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Un sogno proibito: Harmony Collezione
Un sogno proibito: Harmony Collezione
Un sogno proibito: Harmony Collezione
E-book176 pagine2 ore

Un sogno proibito: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Sarebbe mai finita quella tortura? Il rapporto fra lei e Gabriel è sempre stato difficile, per colpa di problemi incomprensibili legati alle rispettive famiglie. Oltre che di un delicato episodio del passato che riguarda entrambi. Quando si incontrano, poi, sembra che lui faccia apposta a ferirla. Questa volta le ha addirittura...
LinguaItaliano
Data di uscita9 gen 2017
ISBN9788858960202
Un sogno proibito: Harmony Collezione
Autore

Kate Walker

Autrice inglese originaria della regione di Nottingham, ha anche diretto una libreria per bambini.

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    Anteprima del libro

    Un sogno proibito - Kate Walker

    successivo.

    1

    «Eccolo, sta arrivando!»

    Rachel lasciò cadere la tenda che aveva tenuto sollevata e si allontanò immediatamente dalla finestra. Quel movimento affrettato era un chiaro segno del disagio che stava provando. Con gesto nervoso, scostò la ciocca di capelli castani dal viso. Gli occhi grigio argento, ora erano diventati color ardesia.

    «Puntuale, naturalmente!» Si ricordò che Gabriel era sempre puntuale.

    Una sola volta era arrivato in ritardo ma questo era stato calcolato così freddamente che ancora adesso le vennero i brividi. Qualsiasi altro difetto avesse, ed erano tanti quelli che affioravano alla sua mente, sulla puntualità non aveva proprio niente da ridire.

    «Vieni via dalla finestra, Rachel» le disse la madre a voce bassa quasi temesse d'essere udita dall'uomo che stava uscendo da una elegantissima Jaguar blu parcheggiata di fronte alla casa, «se dovesse vederti?»

    «Dalla macchina questa finestra non si vede» la rassicurò Rachel.

    Poteva non vederla dalla macchina, ma ora che aveva raggiunto la porta era un'altra cosa, pensò Rachel lottando per calmare i battiti del cuore. Ma la curiosità prevalse sulla prudenza, soprattutto non voleva assolutamente sembrare ansiosa di rivederlo. Del resto avrebbe potuto constatare ben presto quanto i quattro anni e mezzo che era stato via avessero inciso su di lui.

    Lo squillare del campanello attraverso tutte le stanze mise le due donne ancor più in ansia. Seguì un improvviso silenzio e subito dopo si udirono i passi della cameriera che andava ad aprire la porta.

    «Oh, Rachel, non so proprio come fare ad affrontarlo, davvero!» La voce di Lydia Tiernan sembrò una radio che avesse rotto il controllo del volume.

    «Ho sempre giurato che se quell'uomo avesse messo ancora piede in questa casa io me ne sarei andata via subito. Preferirei morire piuttosto che vivere ancora sotto lo stesso tetto!»

    «Immagino che sia esattamente quello che lui vorrebbe» replicò con rabbia Rachel.

    «Oh, no, sarebbe il colmo!»

    «Scommetto che questo risolverebbe tutti i suoi problemi. Basterebbe un solo accenno di andartene per porgergli la soluzione su un piatto d'argento.»

    «Stai forse dicendo che dovremmo andarcene lasciandogli la casa? Per legge gli spetta ben il nove per cento dell'eredità.»

    Guardando in viso sua madre, capì che forse era meglio non proseguire. Aveva le labbra tirate e guardava fissa nel vuoto quasi stesse per avere una crisi di nervi.

    «Non voglio che abbia niente, lasciargli il nove per cento di quello che di diritto è mio, mai!» disse con più determinazione di altre volte. «Lui è già abbastanza ricco, non voglio che abbia la benché minima cosa!»

    L'interruppe il bussare alla porta della cameriera.

    «Mi scusi signora, c'è una visita. È il signor Gabriel Tiernan.»

    Il nome fu pronunciato con una tale drammaticità da avere l'effetto di una fanfara che annuncia l'arrivo di un membro della famiglia reale, tanto che Rachel fu presa da un irrazionale desiderio di mostrarsi cortese verso la figura alta e snella che era apparsa sulla porta.

    Le bastò dargli un'occhiata per dissipare simili pensieri. Al contrario di quanto supponesse in quattro anni e mezzo Gabriel Tiernan non era affatto cambiato. Quando entrava in una stanza aveva ancora sugli altri lo stesso impatto di sempre. Il suo fisico atletico sembrava ancora più forte e imponente di una volta.

    Il colore dei suoi occhi era di un marrone talmente scuro da sembrare nero e altrettanto lo erano i capelli. I tratti del suo viso li aveva sempre paragonati a una incisione del Dürer: linee forti e diritte, nessun segno di debolezza ad eccezione delle labbra che erano sensuali e crudeli allo stesso tempo.

    Il passare degli anni non aveva cambiato niente in quel viso e la figura era come sempre estremamente mascolina e lei lo sapeva bene.

