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Un tocco di giallo (eLit): eLit
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E-book351 pagine5 ore

Un tocco di giallo (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Faith Pelletier si sta riprendendo solo ora della morte del marito e spera di poter tornare a scrivere, dopo ben due anni di forzato riposo, quando riceve la notizia della tragica fine della cugina Chelsea Logan. Si reca quindi immediatamente a Serenity, Maine, per occuparsi del funerale e della figlia di Chelsea, Jessie. Sembra si tratti di suicidio, ma questa conclusione non è abbastanza convincente. La cugina era infatti una giornalista, e forse aveva scoperto qualcosa di scottante. Faith inizia a indagare, con l'aiuto di Ty Savage, capo della polizia locale. Tra proteste contro la presenza di una comunità somala in città, criminalità legata al traffico di droga e un'attrazione che non riescono più a negare, i due si avvicinano sempre più alla verità. Tanto che qualcuno cerca di uccidere Faith.
LinguaItaliano
Data di uscita30 ott 2017
ISBN9788858978313
Un tocco di giallo (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Un tocco di giallo (eLit) - Laurie Breton

    successivo.

    Prologo

    La pioggia scendeva fitta come una cortina trasparente che tamburellava a ritmo sostenuto sull'abitacolo della vettura, e Chelsea strizzò leggermente le palpebre per aguzzare la vista. La visibilità era ridotta di molto con quell'acquazzone che i tergicristalli a velocità massima non riuscivano a contrastare. La statale seguiva il corso tortuoso del fiume che si snodava come un serpente. Chelsea era ben attenta a mantenere una velocità moderata. Non voleva rischiare di sbandare sull'asfalto scivoloso e fare un tuffo nel fiume prima di riuscire ad arrivare da Ty.

    Mezzanotte non era esattamente l'ora più indicata per andare a trovare il capo della polizia di Serenity. Probabilmente l'avrebbe tirato giù dal letto. Non le era difficile immaginarlo che si alzava mugugnando, irritato per essere stato svegliato nel bel mezzo del primo sonno. Però la questione di cui voleva parlargli era troppo importante, Chelsea non poteva aspettare fino al giorno dopo e non si fidava di nessun altro. Inoltre era sicura che Ty avrebbe smesso di brontolare quando avesse sentito quello che aveva da dirgli.

    Chelsea stava lavorando a quella storia da settimane, l'aveva costruita un pezzo alla volta, con pazienza, facendo ricerche scrupolose e impegnandosi a fondo. Aveva tenuto la polizia all'oscuro della faccenda finché non si era accertata che quello che le era stato detto fosse vero. Non avrebbe mai voluto accusare degli innocenti, però quella sera aveva avuto conferma dei suoi sospetti e aveva visto con i propri occhi le prove di quello che in cuor suo sapeva già.

    Era la verità, ed era ora di mettere tutto nelle mani della polizia, di riferire a Ty quello che aveva scoperto. Poi sarebbe tornata a casa e avrebbe scritto il suo pezzo. Non ci avrebbe impiegato molto, perché aveva già l'articolo pronto in testa. Una volta ottenuto il benestare di Ty, avrebbe messo nero su bianco l'esclusiva che avrebbe dato la spinta decisiva alla sua carriera giornalistica.

    Era una storia che avrebbe scosso le fondamenta della piccola città di Serenity. Chelsea si sentiva viva e piena di energie per la prima volta da quando aveva lasciato il lavoro al Boston Tribune per tornare in quel buco di paese. Il gusto del brivido, l'emozione della caccia le facevano scorrere l'adrenalina nelle vene, risvegliando tutti i suoi sensi. Le sembrava di essere un cane da caccia che aveva fiutato la pista giusta e non vedeva l'ora d'inchiodare la preda.

    Era tornata a Serenity con la coda tra le gambe, un anno prima, perché il padre stava morendo ma anche perché aveva bisogno di voltare pagina. Nelle sue intenzioni non avrebbe dovuto essere un trasferimento definitivo, ma l'offerta d'impiego del River City Gazette era giunta al momento giusto. Il padre le aveva lasciato la casa proprio quando Chelsea cominciava a essere stanca di lavorare nell'ambiente frenetico di un giornale di una grande città. Inoltre non prevedeva di stabilirsi a Serenity per sempre, ma solo finché non le fosse capitato qualcosa di meglio tra le mani.

