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Un uomo in pericolo (eLit): eLit
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E-book148 pagine2 ore

Un uomo in pericolo (eLit): eLit

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ROMANZO INEDITO

Protectors 1
Da tempo Elizabeth, una sensitiva che vive in un luogo isolato su una montagna, ha delle visioni di un uomo in pericolo. E così, quando Reece Landry bussa alla sua porta, lei lo accoglie amorevolmente, sapendo tutto di lui. Una pesante accusa di omicidio sulle spalle, la terribile condizione di ricercato dalla polizia, la paura di essere catturato: Reece non deve raccontarle la sua storia, lei già la conosce. E vede anche una soluzione all'intera vicenda: gli offre il suo aiuto, i suoi poteri e anche il suo cuore.
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2019
ISBN9788830502970
Un uomo in pericolo (eLit): eLit
Autore

Sylvia Plath

Sylvia Plath was born in 1932 in Massachusetts. Her books include the poetry collections The Colossus, Crossing the Water, Winter Trees, Ariel, and Collected Poems, which won the Pulitzer Prize. A complete and uncut facsimile edition of Ariel was published in 2004 with her original selection and arrangement of poems. She was married to the poet Ted Hughes, with whom she had a daughter, Frieda, and a son, Nicholas. She died in London in 1963.

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    Anteprima del libro

    Un uomo in pericolo (eLit) - Sylvia Plath

    successivo.

    1

    Lui era là fuori, solo, furioso, ferito. E temeva di non vivere abbastanza a lungo da riuscire a dimostrare la propria innocenza e farla pagare al vero colpevole.

    Elizabeth Mallory rabbrividì, non tanto per la premonizione quanto per il freddo vento di febbraio che sferzava la sua baita di montagna. Con una tazza di caffè nero nella mano destra, era ferma nel vano della porta a guardare la neve appena caduta. Il primo debole accenno di mattino dipingeva l'orizzonte di varie sfumature di rosso, dal rosa più chiaro al cremisi più scuro.

    Era da giorni che Elizabeth sentiva l'arrivo di una bufera e nelle sue previsioni del tempo non sbagliava mai. Né nelle sue premonizioni. Era questo a darle fastidio. Lo sconosciuto aveva invaso i suoi pensieri mesi addietro e non era più riuscita a toglierselo dalla mente. La prima volta che le era venuto in sogno, si era svegliata tutta tremante per l'intensità della visione. Aveva visto le sue mani, grandi e forti, coperte di sangue. E poi aveva visto la sua faccia stupita, dai lineamenti molto virili. Aveva tentato di entrare in contatto con le sue emozioni, ma senza successo. Chi era quell'uomo?, si era chiesta. Dov'era? E soprattutto perché sognava continuamente di lui?

    C'era un unico uomo nella sua vita, a parte O'Grady, un amico di zia Margaret che faceva lavoretti nelle serre e la teneva rifornita di legna durante i lunghi mesi invernali fra i monti della Georgia. Sam Dundee era stato il fratello minore del patrigno e, alla morte dei genitori avvenuta in un incidente automobilistico quando lei era ancora una bambina, era diventato il suo tutore legale. Si volevano un bene dell'anima, legati da quel tipo di affetto profondo e platonico che poteva esserci solo fra parenti.

    Perciò non c'era mai stato nessuno nel suo letto né nel suo cuore, fino a pochi mesi prima, quando la sua mente era stata invasa dalle visioni di un uomo tormentato che camminava su e giù dentro una gabbia. Avrebbe voluto consolarlo, ma le era impossibile. Non era riuscita a raggiungerlo, per quanto si fosse sforzata. La telepatia non era il suo forte, inferiore ai suoi poteri di chiaroveggenza e precognizione, ma c'era dell'altro. Quello sconosciuto schermava le proprie emozioni, escludendo chiunque dalla sua vita.

    Aveva saputo fin dall'infanzia di essere diversa. La madre e il patrigno l'avevano portata a Sequana Falls, fra i monti settentrionali della Georgia, dove era nata la prozia che essendo anche lei una sensitiva era l'unica in grado di capire il dolore sopportato da Elizabeth a causa dei suoi poteri.

