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Cattive intenzioni (eLit): eLit
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E-book375 pagine5 ore

Cattive intenzioni (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Annie Kendall, alias Robin Spinney, tenta di condurre una vita tranquilla a Serenity, rilassata cittadina del Maine, insieme alla figlia adolescente. Crede di essersi lasciata alle spalle il dubbio incidente in cui ha perso la vita il marito, la morte poco convincente del suo migliore amico e quel diario che la rendeva un bersaglio facile e certo. Ma l'assassino è ancora sulle sue tracce. Quando la videoteca di cui Annie è proprietaria viene devastata, lo sceriffo Davy Hunter inizia a indagare. E più l'attrazione per Annie aumenta, più ciò che scopre nelle indagini diventa difficile da accettare. Ma c'è tempo solo per una cosa. Fermare l'assassino.
LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2016
ISBN9788858957585
Cattive intenzioni (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Cattive intenzioni (eLit) - Laurie Breton

    successivo.

    Prologo

    Metà gennaio

    Atchawalla, Mississippi

    Presto, presto, presto.

    La coda del venerdì pomeriggio oltrepassava lo sportello bancario per automobilisti con la velocità di un bradipo. Cadeva una pioggia che infradiciava ogni cosa; dietro le luci degli stop il selciato sembrava insanguinato. I tergicristalli schiaffeggiavano il parabrezza con un ritmo ipnotico che riecheggiava i battiti del suo cuore, tonfi sordi di tamburi primitivi nelle sue orecchie.

    Non mostrarti agitata. Non fare nulla di insolito. È solo un altro giorno.

    Dietro la lenta fila di automezzi, una pattuglia della polizia girò intorno al parcheggio. Lei trattenne il fiato mentre l'auto rallentava e l'agente a bordo allungava il collo per guardare più da vicino la processione di macchine. Pioveva troppo perché si potesse vedere chi era. Wade Pickett, forse. O Tommy Lee Gatcomb. Uomini che conosceva da sempre. Uomini che avevano frequentato le elementari con lei.

    Era un pattugliamento di routine, o la stavano seguendo? Impossibile sapere chi fosse o meno coinvolto, quanti degli uomini di Luke Brogan fossero stati avvelenati dalla sua particolare marca di malvagità.

    Robin esalò un lungo sospiro quando l'auto di pattuglia imboccò la superstrada. Non era possibile che stesse accadendo davvero. Era come la sceneggiatura di un brutto film televisivo, o uno di quei romanzi di suspense che sua madre amava tanto. Nel mondo reale, la vita delle persone non precipitava nel caos nell'arco di una notte. Nel mondo reale, le donne normali come Robin Spinney, consulente scolastica alle superiori e madre di una piccola calciatrice, non correvano il pericolo di finire uccise.

    La notizia si era sparsa come un incendio per tutta la scuola dopo che Katey Northrup era stata improvvisamente allontanata dalla lezione di francese, subito prima di pranzo. Suo padre, il vice sceriffo Boyd Northrup, era morto. Un colpo in bocca. E quella parola atroce era stata sussurrata in tutti i corridoi dell'istituto: suicidio... suicidio... suicidio.

    Stringendo con forza il volante, Robin si sforzò di concentrarsi sulla realtà della morte di Boyd, e tuttavia com'era possibile che fosse morto, quando lei lo aveva visto, gli aveva parlato, meno di ventiquattro ore prima? Boyd Northrup aveva due figli e una moglie incinta. Come spiegare a Peggy Northrup ciò che era realmente accaduto al marito? È colpa mia se il bambino che deve nascere non conoscerà mai suo padre. Come far capire a un ragazzino di dieci anni che suo padre non si era infilato in bocca una pistola e poi aveva premuto il grilletto? È stato qualcun altro. La stessa persona che ha ucciso tuo zio Mac.