    Per il momento, tuttavia, non aveva niente in vista, perciò si era rassegnata a mordere il freno nella cittadina del Maine in cui era cresciuta. Aveva iscritto Jessie alle superiori e aveva cominciato ad apportare qualche miglioria alla casa, mentre intorno a lei la città andava lentamente in rovina, scivolando in un declino inesorabile un passo alla volta.

    Allungò una mano per frugare nella borsa in cerca delle sigarette, poi ricordò che aveva smesso di fumare da una settimana... per l'ennesima volta.

    Vide nello specchietto retrovisore le luci dei fari di una vettura che arrivava da dietro una curva. I fari alti e distanziati le fecero capire che si trattava di un camion.

    Premette l'acceleratore mentre imboccava il rettilineo ma, d'un tratto, il riflesso delle luci sull'asfalto lucido di pioggia le sembrò distorcere il nastro nero della strada che le correva incontro. Chelsea batté più volte le palpebre e regolò la luminosità dei fari per diminuire la rifrazione, poi lanciò un'altra occhiata allo specchietto retrovisore.

    Le due luci tonde parvero ingigantirsi di colpo, poi assumere dei contorni offuscati e fondersi prima di tornare di nuovo distinte. Chelsea scosse la testa leggermente per schiarirsi la vista e trasalì, avvertendo un'ondata di nausea che le attanagliava la gola.

    L'auto deviò verso il centro della strada e lei sterzò bruscamente prima che invadesse l'altra carreggiata. Dietro di lei, i fari del camion erano di nuovo due enormi cerchi luminosi contornati dall'oscurità. Colta da un'improvvisa vertigine, Chelsea strinse forte il volante per cercare di riprendere il controllo della vettura che sbandava di nuovo verso il centro della strada.

    Ora il camion era proprio dietro di lei e le luci la incalzavano, accecandola. Non riuscendo a distinguere nettamente il bordo della carreggiata, ridusse di molto la velocità. Con un lungo colpo di clacson per esprimere la sua irritazione, il camionista la sorpassò, gettandole sul parabrezza una massa d'acqua sollevata dalle grosse ruote.

    Agitata e invasa da una strana debolezza e confusione, Chelsea abbassò il finestrino per prendere una boccata d'aria fresca.

    Ormai si era resa conto di stare male: aveva una forte nausea e si sentiva lo stomaco in gola. Sicuramente si trattava di avvelenamento da cibo, pensò. La scaloppina di vitello doveva essere guasta, era l'unica spiegazione. Non aveva mangiato altro. Se si fosse fermata e magari fosse riuscita a liberare lo stomaco, sicuramente si sarebbe sentita meglio.

    Scrutando nell'oscurità che la circondava, cercò con lo sguardo la piazzola di sosta successiva. Riconobbe con immenso sollievo la breve svolta che conduceva a un piccolo spiazzo lungo la sponda del fiume. Sterzò, lasciò la carreggiata e si addentrò sulla ghiaia della piazzola tra gli scossoni dell'auto, lieta di avercela fatta senza incidenti.

    La vettura, però, non si fermò. Chelsea, perplessa, si chiese perché. Eppure aveva frenato, pensò confusa. Qual era il pedale del freno? Quello a sinistra? No, quello era la frizione, si disse.

    La frizione si preme con il piede sinistro e il freno con quello destro.

    Con maggiore sicurezza, ora che aveva ricordato esattamente le parole del suo istruttore di guida, abbassò con forza il piede destro sul pedale.

    Si accorse dell'errore troppo tardi. La vettura schizzò in avanti nell'oscurità, catapultata nel vuoto, poi cominciò a cadere al rallentatore.

    Quando il muso toccò l'acqua con violenza la nuca le andò a sbattere contro il poggiatesta con un colpo secco. Rimase quasi immobile per un istante, in bilico a pelo d'acqua come una ballerina sulle punte, poi si capovolse con una capriola aggraziata e atterrò con il tetto sulla superficie increspata del fiume gonfio di pioggia, che scorreva rapido a valle.

    L'acqua entrata dal finestrino abbassato invase subito l'abitacolo. Nonostante lo stordimento, Chelsea ragionava ancora abbastanza da capire che all'interno della vettura restava ancora una sacca d'aria nel punto più alto. Purtroppo aveva i riflessi lenti, scoordinati. Confusa e disorientata, annaspò goffamente nel tentativo di sganciare la cintura di sicurezza, senza alcun risultato.

