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Baciami sotto il cielo di Parigi
Baciami sotto il cielo di Parigi
Baciami sotto il cielo di Parigi
E-book195 pagine2 ore

Baciami sotto il cielo di Parigi

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Info su questo ebook

Autrice del bestseller Baciami sotto la neve di New York

Serena è pronta per partire: trascorrerà le vacanze di Natale con la madre. La prima tappa è a Parigi, insieme alla sorella, per ripercorrere i luoghi della luna di miele dei genitori. Una vacanza all’insegna del romanticismo puro! I problemi iniziano quando sua sorella la pianta in asso, per salire su un aereo diretto a Madrid con la sua nuova fiamma, affidando Serena alla compagnia di un completo estraneo. Neanche Jean-Luc è particolarmente felice all’idea di dover fare da baby-sitter a una turista americana. Ma ormai si è offerto di ospitarla e non può tornare indietro. Decisa a rispettare la tabella di marcia che aveva pianificato, Serena trascina Jean-Luc in lungo e in largo per la città a ritmi serrati. Lui, però, ha un’idea ben diversa di che cosa significhi godersi la bellezza di una città. Preferisce improvvisare, perdersi, camminare lentamente. E trovare il tempo di scattare foto. Tra bisticci, litigi e incomprensioni, il viaggio rischia di trasformarsi in un inferno per entrambi… Ma la magia di Parigi ci mette lo zampino. E, forse complice l’atmosfera natalizia, due spiriti quasi opposti scopriranno di attrarsi più che mai.

La commedia romantica di Natale

La magia delle feste a Parigi

«Una storia d’amore adorabile»
Booklist

«Una storia delicata, romantica e divertente. E sullo sfondo una Parigi che fa sognare.»

«Ho adorato questo libro, lo stile di Catherine Rider è semplice e fresco.»

«Impossibile non immedesimarsi nei protagonisti e nel loro modo di godersi il viaggio. Assolutamente consigliato!»
Catherine Rider
è lo pseudonimo degli autori James Noble e Stephanie Elliot. James Noble lavora nell’editoria e ha scritto diversi romanzi sotto vari pseudonimi. È un vero londinese ma passa il tempo a fantasticare su una vita a New York. Stephanie Elliot lavora come editor a New York e vive con il marito e la figlia a Brooklyn. Adora fare lunghe vacanze a Londra, perché le piace il modo di fare degli inglesi. Prima di Baciami sotto il cielo di Parigi, ha pubblicato con la Newton Compton Baciami sotto la neve di New York.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2018
ISBN9788822724953
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    Anteprima del libro

    Baciami sotto il cielo di Parigi - Catherine Rider

    Capitolo uno

    Serena

    Venerdì 21 dicembre, 9:15 a.m.

    Deve essere questo che si prova da morti!

    Sono anche riuscita a dormire un po’ durante il volo notturno da New York, ma il jet lag mi fa sentire ancora il corpo lontano. La strada (o rue) del VII arrondissement di Parigi dove alloggia Lara, la mia sorella maggiore, sembra una fotocopia sbiadita di se stessa. Forse è solo la nebbia di dicembre, così fitta da non lasciarmi vedere nessuno dei monumenti davanti ai quali sarei passata in taxi secondo Google Maps: nemmeno la Torre Eiffel!

    Scendo dal taxi incespicando e cercando di non finire a faccia in giù sul marciapiede. Quello sì che sarebbe un inizio davvero patetico per questo viaggio, un’avventura di due giorni con la famiglia che ho chiamato Romance Tour. Figuratevi! Mamma ha dovuto dare buca all’ultimo momento e Lara ha ignorato tutte le mie e-mail del tipo Puoi venirmi a prendere in aeroporto?, perciò in questo momento comincia a sembrarmi l’opposto di un viaggio con la famiglia.

    Volto la testa a destra e a sinistra (una fitta di torcicollo mi ricorda di non fare movimenti bruschi!), scrutando la strada per quanto mi consente la foschia. Vedo snodarsi un acciottolato. La tettoia nera di un caffè sembra appoggiata sulla nebbia come una macchia di fango.

    Forse prima di partire non avrei dovuto guardarmi tutte quelle foto di Parigi su Google Images. Nel computer a casa appariva talmente perfetta, con le sue strade inondate di luce dorata e i caffè traboccanti di fiori, che l’aspetto della Parigi reale mi dà un po’ sui nervi: è fredda, scura e rabbiosa come una città qualsiasi.

