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Noi due per sempre
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E-book374 pagine4 ore

Noi due per sempre

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Info su questo ebook

Transcend Duet Series

Dopo un orribile incidente, Swayze si ritrova imprigionata in due vite. Frammenti di ricordi si alternano a veri e propri incubi che la spingono a immergersi sempre più a fondo in un viaggio alla ricerca della verità. Si lascerà trascinare lontano dai suoi sogni per inseguire un desiderio di vendetta che appartiene a una vita non sua? Ci sono cose che non possono essere spiegate, ma al suo fianco troverà Griffin, guidato da un amore intenso e sincero, e Nate, con il quale sente una connessione inspiegabile. E alla fine, quando tutto sarà sul punto di infrangersi, dovrà decidere se continuare a vivere nel passato o dedicarsi, una volta per tutte, al suo presente.

Jewel E. Ann
È un’inguaribile romantica con uno spiccato senso dell’umorismo e una grande passione per la lettura. Ha lavorato per anni come igienista dentale, prima di decidere di dedicarsi alla famiglia e scoprire la vocazione per la scrittura. I battiti dell’amore è il primo romanzo pubblicato dalla Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita18 giu 2019
ISBN9788822734891
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    Anteprima del libro

    Noi due per sempre - Jewel E. Ann

    Capitolo uno

    Non è carino parlare alle spalle. Eppure è proprio ciò che stanno facendo con me Griffin, i suoi genitori, mia madre… Sono tutti nell’altra stanza e, a bassa voce, mi prendono le misure per la camicia di forza.

    Swayze ha un esaurimento nervoso.

    Secondo Swayze, Doug Mann ha ucciso Erica.

    Secondo Swayze, Doug Mann ha ucciso anche una ragazza di nome Morgan Daisy Gallagher.

    Shh! Parlate piano. Cerchiamo di non svegliarla.

    La polizia non mi crede. Lo so che sembro pazza, ma non è così. Non riesco a ricordare tutti i particolari, anzi, diciamo che la maggior parte non li ricordo, ma è lui che ha ucciso Daisy. Ed Erica. Non tutti i fatti possono essere spiegati.

    La porta si apre appena.

    «Sei sveglia». Il sorriso di mia madre è proprio quello che rivolgereste a una persona mentalmente instabile. Il sorriso da non svegliare il can che dorme.

    Mi alzo a sedere appoggiandomi alla testiera scricchiolante. Sono a metà strada tra lo shock assoluto e la totale insensibilità. «Sono sveglia». Corrugo la fronte al flacone di pillole sul comodino. «Non credo che il dottor

    B

    approverebbe che condividi con me i tuoi sonniferi. Serve la prescrizione».

    «Griffin non ha voluto chiamare il tuo psichiatra, si è trattato solo di un aiuto per calmarti. Non eri in te. Straparlavi. Penso che la notizia di Erica e la vista del corpo abbiamo innescato qualcosa. Come ti senti ora?». Siede sul letto prendendomi la mano. Con le dita accarezza il diamante dell’anello di fidanzamento.

    Mamma, mi sono fidanzata.

    Oh, Swayze! Sono così contenta per te.

    Questa conversazione ora ci è negata. Il dolore mi brucia gli occhi e l’immagine del corpo senza vita di Erica è impressa in modo indelebile nella mia memoria. Non riesco a cancellare il viso insanguinato di Doug o di Daisy che cade. Non so nemmeno in che universo mi trovo. Ho la sensazione di sapere molto più di quanto dovrei e, allo stesso tempo, niente. È tutto così incasinato. Io sono incasinata.

    Innamorata.

    Fidanzata.

    Arrabbiata.

    Confusa.

    Terrorizzata.

    «Che ora è?»

    «Otto e trenta».

    «È tardi. Torna pure a casa. Sto bene».

    «Le otto e trenta del mattino, Swayze».

    Sposto l’attenzione sulle finestre. La luce filtra tra le persiane. Luce vivida del mattino. Non quella soffusa del tramonto.

    «Sono in ritardo», spingo di lato le coperte. «Dov’è il mio telefono? Devo avvisare Nate».

    «Swayze…».

    «Il mio telefono…». Apro la porta di scatto, corro battendo i piedi sul pavimento di legno dell’ingresso. «Dov’è la mia borsa?»

    «Swayz, che succede?». Griffin salta su dal divano.