    Invasa all'improvviso dal panico, si dibatté per liberarsi con movimenti troppo lenti e impacciati, mentre la cintura di sicurezza la teneva ostinatamente inchiodata al sedile. Le sembrava di vivere in un incubo, intrappolata al volante, legata a testa in giù come un quarto di bue mentre il livello dell'acqua saliva gradualmente e inesorabilmente intorno a lei, invadendo l'abitacolo.

    Non è un incidente.

    Più che pensarle, udì mentalmente quelle parole con chiarezza sconvolgente, come se qualcuno le avesse pronunciate ad alta voce nella sua coscienza. Sempre più frenetica e agitata per il terrore, stordita e con il cuore in gola, ripensò alle ultime ore prima di mettersi alla guida.

    Avevano giocato al gatto con il topo, avevano cenato a casa di lui e chiacchierato amabilmente. Poi lui aveva tirato fuori una bottiglia di vino con disinvoltura.

    Un goccetto prima di andare?, le aveva proposto sorridendo.

    Lei era rimasta seduta, rigida, con la bocca asciutta, quasi senza osare respirare, fissando la bottiglia di Beaujolais come un leopardo che tiene d'occhio una gazzella pronta alla fuga.

    Cinque anni...

    Aveva alle spalle cinque lunghi anni in cui si era mantenuta sobria. Se avesse ceduto alla tentazione, avrebbe rischiato di ripiombare nell'inferno in cui aveva trascorso buona parte della sua maturità.

    D'altro canto, se non avesse accettato di bere qualcosa, forse lo avrebbe insospettito. Lui avrebbe potuto intuire che lei aveva visto il mostro dietro la maschera.

    Mentre era combattuta, in preda all'indecisione, lui si era allontanato per un attimo per stappare il vino, poi l'aveva versato in due bicchieri e gliene aveva offerto uno.

    Infine l'aveva guardata bere... ma non aveva toccato il proprio bicchiere.

    Era stato il vino!, pensò Chelsea in un lampo d'illuminazione. Non si trattava di avvelenamento da cibo. Ma quale scaloppina di vitello guasta? Quel maledetto bastardo l'aveva drogata!

    L'acqua gelida la colpì in faccia con la forza di uno schiaffo. Con le dita intorpidite dal freddo e indebolite dalla droga che lui le aveva somministrato, strattonava disperatamente e inutilmente la cintura di sicurezza incastrata.

    La situazione era talmente paradossale che Chelsea non sapeva se piangere o farsi un'ultima, ironica risata.

    Stava per morire per colpa dei suoi scrupoli dell'ultimo momento, lei che di scrupoli ne aveva sempre avuti ben pochi. Chelsea Irene Logan si era preoccupata di non insospettirlo con un rifiuto e si era buttata volontariamente in braccio alla morte.

    Cosa sarebbe successo ora a Jessie?, si domandò in un ultimo sussulto d'angoscia, con il cuore gonfio di pena. Chi si sarebbe preso cura della sua povera bambina quando lei non ci fosse stata più?

    Infine l'acqua la inghiottì, portandosi via il suo dolore e donandole un eterno oblio.

    1

    Era uno schifo di mattinata.

    Faceva freddo ed era umido, di quell'umidità che penetrava nelle ossa succhiando il midollo e togliendo tutte le energie. Aveva piovuto per quattro settimane di fila. Il fiume era ingrossato e le sponde ripide erano scivolose per il fango.

    Il capo della polizia, Tyrone Savage, fermo sull'argine con in mano un bicchiere di carta pieno di caffè tiepido, seguiva con lo sguardo gli sforzi di un uomo in cerata gialla che cercava di agganciare l'asse della vettura sommersa al verricello del carro attrezzi.

    Ty era stato il primo a rispondere alla segnalazione e ad arrivare sul posto. In attesa che arrivassero la squadra di recupero e l'autoambulanza, si era avventurato lungo l'argine scosceso per dare un'occhiata. Ora era coperto di fango fino alle orecchie, bagnato fradicio e intirizzito.

    Il problema più grosso, comunque, era il fatto che aveva riconosciuto la vettura. Tutti in città conoscevano quella macchina. In un paese come Serenity, gli abitanti sapevano gusti e abitudini gli uni degli altri. Ognuno avrebbe potuto citare la marca di carta igienica usata dal proprio vicino di casa e se la preferiva bianca, a fiorellini, profumata o a doppio velo.