    A parte un breve soggiorno al college, Elizabeth si era praticamente isolata dal mondo. Le sue capacità di predire il futuro, di prevedere avvenimenti e leggere nella mente delle persone le creavano problemi che nemmeno Sam Dundee, con tutta la sua forza virile e il suo affetto, poteva aiutarla a risolvere.

    Grazie a quella specie di clausura, aveva potuto condurre una vita quasi normale. Dopo gli orribili anni al college, aveva giurato che niente e nessuno l'avrebbe mai convinta a lasciare di nuovo il suo rifugio fra i monti.

    D'un tratto, sentì il naso umido e fresco di MacDatho che le strofinava la mano. Accarezzandolo, Elizabeth lo rassicurò che stava bene. «Tu lo sai?» chiese. «Stasera, verrà da noi.»

    MacDatho emise un suono, non era un latrato né un ringhio, solo un brontolio, un'affermazione a sostegno delle parole della sua padrona. Le appoggiò la testa contro la gamba perché lei potesse accarezzarlo.

    «Non so che tipo d'uomo sia» sospirò lei riconducendo il cane dentro casa. Chiuse la porta di legno massiccio.

    Nell'enorme camino del soggiorno, il fuoco era acceso. MacDatho la seguì verso il grande e solido divano e, quando lei si sedette, le si accucciò ai piedi.

    «È nei guai e ha bisogno di me, ma è tutto ciò che sento. Non riesco a leggergli nella mente, Mac. Strano, no? Posso leggere nella mente di chiunque, persino in quella di Sam a volte, ma non sono capace di superare la barriera che quest'uomo ha eretto.»

    Si rannicchiò sul divano. Per la prima volta nella sua vita, aveva paura di un altro essere umano senza sapere perché. Da qualche parte, c'era un uomo che non conosceva, che si trovava nei guai e che stava dirigendosi da lei. Era da mesi che le immagini della vita di quell'uomo la tormentavano. Ma per quanto lo temesse, non vedeva l'ora che entrasse nella sua vita.

    Chiuse gli occhi. Nel momento in cui vide con l'occhio della mente le labbra sottili dell'uomo che formavano un grido strozzato e lo sentì pregare, capì di rappresentare l'unica speranza per quel reietto solo e senza amore.

    Reece Landry gridò fra sé all'ingiustizia che lo aveva portato a quel punto della sua vita. Era da mesi che gridava, ma nessuno lo aveva sentito.

    Non aveva mai finto di essere un santo, non si era mai considerato una persona perbene e aveva commesso molti peccati e qualche reato. Ma era innocente dell'omicidio di cui veniva accusato e per il quale si trovava ora nella macchina dello sceriffo, su un'autostrada della Georgia nel bel mezzo di una terrificante tormenta di neve, diretto all'Arrendale Correctional Institute, dove avrebbe passato il resto della sua vita.

    Nessuno gli aveva creduto, a parte forse il suo avvocato. Ma non era sicuro nemmeno di Gary Elkins. Era stato assunto da Christina, la sua sorellastra, che pur dichiarandosi convinta della sua innocenza non riusciva a mascherare il dubbio nei suoi occhi. In fondo, era sempre una Stanton e lui aveva abbastanza buon senso da non fidarsi mai di uno Stanton.

    Gary gli aveva detto di non lasciarsi abbattere, che sarebbe ricorso in appello, che prima o poi avrebbero trovato il vero assassino. Reece non ne era molto sicuro. Nei cinque mesi seguiti alla morte di B.K. Stanton, la polizia non aveva cercato altri sospetti e quasi tutta la città di Newell riteneva Reece Landry colpevole.

    Sentendo un tintinnio, Reece guardò fuori e vide che era provocato dalla neve ghiacciata che batteva contro il finestrino. Sarebbero arrivati a destinazione fra un'ora. Poté quasi udire il cancello che si chiudeva alle sue spalle, sentire le pareti che si restringevano, rinchiudendolo in una gabbia dalla quale non avrebbe mai potuto scappare.

    Era cresciuto a Newell, in una baracca di Lilac Road, di fronte al bordello locale. Una vita dura. Un bastardo cresciuto nella povertà con un patrigno che era un vero figlio di puttana. Non c'era perciò da stupirsi se non era un santo.