    Individuo la borsa sul tavolo e recupero il telefono. Ci sono tre chiamate perse di Nate e due messaggi.

    Professore: Sei in ritardo. Non è da te. Sono in pensiero.

    Professore: Porto Morgan con me al lavoro. Ti prego, chiamami appena ricevi il messaggio. Sono in pensiero.

    «Swayz…».

    Griffin mi posa una mano sulla spalla, ma tiro via il braccio con uno strattone.

    «Sono in ritardo. Come hai potuto lasciarmi dormire?». Chiamo Nate e mi allontano a grandi passi da Griffin, dai suoi genitori e da mia madre senza dargli la minima considerazione, e mi chiudo nel bagno.

    «Gesù, Swayze! Tutto bene?», risponde Nate.

    «Scusami davvero, sarò lì tra mezz’ora. Ieri è successa una cosa e… mi… mi dispiace. Arrivo». Appollaiata sulla tavoletta gelata, mi passo le mani tra i capelli e chiudo gli occhi. Nemmeno il buio cancellerà mai il tormento di quelle immagini.

    «Devo tornare a lezione. Morgan è nel mio studio e i miei colleghi fanno a turno per occuparsene. Tu stai bene? Non mi sembra dalla voce».

    Qualcuno scuote la maniglia della porta. «Swayz, apri».

    «Arrivo tra poco». Chiudo la telefonata e apro. «Non puoi drogarmi così. Ho un lavoro, delle responsabilità». Supero Griffin urtandogli la spalla e apro tutti i cassetti in cerca dei vestiti. Non sono ancora abituata a dove si trova la mia roba a casa sua… casa nostra.

    «Oggi non vai a lavorare. Ti sei dimenticata di ieri?»

    «Nonostante tutti i tuoi sforzi per drogarmi, no, non mi sono dimenticata di ieri», ribatto infilando le gambe nei jeans.

    «Era solo una pasticca. Mi è sembrata un’alternativa migliore al far assistere tutti al tuo crollo nervoso. Non te l’ho mica infilata in bocca a forza. Te l’ho passata insieme a un bicchiere d’acqua e l’hai presa di tua spontanea volontà».

    Allaccio il reggiseno e infilo la maglietta. «E mi hai detto cos’era?»

    «Certo».

    Blocco i miei movimenti frenetici per il tempo sufficiente a osservarlo. Non sta mentendo. Lo capisco. Mi infastidisce non ricordare di aver preso un sonnifero. Di non riuscire a richiamare alla mente cosa posso aver combinato da fargli ritenere di aver bisogno di un sedativo, neanche fossi un animale fuori controllo.

    Mi strofino gli occhi con le nocche delle mani e scuoto il capo. «Scusami… ora devo andare».

    Griffin si abbassa al livello del mio sguardo, tanto vicino che sento il suo alito di menta. «Mi sono preso un giorno di permesso per stare con te. Come faccio se non ci sei?»

    «Devo andare».

    «Allora vengo con te».

    Rido. «Vieni con me a badare a Morgan, oggi?».

    Annuisce. «Tu non guidi. E se il professor Hunt sapesse cosa ti è successo ieri, non vorrebbe che ti occupassi di sua figlia oggi».

    «Non sacrificherei mai la sicurezza di Morgan», stringo i pugni sulla difensiva.

    «Oggi siamo io e te, Swayz. Fattene una ragione».

    Con un sospiro, afferro scarpe e calzini.

    «Dove state andando?», chiede mia madre quando entriamo in soggiorno.

    «Al lavoro».

    Sherri e Scott puntano gli sguardi preoccupati su Griffin.

    «Vado con lei».

    Dopo deliberati cenni di assenso, il loro sguardo preoccupato si sposta su di me.

    «Sto bene, davvero. Non state in pensiero».

    «Chiamami quando rientri a casa». Mia madre mi abbraccia. «Abbiamo tantissime cose di cui parlare».

    Chissà cosa le ha raccontato Griffin. Me ne occuperò più tardi.

    «Erica ha parenti da queste parti?», mi chiede Griffin nel tragitto verso l’ufficio di Nate.

    Fisso fuori dal finestrino, guardando tutto e niente allo stesso tempo. «Sì».

    «Vedo se trovo qualcosa sulla veglia funebre e il funerale».