    Tutto a causa di una busta di carta di Manila. Tutto perché il marito di Robin non era stato capace di voltare le spalle e chiudere gli occhi. Quell'ossessione era costata la vita a Mac Spinney, e ora anche Boyd Northrup aveva pagato il prezzo supremo. Era morto perché Robin era incidentalmente incappata in qualcosa, e non aveva saputo tenere la bocca chiusa. Boyd, con il cuore più grande del cervello, doveva avere affrontato Brogan dopo che lei gli aveva rivelato quanto aveva scoperto. E Brogan lo aveva liquidato. O, più probabilmente, aveva incaricato qualcuno di sbrigare il lavoro sporco per lui. Qualcuno che era riuscito a far passare la morte di Boyd come un suicidio. Era più nello stile dello sceriffo. Ma Robin non si era fatta ingannare. Boyd non si era suicidato. Non che a quel punto importasse molto. Lui era morto e in ultimo lei era responsabile di quella tragedia come se avesse premuto fisicamente il grilletto.

    Nel giro di una notte era diventata scomoda, e alla fine Brogan avrebbe dovuto eliminarla. Aveva già ucciso due volte. Tre, se si risaliva all'inizio e a Timmy Rivers, lasciato a morire su una superstrada deserta del Mississippi. No, non avrebbe esitato a uccidere ancora. Quel pomeriggio, mentre lei parlava con adolescenti apatici e delinquenziali, qualcuno aveva perquisito casa sua. Non avevano trovato quello che cercavano. Robin non era una sciocca. Finché era la sola a sapere dov'era nascosta la busta, con ogni probabilità Brogan e i suoi scagnozzi l'avrebbero lasciata in vita.

    Ma potevano tormentarla. Metterla sotto pressione. Costringerla minacciando quanto aveva di più caro... sua figlia. Se solo avessero toccato con un dito Sophie, lei li avrebbe uccisi a mani nude. Non era un rischio che potesse correre. Poco importava quanto desiderasse vedere Brogan annientato, l'incolumità di sua figlia veniva prima. C'era solo un modo per garantire quell'incolumità: lei e Sophie dovevano sparire. Subito, completamente e, con ogni probabilità, per sempre.

    Il giorno di Brogan sarebbe arrivato. Per tutto quel tempo... due maledettissimi anni... Robin aveva creduto che la morte di Mac fosse stata un incidente. La sua auto di pattuglia era uscita di strada per precipitare in un burrone, dove si era capovolta più volte prima di prendere fuoco. Le indagini erano state accurate, o così Robin era stata indotta a credere, e l'incidente era stato attribuito a una disattenzione del conducente. Insolito per Mac, sempre così meticoloso, aveva fatto notare Robin a Brogan. Ma quel tratto di superstrada, le aveva ricordato lui, brulicava di animali selvatici. Forse un cervo era comparso davanti all'auto e, per evitarlo, Mac aveva sterzato... non ci era voluto altro.

    Lei gli aveva creduto. Perché non avrebbe dovuto? Non c'era motivo di pensare che qualcuno volesse fare del male a Mac. Forse Luke Brogan non era l'uomo più affidabile del mondo, ma era un poliziotto, e lei sapeva che i poliziotti dicevano la verità. Dopotutto, loro erano i buoni, giusto?

    L'auto metallizzata che la precedeva avanzò di qualche centimetro. Dopo sarebbe stato il suo turno. Robin inspirò profondamente. Era solo una transazione di routine. Nulla di insolito, una richiesta del tutto legittima. Se la cassiera le avesse fatto domande, le avrebbe rifilato la storia di un'anziana zia nell'Arkansas che si era fratturata un femore. Era quello che aveva detto a Mary Sampson, preside della scuola, quando le aveva chiesto un permesso. L'aveva sorpresa la facilità con cui aveva mentito. Aveva provato solo un vago senso di colpa mentre dipanava la storia della zia Emily, una zitella ottantenne che non aveva nessuno tranne Robin ad assisterla durante la convalescenza. Se Mary l'aveva accettata così facilmente, di certo nessun altro l'avrebbe messa in dubbio.

    Toccava a lei. Robin abbassò il finestrino. Kelly Hardison, cresciuta nella stessa strada dove sorgeva la sua casa stile ranch a piani sfalsati, le sorrise da dietro il vetro antiproiettile. «Salve, signora Spinney» la salutò la graziosa brunetta. «Che razza di tempo, eh?»

    «Se la pioggia dovesse intensificarsi ancora, credo che comincerò a costruire un'arca» rispose Robin, infilando il carnet di assegni nel cassetto metallico.

    Kelly lo prese. «Vuole incassare l'assegno dello stipendio come sempre?»

