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Vite clandestine (eLit): eLit
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E-book344 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Mentre un furioso incendio devasta i canyon alle spalle di Malibu, Matt Lowell corre sulla spiaggia deserta nel disperato tentativo di raggiungere la sua casa e di salvare il suo cane. Lungo la battigia fa una scoperta sconvolgente. Quello che in distanza gli pareva il corpo di un pellicano portato dalle onde, è in realtà una bambina abbandonata appena nata. Quando, dopo qualche tempo, la polizia trova sul ciglio di una strada un cadavere, probabilmente quello della madre adolescente della piccola, tutto coperto di fiori selvatici, Matt prova un inspiegabile senso di giustizia verso quelle vittime innocenti e sconosciute. Vuole scoprire cosa è successo, una decisione che metterà in moto un'irreversibile catena di violenze portando alla scoperta di un atroce traffico.

LinguaItaliano
Data di uscita29 gen 2016
ISBN9788858949092
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    Anteprima del libro

    Vite clandestine (eLit) - Shirley Palmer

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Trade

    Mira Books

    © 2003 Shirley Palmer

    Traduzione di Elisabetta Lavarello

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5894-909-2

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    Una raffica di braci bucò il fumo, attraversò la Pacific Coast Highway, accese l’erba secca tra la strada e l’oceano. Un boschetto di eucaliptus s’incendiò. Per un attimo la visibilità scese a zero.

    Matt Lowell si imponeva di mantenere una velocità moderata. Senza il peso dei due cavalli, il rimorchio tendeva a sbandare. Le raffiche di vento dovevano rasentare le ottanta miglia all’ora.

    All’incrocio con la Trancas Canyon Road, il semaforo era spento, il distributore Mobil e il piccolo supermercato bui. Subito oltre s’intravedevano le luci lampeggianti rosse e blu delle auto della polizia. Un posto di blocco chiudeva tutte le corsie, verso nord e verso sud.

    Un vicesceriffo fece rallentare Matt. I suoi bruschi movimenti del braccio lo indirizzarono sulla sinistra, nel parcheggio di un supermercato. Lui riconobbe subito Bobby Eckhart. Erano andati insieme alla Webster Elementary e nei boy-scout. Insieme, da ragazzi, avevano fatto surf lungo tutta la costa, da Rincon a Baja. Avevano combinato un bel po’ di guai.

    Accostò allo spartitraffico e abbassò il finestrino. L’acre odore della tragedia gli chiuse la gola: case, mobili, vite erano divorati dalle fiamme.

    «Bobby!» lo chiamò. «Devo passare.»

    Il vicesceriffo strinse le palpebre per vedere chi stesse gridando, poi s’avvicinò di corsa al pickup. «Matt.» Aveva gli occhi iniettati di sangue, l’uniforme strinata su una manica e sporca di fuliggine. «La PCH è chiusa, ma stiamo mandando un convoglio verso Kanan Dume, finché si può. Il tuo rimorchio ci farebbe comodo. Portalo verso il ruscello e comincia a caricare un po’ d’animali.»

    Matt lanciò un’occhiata al piazzale. Un altro vicesceriffo in uniforme stava cercando di portare un minimo d’ordine nel caos di veicoli. Adulti ansiosi sospingevano bambini che tenevano in braccio gli animali di famiglia: cani, gatti, uccellini e criceti. In un recinto improvvisato erano chiusi un paio di grassi maiali, un piccolo gregge di pecore nere, delle capre. Rimorchi da cavallo, che ondeggiavano coi nervosi movimenti dei loro occupanti, erano allineati lungo il letto asciutto del ruscello.

    In ottobre, quando il Santa Ana soffiava dal deserto, l’acqua era solo un lontano ricordo primaverile.

    «I miei cavalli sono giù a Ramirez. Devo andare a prenderli.»

    «Margie Little ha portato via da Ramirez un paio di trailer pieni, un’ora fa. Gli animali sono al sicuro ad Agoura.»

    «Hai visto i miei due?»

    Eckhart scosse la testa. «Ma non puoi proseguire. Non ora. L’area è stata evacuata. Non c’è più nessuno.» Le parole si trasformarono in un attacco di tosse.

