy che immediatamente sbiancò.

    «Cosa? No!».

    «Invece sì. Fammi subito uscire da qui, altrimenti ti giuro che io…». Strinse le mani a pugno e le puntò nella sua direzione.

    «Ehi, ehi, stiamo calmi, ok? Nessuno ha rapito nessuno, qui. Come avrei potuto farlo? E perché?»

    «Come perché?». Steven le rivolse uno sguardo ammiccante. «E me lo chiedi? Perché sei pazza e io sono bello e famoso».

    Lucy fu assalita dalla nausea. Avrebbero potuto accusarla di rapimento? Si vide già su tutte le pagine dei giornali, una sua foto segnaletica in bianco e nero, i suoi genitori che le facevano visita guardandola con disapprovazione. Ma se neppure lei sapeva come fosse finito Steven nel suo letto, come avrebbe potuto lui accusarla? In un secondo immaginò se stessa

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