    «Sì.» In tono deliberatamente casuale, Robin aggiunse: «Inoltre, vorrei prelevare cinquemila dollari dal fondo di risparmio».

    «Oh, santo cielo, signora Spinney.» Kelly sembrava dispiaciuta. «Mi dispiace, ma a questo sportello non accettiamo prelievi superiori ai cinquecento dollari. Politica della banca. Se ne vuole cinquemila, deve entrare.»

    L'orologio alle sue spalle segnava le quattro e cinquantasette. «Sono quasi le cinque» osservò Robin. «E devo andare a prendere Sophie, sono già in ritardo. Staremo via per un po'... un'emergenza familiare... la prozia Emily si è fratturata un femore e dovrò occuparmi di lei fino a che non si sarà ristabilita. E per di più, ho perso la carta di credito.» Alzò gli occhi al cielo, come incapace di credere alla propria stupidità. «Sono sicura che è da qualche parte nella borsa, ma non oso andare fino nell'Arkansas senza contanti. Dio solo sa quanto ci fermeremo, e non so se avrò accesso al conto di zia Emily. Forse mi toccherà sostenere le spese di casa finché lei non si sarà rimessa in piedi.» Rivolse all'impiegata un sorriso accattivante. «Immagino che non possa fare un'eccezione.»

    «Non dovrei.» Kelly lanciò un'occhiata alle auto in attesa. «Ma penso di poter fare uno strappo, per questa volta. Voglio dire, non è come se non la conoscessi.» La sua voce si fece più severa. «Ma solo per questa volta. Perché la conosco da sempre.»

    «Grazie, Kel. Mi ha salvato la vita.»

    La ragazza sorrise. «Aspetti qui» disse. «Torno fra un momento.»

    Robin attese per un'eternità mentre la pioggia fustigava il selciato e mille scenari da incubo si affollavano nella sua mente: per versare una cifra così elevata, Kelly avrebbe dovuto ottenere l'autorizzazione di Hoyt Whitman, direttore della banca. Forse proprio in quel momento, Hoyt era al telefono con l'ufficio dello sceriffo, e chiedeva che mandassero qualcuno a domandare a Robin Spinney perché avesse bisogno di una somma così considerevole; i computer erano bloccati e la banca non era in grado di verificare il saldo del suo conto.

    «Signora Spinney?»

    La voce metallica scaturita dall'altoparlante le strappò un sussulto. Oh, Dio, non le avrebbero dato i soldi. «Cosa?» squittì.

    «Ha dimenticato di firmare l'assegno.»

    «Oh.» Sentendosi inondare dal sollievo, prese la penna che l'impiegata le tendeva e scarabocchiò il proprio nome sul retro.

    Kelly contò rapidamente lo stipendio quindicinale di Robin, mise le banconote in una busta insieme con il contante prelevato e la infilò nel cassetto. «Ecco fatto, e buon viaggio. Se entro lunedì non avrà trovato la carta di credito, ci telefoni per bloccarla.»

    «Lo farò. Grazie, Kel.» Pochi istanti dopo, Robin si allontanava dallo sportello bancario. Un rivolo di sudore le correva lungo la schiena. Ce l'aveva fatta. Se fosse stata attenta, se non avesse speso troppo, quei soldi le avrebbero tenute a galla finché non avesse deciso il da farsi. Il denaro dell'assicurazione sulla vita di Mac era stato sufficiente a saldare il mutuo e la macchina, lasciandola con un bel gruzzolo. Doveva credere che fosse il modo in cui lui continuava a occuparsi di loro.

    Oh, Mac. Sono così spaventata.

    Ma non aveva il tempo di indulgere alla paura. Erano le cinque, ora di punta perfino ad Atchawalla, Mississippi. Mentre attraversava la città, Robin tenne d'occhio lo specchietto retrovisore, nell'eventualità che Brogan o uno dei suoi la stesse seguendo. Non vide nessuno. Probabilmente aspettavano di coglierla di sorpresa, ma era una tattica che si sarebbe ritorta contro di loro. Quando fossero andati a prenderla, lei sarebbe già stata lontana.

    Sophie aspettava sulla porta della scuola media insieme ad alcune amiche. Nel vederla, si affrettò verso l'auto, evitando le pozzanghere. Salì e gettò a terra lo zaino. «È vero?» chiese. «Quello che dicono dello zio Boyd? A scuola non si parla d'altro. Dicono che si è ucciso.»