    Matt si sporse dal finestrino, sbirciò nella cappa di fumo che gravava sulla strada. «Dove diavolo sono i pompieri?»

    «Non riescono a coprire tutta l’area, però stanno arrivando rinforzi. Il fuoco ha attraversato la PCH a mezzogiorno di oggi, e in certi punti è arrivato fino all’oceano. E ora qualche bastardo sta appiccando incendi più all’interno, lungo la Mulholland.»

    Matt ebbe una stretta allo stomaco. La sua casa era sulla spiaggia, e Barney era chiuso dentro. «E la Malibu Road?»

    «Bloccata a entrambe le estremità, ma era già stata evacuata da ore. Escondido, Latigo Shores, tutta la zona. Le ultime notizie davano ancora tutto okay, ma il vento sta peggiorando.»

    «Bobby, io devo passare. Barney è chiuso in casa.»

    «Oh, Gesù.» Eckhart conosceva il labrador color miele da quando era solo un cucciolo. «Matt, mi dispiace. Le disposizioni ufficiali sono niente traffico sulla PCH da qui a Topanga. Solo polizia e vigili del fuoco. Ma se tu riesci a intrufolarti, non posso mica seguirti a sirene spiegate.» Batté sul tettuccio con la mano aperta e gli voltò le spalle.

    Matt inserì la marcia e ripartì.

    L’assenza di presenza umana era inquietante. Nessuno su Zuma Beach. Neanche un surfista in equilibrio sulla tavola. Per due volte un uccello cadde dal cielo, impossibile dire se per ustioni o sfinimento, e colpì l’asfalto davanti al paraurti di Matt.

    A Ramirez, lui svoltò e saltò giù dal pickup davanti al tunnel costruito sotto la PCH per tornare indietro verso il canyon. Il pesante cancello di ferro che sbarrava l’accesso della galleria era chiuso e Matt corse alla tastiera, maledicendo il giorno in cui era stato installato. Una famosa attrice aveva incantato i residenti a una riunione dell’associazione proprietari, convincendoli della necessità di quello sbarramento. Poi s’era sposata, aveva donato la sua proprietà a un fondo naturalistico e s’era trasferita a Point Dume. Il dannato cancello era rimasto.

    Matt digitò il codice. Niente. Imprecando, ripeté il numero. Il cancello vibrò, ebbe un sussulto, ma restò chiuso. Riprovò, pestando forte i tasti, sferrò un calcio alle sbarre. Una folata di fumo nero uscì dal tunnel mentre lui tornava di corsa al pickup.

    Rifletté rapidamente. Forse Margie aveva portato via i cavalli, forse no. Se non c’era riuscita, doveva aver aperto il recinto, lasciando che se la cavassero da soli. Molte persone erano state costrette a fare così nell’incendio del 1978, tanto s’era sviluppato in fretta. In un caso o nell’altro, lui ora non poteva fare più nulla. Ma Barney era in casa, chiuso dentro a chiave. Se avesse lasciato lì il rimorchio, avrebbe potuto forzare il cancello, infilarsi dentro col pickup ed essere là in dieci minuti.

    Le sbarre di ferro scottavano. Non si poteva neanche toccarle. Matt aprì il rimorchio, poi infilò i guanti da lavoro che usava per caricare la paglia. Alzò uno sguardo ansioso verso gli eucaliptus. Spinse il cancello, trattenendo il respiro.

    A un tratto il fuoco divampò attraverso una macchia di oleandri, lambì un paio di cedri, risalì lungo i tronchi degli eucaliptus. Le chiome scosse dal vento si infiammarono. Una pioggia di scintille raggiunse il rimorchio, trovò dei fili di paglia sul pavimento, li accese. In pochi secondi, rimorchio e pickup erano avvolti dalle fiamme.

    «Non ce la farò mai.» Matt sentì la propria voce. Forse era nella sua testa, forse stava urlando. «Mio Dio, non ce la farò mai!»