    Annuisco. «Grazie».

    Non dice altro e io, di certo, non stimolo la conversazione. A un certo punto dovremo parlare di Daisy. Come potremmo evitarlo? Non adesso, però. Ho prima bisogno di far parlare quelle immagini per poi tentare di farlo capire a qualcun altro.

    Faccio strada verso l’ufficio di Nate, schivando il flusso di studenti nei corridoi. Era proprio in fondo all’edificio l’ultima volta che ci sono stata.

    «Stai attirando un sacco di attenzione», dico a Griffin mentre saliamo per le scale al secondo piano. «Tutte le ragazze si stanno chiedendo in che corso sei per farsi mettere nella tua stessa classe».

    Griffin scuote il capo, ma non riesce a nascondere un sorrisetto. Una punta di gelosia si insinua nella mia coscienza. Gli piace che le ragazze lo guardino? O sono solo io che cerco di distrarmi dal pensiero di Erica, arrivando ad accampare motivazioni ridicole dandogli la colpa per il solo fatto di essere… Griffin?

    «Da questa parte, rockstar», accenno con il mento alla porta dell’ufficio.

    «A me interessa essere solo la tua rockstar». Infila due dita nella tasca posteriore dei miei jeans e mi tira indietro divertito mentre apro la porta.

    «Non voglio una rockstar. Mi piace il mio Ragazzo del Supermercato». Ed Erica di nuovo in vita. Se devo fare una lista dei desideri, lei è in cima a tutto.

    «Ciao», ci saluta Donna, quella dell’incidente del pannolino. «È crollata».

    Osservo Morgan che dorme nell’ovetto. «Grazie per aver aiutato Nate… ehm, il professor Hunt. Mi sento davvero in colpa per aver fatto tardi».

    Si alza dalla scrivania, chiude il portatile e lo stringe al petto. «Non c’è problema. Ecco le chiavi della macchina di Nathaniel. Ha detto di fare a cambio, così hai già la base per il seggiolino di Morgan. Ha parcheggiato sul lato est, lotto C, prima fila sulla destra». Il suo sguardo si posa alle mie spalle.

    «Ah, Donna, lui è Griffin. Griffin, Donna».

    «Piacere di conoscerti».

    «Piacere mio».

    «Chiavi?», chiedo a Griffin.

    Le tira fuori, le poso sulla scrivania e prendo quelle di Nate.

    «Bene…», dico con un’alzata di spalle. «Da qui in poi ci penso io».

    Donna si risveglia dal suo stato sognante. Gli sbava dietro come con Nate. «Bene, okay. È stato un piacere vederti e…», sorride ammiccante a Griffin, «conoscere te».

    Non appena la porta si chiude, mi giro a guardarlo. «Gran bella giornata per il tuo ego. Ora sai dove venire se ti serve un’iniezione di autostima».

    Fa un sorrisetto. «College. Lavoro. Palestra. Supermercato. Non fa molta differenza».

    Sorrido. È dura. Passo dopo passo, la realtà di quanto ho visto ieri sedimenta un altro po’, contaminando in modo permanente i miei ricordi e la mia coscienza. L’adrenalina che mi ha spinto a vestirmi e precipitarmi qui sta cominciando a calare.

    Doug Mann è un assassino.

    La mia amica è stata uccisa.

    Daisy è stata uccisa.

    Non me l’ha detto Nate. Non mi ha mai raccontato come è morta.

    «Dove sei, Swayz?». Griffin mi prende tra le braccia.

    «Erica è morta», mormoro.

    Mi bacia la fronte. «Lo so. Mi dispiace tanto».

    «L’ha uccisa lui».

    «Se è vero, vedrai che la polizia lo scoprirà. Li hai senza dubbio messi sulle sue tracce ieri».

    «Forse. Andiamo adesso», mi stacco, «prima che Morgan si svegli».

    Griffin solleva l’ovetto. Il mio sguardo scatta nel suo.

    «Se non ti fidi che la porti io, allora abbiamo un problema».

    «Ti affiderei la mia stessa vita», sorrido e mi trattengo dal dirgli che mi riferisco a Morgan, perché, giusto o sbagliato che sia, ormai fa parte della mia vita.

    Mettendomi in spalla la borsa dei pannolini, apro la porta sul sommesso chiacchiericcio di studenti e insegnanti che si spostano ai lati del corridoio. I famelici sguardi femminili che attira Griffin con bebè al seguito sono pari – se non di più – a quelli che attira Griffin senza bebè.

