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La consulente vuole me: Harmony Jolly
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La consulente vuole me: Harmony Jolly
E-book165 pagine2 ore

La consulente vuole me: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Amore e lavoro possono andare d'accordo? Certo. Provare per credere!



"I bambini e io viviamo su due pianeti differenti." No, non posso averlo detto sul serio! Nel momento stesso in cui Alec McAvoy pronuncia queste parole alla stampa sa di essersi cacciato nei guai. L'amministratore delegato di una multinazionale di prodotti per l'infanzia non può permettersi frasi simili. Il consiglio di amministrazione lo ha appena informato che una consulente d'immagine lo aiuterà a uscire da questo pasticcio. Io non ho bisogno di una balia!



Julia Stillwell è la migliore sul mercato: non ha mai sbagliato un colpo. Di solito, però, i suoi clienti sono più collaborativi. Alec, invece, è esattamente il contrario. Julia non è il tipo che si scoraggia per un nonnulla, il caro signor McAvoy se ne renderà presto conto.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2018
ISBN9788858991664
La consulente vuole me: Harmony Jolly
Autore

Jackie Braun

Giornalista affermata, vive nel Michigan con il marito e il figlio. Adora l'Italia e i maccheroni.

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    Anteprima del libro

    La consulente vuole me - Jackie Braun

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Must Like Kids

    Harlequin Mills & Boon Romance

    © 2013 Jackie Braun Fridline

    Traduzione di Alessandra Canovi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-166-4

    1

    «I bambini e io viviamo su due pianeti differenti.»

    Ancora prima che la giornalista sollevasse un sopracciglio, Alec McAvoy seppe che quelle parole gli sarebbero costate molto care.

    Rise a disagio.

    «È un po’ fuori luogo, vero?»

    «Si tratta di un’intervista, signor McAvoy. Nulla è fuori luogo» rispose blandamente la donna che lo stava intervistando, anche se lui ebbe la sensazione che avesse una gran voglia di sorridere. Era una giornalista alle prime armi e voleva lasciare il segno. Lui le aveva appena fornito un’eccellente opportunità.

    «Giusto. Ma lei capisce che stavo scherzando, quando mi ha chiesto se mi piacciono i bambini, vero? Certo che adoro i bambini. Sono meravigliosi.»

    Specialmente quando erano quieti, preferibilmente addormentati e sistemati sui passeggini, se portati in pubblico. Questa volta però riuscì a tenersi quel pensiero per sé.

    «Scherzo o no, la trovo una risposta illuminante, dal momento che viene dall’amministratore delegato di una società specializzata in prodotti per neonati e bambini.»

    Alec ebbe la certezza di trovarsi nei guai e nessuno dei tentativi di affascinare la giovane giornalista prima del termine dell’intervista riuscì a cambiare la situazione.

    Quando fu pubblicato sull’edizione on line della rivista American CEO, l’articolo conteneva la sua osservazione irriverente. La giornalista aveva aggiunto il suo tentativo di spiegazione, in altre parole che quella risposta era uno scherzo, lasciando la parola tra virgolette. In questo modo, suonava ancora più insincero. Ma ciò che elevò la sua dichiarazione da gaffe a errore schiacciante fu l’inserimento nell’articolo di un colloquio che la giornalista aveva condotto con la sua ex fidanzata, Laurel McCain. Laurel aveva colto al volo l’occasione di infangare la sua reputazione, dopo la loro brusca rottura di sei mesi prima. La ragazza avrebbe voluto un anello e il titolo di signora McAvoy, lui no.

    «Alec è a disagio, alla presenza dei bambini» dichiarava la sua ex nell’articolo. «Siamo stati insieme due anni e posso contare sulle dita di una mano le volte che siamo usciti anche con i miei figli.»

    Nessun accenno al fatto che fosse stata lei a preferire così.

    «Se mi ha sorpreso che a gennaio sia stato nominato a capo della Best for Baby? Sì, estremamente» continuava Laurel. «Non fraintendetemi, Alec è un uomo d’affari molto in gamba, ma come madre ho sempre ritenuto che Best for Baby fosse più di un semplice nome.»

    Dopo poche ore dalla sua comparsa on line, la storia era stata ripresa da un paio di blogger di alto profilo e, ovunque, si erano sollevate le voci di madri indignate e sconvolte. L’articolo era stato poi condiviso su Facebook e su Twitter, fino a diventare virale.