    Corse verso il ristorante Cove, sulla spiaggia. Solo mezzo miglio, eppure sembrava una distanza impossibile. L’asfalto fuso gli incollava le scarpe, eucaliptus da quindici metri si consumavano come torce impregnate di petrolio, le foglie in fiamme scagliate dal vento diventavano missili incendiari. Oltre gli alberi alla sua destra, il campeggio Sunset Pines era un mare di fuoco. Il metallo delle roulotte gemeva gonfiandosi, la forza del vento sollevava i tetti in fiamme delle case mobili facendoli volare come aquiloni giganti.

    Sul bordo dell’acqua il ristorante era ancora intatto, il vecchio molo di legno reggeva. Non c’era anima viva. Il Cove era stato abbandonato.

    Matt spaccò un vetro della porta di cucina, infilò una mano cercando la serratura ed entrò. Il locale era vuoto. Prese una bottiglia d’acqua dal frigo, uscì dalla porta laterale direttamente sulla spiaggia. Il cielo era ancora più scuro, di un minaccioso arancio brunito che rifletteva il fuoco e il sole basso del tardo pomeriggio. Doveva essere quasi il tramonto, ma era difficile dirlo.

    Cenere e fumo creavano mulinelli nel vento, mescolandosi con la sabbia in un turbine che pungeva gli occhi. Il bordo della scogliera era in fiamme, le ville che avevano l’accesso diretto all’oceano probabilmente erano già state attaccate. Il fuoco divorava la cascata di portulache viola e ciuffi incandescenti precipitavano nell’acqua che lambiva la base della roccia. Le onde erano di un cupo color bronzo e la schiuma veniva dispersa dal vento.

    Senza rallentare il passo, Matt si strappò di dosso la giacca, si chinò per trascinarla nell’acqua. L’oceano era cosparso di detriti. Uccelli carbonizzati e pesci a pancia in su galleggiavano nell’acqua innaturalmente calda. Si coprì la testa con la giacca inzuppata, tenendosi il più lontano possibile dalla base della scogliera e dai cespugli che precipitavano descrivendo ampi archi di fuoco.

    Il mare rallentava ogni suo passo. Lui pregava solo di non inciampare. Aveva fatto surf su quella costa per tutta la vita e sapeva che, con una marea forte come quella, la corrente poteva afferrare le gambe di un uomo e trascinarlo in alto mare.

    La spiaggia s’allargò. La scogliera alla sua sinistra era più bassa, adesso, più frastagliata. Poté spostarsi sulla battigia. Gli scalini che portavano alla casa degli Edwards erano carbonizzati e tremavano a ogni raffica, ma reggevano ancora.

    Matt sentiva il proprio ansito, e i polmoni gli bruciavano. Anche vicino all’acqua, il Santa Ana privava l’aria di ogni umidità. Sferzato da quel vento caldo come un forno che ululava sotto un cielo incombente, lui aveva la sensazione di essere l’ultimo uomo rimasto vivo su una terra devastata.

    Bevve un sorso dalla bottiglia ormai calda. Più avanti un grosso uccello, un pellicano morto probabilmente, intrappolato in un pezzo di rete da pesca, stava sul pelo dell’acqua. Matt fissò gli occhi su quel punto di riferimento, per misurare il suo progresso lungo la spiaggia. Quando fu più vicino, capì che non era un pellicano. Forse una bambola avvolta in un pezzo di stoffa color rame. Le lanciò un’occhiata nel passare, andò avanti. Incerto, si girò.

    Un’onda si ruppe intorno alle sue caviglie e lambì la piccola sagoma chiara: questa si mosse poi, rispondendo al risucchio dell’acqua, cominciò a rotolare. Matt si abbassò istintivamente per non scivolare in mare. A dispetto dell’afa, il sangue che gli pompava nelle vene s’era raggelato. Raccolse il minuscolo corpicino, lo tenne contro di sé e posò le dita sulla sua gola.

    Sentì il debole palpito di una pulsazione.

    2

    Matt le tolse di dosso la seta bagnata, si sfilò la polo, ve la avvolse dentro. La neonata aveva gli occhi chiusi, le minuscole mani strette a pugno. Una lieve peluria bionda s’appiccicava alla testolina bagnata.