    Era bastato un solo sguardo perché Rachel provasse un bruciante odio pericolosamente mescolato a un dolore intenso, tanto da bloccarla lì dov'era. D'impulso avrebbe voluto lasciare la stanza ignorando la sua presenza. Le venne quasi da urlare, ma con un enorme sforzo riuscì a trattenersi.

    Si riprese e riuscì a incontrare il suo sguardo senza batter ciglio. Con gesto indifferente spinse indietro una ciocca di capelli e alzò il viso guardandolo con sfida. Nello stesso tempo dovette inghiottire le brucianti parole che avrebbe voluto rivolgergli.

    Si era riproposta di trattarlo con molta freddezza e distacco ma ora nel vederlo avrebbe voluto fulminarlo lì sulla porta, disintegrarlo all'istante, vederlo sciogliersi come neve al sole.

    Gabriel, però, non si accorse di nulla, stava cercando di togliersi l'impermeabile per darlo alla cameriera con un cenno di congedo. Poi si girò verso le due donne con un sorriso così smagliante da disarmarle.

    «Salve, ragazze!» disse con un accento strascicato evidentemente acquisito con gli anni trascorsi in America, «mi fa piacere rivedervi!»

    «Temo non si possa dire lo stesso per noi.»

    Le parole le erano uscite senza quasi rendersene conto, non poté neppure riflettere se fosse stato giusto esprimersi in tal modo.

    Si sentì frastornata e cercò di controllare la strana sensazione di stordimento che aveva provato nel vedere quella bocca sorridente, era un qualcosa che le era andato diritto al cuore.

    «Desidererei non mi si chiamasse ragazza» disse in tono aspro.

    «Perché? Forse è perché non sei più una ragazza?»

    Era una provocazione bella e buona che colpì a segno. Lo era ancora di più quel suo modo di scrutarla dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa. Quello sguardo fisso sul suo leggero vestito celeste le dette una sensazione come se le bruciasse la pelle dove si posava.

    Dovette far forza su se stessa per reprimere la voglia di riempirlo di ingiurie. Avrebbe voluto dirgli che non sarebbe mai stata felice di vivere nella stessa casa. E aggiungere che, se anche avevano vissuto per ben tre anni sotto lo stesso tetto, erano stati ben lontani dall'essere una famiglia. Per lui era stata solo una tentazione. Aveva abusato della sua ingenuità e distrutto la sua giovinezza cambiandole la vita per sempre.

    «Se vuoi dire che non sono più una bambina, che non ho più diciannove anni come allora... be', hai ragione. Certo, mentre tu eri via, sono cresciuta e anche molto. A proposito» continuò con tono sostenuto, «il mio nome è Rachel, gradirei essere chiamata così.»

    Un breve cenno della testa fu la sola risposta che ottenne da lui. Tutto a un tratto sembrò stanco, o forse si era ricordato la ragione per cui era venuto.

    Qualunque fossero i suoi pensieri, il bagliore di quegli occhi neri come l'ebano si era spento. Il suo sguardo ora si rivolse alla madre, che sedeva rigida sul divano di seta di colore blu.

    «Lydia.» Pronunciò quel nome facendo un leggero inchino, come se si fosse accorto solo allora della sua presenza. Non fece neppure un passo per avvicinarsi e neppure tese la mano, sapendo bene che l'altra non gli avrebbe ricambiato la stretta. Lydia Tiernan avrebbe semplicemente ignorato qualsiasi forma ipocrita di cortesia.

    «Posso porgerle le mie sincere condoglianze?»

    A queste parole il cuore di Rachel cessò di battere per qualche istante, tanto che dovette respirare profondamente per riprendersi.

    Gabriel Tiernan che faceva le condoglianze a sua madre? Se non fosse stata più che sveglia avrebbe potuto credere di sognare. Possibile che la perdita del padre l'avesse reso più sensibile?

    La conversazione si stava svolgendo in modo imprevedibile tanto da provocarle un improvviso crampo allo stomaco. Era possibile che il tempo rimarginasse le ferite e i ponti crollati potessero essere ricostruiti? Era possibile che i sogni della sua fanciullezza potessero realizzarsi e annullare per sempre le ostilità che avevano tenuto divisa la sua famiglia?

    Ma la speranza durò per il tempo che ci volle a sua madre per rispondere un brevissimo grazie. L'abisso che li separava era diventato ancora più profondo.

    L'atteggiamento rigido di Lydia poteva paragonarsi a quello di Gabriel. Non si era neppure degnata di guardarlo. I suoi occhi fissavano un punto qualsiasi del bel tappeto sotto i suoi piedi.

    Il brevissimo sogno di pace di Rachel se ne andò mentre le linee di difesa e di attacco erano rimaste. Ma qualcuno doveva pur muoversi, dopotutto. Il suo odio per quell'uomo non doveva contare. Sua madre aveva perso il suo secondo marito e lui aveva perso suo padre.