    Nei suoi occhi azzurri, così simili a quelli del padre, Robin colse una vulnerabilità che le strinse il cuore. Boyd Northrup, amico e collega di Mac, era stato sempre un punto di riferimento per Sophie. Perderlo era come perdere il padre una seconda volta.

    «Allora?» incalzò la ragazzina, quando lei non rispose.

    Robin ingranò la marcia. Non era pronta a dire alla figlia la verità. Non ancora. «Non credo che si sia ucciso, tesoro» disse. «Probabilmente è stato solo un terribile incidente.»

    Gli occhi di Sophie brillavano di lacrime trattenute. «È quello che continuo a dire io. Solo ieri sera era da noi, mamma. Stava bene.»

    «Lo so, tesoro.»

    «Proprio non riesco a crederci. Che cosa faranno Katey e Matt? E la zia Peggy? Presto nascerà il bambino. È talmente orribile.»

    E sarebbe peggiorato ancora. Povera Sophie. Era così ingiusto strapparla alla scuola, agli amici, alla sua casa. Aveva passato l'inferno quando Mac era morto. Se solo ci fosse stato un altro modo... ma non c'era. Se fossero rimaste ad Atchawalla, Brogan avrebbe sicuramente trovato la maniera di ucciderle entrambe.

    In centro, il traffico era un incubo. Erano a metà di Main Street quando Robin scorse davanti a sé le luci azzurre.

    Una scarica di adrenalina l'attraversò. Di colpo aveva la gola secca, e le mani stringevano il volante con tanta forza che le nocche erano sbiancate. Brogan la stava cercando. Non le avrebbe permesso di lasciare viva la città. A dispetto dei suoi preparativi, lei e Sophie avrebbero perso tutto.

    Piantala!, si rimproverò. Ti stai comportando da paranoica. Se fallisci adesso, Sophie morirà. Morirete entrambe.

    Tirò un sospiro profondo. Dopo la scomparsa di Mac non era più andata in chiesa, ma in quel momento aveva bisogno di tutto l'aiuto che avrebbe potuto ottenere. Ti prego, Signore. Abbi cura di noi. Se non per me, fallo per Sophie. Lei non ha nulla a che vedere con tutto questo.

    All'incrocio fra Main Street e Gaskell, un agente avvolto in un impermeabile giallo aveva bloccato la strada con la sua auto e stava facendo deviare il traffico. Con il cuore in gola, Robin gli si accostò e abbassò il finestrino. «Che succede?» chiese in un tono che si augurò convogliasse solo una vaga curiosità.

    Il poliziotto era giovane, con i capelli biondi tagliati cortissimi e gli occhi azzurri... uno sconosciuto. «Più avanti la strada è chiusa, signora» rispose. «C'è stato un incidente in West Main Street.»

    Era la strada che lei contava di prendere per lasciare la città. «Qualcuno è rimasto ferito?» si costrinse a chiedere.

    «No, ma è un gran casino. Un camion carico di pollame si è scontrato con un pick-up. Ci sono galline che corrono dappertutto. Quelle che non sono morte, cioè.» Nei suoi occhi comparve una luce divertita. «Tutto il dipartimento dello sceriffo le sta inseguendo sotto la pioggia. Io ho preferito occuparmi del traffico.»

    Robin innalzò una preghiera silenziosa di ringraziamento. Con buona parte degli uomini di Brogan impegnati a inseguire polli nella parte ovest della città, lei e Sophie avrebbero avuto maggiori probabilità di dirigersi a est senza farsi sorprendere. Salutò l'agente, poi tornò a imboccare Gaskell.

    «Dove andiamo?» volle sapere Sophie.

    «A fare un giro. Hai fame? Mi sono fermata da Piggly Wiggly a prendere un paio di sandwich. Tonno e pane integrale. Oh, da qualche parte c'è anche una confezione grande di cetrioli con semi di aneto.»

    Momentaneamente distratta dal suo dolore, la ragazzina si girò a rovistare nel sacchetto. «Mi hai preso anche un frappè al cioccolato?»