    Si guardò attorno, ma la sabbia alzata dal vento, il fumo e la cenere riducevano la visibilità a pochi metri. Alcuni conigli selvatici e un paio di procioni si tenevano addossati alla base della scogliera insieme a uno stormo di gabbiani. Lui non riusciva a scorgere nulla che assomigliasse a una sagoma umana.

    Chi poteva aver abbandonato quella bambina?

    Se la strinse al petto per scaldarla col proprio corpo, poi si infilò la giacca bagnata per proteggere entrambi dai tizzoni volanti e cominciò a tornare indietro lungo la spiaggia verso la scalinata che portava alla casa degli Edwards. Forse, con un pizzico di fortuna, avrebbe trovato dei pompieri.

    Scrutava la spiaggia con gli occhi mentre correva. L’immondizia rigettata da un oceano inquinato s’era intrappolata nel cordone di alghe che segnava il punto in cui era arrivata l’alta marea: lenze di nailon, lattine di bibite, pezzi di contenitori di polistirolo. Nessuna traccia della madre. Non una chiazza di sangue, niente a indicare che una donna potesse aver appena partorito suo figlio.

    Inciampò su una traversina carbonizzata e si accorse che la sabbia ne era cosparsa.

    I gradini. Da quando li aveva superati, soltanto pochi minuti prima, la ferocia del vento li aveva fatti volare via.

    Percorse con lo sguardo la scogliera, cercando un altro modo di salire, una ringhiera, un sentiero, qualunque cosa. Ma anche se fosse riuscito ad arrivare in cima, lassù divampava il fuoco. Esitò. Il ristorante vuoto era più vicino di casa sua, poteva tornare indietro. Ma viveva a Malibu da una vita, aveva visto incendi avanzare di cento metri in pochi secondi, consumare una villa in un paio di minuti. E la marea si stava alzando con un ruggito. Doveva andare avanti.

    Rinvigorito dal sollievo, Matt attraversò di corsa la spiaggia verso la gradinata che portava a casa sua, ancora intatta.

    Le ville accanto erano buie, e lui non se ne sorprese. I suoi vicini le usavano solo nei weekend, e neanche in tutti.

    Nell’ultima ora aveva corso senza fermarsi, sulla sabbia cedevole, dentro e fuori dall’oceano, stringendosi la neonata al petto mentre si arrampicava su scogli che normalmente sarebbero stati coperti di foche. In una serata come quella, se n’erano rimaste al largo.

    Il cielo era un calderone, il fuoco minacciosamente vicino. Lui sentiva le vampate di calore provenire dalle fiamme alte dieci metri che ora divoravano l’altura sopra la Pacific Coast Highway, dove la strada seguiva la curva della costa verso l’enorme distesa di prato della Pepperdine University. Quel prato aveva suscitato molte polemiche. Si discuteva ancora sulla quantità d’acqua usata per mantenerlo verde e sugli scoli di fertilizzanti che contaminavano la baia di Santa Monica, ma durante un incendio poteva essere un dono di Dio: una barriera rompifuoco dove i pompieri potevano lottare.

    Se il vento tornava a soffiare verso ovest com’era probabile coi vortici creati da quegli sbalzi di temperatura, le fiamme avrebbero attraversato la PCH in pochi minuti, attaccato le case sopra la sua sul lato interno della Malibu Road, sarebbero passate a quello verso la spiaggia e avrebbero proseguito fino all’acqua.

    Da quello che Matt aveva potuto vedere, finora il fuoco aveva raggiunto le ville sull’oceano a tratti irregolari, a seconda di dove l’aveva spinto il vento. La sua casa era vulnerabile, soprattutto a causa del vecchio tetto di tegole in legno.

    Spinse la porta della cucina piena di fumo e barcollò quando quaranta chili di cane terrorizzato si lanciarono contro le sue gambe.

    «Va tutto bene, Barns. È tutto a posto, bello.» Matt allontanò il labrador con una mano e prese il telefono. Non c’era segnale. La linea era interrotta. Sbatté giù la cornetta con rabbia. Ovvio che le linee fossero interrotte. Erano bruciati i pali. Non era il primo incendio a cui assisteva, in trentasei anni di vita. Avrebbe dovuto saperlo. Per fortuna aveva il cellulare.

