Ritorno a Creta: Harmony Collezione
Di Annie West
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Info su questo ebook
Calda come il sole di Corfù, antica come le rovine di Creta, dolce come il nettare degli antichi Dei. La passione, nel sangue di ogni uomo greco, scorre veloce fin dalla notte dei tempi... Sophie Patterson rimane di sasso quando Costas Palamidis appare sulla soglia di casa sua. La figlioletta dell'affascinante uomo d'affari greco è in grave pericolo, e Sophie è l'unica persona in grado di aiutarla. Accettare significherebbe rientrare nella vita di quella famiglia che le ha voltato le spalle tanto tempo prima, anche se al fianco di un uomo come Costas quel sacrificio potrebbe rivelarsi meno duro di quanto le sembri.
Annie West
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Ritorno a Creta - Annie West
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Greek’s Convenient Mistress
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2006 Annie West
Traduzione di Giuseppe Biemmi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-586-5
www.harlequinmondadori.it
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1
Costas spense il motore dell’auto e studiò la casa. Aveva attraversato mezzo mondo per trovarla. Si trattava di un bungalow in mattoni rossi nei sobborghi di Sydney. Semplice e solido, ma con un’aria di recente abbandono. Infatti, della posta trascurata fuoriusciva dall’apposita cassetta e l’erba del piccolo giardino era piuttosto alta.
Corrugando la fronte, Costas aprì la portiera e scese a terra, stiracchiandosi per sgranchire i muscoli indolenziti del suo corpo longilineo.
A dispetto delle lettere non ritirate, sapeva che lei era in casa. O, quantomeno, lo era stata trenta ore prima, quando lui era ancora ad Atene. Si rifiutava anche solo di prendere in considerazione la possibilità che non fosse più lì. La posta in palio era troppo alta per prevedere un eventuale fallimento.
Aprendo le dita che aveva chiuso a pugno, ruotò le spalle, cercando di allentare la pressione. Aveva volato come al solito in prima classe lusso, ma non era riuscito a dormire. La tensione che lo attanagliava da così tanto tempo aveva ormai raggiunto il culmine. Non chiudeva occhio da tre giorni, e aveva a malapena mangiato un boccone.
Non si sarebbe concesso il minimo riposo fino a quando non avesse ottenuto ciò che voleva.
Gli ci vollero esattamente venti secondi per attraversare la strada tranquilla, oltrepassare il basso cancellino e risalire il vialetto fino al portone d’ingresso.
Suonò il campanello e lanciò uno sguardo indagatore al piccolo patio non spazzato da giorni e alle ragnatele che si trovavano agli angoli della finestra sul davanti. Doveva essere una donna di casa non proprio impeccabile. Le labbra gli si piegarono a formare una smorfia cinica. Poteva forse sorprendersene?
Premette di nuovo il campanello, tenendovi sopra il dito per qualche secondo in più del normale.
Non era dell’umore di essere ignorato. In particolare da quella donna. L’impazienza montò in lui sotto forma di ondata calda e impetuosa. Ne aveva abbastanza dell’egoismo di quella megera. Adesso le avrebbe chiarito con chi aveva a che fare.
Uscendo da sotto il patio, scrutò il fianco della casa. Una delle finestre era spalancata, dato che la sola zanzariera lo separava dall’interno. Ma, che fosse dannato, non avrebbe certo fatto ricorso alla violazione di domicilio.
A meno che non vi fosse stato proprio costretto...
Tornando alla porta principale, posò ancora il dito sul campanello e lo tenne risolutamente lì. Lo scampanellio riecheggiò incessante attraverso la casa.
Ottimo! Questo l’avrebbe smossa. Nessuno poteva resistere più di tanto a un simile, orripilante frastuono.
Ciononostante, passarono diversi minuti prima che una porta interna sbattesse. E ancora di più prima che qualcuno cominciasse ad armeggiare attorno al chiavistello, con gesti impacciati.