    Grazie a Dio per le quattordicenni. A quell'età, il cibo era sempre una distrazione. Meno domande avesse fatto Sophie, meglio sarebbe stato. Almeno finché non avessero raggiunto un posto sicuro. «Sì» rispose. «In fondo al sacchetto.»

    Più avanti, un cartello blu e rosso indicava la rampa di accesso alla I-20. Al di sopra, scritti in bianco su fondo verde, nomi di località lontane le facevano cenno. Atlanta. Columbia. Lontane, sì, ma lo erano a sufficienza? Robin azionò la freccia e rallentò. Sulla strada che correva dal Texas fino alla South Carolina, il traffico del venerdì sera era intenso. Allo stop, un furgone di Wal-Mart sfrecciò loro accanto. Dietro, la strada era sgombra. Con rinnovata determinazione, Robin accelerò e si inserì nel traffico che portava altrove.

    1

    Sei mesi dopo.

    Serenity, Maine

    Era solo una punizione temporanea, rammentò Davy Hunter a se stesso, mentre per l'ennesima volta incontrava gli occhi azzurri che lo fissavano dallo specchietto retrovisore. In fondo si trattava solo di due mesi. Otto settimane. Sessanta giorni. Con un po' di fortuna, ce l'avrebbe fatta senza problemi. Quella era Serenity, Maine, dopotutto. La sfida maggiore sarebbe stata evitare la noia.

    Bevve un sorso di caffè nero. Avrebbe dovuto abituarsi a quelle levatacce e probabilmente ridurre le sue attività di tarda sera. Un uomo vicino alla quarantina non poteva permettersi di sperperare energie, non quando era gravato dal tipo di responsabilità che Ty Savage gli aveva appena affidato. Studiò la propria immagine riflessa nello specchietto, ancora sorpreso nel vedere quello sconosciuto ricambiare il suo sguardo. Quasi non si riconosceva. Gli occhi erano limpidi, i capelli tagliati con cura, la barba sparita. Un bel cambiamento per uno che aveva passato gli ultimi quattordici mesi attaccato alla bottiglia. E se non fosse stato per Ty Savage, con ogni probabilità non se ne sarebbe mai staccato.

    Aveva cercato di rifiutare la proposta, affermando che i suoi giorni presso la polizia erano finiti, che c'erano persone più adatte di lui, e che preferiva lavorare con il legno che con la gente. Il legno era a posto. Non mentiva mai, non pugnalava alle spalle, non fingeva di essere quello che non era. Il legno non ti tradiva. Potevi intagliarlo perché rispondesse alle tue necessità, senza che si lamentasse. E se si rompeva, non era poi così grave. Si poteva buttarlo via e ricominciare con un altro pezzo.

    Non che fosse servito a qualcosa. Ty Savage aveva fatto piazza pulita delle sue obiezioni. Se eri abbastanza in gamba per i federali, sei abbastanza in gamba per Serenity. Davy si aspettava che i membri del comitato esecutivo sarebbero caduti per terra dal ridere quando Ty lo avesse presentato come il più idoneo a sostituirlo temporaneamente. Invece, lo avevano approvato all'unanimità. Ecco perché ora se ne stava seduto nel parcheggio della stazione di polizia, con indosso un'impeccabile uniforme azzurra che prudeva maledettamente, e spaventato a morte perché non sapeva un bel nulla di come si gestiva un dipartimento.

    Capo della polizia ad interim. Una qualifica che suonava bene, e di cui lo avrebbero spogliato in tutta fretta non appena avessero scoperto le insondabili profondità della sua ignoranza.

    Inutile rimandare ancora. Sentendosi come un uomo davanti al plotone di esecuzione, Davy finì il caffè e scese. Due mesi, rammentò nuovamente a se stesso, mentre saliva i gradini. Due mesi, e poi sarebbe tornato a essere invisibile.

    Sentì la musica nell'istante in cui aprì la porta. Jimmy Buffett e Alan Jackson ci davano dentro dal vivo, a ricordare che da qualche parte nel mondo erano le cinque del pomeriggio. A una scrivania d'angolo, l'agente Peter Morin parlava al telefono, una mano carnosa stretta intorno alla cornetta, mentre con l'altra scribacchiava furiosamente su un taccuino. Al centralino, Dixie Lessard si limava le unghie canticchiando con Jimmy e Alan. Alzò la testa e sbarrò gli occhi nel vederlo in piedi sulla soglia. «Wow» commentò. «Hai un aspetto magnifico, Hunter.»