    In ogni caso, anche a parità di marca, modello e colore dell'auto, la targa non lasciava alcun dubbio sull'identità del conducente dell'auto piombata nel fiume. CHELSEA 1. Ty sapeva esattamente chi fosse al volante e cosa si sarebbe trovato davanti quando avessero ripescato il corpo. L'unica cosa di cui non aveva idea era come avesse fatto a finire lì.

    Da quel poco che aveva potuto dedurre a prima vista sulla dinamica dell'incidente, sembrava che Chelsea fosse uscita fuori strada e fosse finita dritta dritta nel fiume.

    Al momento dell'impatto, l'automobile si era capovolta, appoggiandosi sul tetto e finendo incagliata nel fango a poca distanza dalla riva.

    Ty sentiva le gocce pungenti della pioggia sul viso. A poca distanza, i componenti della squadra di soccorso osservavano le operazioni di recupero con un'espressione cupa. Al loro gruppo si erano aggiunti i soliti curiosi che si erano fermati per guardare la scena con interesse morboso.

    L'uomo con l'impermeabile giallo e gli stivaloni di gomma alzò un braccio per fare segno all'autista del carro attrezzi che poteva muoversi per cominciare a tirare fuori dal fiume il rottame. Con un gemito penoso, l'auto cominciò a emergere dall'acqua, sottraendosi all'abbraccio fangoso del fiume Androscoggin.

    Ty cercò di dominare la rabbia che gli ribolliva dentro. Prima della fine di quella giornata, qualche burocrate di Augusta avrebbe ricevuto una sonora pedata nel sedere, con i complimenti del capo della polizia Tyrone Savage.

    Non era furibondo solo perché la vittima era la ragazza con cui aveva perso la verginità diciotto anni prima. Il fatto in sé, per quanto importante per lui, non aveva creato un legame particolare tra loro. Chelsea Logan era una ragazza ribelle e spregiudicata a quei tempi, e Ty sospettava di non essere l'unico ragazzotto a cui aveva fatto il piacere d'introdurlo ai misteri dell'eros.

    Il motivo della sua ira non era neanche il fatto che detestava che si verificassero incidenti automobilistici nella sua cittadina. Purtroppo erano inevitabili, nonostante fosse lieto di poter affermare che non erano frequenti.

    Non era arrabbiato neppure perché sapeva di dover passare il caso alla polizia del Maine, dato che le indagini non rientravano nella sua giurisdizione. Se la polizia di stato voleva sobbarcarsi il fastidio di dover ricostruire gli ultimi istanti di vita di Chelsea Logan, si accomodasse pure. Un grattacapo in meno per lui.

    No, non era nessuno di questi motivi ad avere scatenato in lui una rabbia così violenta che sarebbe stato ben lieto di torcere il collo a qualcuno. Quello che lo irritava immensamente era il fatto di aver chiesto al Ministero dei Trasporti almeno tre volte nell'ultimo anno di far mettere una spalletta di protezione in quel punto preciso. Quella parte di strada, in aperta campagna, era pericolosa e Ty era sicuro che prima o poi ci sarebbe scappato il morto.

    La statale seguiva il corso del fiume e non c'era il guardrail. Solo un albero ogni tanto impediva a un eventuale automobilista che avesse sbandato e fosse uscito di strada di precipitare nelle acque turbolente dell'Androscoggin.

    Il limite di velocità non era rispettato da nessuno sul rettilineo e proprio il fatto che non ci fossero curve aveva indotto il Ministero a rifiutare la richiesta di Ty, perché secondo le autorità preposte al controllo del traffico quello non era un tratto a rischio.

    Quei buoni a nulla non avrebbero mai dimenticato il suo nome, pensò Ty, schiumando di rabbia. Adesso sì che avrebbe ottenuto il suo guardrail. Sarebbe stato un po' tardi per Chelsea Logan, ma meglio tardi che mai, pensò con cupo sarcasmo.

    Pete Morin gli si avvicinò. Portava una brutta cerata verde e un cappello da pioggia da pescatore che gli conferiva un'aria da stupido.

    Senza togliersi di bocca lo stuzzicadenti incastrato in un angolo, Pete dichiarò: «Niente segni di frenata. Non mi piace per niente».