Pregustando il momento a lungo atteso, Costas si irrigidì da capo a piedi. Una volta che fossero stati faccia a faccia, avrebbe fatto a modo suo. Non aveva scelta. All’occorrenza, l’avrebbe persuasa con le lusinghe, anche se, considerato il comportamento che lei aveva mantenuto fino a quel momento, era tentato di lasciar perdere le buone maniere per passare direttamente alle minacce. In ogni caso, avrebbe fatto ricorso a qualunque tattica fosse stata necessaria, si ripromise, tirando un lento respiro e facendo appello a tutto il suo formidabile autocontrollo. Ne avrebbe avuto certamente bisogno per quel delicato colloquio.
La porta si aprì per rivelare una donna. Ovviamente non quella che era venuto a cercare, ma... che gli venisse un colpo!
Costas rimase impietrito e la sua proverbiale compostezza venne momentaneamente meno quando i raggi del sole illuminarono direttamente i lineamenti di quel volto femminile.
Il cuore prese a battergli forte nel petto e un filo di sudore gli inumidì la fronte. Improvvisamente ebbe la sensazione che il colletto della camicia lo soffocasse mentre fissava dritto negli occhi un fantasma.
Il suo viso aveva una struttura ossea della stessa, identica purezza classica che ben ricordava, considerò allibito. Poi, con un profondo respiro, ritrovò prontamente il buonsenso. Era una donna in carne e ossa, non certo uno spettro che riaffiorava dal passato per ossessionarlo.
A poco a poco, colse le sottili differenze nel suo volto. I suoi luminosi occhi erano di un castano più chiaro. La bocca, ben disegnata, aveva delle labbra più piene di quelle di Fotini.
Costas studiò con attenzione la massa di capelli di un castano ramato raccolti sulla nuca, le sottili pieghe lungo la guancia, che ovviamente era stata premuta fino a poco prima sul cuscino, la camicetta e la gonna scura spiegazzate. Doveva aver festeggiato alla grande la conclusione della settimana lavorativa la sera prima, per poi finire per addormentarsi con ancora addosso i vestiti.
Scrollando il capo, Costas osservò il suo colorito terreo e le borse scure sotto gli occhi assenti, e si chiese se avesse un debole per un qualche tipo di droga particolare o se fosse invece semplicemente portata per il buon, vecchio alcool.
Aveva forse importanza? La sua sola vista lo turbava, suscitando troppi ricordi. Ma non aveva tempo per preoccuparsi per nessuno che non fosse la donna per trovare la quale aveva viaggiato da un capo all’altro del globo.
«Sto cercando Christina Liakos» disse.
Lei lo fissò, sbattendo le ciglia con aria smarrita.
Lui corrugò la fronte, domandandosi se fosse abbastanza sobria da comprendere le sue parole. «Kyria Christina Liakos» ripeté, pronunciando questa volta il nome di battesimo nella sua madrelingua.
Gli occhi le si socchiusero e lui le vide diventare bianche le nocche delle dita con le quali stringeva il bordo della porta.
«Sono venuto per incontrare Christina Liakos» provò nuovamente in un inglese deliberatamente lento e accurato. «Per favore, le dica che ha visite.»
Lei dischiuse le labbra, ma non le uscì alcuna parola. La sua bocca si mosse come se avesse qualcosa da ribattere, poi si richiuse e la donna deglutì convulsamente. Gli occhi dilatati apparivano incredibilmente grandi in quel viso delicato.
«Oh, Dio!» L’esclamazione risultò roca e a malapena udibile anche da così breve distanza. E poi, nel giro di un istante se n’era andata, percorrendo con passo malfermo il corridoio e lasciando Costas a fissarle la schiena attraverso la porta spalancata.
Lui non ebbe esitazioni. Un attimo dopo era già all’interno del piccolo atrio, impegnato a richiudersi la porta alle spalle.
La giovane donna raggiunse barcollando il bagno sul retro della casa. Le sue spalle abbassate e la mano appoggiata sulla bocca la dicevano lunga. Doveva avere esagerato la notte prima e adesso ne stava pagando le conseguenze.