    «Hai tutta la nostra comprensione, Gabriel» disse Rachel, ma il tono della voce era ostile, discontinuo per la fatica che le era costato a parlare.

    L'espressione di Gabriel non si addolcì, lo sguardo che si posò su di lei era freddo. Anzi sembrò quasi che i lineamenti gli si fossero induriti, come se il suo viso fosse stato esposto al vento gelido dell'inverno.

    «Così, ora che abbiamo assolto i dovuti convenevoli possiamo parlare di cose più pratiche. Che disposizioni avete dato per il funerale di mio padre?»

    Il tono volutamente freddo le provocò un brivido lungo la schiena. Si ricordò di quanto avesse temuto quell'incontro. Perché mai aveva dovuto temerlo così tanto, quando in fondo significava rivederlo ancora una volta?

    Aveva detto mio padre, non c'era bisogno di altre paro le per capire la distinzione che faceva fra sé e loro due. Era chiaro che per lui erano soltanto delle estranee e non facevano certo parte della sua famiglia.

    Che cosa ne era stato dei suoi sogni di adolescente? Aveva appena dovuto constatare che non si sarebbero mai avverati. Forse era meglio così, forse non lo voleva affatto! Lei non era più la ragazzina sognante di una volta, era colpa di Gabriel se era cambiata.

    La sua famiglia era passata attraverso una guerra civile, lei aveva parteggiato con tutta l'anima per Gabriel mentre ora si era schierata nettamente contro di lui. Anche lui, non appena avesse saputo l'intera verità, l'avrebbe odiata!

    Questo pensiero la fece sentire come se avesse appena ricevuto una scarica elettrica. Si rese conto che doveva assolutamente lasciare la stanza altrimenti avrebbe perso il controllo dei nervi. Aveva immaginato che rivederlo sarebbe stato penoso ma non fino a quel punto, il suo non era sconforto, era rabbia. Si sentiva impotente verso quella maschera di pietra impossibile da scalfire.

    L'attenzione di Gabriel ora era rivolta alla madre, che finalmente si era girata a guardarlo ma era come se guardasse un serpente velenoso che da un momento all'altro avrebbe potuto morderla.

    «Qualcosa da mangiare?» chiese Rachel mentre si accingeva a lasciare la stanza.

    «Niente, grazie, soltanto un caffè» rispose lui dopo qualche secondo e il tono era come quello che usava per parlare agli impiegati della gioielleria che possedeva in America.

    Uscire da quella stanza era come uscire dalla soffocante atmosfera di una sauna per ritrovarsi nell'aria fresca dopo un giorno di pioggia.

    Soltanto dopo aver chiuso la porta della cucina, Rachel realizzò quanto le era stato difficile sopportare la presenza di Gabriel ed era per questo che invece di chiamare la cameriera aveva preferito occuparsene lei. Poté così calmare i battiti del suo cuore e rimettere insieme i pensieri che le turbinavano nella mente.

    Mentre faceva il caffè non poté fare a meno di chiedersi che cosa ne era stato nei quattro anni e mezzo che non si vedevano e dell'odio che aveva covato dentro, era come se fossero spariti nel nulla. Lei era ritornata l'ingenua fanciulla di una volta totalmente affascinata dall'emozionante vortice delle montagne russe dell'adolescenza, convinta di essere perdutamente innamorata per la prima volta di un uomo.

    Amore, quella parola risuonò nella sua mente come una campana a morto i cui rintocchi scandivano la fine dei suoi ideali e della sua innocenza. Gabriel aveva preso i suoi sogni e li aveva infranti per sempre.

    No! non voglio più pensarci, si disse. Si girò attorno in cerca di qualcosa che l'aiutasse a distogliere la mente da quei ricordi così dolorosi e che credeva ormai sepolti nel più profondo della sua memoria.

    Poi cominciò ad aprire gli armadietti in cerca di biscotti, ne prese un pacchetto a caso e ne dispose il contenuto su un piatto d'argento.

    Gabriel doveva avere un udito migliore di un gatto, perché non ebbe il tempo di arrivare alla porta che lui l'aveva aperta e si era offerto di aiutarla.

    «Niente per voi?» chiese notando che nel vassoio c'era una sola tazzina.

    «L'abbiamo già bevuto» rispose Rachel e poi, vedendo il suo repentino cambio d'espressione, «qualcosa non va?» chiese, ancor più sorpresa nel notare un leggero sorriso su quelle labbra che finora erano state fermamente chiuse.

    «I miei preferiti» disse tenendo tra le dita un biscotto. «Ti sei ricordata...»

    Rachel capì solo allora di aver messo nel piatto i suoi biscotti preferiti. Li faceva una piccola pasticceria non lontana da lì. Una volta bastava che lui accennasse che erano finiti perché lei corresse a comperarli.

    Sapeva bene come lui avrebbe interpretato quel gesto e si affrettò a dire che erano gli unici rimasti, poi deliberatamente si rivolse a sua madre.

    «Mamma, stai bene? C'è qualcosa che posso fare per te?» Notò che

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