    «Swayze?».

    Mi volto. Nate ci raggiunge proprio quando siamo arrivati alle scale. Rivolge a Griffin un sorriso teso. Sicuramente la reazione normale di chi vede uno sconosciuto portar via sua figlia.

    «Ciao, mi dispiace moltissimo per questa mattina».

    Scuote il capo come per congedare le mie scuse. Il suo sguardo si posa su Griffin ogni pochi secondi.

    «Nate, ehm, Nathaniel, cioè professor Hunt…». Bando agli imbarazzi. Comincio a sudare. «Lui è Griffin. Griff, lui è…», non incasinare tutto, «il professor Nathaniel Hunt».

    Troppo tardi. Il casino è fatto, lo conferma l’espressione sul viso di entrambi.

    «Nathaniel», Nate gli tende la mano.

    Griffin gliela stringe. «Piacere».

    «Allora va tutto bene?», chiede Nate guardando solo me.

    «Sì».

    «No. Ieri la vicina di Swayze – una sua amica – è stata trovata morta nell’appartamento al piano di sopra».

    L’occhiata che gli lancio è un po’ torva.

    «Gesù! Mi dispiace tantissimo. Swayze, perché non me l’hai detto? Potevi anche non venire oggi».

    Griffin ha l’espressione da te l’avevo detto incollata in faccia.

    «Sto bene». Tutt’altro, in realtà. «Griffin si è preso il giorno libero per darmi una mano, anche se non ce n’era bisogno».

    L’espressione di Griffin non cambia. È convinto di sapere cosa sia meglio per me. E se non fossi così ostinata, forse gli darei anche ragione.

    «Quindi…», do un’alzata di spalle, «tutto a posto. Morgan riceverà il doppio delle attenzioni. Il doppio delle cure».

    «A meno che non vi distraiate a vicenda».

    Cerco di non leggere tra le righe del suo commento, ma percepisco nel tono una punta di scetticismo. Non si fida di me per via di quanto accaduto a Erica? È per Griffin? Pensa davvero che permetterei che accadesse qualcosa a Morgan?

    «Va tutto bene, professore. Ma grazie per il tuo voto di fiducia».

    Nate mi studia qualche secondo ancora per poi rivolgere un ultimo sguardo a Griffin. «Devo tornare in aula. Grazie per essere venuti a prenderla».

    «Figurati», sminuisco con un cenno del capo. «A più tardi».

    «E così, questa è la casa per la quale mia madre ha fatto tutte quelle smancerie», dice Griffin portando Morgan dentro con tutto il seggiolino.

    «È solo una casa». Mi lavo le mani nel lavello della cucina.

    «Non hai nessun desiderio di vivere in un posto del genere?». Appoggia il seggiolino a terra e si guarda intorno nella sala spaziosa.

    No. E neanche il Nate che ricordo io.

    «Io voglio vivere con te». Tiro su Morgan.

    La bambina si strofina gli occhi con i pugnetti arcuando la schiena mentre l’appoggio sulla spalla. È strano vedere Griffin a casa di Nate, una collisione tra i miei due mondi.

    «E avere quanto basta?». Guarda fuori dalla finestra il prato senza dubbio magnifico e meticolosamente curato. «Perché questo significa vivere con me: avere quanto basta».

    Mi accomodo sorridendo sulla poltrona reclinabile. «Sì».

    «Due piccole camere e cucina minuscola?». Griffin si avvicina al camino per osservarlo bene. Il mio uomo chiacchierino dall’aspetto da cattivo ragazzo è da urlo dentro quei jeans sbiaditi e la maglietta nera che sembra troppo piccola sul petto scolpito e le braccia muscolose.

    «Sì», ridacchio trovando adorabile quell’accenno di insicurezza.

    «Automobili usate? Garage separato? Uno stile di vita fai da te

    «Davvero ti devo rispondere?».

    Mi guarda con la coda dell’occhio e le mani infilate nelle tasche. «No». Mi spara un sorriso e si gira del tutto. «Cos’è quella telecamera nell’angolo?»

    «Controllo babysitter o videosorveglianza. Non l’ho ancora capito».

    «Ci sta osservando?»

    «Potrebbe».