    Adesso, una settimana più tardi, Alec si trovava nell’ascensore del quartiere generale della Best for Baby di Chicago, convocato all’ultimo dei trenta piani per una riunione straordinaria del consiglio di amministrazione della società quotata in borsa.

    Era davvero nei guai.

    Quando entrò nella sala riunioni, una dozzina di persone era seduta intorno al grande tavolo ovale di ciliegio. Herman Geller, il presidente, congiunse le mani davanti a sé, mentre aspettava che Alec occupasse il suo posto, come un maestro di scuola.

    «Grazie per aver modificato la tua agenda in modo da essere presente a questa riunione, Alec» cominciò Herman. «Sappiamo che sei molto impegnato, specialmente adesso.»

    Alec annuì e, poiché pensava che la miglior difesa fosse l’attacco, si lanciò all’offensiva.

    «Grazie a tutti voi per il vostro tempo. Voglio scusarmi di nuovo per la mia... gaffe verbale. Capisco perfettamente la gravità della situazione e voglio assicurarvi che stiamo provvedendo a risolvere il problema. Il nostro ufficio marketing sta ultimando un progetto per raggiungere i nostri clienti e rassicurarli che la Best for Baby non è una società dura di cuore, dedita unicamente al profitto. Chiameremo questa campagna "Una grande famiglia" e ci concentreremo su come la Best for Baby accompagni le famiglie dei nostri clienti a ogni passo del loro cammino.»

    «Sì, ho ricevuto la tua relazione, un paio di giorni fa. Apprezzo in modo particolare l’idea di inserire delle fotografie dei figli dei nostri lavoratori.» Ma l’uomo non sembrava soddisfatto. Si sistemò un sopracciglio indisciplinato, prima di proseguire: «A questo punto però, Alec, non sono solo i consumatori a dover essere rassicurati. Devono esserlo anche i nostri investitori».

    Alec annuì e afferrò il bicchiere d’acqua che aveva davanti. Aveva la gola riarsa. Rimase tale anche dopo aver bevuto. «Come tutti voi, sono molto deluso dal calo di valore subito dalle nostre azioni.» Alcuni media l’avevano definito addirittura un titolo in caduta libera. «Ho redatto una lettera per gli azionisti che dovrebbe fugare le loro preoccupazioni.» Passò un dito sulla condensa del bicchiere, prima di proseguire. La gola in fiamme, questa volta. «In aggiunta alle mie scuse personali, sono disposto a rassegnare le mie dimissioni, se le nostre azioni non si riprenderanno nei prossimi tre mesi.»

    «Questo è lodevole, Alec» rispose Herman. «Speriamo che non si arrivi a tanto. Ci dispiacerebbe perdere una persona del tuo calibro a causa di una débâcle pubblicitaria di questo genere.»

    Leggendo tra le righe, Alec comprese che lo avrebbero cacciato anche prima, se fosse stato necessario. Comunque, per quel giorno, il suo licenziamento non era tra i punti in discussione e cominciò a rilassarsi.

    «Ecco perché, durante la riunione straordinaria di ieri, è stato stabilito di assumere un consulente che ci aiuti a controllare i danni» proseguì Herman.

    Il consiglio si era riunito anche il giorno prima e lui non ne era stato informato? Non prometteva nulla di buono.

    «Un consulente?» domandò.

    «Sì. È altamente raccomandata e non vede l’ora di cominciare.»

    «Vi siete già messi in contatto?» domandò Alec, sorpreso. Questo significava che non l’avevano convocato per chiedere la sua opinione ma per comunicargli una decisione già presa.

    «Date le circostanze, abbiamo pensato fosse meglio agire velocemente. I nostri azionisti vogliono delle risposte. Julia Stillwell entrerà a far parte del progetto "Una grande famiglia"» affermò Herman. «È una consulente d’immagine.»

    «Una consulente...»

    «... D’immagine» terminò Herman per lui. «Nel bene e nel male, tu sei il volto di questa Compagnia. Il pubblico ha bisogno di conoscerti meglio, di apprezzarti, di fidarsi di te. Hanno bisogno di sapere che, anche se sei uno scapolo senza figli, non sei contrario alla famiglia o ai bambini.»

    «Non lo sono, infatti.»