    Ty seguì lo sguardo di Pete che si era voltato verso l'agente chino sul bordo della carreggiata, intento a esaminare i segni delle ruote dell'automobile di Chelsea.

    «Forse si è addormentata, ha sbandato ed è finita di sotto» azzardò.

    Pete scosse la testa. «Non sarebbe piombata in acqua con quell'angolazione» obiettò. Si tolse di bocca lo stuzzicadenti e indicò la direzione dell'auto. «La macchina si sarebbe rovesciata su un fianco. No, secondo me è andata dritta nel fiume ed è sprofondata di muso.»

    Ty annuì lentamente. Era la stessa dinamica che si era raffigurato lui. Però, visto che quell'ipotesi gli piaceva poco, bevve un sorso di brodaglia tiepida prima di aprire bocca. Fece una smorfia. Il caffè aveva lo stesso sapore del fango che ormai era penetrato in ogni angolo del suo corpo.

    «Quindi cos'è successo secondo te?» domandò a Pete.

    «Non sta a me trarre conclusioni, capo. Sei tu quello che ha appeso alla parete un elegante diploma di laurea in criminologia» replicò Pete, ironico.

    «Grazie per avermelo ricordato» brontolò Ty, sarcastico.

    Gemendo e scricchiolando, il verricello tirò a riva l'auto di Chelsea lentamente e con fatica. L'acqua scrosciò fuori dall'abitacolo, come da una fontana moderna.

    «Magari aveva bevuto» insinuò Pete sottovoce, rimettendosi in bocca lo stuzzicadenti.

    «Tutto può essere» borbottò Ty.

    Però quell'ipotesi non gli quadrava. Era vero che Chelsea aveva ereditato la propensione di suo padre per gli alcolici e per poco non si era rovinata la vita a forza di alzare il gomito. Qualche anno prima, però, era riuscita a disintossicarsi con l'aiuto degli Alcolisti Anonimi, e da allora non aveva più toccato una goccia d'alcol. Si era impegnata a fondo per ricostruire una vita decente rimettendo insieme i cocci della sua sciagurata esistenza, per cui Ty non poteva immaginarla a ubriacarsi e finire nel fiume per disgrazia.

    Queste considerazioni gli lasciavano un'alternativa ancora meno credibile: che Chelsea fosse finita nel fiume volontariamente.

    Il suo istinto gli diceva che non era possibile. Era inimmaginabile che Chelsea avesse deliberatamente reso orfana la figlia quindicenne che adorava e che per lei era il centro dell'universo.

    L'auto atterrò con un tonfo sordo in posizione dritta, rimbalzando leggermente sulle gomme.

    «Tenete lontani i curiosi» ordinò Ty prima di avviarsi verso il veicolo, dove i paramedici Ron Steel e Jeannie Arsenault avevano già aperto la portiera dal lato del conducente e si erano piegati sulla vittima.

    In qualità di membro delle forze dell'ordine di una piccola città, Ty si era trovato molto raramente davanti a un cadavere: qualche incidente, una manciata di suicidi, vittime d'incendi, di attacchi di cuore e qualche morto di overdose. Però, essendo un veterano che aveva combattuto nella guerra del Golfo, aveva una certa familiarità con la morte nelle sue forme più sgradevoli e inaspettate. La morte non era mai bella né semplice, però era ancora più brutta quando la defunta era un'amica di vecchia data, specialmente una ragazza vivace ed esuberante come Chelsea Logan.

    Ora la vitalità di Chelsea si era spenta per sempre, la pelle aveva una sfumatura bluastra e si era raggrinzita, come se fosse stata troppo tempo nella vasca da bagno. I capelli pendevano in ciocche bagnate e sporche, mescolate ai detriti portati dal fiume. Il corpo era abbandonato e la testa piegata in un angolo innaturale: o il freddo aveva ritardato il rigor mortis oppure non era in acqua da molto tempo, pensò Ty.

    «Jeannie?» disse con voce roca, tesa, dopo essersi schiarito la gola con un colpetto di tosse.

    Jeannie Arsenault sostituiva talvolta il coroner, Keith Gagnon, proprietario e direttore di un'impresa di pompe funebri, noto perché non si affrettava mai a rispondere alle chiamate d'emergenza, sostenendo che i pazienti non avevano alcuna fretta e non sarebbero andati da nessuna parte anche se lui avesse ritardato qualche ora a esaminarli.

