Il capo innamorato: Harmony Jolly
Di Jackie Braun
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Info su questo ebook
Kellen Faust, milionario e playboy, sentiva di avere tutto: donne, potere e successo. Ma un infortunio sulle piste da sci cambia totalmente la sua vita. Il ri-schio e il piacere della conquista non gli interessano più, e decide di tornare nel lussuoso resort della sua famiglia per ritrovare se stesso e capire quello che davvero desidera diventare. Non immaginava di doversi confrontare con Brigit Wright, la nuova manager del Faust Resort, una ragazza tenace e determinata a rendere quel luogo una meta perfetta e indimenticabile. Per Kellen quei continui battibecchi sono la migliore medicina e ora finalmente sa che cosa vuole dalla vita: che Brigit resti al suo fianco per sempre... come moglie!
Jackie Braun
Giornalista affermata, vive nel Michigan con il marito e il figlio. Adora l'Italia e i maccheroni.
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Anteprima del libro
Il capo innamorato - Jackie Braun
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Heir’s Unexpected Return
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2015 Jackie Braun Fridline
Traduzione di Carlotta Picasso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-023-4
1
Nuvole nere e minacciose rovesciarono con furia il loro carico di acqua sul lungomare di Hadley Island. Il cielo, improvvisamente scuro, sembrò voler anticipare la notte e le gocce di pioggia, lucide e pesanti, rimbalzavano sul terreno come palline impazzite.
Hadley Island era una delle isole barriera al largo della costa del Sud Carolina, e che poteva vantare venticinque chilometri di spiaggia incontaminata, spesso invasa dai turisti.
Incurante della tempesta che si abbatteva su di lei, Brigit Wright infilò la mano nella tasca dell’impermeabile e strinse nel pugno il foglio che aveva stampato. Il suo umore era pessimo come il tempo.
Signorina Wright, la informo che arriverò dopodomani e che mi tratterrò per un lungo soggiorno. La prego di farmi trovare l’appartamento in ordine, pronto ad accogliermi.
KF
Quelle brevi righe l’avevano irritata al punto che Brigit sentì il sangue ribollire nelle vene.
Kellen Faust, erede dell’impero Faust, stava tornando sull’isola per proseguire la convalescenza. Quattro mesi prima si era infortunato mentre sciava sulle Alpi svizzere. Se le notizie riportate dai giornali riguardo all’incidente da lui subito fossero state attendibili, lei avrebbe dovuto provare un moto di compassione per quel giovane uomo che aveva subito una commozione cerebrale, la lussazione della spalla, la rottura di un polso e di una caviglia nonché del femore destro e del ginocchio. A quattro mesi di distanza dall’infortunio, Kellen stava ancora lottando duramente per riprendersi.
Tuttavia, Brigit avrebbe preferito non averlo tra i piedi. Abituata a gestire e a dirigere l’esclusivo Faust Haven Resort da sola, non gradiva interferenze da parte di nessuno. Si chiese perché, tra le tante proprietà immobiliari di lusso della famiglia Faust, il giovane erede avesse scelto proprio quell’albergo per trascorrere i lunghi mesi di convalescenza che ancora lo aspettavano.
Brigit considerava il resort come casa sua, benché non le appartenesse da un punto di vista legale.
Mentre Kellen aveva trascorso gli ultimi cinque anni girovagando per l’Europa e dilapidando buona parte del suo considerevole fondo fiduciario, lei aveva lavorato in modo indefesso, trasformando quel rifugio vecchio e fuori moda nell’attuale resort a cinque stelle, dotato di tutte le comodità e dei servizi più esclusivi. La disponibilità di camere era già esaurita per l’anno in corso e le prenotazioni erano state confermate per i successivi tre anni. Era solo merito suo se l’albergo era sempre pieno di clienti.
E adesso avrebbe dovuto assistere al ritorno del figliol prodigo.
Da quando Brigit aveva cominciato a occuparsi del resort, Kellen non aveva più messo piede sull’isola, perciò lei si era trasferita nell’appartamento padronale, trasformando le stanze del manager in una lussuosa suite che affittava ai clienti.
Dove sarebbe andata a dormire, dovendo cedere il suo alloggio? Non poteva certo passare la notte su uno dei divani della hall, o in una poltrona reclinabile della biblioteca, ritirandosi dopo tutti gli ospiti e alzandosi prima che venisse servita la colazione. Lamentandosi a voce bassa per la situazione incresciosa, si fermò, guardando nella direzione dalla quale era venuta.
Il cedro svettava alto, raggiungendo con le sue fronde il terzo piano della struttura che era ancora più elevata se si consideravano i piloni che la sostenevano per proteggerla dalle inondazioni. Dune di sabbia bianca, punteggiate di ciuffi d’erba, sembravano quasi volessero difendere l’albergo dalle onde del mare che s’infrangevano sulla battigia, scomponendosi in tanti riccioli di spuma bianca.
Casa.
Per Brigit quel posto era davvero casa sua. Kellen avrebbe potuto affermare la stessa cosa? Si era rifugiata in quell’isola dopo il divorzio, avvilita, sull’orlo della disperazione, convinta di aver vissuto il fallimento peggiore della propria vita ma lentamente, grazie al richiamo del mare e ai ritmi estenuanti di lavoro, era uscita dal tunnel nel quale era precipitata.
Abbracciò con lo sguardo i balconi delle camere da letto dai quali si godeva di una vista mozzafiato. Illuminati dalle lanterne, nonostante fossero le prime ore del pomeriggio, sembravano dare il benvenuto agli ospiti che, sfidando le condizioni meteorologiche avverse, erano saltati sull’ultimo battello della giornata. Raggiunto il porto di Hadley Island, avrebbero dovuto guidare lungo le strade tortuose e battute dal vento che dal centro dell’isola conducevano verso la costa est dove era situato il resort.