    Solo per il fatto di non desiderare una moglie e dei figli, non significava che fosse contrario alla famiglia. Solo che alcuni uomini non sono cablati per i ruoli di marito e di padre e lui, il prodotto di una coppia che era sempre andata a ruota libera e che lo aveva spedito in collegio appena possibile, non voleva mettere al mondo dei bambini costretti a vivere un’infanzia emotivamente sterile.

    «Eccellente.» Herman guardò l’orologio. «Il tuo primo incontro con lei sarà tra meno di un’ora. Devi andare nel suo ufficio. La signorina Stillwell ha chiesto di essere puntuale perché ha un appuntamento subito dopo il tuo.»

    «È meglio che mi muova, allora» ringhiò Alec, spingendo indietro la sedia. La rabbia aveva preso il posto dell’apprensione che aveva sperimentato entrando in quella sala. Una consulente d’immagine! L’idea era irritante.

    Il buona fortuna di Herman non migliorò il suo stato d’animo.

    Julia Stillwell controllò l’orologio sulla parete. Alec McAvoy aveva a disposizione ancora un minuto e quarantotto secondi, prima di essere in ritardo per il loro appuntamento. La puntualità per lei era la regola più importante. Quando le persone ritardavano, significava che non ritenevano il tempo degli altri prezioso quanto il proprio. Inoltre, la mancanza di puntualità di un cliente creava dei grossi problemi alla sua tabella di marcia, assolutamente poco elastica.

    Essendo una madre single con due bambini piccoli, conosceva fin troppo bene l’importanza di rimanere nei tempi previsti. Se tardava a lasciare l’ufficio, sarebbe arrivata in ritardo a prendere i figli a scuola e questo, a sua volta, significava che Danielle sarebbe arrivata tardi alla lezione di danza o Colin alla partita di T-ball, o qualsiasi altra attività fosse prevista quel giorno.

    Era sveglia dalle quattro di quella mattina, quando Danielle le aveva dato un calcio. Dopo che Colin aveva avuto un brutto sogno, entrambi i bambini avevano chiesto di dormire con lei nel letto matrimoniale, e lei non era più riuscita ad addormentarsi. Soffocò uno sbadiglio e guardò nuovamente l’orologio. Alec McAvoy era ufficialmente in ritardo. Quando fosse arrivato, gli avrebbe offerto un caffè, in modo da poterne bere uno anche lei, ma non gli avrebbe concesso più tempo del previsto per recuperare il ritardo. Poteva anche essere un cliente, ma lei aveva cose importanti da fare, come accompagnare Colin all’allenamento.

    Un dirigente di alto livello come il signor McAvoy probabilmente non avrebbe apprezzato quel punto di vista. Julia non smetteva di domandarsi se non lo stesse giudicando un po’ troppo duramente. Dopotutto, era stata assunta per salvarlo dalla fossa che lui stesso si era scavato, la fossa che stava costando alla sua azienda milioni di dollari a causa di una dichiarazione infelice. Comunque, lei non credeva assolutamente che quel commento fosse stato uno scherzo.

    Sia nel mondo del lavoro sia nella vita privata, Julia aveva conosciuto molti uomini come Alec. Uomini che vedevano i vincoli familiari, e quelli creati dai bambini in particolare, come un fastidio, un fardello. Era questo il motivo per cui, nei quattro anni dopo la morte di suo marito, era uscita con pochissime persone. Gli uomini erano interessati a conoscerla solo fino a quando scoprivano che aveva due bambini. A quel punto, non la consideravano più. Erano loro a rimetterci. Anche Alec McAvoy ci rimetteva, rifletté, osservando la cartellina col suo nome.

    Si appoggiò con un fianco alla scrivania e afferrò i documenti, cominciando a essere impaziente per il suo ritardo. Osservò la foto che ritraeva un uomo molto bello, intorno ai trentacinque anni, con indosso un abito sartoriale e una cravatta di seta. Un fazzoletto della stessa stoffa della cravatta spuntava dal bordo del taschino della giacca.

    «Scommetto che non hai mai asciugato un naso che cola, con quello» lo prese in giro ad alta voce.

    Julia sospirò. Doveva convincere le madri del Paese che quel direttore generale scapolo non detestava i bambini. Non sarebbe stato facile, specialmente se lei non ci avesse messo il cuore. Non era obbligata ad apprezzare Alec McAvoy, ricordò a se stessa, ma doveva fare in modo che

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