    Con la neonata ancora stretta al petto, cercò nella giacca. Si batté sulle tasche dei pantaloni. Il telefono era sparito. Doveva essergli caduto da qualche parte sulla spiaggia.

    Posò la bambina sul soffice divano del salotto, le toccò la guancia pallida. Era fresca. Più fredda di quanto non fosse stata quando l’aveva raccolta. Cercò il battito sulla piccola gola, come aveva fatto sulla spiaggia. Non riuscì a trovarlo. Provò sull’altro lato. Niente. Forse non toccava nel punto giusto. Strofinò i polpastrelli sul divano per sensibilizzarli, ritentò.

    Senza successo. Col cuore che gli martellava all’impazzata, si inginocchiò, prese il piccolo naso, soffiò delicatamente nella bocca. Una volta, due. Ancora. Ma sapeva che era inutile. Non c’era respiro, non una pulsazione. La bambina era morta. In un imprecisato momento dell’ultima ora, mentre avanzavano a fatica sulla spiaggia, era spirata tra le sue braccia. Lui non aveva nemmeno capito quando la vita l’aveva lasciata. Come aveva fatto a non accorgersene?

    Si sedette all’indietro sui talloni. Era così delicata, così leggera che affondava appena nel cuscino. Lunghe ciglia le ombreggiavano le guance. Lui non sapeva nemmeno di che colore fossero i suoi occhi. Che razza di donna aveva potuto abbandonare una neonata indifesa su una spiaggia deserta?

    Passarono dei minuti. Barney spinse col naso la mano di Matt, poi cominciò a uggiolare come se avesse capito. Un suono lamentoso che diede voce alle sensazioni che si aggrovigliavano nel petto del suo padrone.

    Matt gli posò la mano sulla testa e tirò un lungo, doloroso respiro. Il fumo dentro casa era più denso, ora, il calore aumentava. Il cane lo sollecitava con insistenza. Matt sapeva che doveva bagnare il tetto. E presto. Guardò la neonata un’ultima volta, poi le coprì il faccino con la maglietta e si alzò.

    «Vieni, bello.» Mise il guinzaglio a Barney per l’eventualità in cui dovessero allontanarsi in fretta, poi andarono in camera da letto.

    Grigi frammenti di cenere aleggiavano nell’aria e coprivano ogni superficie; il lurido chiarore ambrato dell’incendio era l’unica fonte di luce, comunque gli bastava per trovare quel che gli serviva. Si spogliò, infilò dei jeans asciutti, una camicia, calzettoni e scarponi pesanti, poi prese una sacca nera dalla cabina armadio e si guardò attorno, pensando a cosa voleva salvare.

    Prese la cornice che teneva sul comodino: un’istantanea di se stesso e Ginn, con Barney ai loro piedi, scattata l’estate prima. La infilò nella borsa.

    Le uniche altre cose di valore, per lui, erano un piccolo ritratto di sua madre e un album di vecchie foto di loro due insieme, quando era bambino. Il ricordo di lei si era affievolito con gli anni, solo le foto lo tenevano in vita. Avvolse l’album in una maglietta prima di infilarlo nella borsa, aggiunse una manciata di biancheria, calzini, dei jeans. Prese alcuni libri dallo scaffale del salotto, documenti, il suo computer portatile. Aveva già preparato Barney per la fuga. A parte la casa stessa, non c’era altro al mondo che gli importasse.

    Si legò un fazzoletto sopra il naso e la bocca, poi afferrò tutti gli asciugamani che c’erano nell’armadio della biancheria, lasciò cadere la sacca accanto alla porta di cucina dove avrebbe potuto recuperarla facilmente se avessero dovuto rifugiarsi in mare. Si chiuse la porta alle spalle perché Barney non uscisse, corse lungo la fiancata della casa verso il garage separato che dava sulla strada.