Sospirando Brigit tornò sui propri passi. Il lavoro l’aspettava. A breve sarebbero arrivati gli ultimi clienti e lei doveva essere pronta ad accoglierli. Più tardi si sarebbe preoccupata di trovare una sistemazione alternativa per se stessa durante la permanenza di Kellen al Faust Haven Resort.
Bagnata fino al midollo, raggiunse l’ingresso principale e notando un SUV nero e lucido parcheggiato sotto la tettoia, la speranza d’indossare qualcosa di asciutto e di sistemarsi i capelli svanì all’istante.
Due uomini alti e robusti scesero dall’automobile e si affiancarono alla portiera posteriore. Dovevano essere due guardie del corpo. Accadeva spesso che al resort alloggiassero persone importanti, politici, divi di Hollywood, magnati dell’industria che necessitavano una scorta.
Osservò da lontano i movimenti di quegli sconosciuti e soffocò un grido di stupore appena capì che l’ospite importante era Kellen Faust. L’erede era arrivato in anticipo e lei era del tutto impreparata a incontrarlo. Fino a quel momento si erano scambiati solo delle e-mail e avevano parlato per telefono in rare occasioni. Quella era la prima volta che lo vedeva di persona e non era affatto come lo aveva immaginato.
Le numerose fotografie pubblicate sui giornali e le altrettanto numerose apparizioni sullo schermo avevano mostrato un ragazzo attraente, dai capelli castani e con profondi occhi color nocciola, dal sorriso spensierato e dal corpo muscoloso e atletico, risultato di ore e ore di allenamento con un personal trainer.
Adesso, però, l’uomo che cercava di scendere a fatica dal SUV, non assomigliava affatto a quello delle immagini dei tabloid che lo ritraevano come un ragazzo sano, forte e vitale. Kellen sembrava essersi rimpicciolito, aveva un’espressione sofferente, due cerchi scuri intorno agli occhi e il suo corpo si era assottigliato in modo impressionante.
«Le prendo la sedia a rotelle, signor Faust.»
«No! Voglio camminare» reagì Kellen con rabbia.
«Ma signor Faust...» insistette l’autista.
«Ho detto che desidero camminare, Lou. Non sono un fottuto invalido!»
Senza fatica apparente, Kellen posò il piede sinistro a terra ma quando sfiorò il suolo con il destro, il ginocchio cedette e, nonostante il sostegno della stampella, sarebbe caduto se l’uomo che aveva chiamato Lou non fosse accorso per sorreggerlo. Spaventata, Brigit si precipitò al suo fianco e gli afferrò un braccio.
«Chi diavolo è lei?» l’apostrofò Kellen, scrollandosi la sua mano di dosso.
Brigit abbassò il cappuccio dell’impermeabile e ostentò un sorriso che sperò fosse professionale. Sapeva di essere impresentabile, con i capelli umidi incollati alla fronte e il volto rigato dal mascara nero, sciolto dalla pioggia, i piedi scalzi ricoperti di sabbia e gli abiti sgualciti, impregnati di acqua.
Non era certo l’immagine che aveva sperato di offrire all’erede della famiglia Faust al loro primo incontro!
«Piacere. Sono Brigit Wright» si presentò. «Non ci siamo mai incontrati prima d’ora, ma abbiamo parlato al telefono e scambiato diverse e-mail in questi ultimi anni» aggiunse, notando il suo sconcerto. «Gestisco il resort» concluse.
Quella spiegazione suscitò in lui un mezzo sorriso che avrebbe potuto sconfinare nella derisione.
«Ovvio» sospirò Kellen, prendendo nota del suo aspetto, poi aggiunse a voce bassa, ma non così tanto da non farsi udire: «Ti ho già inquadrata».
E così il padrone non era il tipo di persone che nascondeva i preconcetti, ma c’era da aspettarselo!
Tuttavia l’indispettì il fatto che lui l’avesse giudicata alla prima occhiata. Si schiarì la gola e raddrizzò le spalle per sembrare più alta. «Non l’aspettavo così presto» dichiarò in tono freddo. «La sua mail, che ho ricevuto solo questa mattina, diceva che non sarebbe arrivato prima di un paio di giorni.»
«Ho cambiato idea.»
«Sì, me ne sono accorta.»
«Ero a Charleston, in visita...» La sua espressione s’indurì. «Però adesso sono qui e confido che non sia un problema, signorina Wright.»
«Niente affatto» lo rassicurò lei. «Purtroppo il suo appartamento non è ancora disponibile.»
«E dovrei aspettare qui fuori finché non sarà pronto?» replicò lui seccato.
Il portico li avrebbe protetti dalla pioggia ma non dal vento che soffiava con violenza, sferzando i loro visi.
«Assolutamente no» replicò Brigit arrossendo. «Prego, da questa parte, signori» aggiunse in fretta, dirigendosi verso l’interno.
Kellen permise a Lou e a Joe di aiutarlo ad avvicinarsi all’ascensore. Il suo buon umore e il suo proverbiale fascino erano svaniti dal giorno dell’incidente. Sempre scostante e rabbioso, faticava a dominare i nervi. Aveva la gamba destra praticamente fuori uso. I vari medici ai quali si era rivolto gli avevano detto che non avrebbe più riacquistato la mobilità di una volta. Ma dovevano sbagliarsi!
Kellen non voleva rimanere storpio, eppure quell’incidente lo aveva debilitato al punto che era diventato l’ombra del ragazzo sano e sportivo che era stato fino a pochi mesi prima.
L’ascensore si fermò, spalancando le porte