    «Non c'è respirazione né battito. La cianosi è avanzata» lo informò Jeannie. «È decisamente morta.»

    «Che fa Gagnon? Arriva?»

    «L'hanno chiamato.»

    «Dovremo trasportare il corpo ad Augusta per l'autopsia.» Ty si girò verso il capannello degli astanti che seguivano attenti le operazioni di recupero. «Ma questi qui non hanno niente di meglio da fare?» sbottò, irritato.

    «La curiosità e il gusto del macabro sono insiti nella natura umana» sentenziò Jeannie.

    «Chiudi la porta e trova un telo o qualcos'altro per coprire il finestrino, intanto.»

    Si girò di scatto e andò a sbattere contro Lemoine, della stradale, che stava scrivendo qualcosa su una cartellina. «Mettiamo il veicolo sotto sequestro per controllare se ci sono guasti o difetti meccanici» annunciò continuando a scrivere, prima di alzare lo sguardo su Ty. «Avete verificato se la vittima ha documenti con sé per identificarla?»

    «Si chiama Chelsea Logan. È di qui. La conoscevo di persona.»

    «Allora può avvisare il parente più prossimo?» gli chiese Lemoine.

    Ty si passò una mano sulla fronte e pensò che il parente più prossimo di Chelsea era la figlia. Esisteva un modo semplice e poco traumatizzante per informare una quindicenne che la madre era morta?, si chiese. «Ci penso io» sospirò.

    Doveva pur esserci qualcuno, qualche parente che fosse disposto a prendersi cura della ragazzina, si disse. Ma chi?

    La madre di Chelsea se ne era andata via di casa quando lei era piccola e, per quanto ne sapesse lui, non si parlavano da trent'anni. Non che la biasimasse per la sua fuga.

    Suo padre, Cyrus Logan, era il bastardo più crudele, infido ed egoista con cui avesse avuto la disgrazia di avere a che fare. Sgradevole e cattivo anche le rare volte in cui era sobrio, quando beveva diventava violento e incontrollabile. Sua moglie, mite, remissiva e sottomessa, aveva dimostrato di avere una spina dorsale solo in un'occasione: quando l'aveva lasciato. Purtroppo l'unico atto di coraggio che avesse fatto in vita sua non aveva compreso la figlia, che era stata abbandonata insieme al padre.

    Il vecchio bastardo aveva fatto al mondo un gran favore nove mesi prima, tirando il suo ultimo respiro. Per cui Chelsea non aveva lasciato dietro di sé genitori afflitti per la sua prematura scomparsa. Essendo figlia unica, non aveva neanche fratelli, almeno non ufficialmente, visto che girava voce che Cyrus Logan avesse lasciato in giro più di un pargolo illegittimo. Ma erano solo chiacchiere.

    La conclusione di tutto questo ragionamento conduceva al fatto indiscutibile che Davy era l'unico che potesse occuparsi di Jessie.

    Benché Davy Hunter e Chelsea Logan fossero divorziati, avevano mantenuto dei rapporti saltuari per buona parte degli ultimi vent'anni. Serenity era una piccola città e alla gente di paese piaceva fare chiacchiere. Per anni erano girate le congetture più disparate sull'identità del padre di Jessie. I maligni avevano sempre sospettato che non fosse Davy e né lui né Chelsea si erano mai curati di soddisfare la curiosità dei pettegoli. Ignorando le maldicenze, quando erano tornati entrambi a Serenity, l'anno prima, erano semplicemente tornati insieme con molta naturalezza. A quanto pareva, nel loro caso il divorzio non aveva spezzato il legame che li univa.

    Nonostante ciò, Davy non era esattamente quello che si sarebbe definito un padre modello.

    Sbuffando, sempre più impensierito, Ty aprì la portiera destra della vettura, scostandosi bruscamente quando un rivolo di acqua lurida ne fuoriuscì schizzandogli le caviglie. Prese la borsa di Chelsea, appesantita dall'acqua, vi frugò e tirò fuori una rubrica degli indirizzi.

    L'inchiostro era sbiadito e colava sulle pagine fradice in grandi macchie che rendevano pressoché illeggibili i nomi. L'unica pagina quasi intatta era la prima, perché il foglietto contenente le informazioni personali del proprietario era infilato in una copertina di plastica. Ty scorse rapidamente i dati inseriti negli spazi: nome, indirizzo, data di nascita, numero di telefono, medico curante, dentista, gruppo sanguigno, persona da chiamare in caso di emergenza.