    Sentiva il rombo dei camion dei pompieri, clacson e sirene sulla Pacific Coast Highway, sopra la Malibu Road. Stavano arrivando i rinforzi, finalmente. Le squadre dei vigili del fuoco avrebbero arginato l’incendio dove avessero potuto, almeno finché la pressione dell’acqua fosse stata sufficiente.

    Per fortuna lui e Barney potevano sempre scendere fino all’oceano e non sarebbero rimasti intrappolati. Nella peggiore delle ipotesi, avrebbe lasciato bruciare la casa. La casa di sua madre.

    Senza elettricità la saracinesca del garage non si apriva. Matt entrò dalla porticina laterale, si mise al volante della Range Rover parcheggiata dentro, inserì la retromarcia, pestò sull’acceleratore e speronò la saracinesca col pesante veicolo. Il legno si scheggiò al primo tentativo, cedette e lui fu fuori. Smontò, prese tre delle tavole da surf di Bobby Eckhart, le ficcò nel baule, poi aggiunse un paio delle proprie. La scala che teneva per le riparazioni era caduta dal muro nell’impatto. La raccolse, la lanciò sulla terrazza di legno, poi si rimise al volante e risalì in retromarcia fino alla strada, parcheggiando la macchina lontano dall’edificio. A un isolato di distanza, due case stavano bruciando.

    Srotolò il tubo per annaffiare, girò il rubinetto, emise un grugnito di sollievo quando vide uno spruzzo d’acqua, infilò l’estremità in un bidone da immondizia vuoto, lo riempì poi buttò dentro gli asciugamani. Inzuppò il fazzoletto, tornò a legarselo sul naso e sulla bocca, trascinò il tubo su per la scala fino al tetto.

    Se la pressione dell’acqua fosse rimasta forte, se il vento non avesse cambiato direzione, se lui fosse riuscito a spegnere le braci battendole con gli asciugamani bagnati prima che si infilassero tra le tegole di legno, allora, forse, sarebbe riuscito a salvare la casa. La casa di sua madre.

    Matt guardò l’orologio, vide che era mezzanotte passata. Il cielo notturno, da est a ovest, era ancora rosso per l’incendio, ma nell’aria c’era qualcosa di diverso. Il vento aveva cambiato direzione e stava soffiando dal mare. Non si poteva ancora dire che portasse umidità, ma per la prima volta dopo ore Matt riusciva a respirare senza cuocersi i polmoni.

    Tornò sulla strada. Tutto quello che c’era davanti alla casa era bruciato: la recinzione, i cespugli, un paio d’alberi, la grande buganvillea che sua madre aveva piantato trent’anni prima. Perlomeno la casa aveva retto: era annerita, affumicata, ma ancora in piedi. Molte ville sopra la sua e alcune lungo il suo tratto di spiaggia non erano altro che rovine fumanti.

    Scorse un’auto della polizia e si mise in mezzo alla strada per fare segno. L’auto bianca e nera rallentò. Il vicesceriffo lo guardò.

    «Chi è lei? Quest’area è stata evacuata. Solo il personale autorizzato può restarci.»

    Matt aveva sperato che fosse Bobby Eckhart. Non riconobbe l’uomo che gli aveva parlato.

    «Abito qui. Ha un minuto? Ho una cosa importante da dirle.»

    «Ha un documento?»

    «Sicuro.» Matt prese il portafogli che aveva trasferito dai jeans bagnati, lo aprì per mostrare la patente di guida.

    Il vicesceriffo lo prese. «Che cosa s’è fatto al braccio?»

    Matt lo sollevò, sorpreso nel vedere un taglio e strisce di sangue secco. «Non lo so. Suppongo di essermi ferito quando ho spaccato un vetro al Cove per prendere dell’acqua.»

    «Capisco.» Il vicesceriffo gli restituì la patente. «Bene, tornerò qui da lei non appena avrò fatto un controllo in fondo alla strada. Siamo ancora in emergenza.» Un camion dei pompieri avanzava lentamente, bagnando gli ultimi focolai, controllando i tetti. L’auto bianca e nera cominciò a ripartire.