    Dixie era un'amica, forse l'unica che avesse fra le forze dell'ordine. In città c'era gente che dava a lui la colpa di quanto era accaduto a Chelsea, ma lei non era fra quelle. «Per te, capo ad interim Hunter» borbottò lui con scherzosa insolenza.

    Dixie sogghignò. «Spero non significhi che dovrò baciarti il culo tutte le mattine, capo ad interim Hunter.»

    Lui ci pensò su. «Lo baciavi a Ty Savage tutte le mattine?»

    Dixie si finse rammaricata. «Solo quando me lo chiedeva.»

    «Uh-huh, Dixie. Ora lui è un uomo sposato.»

    «Il che non significa che non possa godermi il panorama. Pronto per il tuo primo giorno di gloria tra le braccia della legge?»

    Davy Hunter riuscì a fatica a reprimere uno sbadiglio. «Sono qui, no?»

    «Traboccante di entusiasmo, vedo.»

    «Di che stai parlando? Questo è entusiasmo. Non è colpa mia se non lo cogli.»

    Il sorriso della donna era sardonico. «Fai come vuoi. Mettiti a tuo agio. La macchinetta del caffè è nell'angolo. Se lo finisci, tocca a te prepararne dell'altro. Se ti serve aiuto, dillo a me. Sono il jolly del dipartimento, quindi non farti problemi a chiedere. Immagino che nell'incontro di venerdì Ty ti abbia già parlato di tutte le questioni importanti, quindi...» Fece una pausa. «C'è altro che vuoi sapere?»

    «Sì.» Davy andò alla caffettiera. «Mi piacerebbe sapere perché ho acconsentito a questa pazzia.»

    «Questo, amico mio, è un segreto che solo tu conosci.» Quando il telefono squillò, la donna premette un pulsante. «Dipartimento di polizia di Serenity» disse con una voce che grondava dolcezza. «Come posso aiutarla?»

    Pete era ancora occupato, così Davy si spostò nell'ufficio di Ty... il suo, per qualche tempo... e si sedette alla scrivania. Era stato lì parecchie volte, ma senza mai fare caso alla stanza. Era semplicemente l'ufficio di un poliziotto, con le pareti di un colore standard e attrezzature di terza mano. Da Alberta allo Zimbabwe, le stazioni di polizia si assomigliavano tutte.

    Ma ora era suo, e ne approfittò per esaminarlo con attenzione. Corpuscoli di polvere danzavano nel raggio di sole che entrava dall'unica finestra, alta e stretta. Gli scaffali traboccavano di libri; alla parete, il diploma di laurea di Ty condivideva lo spazio con una bacheca a cui era fissato un assortimento di promemoria. Tutto era ordinato fino all'eccesso. Perfino i muri, per quanto brutti, sembravano tinteggiati di fresco.

    Notò sulla scrivania una foto di Faith e la prese per studiarla. Con la sua cascata di ricci scuri e i vivaci occhi azzurri, la moglie di Ty dimostrava molto meno dei suoi trentasette anni. Rideva guardando l'obiettivo, quasi fosse a conoscenza di un meraviglioso segreto che non intendeva condividere. Un cambiamento drastico dalla Faith cupa, vedova da poco, che era arrivata l'anno prima dopo la morte della cugina. L'amore le si confaceva, o forse era la gravidanza a infonderle quel delicato rossore delle guance.

    In ogni caso, non erano affari suoi, pensò rimettendo a posto la fotografia. Aprì il cassetto per inventariarne il contenuto. Ty era maniacalmente pulito; non c'era un solo oggetto fuori posto: penne e matite, graffette e puntine, tutte ordinate con ossessiva meticolosità.

    Richiuse il cassetto. Cosa diavolo pensava di fare, andando lì con l'idea di prendere il posto di Ty? Anche se conosceva bene tutti i delinquenti della città, i suoi anni con i federali non lo qualificavano per quell'incarico. Forse sapeva dov'erano sepolti tutti i cadaveri, in senso letterale e figurato, ma ciò che sapeva dell'attività della polizia di una piccola città era risibile.