    Ty ebbe un tuffo al cuore quando vide che la persona da contattare indicata da Chelsea non era Davy Hunter, ma un'altra che lui conosceva sin troppo bene. Il nome scritto in inchiostro blu, leggermente sbiadito, era quello della cugina di Chelsea.

    Faith Pelletier.

    Mentre leggeva quelle due parole, Ty sentì che il cuore gli precipitava in caduta libera verso il fondo dello stomaco. Era stupefacente l'effetto che quel nome aveva su di lui anche dopo tanti anni.

    Da bambini erano amici per la pelle, inseparabili al punto che nessuno si riferiva a uno senza nominare anche l'altro. Sembrava quasi che fossero due parti di un'unica unità indissolubile, chiamata Faith-e-Ty o anche Ty-e-Faith. Alle superiori, poi, facevano parte di un quartetto altrettanto impenetrabile alle influenze esterne: Faith, dolce e introversa, Chelsea, esuberante e scatenata, Davy, sensibile e cupo, e infine Ty, il figlio del capo della polizia, che dedicava le sue giornate a fare qualsiasi cosa che potesse recare imbarazzo ai suoi genitori.

    Per un lasso di tempo straordinariamente breve, Ty aveva nutrito la segreta speranza che tra lui e Faith potesse nascere qualcosa in più di un'amicizia. Poi, però, aveva commesso un incredibile peccato d'ingenuità e il suo errore aveva compromesso qualsiasi possibilità di futuri sviluppi del loro rapporto.

    Subito dopo il diploma, Faith si era lasciata alle spalle la piccola città di provincia per ampliare i suoi orizzonti ed esplorare il mondo. Sicuramente aveva avuto le sue soddisfazioni da allora ed era diventata qualcuno. Ty aveva visto il suo nome nelle librerie, stampato sulla copertina di diversi bestseller. Era spesso citata nelle classifiche di vendita e Ty l'aveva persino vista in televisione, ospite di un talk show. Bruna e voluttuosa, era diventata sofisticata e affascinante. La trasformazione da timida adolescente in raffinata autrice di successo era sconvolgente.

    Era una delle ironie della vita, pensò Ty, come il fatto che il ragazzo che detestava tanto essere il figlio di un poliziotto fosse ora capo della polizia come suo padre. Doveva ammettere che nel profondo del cuore nutriva ancora dei sentimenti intensi nei confronti di Faith Pelletier, ma non avrebbe mai immaginato di doversi trovare ad annunciarle che sua cugina era morta.

    Oltretutto, come parente prossima di Chelsea, avrebbe avuto la responsabilità di decidere del futuro di Jessie.

    Voltate le spalle alla macchina, alzò gli occhi al cielo ancora gonfio di nuvole. Non aveva mai smesso di piovere, pensò con malinconia. Il cielo piangeva la tragica morte di Chelsea Logan.

    A una trentina di metri di distanza, un uomo alto e snello si fece largo tra la piccola folla degli astanti. Portava una camicia rossa di flanella fuori dai pantaloni che, insieme al lungo codino, gli dava l'aspetto di un hippy invecchiato, uno dei figli dei fiori che non si era mai rassegnato a rientrare nel sistema. Eppure era nato una generazione dopo e non poteva rivendicare di diritto l'appartenenza al gruppo dei veri hippy.

    Anche a quella distanza il suo pallore era visibile quanto la sua agitazione. Lanciò una rapida occhiata a Lemoine ma lo liquidò subito. A pugni stretti, si diresse con determinazione verso Ty e gli si fermò davanti.

    I due uomini si guardarono in cagnesco per un lungo istante, senza parlare, poi l'uomo spostò lo sguardo oltre la spalla di Ty e guardò in silenzio l'automobile.

    Davy Hunter tornò a fissare Ty poi, con voce strozzata, carica di tensione, lo apostrofò: «Che diavolo è successo?».

    2

    «Tre mesi» mormorò Faith Pelletier.

    Sollevò il calice tenendolo per lo stelo, bevve una sorsata di Sauvignon e cercò di digerire le parole della sua agente.

    Fuori dalla vetrata del ristorante, i marciapiedi di New York erano affollati di gente

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