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Bacio di sangue (eLit): eLit
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E-book375 pagine5 ore

Bacio di sangue (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Wings in the night 10

Seth Connor sogna da sempre una rossa minuta e sensuale, con grandi occhi di velluto capaci di leggergli nell'anima. È convinto che si tratti solo di una piacevole fantasia, ma la notte in cui viene trasformato in vampiro tutto a un tratto avverte la presenza di quella donna bellissima con una chiarezza che lo sconvolge. Lei è reale, ed è in pericolo. Qualcosa li lega, una forza misteriosa e potente che spinge Seth a cercarla e a mettere a repentaglio persino la propria immortalità per salvarla. Perché sa che solo quando l'avrà trovata si compirà il suo destino...
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2018
ISBN9788858990162
Bacio di sangue (eLit): eLit
Autore

Maggie Shayne

RITA Award winning, New York Times bestselling author Maggie Shayne has published over 50 novels, including mini-series Wings in the Night (vampires), Secrets of Shadow Falls (suspense) and The Portal (witchcraft). A Wiccan High Priestess, tarot reader, advice columnist and former soap opera writer, Maggie lives in Cortland County, NY, with soulmate Lance and their furry family.

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    Anteprima del libro

    Bacio di sangue (eLit) - Maggie Shayne

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Demon’s Kiss

    Mira Books

    © 2007 Margaret Benson

    Traduzione di Elena Rossi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-016-2

    Prologo

    «Devi uccidere qualcuno per me.»

    Rhiannon era ferma sul sentiero ricoperto di foglie dove Reaper aveva acconsentito a incontrarla; i lunghi capelli e l’abito ancor più lungo danzavano al vento della notte. Non perse tempo in preliminari.

    Non era il saluto più caloroso che Reaper avesse ricevuto, ma era il più comune.

    «Naturale» replicò. «Altrimenti perché mi avresti chiesto di venire?»

    Lei fece un lento sorriso, con un bagliore pericoloso negli occhi. «Naturalmente, in condizioni normali preferirei occuparmene io stessa» disse, avvicinandosi. La pantera nera avanzò al suo fianco con passi lenti, fluidi e silenziosi; la testa, all’altezza della sua mano, la sfiorava di tanto in tanto. «Ma temo che le circostanze non lo consentano.»

    «E quali sarebbero le circostanze?» domandò Reaper, incuriosito. Cominciò a camminare, rimanendo vicino a lei ma senza toccarla. Non gli piaceva il contatto fisico.

    L’orlo dell’abito di velluto sollevava le foglie color ruggine e oro sul sentiero, che si snodava tortuoso attraverso un parco isolato, sulle colline della Virginia. Una landa selvaggia nascosta tra le città, meta popolare di corridori, ciclisti, camminatori e amanti della natura. In quel momento, però, nel pieno della notte, il parco era deserto. L’unico suono era quello del vento, che strideva tra le poche foglie rimaste sui rami degli alberi.

    Rhiannon non rispose ma si limitò a camminare al suo fianco; ogni tanto le sue dita grattavano la grande testa di Pandora, strappandole un verso che assomigliava in modo inquietante a un ringhio.

    Reaper provò ancora, ricorrendo a una tattica che funzionava sempre con l’arrogante Rhiannon. La conosceva abbastanza da sapere come adescarla. Dopo tutto, era stata lei a crearlo. «Questo criminale che vuoi morto dev’essere il più efferato della storia, se ti spaventa tanto affrontarlo.»

    Lei si bloccò e girò il capo di scatto, un movimento rapido e brusco che fece sferzare i lunghi capelli corvini su un lato del viso. «Io non ho paura di nessuno, amico mio. E tu lo sai. Non chiederei di meglio che spezzargli le ossa a una a una e farlo morire dissanguato nello stesso tempo.»

    Reaper annuì, sapendo che era più che capace di mettere in atto la minaccia e che ne avrebbe anche goduto. «Allora perché chiamare me?»

    «Perché non è solo un lupo solitario, Reaper. È il capo di un intero branco, che si rivolterebbe contro chiunque minacci il loro prezioso maschio Alfa. E per quanto detesti ammetterlo, nemmeno io sono un lupo solitario. Non più. Ho un compagno, Roland. Ho degli amici, una famiglia, adesso. Bambini preziosi – bambini importanti – fanno parte di questa famiglia.»

    Reaper inarcò le sopracciglia. «Stai parlando dei gemelli meticci nati dalla mezza vampira che chiamano la Figlia della Promessa.»

    Lei socchiuse gli occhi. «Stai molto attento quando parli di quei bambini, Reaper. Li amo come se fossero figli miei.»

    «Capisco» disse, tendendo una mano. «Non puoi rischiare di scatenare la collera di un branco di assassini su quei bambini... speciali. Be’, hai fatto bene a contattarmi. Sono l’uomo giusto per questo lavoro.»

    «Ne sembri molto sicuro» disse, più calma. Gettò i capelli dietro le spalle e riprese a camminare, guardando davanti a sé. Reaper seguì la direzione del suo sguardo. Era una notte senza luna, chiara e frizzante, con le stelle che brillavano come schegge di ghiaccio in un cielo freddo e nero. L’aria gelida sapeva di mele e di foglie marce. «Non hai ancora sentito i particolari, come puoi saperlo?»