Per un istante, lui provò ancora quell’orribile sensazione di déjà vu, alimentata dalla sbalorditiva somiglianza di lei con Fotini. Ma non aveva compassione da sprecare per una stupida ragazza che non aveva rispetto della propria salute.
Al contrario, tutti i suoi sensi si posero in stato di allerta, pronti al confronto con la donna che voleva incontrare. Eppure, nell’abitazione aleggiava un senso di vuoto. Aveva come il presentimento che lui e la ragazza con i postumi della sbornia fossero le uniche persone in casa. Ma doveva assicurarsene.
Ci vollero solo un paio di minuti per controllare l’intera abitazione, tanto era piccola. Era una dimora confortevolmente arredata e linda, eccetto per il caos che regnava in soggiorno, dove bottiglie, bicchieri e piatti con rimasugli di cibo erano sparsi un po’ ovunque. E in cucina, dove qualcuno aveva appena cominciato ad affrontare la montagna di stoviglie e di pentole da lavare.
Doveva essere stato proprio un party memorabile, decise lui, esaminando la malferma pila di piatti e le varie teglie contenenti i resti della cena, e i bicchieri immersi nell’acqua del lavello.
A parte questo, ancora nessuna traccia della donna che stava cercando. La donna nelle cui mani si trovava il suo futuro.
Ma non doveva disperare. C’era una persona che sapeva esattamente dov’era Christina Liakos.
Costas si girò e puntò dritto verso il bagno, per poi fermarsi bruscamente sui suoi passi.
Non fu l’orribile rumore tipico dei conati di vomito a bloccarlo, né un senso di delicatezza al pensiero che lei potesse desiderare un minimo di privacy.
Con suo stesso orrore, si rese conto che a turbarlo era stata la vista del suo fondoschiena armoniosamente modellato in quella stretta gonna nera mentre lei se ne stava piegata in due sulla toilette. E delle sue lunghe gambe affusolate, fasciate da un paio di intriganti collant neri.
Ridicolo, si disse, sentendo reagire repentinamente il suo corpo a quella vista conturbante. Nessuna donna poteva essere sexy mentre vomitava nella tazza del bagno. Nemmeno una donna bella come quella che aveva di fronte.
Con gli occhi pieni di lacrime, Sophie tirò un altro respiro sofferto, la gola irritata. Aveva un cattivo sapore in bocca e tremava a tal punto che riusciva a malapena a reggersi in piedi. La nausea stava svanendo, ma avvertiva un diffuso formicolio per tutto il corpo. E aveva come la sensazione che le avessero avvolto una benda attorno alla testa e l’avessero stretta così forte che perfino il pulsare del sangue nelle vene le faceva male.
«Ecco qui.»
Lei aprì gli occhi per vedersi sventolare davanti al naso un fazzoletto umido. Lo stringeva la mano di un uomo. Una mano grande, squadrata e apparentemente forte, dalle lunghe dita. Carnagione olivastra. Con una spruzzatina di peli neri. La manica di un completo di alta sartoria. Un accenno di polsini candidi come neve. L’eleganza raffinata di un paio di gemelli d’oro.
Sophie fissò il fazzoletto, ma non ebbe la forza di prenderlo.
«No... non posso» farfugliò. Si sentiva così debole che dovette fare appello a tutta l’energia che le rimaneva per non perdere l’equilibrio.
Dietro di lei, udì una parola pronunciata a denti stretti. Dal suono, le sembrò un’imprecazione, probabilmente in un greco del tutto incomprensibile. E poi un braccio d’acciaio le passò attorno alla vita e la costrinse a raddrizzarsi e ad appoggiarsi al solido corpo di quello sconosciuto. Contro la sua esile schiena, il calore di lui pareva generato da un forno. Ma nemmeno quello riuscì a mitigare il gelo che le attanagliava le viscere.
Lui le passò il fazzoletto sulla fronte, sulle guance, attorno alla bocca e sul