    «E anche sentire?».

    Rido, guardando dritto in camera. «Sì, il professore è un po’ inquietante». Con il naso infilato nel collo di Morgan tiro fuori la mia voce da bambina. «Non è un po’ inquietante il tuo papà? Sì, penso proprio di sì».

    La bambina ridacchia.

    Griffin si gira e sorride. «Che dolce».

    «Sì, è adorabile».

    Si siede sul divano intrecciando le dita tra le gambe divaricate. «Sei pronta a raccontarmi chi è, o era, Morgan Daisy Gallagher?».

    Guardo nervosa verso la videocamera. Nate dovrebbe essere a lezione, ma… «È complicato».

    «Be’, per fortuna abbiamo tutto il giorno».

    Odio queste stupide telecamere.

    «Swayz, sputa il rospo! Hai dato completamente di matto ieri con quel tizio a proposito di quella ragazza della fotografia che ci hai mostrato. Sono sicuro che la polizia tornerà a interrogarti dopo aver indagato su quell’uomo. Ho bisogno di sapere cosa sta succedendo».

    Ha già detto troppo.

    «Ne parliamo dopo». Accenno con la testa alla videocamera sorridendo tesa. «Okay?».

    La sua bocca si tira in una smorfia impaziente, ma lascia perdere. Non mi piace il modo in cui i pensieri che ho in testa creino tensione tra di noi. Mi spaventa. Il tristo mietitore camuffato da piccoli ricordi, che mi chiama con il dito a uncino, invitandomi a soccombere. Che succederà se un giorno non riuscirò più a separare chi so di essere dalla voce dell’impostore che ho nella testa?

    Dopo pranzo, Griffin culla Morgan mentre io chiamo mia madre. Mi ha mandato diversi messaggi solo per sapere come sto e se ho preso appuntamento con il dottor Greyson. Acconsento a vederlo. È l’unico modo per calmarle i nervi.

    Vorrei che qualcuno calmasse i miei. È impossibile pensare a Doug Mann e respirare allo stesso tempo.

    «Ooh…», sorrido mentre il mio ragazzo addormenta la bambina cullandola.

    Griffin con un neonato addormentato in braccio… mi fa desiderare di averne uno mio. Eppure non cala la mia voglia di stare con Morgan.

    Poi, proprio qui. Proprio ora. Me ne rendo conto.

    Nate ha chiamato la figlia come la sua migliore amica. Come me, da come la vede lui.

    Come potrò mai spiegare a Griffin tutto questo?

    Ci dedichiamo a Morgan per il resto della giornata, ma non mi sfuggono i sorrisi trattenuti di Griffin, come se la preoccupazione strangolasse la gioia.

    Chi sono?

    Cosa sta accadendo nella mia vita?

    Vivo forse in un universo parallelo?

    Capitolo due

    Diamo l’estremo saluto a Erica.

    Il pianto di una madre infrange il silenzio mentre la terra accoglie lentamente la bara.

    Eppure… Doug Mann vive a casa sua. Un uomo libero. Un assassino.

    La polizia mi ha interrogato di nuovo ieri perché non riescono a collegarlo alla morte di Erica – una morte che sono certi sia avvenuta per un incidente. Annegamento accidentale. Mi prendete in giro? Una cardiologa affoga accidentalmente nella sua vasca da bagno? Non avrei potuto fornir loro niente di più che vaghi ricordi che risalgono a prima che nascessi. E non lo arresteranno basandosi solo sulla mia sensazione di pancia, che giura con ogni sua fibra che è stato lui.

    Griffin si ferma in un parcheggio vuoto mentre fisso l’orlo del mio abito nero al ginocchio. Avrei dovuto indossare stivali alti invece che calze e tacchi. Le ginocchia mi hanno tremato per tutto il tempo della sepoltura, attraversata com’ero dai brividi. Non fa poi così freddo fuori. Sono i ricordi… mi gelano.

    «Guardami».

    Alzo la testa, ma non lo guardo. Dietro gli occhiali scuri i miei occhi si fissano nel nulla tutt’intorno.

    «Non sarò ignorato ancora per molto. La polizia ti ha interrogato. Il funerale è finito. È ora di parlare di tutto questo. Sono stato paziente, ma adesso è arrivato il momento di dirmelo, Swayz».