    Aveva imparato fin da piccolo che doveva pensare solo a se stesso. L'unica persona che avesse mai amato, l'unica che lo avesse amato, era stata Blanche, sua madre. Bellissima e maltrattata dalla vita. Reece aveva dodici anni quando lei era morta lasciandolo con il suo sadico marito.

    Si era chiesto perché mai Blanche avesse sposato Harry Gunn. Una volta, lei gli aveva detto che erano fortunati ad avere Harry, che dava loro un tetto e da mangiare, e che non erano molti gli uomini disposti ad accollarsi gli avanzi di un altro uomo. Ed era quello che lui e sua madre erano, gli avanzi di B.K. Stanton.

    All'improvviso, l'auto slittò sul ghiaccio, uscì dalla carreggiata e finì contro il fianco della montagna. Nonostante la cintura di sicurezza, Reece cadde in avanti e colpì con la testa qualcosa di duro.

    Il dolore alla testa lo accecò momentaneamente e passandosi la mano sul viso sentì il caldo umido del proprio sangue. Avvertì un'altra fitta di dolore alla gamba rimasta intrappolata fra il sedile e il fianco schiacciato della macchina. Si slacciò la cintura, cercando di liberarsi.

    Che cosa diavolo era successo?

    La vista un po' meno annebbiata, sentì il gemito di un altro uomo e si chiese chi altri fosse rimasto ferito.

    Quando cercò di muoversi, ogni centimetro del suo corpo protestò con un dolore intenso che lo costrinse a restare immobile. Piano piano, la vista gli si schiarì del tutto e si guardò intorno nella macchina. Il divisorio di plexiglas era ancora intatto, ma il sedile anteriore si era conficcato per diversi centimetri nello schienale e il vetro del finestrino di fianco a lui era andato in frantumi. Un ramo enorme gli bloccava quella possibile via di fuga.

    Sforzandosi di sopportare il dolore, Reece girò la testa, sapendo che la sua unica speranza era quella di uscire dal finestrino di destra. Avrebbe avuto la forza di romperlo con un calcio? Non aveva idea delle condizioni di Jimmy Don e Harold, se fossero vivi o morti.

    Tentò di nuovo di muoversi, ma il dolore gli tolse il fiato. Fece un altro tentativo, sdraiandosi sul sedile posizionò il piede e colpì il finestrino un paio di volte. Niente. Poi, raccogliendo tutta la sua forza, riuscì finalmente a rompere il vetro.

    Si infilò nell'apertura e il torrente di neve bagnata gli si incollò ai capelli e al viso.

    Cadde a faccia in giù. Lottò per rialzarsi, ma la gamba si rifiutò di collaborare. Doveva andare a vedere come stavano Jimmy Don e Harold, ma con le caviglie incatenate gli fu difficile camminare sul terreno ghiacciato.

    Si trascinò fino alla macchina e sbirciando dentro vide che Harold Jamison si era accasciato sul volante, il viso sanguinante girato di lato, gli occhi che fissavano il vuoto. Arrivando alla maniglia, Reece si rimise in piedi.

    Jimmy Don gemette, ma non aprì gli occhi. Reece gli appoggiò la mano sulla spalla. «Vado a chiedere aiuto. Tieni duro.»

    Si guardò intorno, ma vide solo ghiaccio e neve. Possibile che la statale fosse solo a pochi metri di distanza? Forse si sarebbe potuta fermare una macchina o un camion. Ma nessuno sano di mente si sarebbe messo in viaggio con un tempo simile.

    Allora, si ricordò della radio che c'era sull'auto. Forse funzionava ancora, valeva la pena fare un tentativo. Si sporse sopra Jimmy Don, controllò la radio e sospirò di sollievo scoprendo che funzionava ancora. Chiese aiuto, dando le poche informazioni di cui disponeva. Quando gli furono chieste le sue generalità, lui interruppe la conversazione. Doveva andarsene prima che fosse troppo tardi. Aveva fatto il possibile per aiutare Jimmy Don. Anzi, più di quello che in simili circostanze avrebbe fatto il vicesceriffo per lui.

    Gemette, sia per quei pensieri cinici che per il dolore costante alla testa e nel corpo. Sapeva qual era la via d'uscita e trovò le chiavi che gli avrebbero tolto le manette da mani e piedi. Libero! Libero di scappare? Libero di venire inseguito e ucciso? No! In qualche modo, doveva tornare

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