    Poi osservo il palazzo. La facciata antica di mattoni e il modo in cui i balconi in ferro battuto scompaiono nella nebbia rendono tutto così… estraneo. In questo momento, percepisco tutti i 5832 chilometri che secondo Google mi separerebbero da casa. Adesso vorrei essere nella vecchia, cara Brooklyn e non in una strada sconosciuta a chiedermi perché sto guardando un portone nero con una ghirlanda d’argento, quando Lara mi ha detto che il portone è rosso con una ghirlanda di agrifoglio. Per favore non ditemi che, chissà come, sono riuscita a portare il taxi all’indirizzo sbagliato. Non posso neanche controllare il telefono (certo che ho pagato per il roaming), perché si trova nella tasca sinistra del parka che in questo momento è bloccata dal borsone che tengo appeso alla spalla sinistra. Dovrei mettere giù la borsa per liberare il braccio e onestamente sono troppo stanca perché ne valga la pena.

    Che idea fantastica quel volo notturno, Serena.

    Almeno sono nell’arrondissement giusto, che è il modo chic in cui i francesi chiamano un quartiere di Parigi. Il VII dovrebbe essere uno dei più belli, perché le guide mi dicono che è qui che si trova la Torre Eiffel, come pure il Musée d’Orsay, una serie di altri Musées e la tomba di Napoleone. Sarebbe stato nettamente al di fuori delle mie possibilità per il Romance Tour, essendo in una zona centrale sulla riva sinistra della Senna, ma è qui che vive la famiglia per cui Lara fa la ragazza alla pari. Una parte di me la invidia un po’: è riuscita a trovare un lavoro part-time che può facilmente conciliare con lo studio, a Parigi. Però in effetti questa è anche la prima volta nella vita che Lara è riuscita a rendersi le cose più facili, perciò… non mi lamento.

    Dal marciapiede sale una rampa con sei gradini di pietra e non solo mi sto trascinando il borsone, ma anche una valigia che pesa esattamente ventitré chili (lo so perché l’ho pesata prima di andare all’aeroporto JFK, sulla bilancia del mio bagno e in quello di mamma, raggiungendo il limite massimo per il bagaglio registrato). Dopo un viaggio notturno di otto ore, questi ventitré chili pesano più di cento e questi sei gradini potrebbero essere l’Everest.

    Riprenditi, Fuentes, penso tentando di incoraggiarmi. Hai corso la mezza maratona! Puoi portare ventitré chili ancora per qualche gradino.

    Inoltre… ricordati perché sei qui.

    Scrollo le mani cercando di farmi passare i crampi. Poi afferro il borsone avvicinandolo al petto, prendo il manico della valigia e stringo i denti emettendo un grugnito per cui la stanchezza mi impedisce di provare imbarazzo, sebbene non ci sia nessuno nella rue che possa sentirlo.

    Una volta in cima all’Everest, premo il campanello dell’interno 15. Ne esce una voce gracchiante che parla veloce in un francese assolutamente incomprensibile; ma è pur sempre una voce che riconoscerei ovunque.

    «Lara, sono io», mi annuncio a mia sorella.

    «Serena?». Mi chiedo se non si sia appena svegliata, perché sembra sorpresa. Non è che se n’era scordata veramente, del Romance Tour?

    Lara mi dice di salire al quarto piano. Fantastico. Trascino i miei ventitré chili esatti di valigia su per le scale, perché ovviamente non c’è l’ascensore e ovviamente a Lara non viene in mente di scendere a darmi una mano, e guardo i numeri degli interni al quarto piano: 10, 11, 12... Ce ne sono tre per piano, perciò il numero 15 non è qui. Devo arrancare su per un’altra rampa di scale: mi sono appena ricordata che il piano terra non è considerato il primo da queste parti.

    Perché? Perchééééééééé, europei?

    «Dunque, che… che ci fai qui?». Lara è alla porta dell’interno 15 che mi aspetta. Sarei felice di vederla, se non avesse un’aria completamente confusa. È in tuta e ha i capelli scompigliati (lei li ha lucidi e mossi, non ricci, crespi e ingestibili come i miei), a conferma della mia teoria che dev’essersi appena svegliata. Porta ancora l’immancabile rossetto rosso acceso, però. Non credo di averla mai vista senza, dalla prima superiore.

    La ignoro per un istante spingendo la valigia in casa, direttamente in un soggiorno ampio e luminoso dove l’appoggio contro un divano. «Dammi un minuto», dico. Poi indico una delle porte che si aprono sulla stanza. «Bagno?»

    «Sì», risponde e sembra una che pensa di trovarsi in uno strano sogno dal quale si sveglierà da un momento all’altro.