    Probabilmente avrebbe dovuto indire una riunione, improvvisare un discorsetto per spiegare che, durante l'assenza di Ty, avrebbero dovuto lavorare come una squadra, ma le futilità non erano mai state il suo forte, e non amava più di tanto il lavoro d'équipe. Probabilmente, per i primi giorni, sarebbe stato più saggio andarci piano e osservare con attenzione.

    Davy non era un gregario. Certo, sapeva che cosa muoveva gli individui. Comprendeva gli impulsi più abietti... sete di vendetta, avidità, desiderio di potere. Li conosceva intimamente, e sapeva come sfruttarli a proprio vantaggio. La manipolazione era una delle armi principali dell'arsenale di un agente federale. Ma la gente che aveva frequentato giornalmente durante gli anni passati sotto copertura non era esattamente del tipo con cui comportarsi in modo carino. Diavolo, non sapeva neppure se era capace di comportarsi in modo carino. Quanto tempo avrebbero impiegato i cittadini di Serenity a scoprirlo? Quanto, prima che cominciassero a lagnarsi di lui con i padri della città?

    Ai tempi in cui andava a lavorare in giacca e cravatta, i suoi colleghi lo avevano sbeffeggiato senza sosta per il suo riserbo. Lui non se la prendeva, era solo un gioco, ma, nel periodo trascorso sotto copertura, aveva fatto della sua taciturnità una parte integrante del personaggio che si era costruito. Davy Hunter, silenzioso quanto pericoloso, un uomo che se la faceva con criminali che non avrebbero esitato a tagliare la gola a chiunque si fosse messo sulla loro strada.

    In qualche modo, era riuscito a mantenere la parte. Oh, certo, era un duro. Non si diventava agenti federali senza un nucleo di durezza nell'animo. Ma il suo personaggio era stato poco più di un esercizio di recitazione, e ora che si era lasciato alle spalle la DEA, si accorgeva che adattarsi era difficile. Come effettuare la transizione da uomo di Neanderthal a uomo normalmente inserito nella società?

    L'interfono ronzò. Lui lo fissò un istante, perplesso, prima di rispondere. «Sì, Dixie?»

    «Una chiamata per te. Potrei passarla a Peter, ma forse vuoi metterti subito al lavoro.»

    «Di che si tratta?»

    «Un ladro al Grondin's Superette. Sta facendo passare un brutto momento a quella gente.»

    Un furto in un negozio. Che diavolo. Difficilmente sarebbe capitato qualcosa di più eccitante. «Peter è ancora impegnato?» chiese.

    «Negativo.»

    «Chiedigli se vuole venire con me.»

    Gilles Letourneau era realmente furioso.

    Il piccolo, asciutto imprenditore lo caricò come un toro infuriato nell'attimo stesso in cui Davy varcò la porta dell'ufficio dove Letourneau era trattenuto. «Finalmente!» esclamò. «Qualcuno disposto ad ascoltare la mia versione!»

    Davy lanciò un'occhiata a Buzzy Lathrop, il commesso diciannovenne, e lo vide alzare gli occhi al cielo, diviso tra l'impotenza e l'esasperazione.

    «Ti ho visto» strillò Letourneau. «Razza di teppistello!»

    «Signor Letourneau» disse il ragazzo. «Non c'è ragione di insultarmi. Io faccio solo il mio lavoro.»

    «Oh, davvero? Così ora il tuo lavoro consiste nell'intimidire i clienti? Mi piacerebbe vedere che cosa c'è scritto nel tuo curriculum. Anzi, chiamerò mio cugino Richard. È avvocato, e quando avrà finito con te, sarai rimasto in mutande!»

    Per come la vedeva Davy, era Letourneau a intimidire Buzzy. Il ragazzo, un semplice commesso di emporio, tremava visibilmente.

    «Signori» esordì Davy, «sono certo che ne possiamo discutere in modo civile.»

    «Sì, certo» sbuffò Letourneau. «Cosa diavolo ci fa lei qui? Dov'è Savage? Lui risolverà la faccenda.»

    «È in permesso, dovrà accontentarsi di me. Vorrei sentire da voi che cosa è successo. Uno alla volta.»