    Chiudo gli occhi. Li riapro. È uguale. La visione continua a occuparmi la mente. Non ho bisogno di luce per vederla e non smetterà di riproporsi. Il mondo reale svanisce come un’eco, lasciandosi dietro questo silenzio soffocante.

    Il viso insanguinato di lui.

    Una goccia.

    Due gocce.

    Le lacrime le riempiono gli occhi bruni, riflettono l’immagine del suo assassino. Con un battito di ciglia, la vita le scorre via dal volto, dissolvendo la paura, arrendendosi con un ultimo respiro.

    Scarica. Woosh.

    Silenzio assoluto.

    Il buio più buio.

    Calore.

    Serenità.

    «Morgan Daisy Gallagher era l’amica del cuore di Nate. La vedo. Vedo lui... Doug Mann. Il taglio sul viso – scorticato, scarlatto e grondante. Sono solo flash, ma sono reali». Sposto la testa di lato per incontrare lo sguardo cupo di Griffin. «Nate pensa che io sia lei».

    «Lei?».

    Annuisco. «Daisy. Morgan Daisy Gallagher. La sua migliore amica. Sua figlia ne porta il nome. E…», scuoto il capo, forse perché non riesco a crederci – ad accettarlo – o forse perché non voglio. «Secondo lui conosco particolari del suo passato perché sono lei. Lei è me». Sospiro, sempre scuotendo la testa. «Non lo so, ma certo conosco cose che sapeva solo lei. Particolari di momenti vissuti quando erano solo loro due. Dettagli di cui l’aveva messa a parte. Solo lei».

    Le labbra di Griffin si contorcono e le rughe sulla fronte si fanno più profonde. «Non starai mica parlando di reincarnazione?»

    «Nate pensa di sì».

    «E tu?», chiede con un velo di sarcasmo.

    «No». Con un profondo respiro, distolgo lo sguardo. «Non… non lo so. Il fatto è che… Non mi sono ricordata di lei fino a che non ho trovato il corpo di Erica nella vasca. E anche allora, è stato un flash del viso di Doug, del viso di lei… morente. Ricordo Nate. Non Daisy. Se anche esistesse la reincarnazione, come può un’anima conservare i ricordi di altri ma non della persona che era prima di questa nuova vita? Non ha senso». Rido. «È ridicolo. Sto cercando di dare un canone a un fenomeno che magari neanche esiste. E così facendo mi sembra di accettare la possibilità concreta che un’anima possa rinascere». Chiudo gli occhi e serro le labbra. Cosa mi aspetto da Griffin? Sembra pura follia perfino a me che la sto vivendo. «È solo che non so se sono pronta a…».

    «Ad accettare di essere lei?».

    Apro gli occhi e Griffin è serio. Che cosa vuole dire? «Tu pensi che io sia lei?».

    Scuote la testa a destra e sinistra per mezza dozzina di volte. «Cazzo, Swayz, no. Perché dovrei? Ma che io sia dannato se so cosa farci con tutto questo… è un libro intrigante. Un film da mangiarsi le unghie. Ma accettarlo nella vita reale… nella tua vita… è che… non so se posso farcela. Non ti nascondo che tutto questo mi preoccupa».

    «Ti preoccupa in che senso?».

    Torna ad appoggiare la testa al sedile, lo sguardo verso l’alto. «Facciamo l’ipotesi che tu sia lei. Lei è te. Ma è un’ipotesi bella cazzuta. Cosa comporta per te? Per noi? Per tutti quanti? Voglio dire… questa Morgan Daisy Gallagher ha famiglia? Se Doug Mann l’ha davvero uccisa, non dovrebbero esserne informati? Ma da chi? Dalla loro figlia reincarnata che, guarda caso, è la babysitter…».

    La testa scatta di nuovo dritta, le sopracciglia unite. «Nate e lei erano solo amici? O qualcosa di più? Chi vede veramente quando ti guarda?».

    La ragazza che amava tanto quanto la donna che è morta dando alla luce la figlia.

    «Un fantasma».

    Ed erano molto più che amici. Nate mi ha lasciato in sospeso sulla loro storia. Non so cos’è accaduto dopo che si sono lasciati. È morta? È così che è finita tra loro? Un esagerato scontro di ego? Un Orgoglio e Pregiudizio in versione moderna?

    «Quanti anni aveva quando è morta?», chiede.