    Matt s’incamminò al suo fianco. «No, aspetti. Senta, deve venire con me. Sembra pazzesco, lo so, ma in casa ho una neonata morta.»

    La macchina frenò. Il vicesceriffo lo fissò per un lungo istante, poi accostò al ciglio della strada. Prese una torcia, la puntò sulla faccia di Matt, sul tronco ancora fumante della buganvillea, sulla casa e sul patio. Barney, il muso premuto contro la finestra della camera da letto non più schermata dalla vegetazione, abbaiò un avvertimento.

    L’agente prese la ricetrasmittente. «Qui 103. Ho avuto rapporto di un 927D a...» Guardò Matt. «Qual è l’indirizzo?»

    Lui glielo disse, il vicesceriffo lo ripeté, poi chiuse la comunicazione. Smontò.

    «Come mai non ha lasciato l’area come tutti gli altri?» La voce era cortese, eppure diffidente.

    «Non ero qui quando è arrivato l’ordine. Sono rientrato dopo, passando dalla spiaggia.»

    «Vuol ripetermi il suo nome, signore?»

    «Matthew Lowell. E il suo?»

    «Vicesceriffo Timms.» Schiena dritta come un fuso, sulla trentina, capelli scuri corti sulla nuca e sui lati, ma sorprendentemente lunghi in cima alla testa. Seguì Matt sul patio, fino alla cucina illuminata da una candela.

    Matt aprì la porta del frigorifero. A parte un piccolo fagotto avvolto in una polo blu, i ripiani erano vuoti.

    «Cos’è? Uno scherzo di cattivo gusto?» Timms era cupo in viso.

    «No.» Matt indicò i vasetti e i contenitori impilati nel lavandino: succo d’arancia, maionese, olive, un cartone di uova. «Con questo caldo, non sapevo cos’altro fare. E ho pensato che se la casa fosse bruciata lei sarebbe stata più al sicuro. L’ho trovata sulla spiaggia ieri sera mentre tornavo a casa.»

    «Gesù.» A quel punto Timms si azzardò a infilare una mano nel frigo.

    Matt si girò di spalle. Anche all’ondeggiante, fioca luce della candela, non sopportava di vedere di nuovo quel faccino.

    «C’è un sacco di sangue su questa maglietta» disse Timms.

    «Dev’essere mio. Di quando mi sono ferito al braccio.»

    «Era presente quando è nata?»

    «No, non ero presente. L’ho trovata, come le ho già spiegato. Mi sono tolto la maglietta e ho avvolto la piccola perché non avevo nient’altro. Non mi sono reso conto che fosse sporca di sangue. Comunque, non avrebbe fatto differenza, perché era tutto quello che avevo. La mia polo.»

    «Capisco. È una femmina...» mormorò Timms. «Dove ha detto che l’ha trovata?»

    «Sulla spiaggia.»

    Timms gli lanciò un’altra occhiata dura. «Da quanto tempo abita a questo indirizzo, signor Lowell?»

    «Da sempre, anche se a periodi alterni. La casa apparteneva ai miei genitori. Vivevamo a Point Dume, ma passavamo molto tempo qui. C’era il progetto di buttarla giù per costruirne una nuova, ma mia madre...» Si interruppe. Perché s’era messo a raccontare la storia della propria vita a uno sconosciuto? «Mi ci sono trasferito definitivamente quando ho finito l’università. Quattordici anni fa.»

    «Capisco. Bene, non posso far venire qui il medico legale. La PCH è ancora chiusa in entrambe le direzioni. Ma devo fare rapporto. Lei aspetti.»

    Esitò, come se non sapesse cosa fare di quella neonata morta, poi rimise il piccolo corpo dove l’aveva trovato e attraversò la cucina. Si fermò sentendo una voce e un rumore di passi sulla terrazza di legno.

    «Ehi, Matt! Che cosa succede? È tutto okay?» Il vicesceriffo Bobby Eckhart entrò senza bussare. Snello e atletico, coi capelli biondi tagliati corti, aveva delle spalle poderose grazie a tutti gli anni passati a pagaiare con le braccia per andare incontro alle onde. Quella sera i suoi occhi grigi erano

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