    Quando torno dal bagno le passo accanto e mi butto sul divano beige. È così morbido e foffo da farmi quasi rimbalzare. Noto in un angolo un piccolo albero di Natale. È addobbato con dei fiocchi neri e oro. Così chic, così francese. Mi do un contegno e rivolgo a Lara la mia occhiataccia peggiore. «Allooora… che è successo stamattina? Ti sei dimenticata di controllare il telefono per vedere se c’era una e-mail di tua sorella? Ti sei dimenticata del nostro progetto di vedere i posti che hanno visitato mamma e papà in luna di miele? Ti sei dimenticata del Romance Tour?»

    «Non mi sono dimenticata…». Si siede sul bracciolo del divano, guardandomi come se fossi io quella inaffidabile. «Però, sai… quando mamma ha detto che non veniva per quella conferenza, in pratica ho dato per scontato che questa faccenda di Parigi saltava e che io e te saremmo andate a Londra separatamente per vederci con mamma la vigilia di Natale».

    Il jet lag non mi ha solo arrossato gli occhi, evidentemente mi ha anche dato alla testa. Perché solo così mi spiego il fatto che mia sorella possa scordarsi del comune progetto pianificato con cura di visitare Parigi, per vedere quello che hanno visto qui i nostri genitori in luna di miele quasi esattamente venticinque anni fa. Ho impiegato l’equivalente di un fine settimana in termini di ore a stendere l’itinerario, tempo che avrei potuto dedicare a studiare per gli esami di fine anno, che alla Columbia, credetemi, non sono uno scherzo. L’avevo mandato per e-mail a Lara chiedendole che cosa ne pensava. Non che abbia mai ricevuto risposta.

    Oddio. Adesso tutto torna, accidenti.

    La guardo, sperando di convincerla con i fatti. «Al contrario. Te l’ho detto che sarei venuta a Parigi».

    «Davvero? Quando?».

    Mi tiro su a sedere, per quanto possibile: non è facile. Il divano cerca di ingoiarmi e sono abbastanza stanca da lasciarlo fare. «In tutte le e-mail che ti ho mandato questa settimana. Ho detto per tre volte "Non vedo l’ora di vederti a Parigi, sorella!". Ti ho comunicato il numero del volo, l’orario di arrivo… Ti ho detto quanti soldi mettere da parte per mangiare e per i biglietti della metro. In realtà, l’unica cosa di cui dovevi preoccuparti era venirmi a prendere in aeroporto!».

    «Pensavo che fosse stato annullato tutto», dice lei con un filo di voce. «Io… ho avuto da fare. Non ho controllato l’e-mail tanto spesso».

    Ovvero non hai letto le mie e-mail. «Solo perché mamma non può, non significa che noi due non possiamo fare il giro e comporre un album da darle a Capodanno», dico, anche se le ho già detto esattamente le stesse cose nelle e-mail che, è chiaro, non ha letto, «una volta che saremo tutte insieme a Londra, per il venticinquesimo anniversario di matrimonio. Sai che Capodanno per mamma è difficile da quando…».

    Non finisco la frase. Non posso.

    Poi mia sorella mi rivolge quello che in famiglia chiamiamo lo sguardo alla Lara: occhi spalancati, espressione fissa come se in testa avesse un computer con ottantaquattro finestre aperte che stanno tutte cercando di scaricare qualcosa, e un paio minacciate da virus. È lo sguardo tipico di quando sa di essere fregata. Borbotta qualcosa per scusarsi. «Pensavo che mi scrivessi per ricordarmi di comprare un regalo di Natale a mamma».

    «Quello almeno l’hai fatto?». Le parole mi sfuggono prima che possa impedirlo. Conosco Lara abbastanza per sapere che quando fa quello sguardo si sta anche autoflagellando. Non dovrei peggiorare le cose, ma stamattina non ci riesco: ho viaggiato per 5832 chilometri con una valigia che pesa un terzo di me!

    «Avrei preso qualcosa a Madrid».

    Stringo la radice del naso tra le dita, sentendo un mal di testa da stress in arrivo. «Madrid? Di che stai parlando? Madrid non è mai stata una tappa del tour!».

    Fa un’espressione imbarazzata. «Be’… non stavo parlando di te e me».

    Noto solo adesso, oltre ai capelli scompigliati, che il rossetto rosso è un po’ sbaffato; solo adesso, quel sentore di acqua di colonia che era rimasto sempre in sottofondo mi fa arricciare il naso.

    Lara è in compagnia.