    Quando Doug Mann l’ha uccisa.

    «Quindici».

    «Ne aveva quindici anche lui?».

    Annuisco. Perché le parole mi restano attaccate in gola? Griffin è l’uomo che amo. Amico. Amante. Futuro marito. Eppure, non riesco a trovare il modo giusto per esprimere la connessione emotiva che ho con Nate e Morgan.

    Con un passato che non riesco a ricordare appieno.

    Un presente che mi ha artigliato il cuore.

    Un futuro più terrificante dei miei incubi peggiori.

    Un ignoto che potrebbe rovinarmi la vita così come la conosco ora.

    «Era innamorato di lei?»

    «Ha importanza?».

    Griffin appoggia il gomito al finestrino e si massaggia le tempie. «Sì, ne ha. Voglio sapere se ti guarda come amica o come la ragazza con cui ha perso la verginità».

    «Non hanno fatto sesso».

    Il verso che fa trasuda sarcasmo. «Cazzo, sono davvero felice che tu lo sappia. Ti ha assunto per badare a sua figlia o per parlare della sua vita sessuale? Di cos’altro discutete voi due?»

    «Griffin…».

    Si strofina la bocca con la mano, scuote la testa ma non mi guarda.

    «Non sei quel genere di persona. Non sei geloso. Non ho fatto niente di male. Non è colpa mia se nella mia testa ci sono questi ricordi e queste scene. Il mio rapporto con Nate è complicato. Ma non intimo».

    «Per te o per lui?»

    «Ho detto solo che…».

    Griffin apre di colpo lo sportello e si lancia fuori come se l’abitacolo lo stesse soffocando. Salto fuori anch’io e lo seguo mentre va su e giù per il parcheggio vuoto, a testa bassa e le mani allacciate dietro il collo.

    «Sposerò te. Te. Te. Te». Non appena lo raggiungo e mi metto davanti, sterza e prosegue nell’altra direzione.

    «Be’, e io chi diavolo sposerò?», si gira di scatto, chinandosi verso la mia faccia. «Swayze? Morgan Daisy Gallagher?»

    «Me», mi si rompe la voce mentre ricaccio indietro le lacrime.

    «E chi sei tu?»

    «Swayze».

    La tensione sul suo viso si stempera un po’. «Sicura?».

    Ricaccio tutta l’ansia, la paura e la confusione in fondo a quel buco nero che penso sia la mia anima. Poi inspiro quanto più coraggio riesco a raccogliere, alzando la testa. «Sì».

    Mi prende il viso e appoggia la fronte alla mia. Senza che lo confessi, percepisco il suo senso di colpa. Senza che dica una parola, percepisco il suo amore. Ecco un altro giorno in cui mi è concesso il miracolo di non perdere Griffin.

    «Sei silenziosa».

    Solletico i piedini di Morgan che scalcia e gongola sul pavimento in soggiorno mentre Nate si prepara il pranzo. Ho preso un giorno di permesso per il funerale. Forse avrei dovuto prenderne due.

    «Sto solo aspettando che te ne vada, professore. È allora che io e Morgan diamo inizio alla festa… case gonfiabili, pony, clown, deejay, zucchero filato».

    Solleva lo sguardo con un sorrisetto. Non riesco a ricambiarlo.

    «Ne vuoi parlare?».

    Di cosa? È il suo primo tentativo di avere una conversazione che non sia su Morgan da quando Erica è morta – anche se non abbiamo avuto molte opportunità.

    «Dovresti essere più preciso».

    «Della morte della tua amica. Del perché Griffin ti ha chiesto di Daisy. O del solitario che porti alla mano sinistra».

    L’anello. Lo guardo. «Erica è morta. Il tizio che l’ha uccisa vive ancora nell’appartamento di fronte al suo. L’hanno definito un incidente. È scivolata, ha battuto la testa ed è annegata. Non ci credo. Dico sul serio, quanta gente c’è che scivola nella vasca, sviene e annega?». Guardo accigliata il mio anello. «E Griffin mi ha chiesto di sposarlo. Ho detto di sì».

    Nate mi rivolge un cenno circospetto. «Se quello che sostieni su quel tipo è vero… sarebbe meglio che non abitassi nel suo stesso palazzo».

    «Infatti non ci abito più. Mi sono trasferita da Griffin».

    Annuisce di nuovo. «Devo

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