    Buzzy deglutì, poi cominciò. «Questa mattina, il signor Letourneau è stato visto prelevare una copia del River City Gazette dalla rastrelliera vicino alla porta, e uscire senza pagare. È stato fermato...» si interruppe per schiarirsi la gola. «È stato fermato all'ingresso dall'addetto alla sicurezza e da uno degli imbustatori.»

    «Quei bastardi mi hanno svergognato davanti a tutti quelli che conosco. Proprio qui fuori!» sbraitò Letourneau.

    «Dovrà aspettare il suo turno» disse Davy.

    «Ma è ridicolo! È solo uno stupido giornale, Cristo santo!»

    «Gilles.» Davy lo fissò con freddezza. «Chiuda il becco.»

    L'ometto serrò di colpo la bocca. «Da chi è stato visto?» chiese Davy al ragazzo.

    «Da Natalie Fortin. Una delle cassiere.»

    «E qual è il prezzo del giornale?»

    Tutti conoscevano la risposta. Lathrop arrossì. «Cinquanta cent. So che non è molto, ma...» Lanciò un'occhiata a Letourneau. «Non è la prima volta. Lo fa tutte le mattine.»

    Davy si girò a guardare l'ometto, che ricambiò con uno sguardo di sfida. «È vero, Gilles?»

    «Sapete una cosa?» fece l'altro. «Io e la mia famiglia veniamo a fare spese in questo negozio da vent'anni. Vent'anni! I miei quattro fratelli e mia sorella. Mio cugino Richard e sua moglie. Io e Yvette. Fra tutti, abbiamo diciassette figli. Non so se mi spiego... Significano un bel po' di latte, un bel po' di pannolini. Un bel po' di maccheroni al formaggio. Fate voi il conto. Potremmo andare a Food City, giusto? I prezzi sono più bassi. Ma preferiamo comperare qui. Mio padre è andato a scuola con Emile Grondin, e ci siamo sempre presi cura gli uni degli altri. Ci serve da mangiare, veniamo da Grondin's. Emile ha bisogno di tinteggiare una stanza, chiama me. Tutti sono contenti, e i soldi rimangono in questa città, dove la mia famiglia vive da tre generazioni. Ogni anno spendo qui dentro migliaia di dollari, e questo è il modo in cui vengo ripagato!» Pieno di virtuosa indignazione, aveva il viso così paonazzo da far temere un attacco apoplettico. «Vengo trattato come un comune criminale davanti a mezza città!»

    Il patriottico discorsetto sarebbe stato commovente, se lui non avesse evitato di rispondere alla domanda. Davy soffocò l'impulso di sospirare. Dietro di lui, l'agente Morin era una presenza silenziosa. Probabilmente se la stava spassando. Pete non aveva nascosto di non essere entusiasta della prospettiva di ubbidire per due mesi a Davy Hunter.

    «Signor Lathrop?» fece ora questi.

    «Sì?»

    «Ha detto che il signor Letourneau lo fa tutti i giorni?»

    «Be', sì. Lo teniamo d'occhio da mesi.»

    «Lo tenete d'occhio?»

    «Sì. Le ragazze che lavorano vicino alla porta. Ogni mattina, lo vedono entrare, prendere un caffè dalla macchinetta distributrice. Nero, con due bustine di zucchero. Lo paga alla cassa e mentre esce prende una copia del Gazette.»

    «Ci sono testimoni disposti a giurarlo in aula?»

    «Sissignore. Cioè, lo vedono succedere un giorno dopo l'altro. Ne hanno parlato con me, ma se siano disposte ad andare in tribunale... Insomma... è solo un quotidiano.»

    Davy si volse verso l'ometto. «Ha niente da dire, Gilles?»

    «Come dice il mio persecutore» scattò questi, «è solo un quotidiano. Dove diavolo è il problema? Con tutto il denaro che lascio in questo negozio, dovrei avere il diritto di prendere un giornale, di tanto in tanto.»

    «Dunque conferma quanto ha detto il signor Lathrop?»

    «Santa madre di Dio, che differenza fa? I giornali sono proprio accanto alla porta. Se non vogliono che li prenda, li sistemino altrove.»

    Davy chiuse gli occhi un istante prima di dire: «Se stamattina, uscendo da qui dopo il caffè e il giornale, vedesse Buzzy allontanarsi a bordo del suo pick-up, che cosa

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