    Mi guardo intorno, pensando quasi di vedermelo perfettamente immobile in un angolo, ma deve essere nascosto in un’altra stanza. Se solo sapessi come si dice in francese Vieni fuori, vieni fuori, ovunque tu sia!.

    Poi noto delle altre valigie. Nessuna grande come la mia, ma ce ne sono tre intorno al bel tavolino da caffè al centro della stanza.

    «Che cosa sta succedendo?».

    Lara si mette i capelli dietro un orecchio, poi incrocia le braccia al petto. Abbassa gli occhi. «Accidenti, che disastro».

    «Stai andando davvero a Madrid? Che ci vai a fare, a Madrid?».

    Poi, il motivo per cui Lara è stata troppo occupata per leggere le mie e-mail sbuca tutto tranquillo da una delle porte. È un ragazzo alto che (ovviamente) è bello come un modello, pur avendo addosso la maglia di quella che immagino sia una squadra di calcio francese. Zigomi alti, pelle baciata dal sole, capelli scuri mossi, un po’ lunghi ma perfettamente pettinati all’indietro. Mi sorride, poi borbotta qualcosa a Lara, in francese. Lei borbotta in risposta «Tout va bien», un paio di volte.

    Quindi il tipo mi guarda e si fa avanti tendendo la mano e annuendo. «Bonjour».

    Accetto la stretta di mano sperando che non cerchi di darmi un doppio bacio sulla guancia, perché sono cose che mi vengono malissimo anche quando sono riposata. (Prima la guancia destra? Prima la guancia sinistra? Oh, scusa, non ci siamo capiti e adesso ho il naso nella tua bocca). Sono così infastidita con Lara che non gli rispondo "Bonjour", ma dico: «Ehi, come va?», con l’accento americano più marcato possibile. Mi esce addirittura un’inflessione un po’ del Sud, anche se non sono mai stata più giù di Philadelphia in vita mia.

    Lui solleva un angolo della bocca in un mezzo sorriso, ma non capisco se sia un sorrisetto compiaciuto o meno. «Abbiamo un po’ di confusion, oui?».

    Lara sta ancora guardando a terra. «Serena, questo è Henri. Henri, questa è Serena, mia sorella minore. È appena arrivata da New York».

    Henri completa la seconda metà del sorriso – d’accordo, non è compiaciuto – poi annuisce guardando Lara. Dice qualcosa in francese a cui lei risponde in francese. Henri dice ancora qualcosa in francese e mi chiedo se magari posso andare in cucina a farmi un caffè, ma non ci riesco perché sto di nuovo sprofondando lentamente nel divano. Sono così stanca. Henri accarezza il braccio di Lara con fare rassicurante. Il suo sguardo tenero mi dice che è presissimo da mia sorella e mi chiedo, non per la prima volta, come faccia a portare avanti studio e lavoro se si innamora di un ragazzo a settimana.

    Poi mi dico di non prendermela con chi è innamorato solo perché a me non è mai nemmeno piaciuto qualcuno sul serio.

    «Ehi», interrompo il francese. Mi tiro su a sedere. «Vita vera, basta sottotitoli. Che sta succedendo?».

    Lara mi guarda, alza le braccia al cielo a metà, poi se le rimette tra i capelli. «Dato che io e Henri non ci vedremo per quasi un mese quando ricominceranno le lezioni, ha comprato i biglietti per andare a Madrid un paio di giorni, prima di venire a incontrare te e la mamma a Londra».

    Wow. Lara sta partendo per un viaggio con quel tizio? Non fa mai cose del genere. Troppo impegnativo.

    Henri si esibisce in un’alzata di spalle più galante che gallica. «È tua sorela. Possiamo andarsci a gennaio. Madrid sarà ancora lì, non? Non importa, tout va bien».

    Lara ha una faccia stravolta e io sono sicura che questa sovrapposizione di programmi non sia un caso. Ha sempre voluto andare a Madrid e adesso che ci penso non è mai stata così entusiasta del Romance Tour. Forse perché comporta parlare di papà e Lara non ne parla mai.

    Qualche volta mia sorella è un po’ sbadata, ma adesso mi chiedo se non sia stata io quella disattenta.

    «No, sapete una cosa?», dico prendendo una decisione al volo. Questa faccenda del tour è stata una mia idea. L’album sarebbe un bel regalo per mamma ma c’è anche dell’altro che vorrei da questo viaggio. E forse posso ottenerlo soltanto se lo faccio da sola. «Voi due dovreste andare».

    «Sei sicura?». Lara ha ancora un’aria stravolta e mi fa piacere che si senta in colpa a partire, anche se è ovvio che vorrebbe essere a

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