    «Perché io sono un lupo solitario. Non ho né famiglia né amici di cui preoccuparmi. Niente è prezioso per me e non c’è nessuno che ami.»

    «Bugiardo.»

    Le lanciò un’occhiata. «È l’assoluta verità.»

    «Sciocchezze. C’è il ragazzo.»

    Distolse lo sguardo, evitando di guardarla. «Quale ragazzo?»

    «Reaper, sii onesto. Il mortale, quello con i jeans larghi e una brutta assuefazione ai videogame. Seth, mi pare?»

    «Non è più un ragazzo. E come ben sai, è uno dei Prescelti. Sai perfettamente che noi vampiri non abbiamo alternativa quando si tratta di quei rari esseri umani che possiedono l’antigene Belladonna. Possono essere trasformati, diventare come noi. Non si tratta di affetto, Rhiannon. Siamo obbligati a proteggerli.»

    «Sì, lo so. E so anche che, per ognuno di noi, ne esiste uno di loro con cui si instaura un legame più forte. Seth è questo per te.» Lo fissò finché lo costrinse a ricambiare lo sguardo. «Tieni molto a lui.»

    «Non tengo a nessuno. È solo una seccatura. Se non fossi obbligato dalla mia natura a proteggerlo, me ne starei lontano mille miglia, te lo garantisco.»

    Lei serrò le labbra in una linea sottile e scosse il capo. «Se è vero, ti compatisco.»

    «Non sprecare le tue energie, Rhiannon. Sono un assassino. Ero un killer in vita e lo sono nella morte. È questo che faccio.»

    «E lo fai bene.»

    «Meglio di chiunque altro.»

    Lo studiò ancora per un istante, poi annuì con un sospiro. «I particolari, allora. Si chiama Gregor e caccia negli stati sudorientali: qui in Virginia, nelle Caroline e in Georgia, per quanto ne sappiamo. Prende gli innocenti, i giovani, qualsiasi vittima desideri, e incoraggia il suo branco a fare lo stesso.»

    «Quanti anni ha?»

    «Nessuno lo sa. Le tracce degli omicidi, i cadaveri che non si cura di nascondere, sono comparsi per la prima volta una decina di anni fa, per quello che ho potuto ricostruire.»

    «Chi l’ha creato?»

    «Nessuno sembra sapere nemmeno questo.»

    Reaper aggrottò la fronte. «È insolito.»

    «È un criminale insolito, Reaper.»

    Lui si sfregò il mento. «Mi piace sapere tutto di un bersaglio, prima di dargli la caccia, Rhiannon. Senza conoscere la sua età o l’identità del suo creatore, non posso nemmeno incominciare a valutare quale possa essere la sua forza.»

    Rhiannon distolse momentaneamente lo sguardo. «Se non sei all’altezza della sfida...»

    «Non ho detto questo» sbottò. Aveva pronunciato quelle parole senza pensarci, poi rimase in silenzio, vedendo il luccichio nei suoi occhi e il sorriso malizioso che aleggiava sulle labbra piene. Anche lei sapeva come strappargli una reazione, ricordò a se stesso. «Dimmi quello che sai, allora.»

    Lei annuì. «Non ho idea di quanti membri ci siano nel gruppo. Le voci dicono dai dieci ai cinquanta. Quello che sembra essere il suo braccio destro è conosciuto come Jack di Cuori, e si sa ben poco altro su di lui. Probabilmente il nome gli deriva dalla scia di cuori spezzati e conti bancari svuotati che lascia dietro di sé quando sparisce.»

    «Un truffatore» commentò Reaper.

    «E una mente eccezionale, così mi è stato detto.»

    «Nient’altro?»

    «Sì, e la cosa è... inquietante. Parte del branco – il grosso, in realtà – si dice sia composta di... creature che non ho mai sentito menzionare prima.»

    Reaper si fermò e la guardò aggrottando la fronte. «Creature?»

    «Vampiri... solo che non lo sono.»

    «Allora... cosa?»

    Lei batté rapidamente le palpebre, grattando la testa della pantera più lentamente, mentre rifletteva alla risposta. «Tieni a mente che sono informazioni di seconda e terza mano. Ho solo voci riportate su cui basarmi. Ma si dice che queste creature siano bevitori di sangue grossi e forzuti, che sembrano non avere volontà propria. Obbediscono incondizionatamente a Gregor, fino al punto dell’autodistruzione.»

    Reaper inarcò le sopracciglia. «Esistono creature simili?»

    «Ho sentito parlare di vampiri che hanno imparato a rendere schiavi dei comuni mortali. Lo fanno nutrendosi del loro sangue e facendoli bere poche gocce del proprio. Questo li rende deboli e sempre più dipendenti dal vampiro, come un drogato diventa dipendente dalla sostanza chimica di sua scelta. Ma rimangono mortali. Deboli, senza volontà, ma sempre mortali. Queste creature, invece, sono forti, grandi e, a quanto pare, immortali. Una razza completamente diversa. Nessuno, nemmeno i più anziani tra noi, riesce a immaginare come Gregor li abbia creati.»

    Reaper annuì. «È chiaro che abbiamo a che fare con una mente brillante. Odio i criminali intelligenti. Che cos’altro sai, Rhiannon?»

    «Non molto, temo. Solo che Gregor e la sua gang sono pericolosi, un branco di animali rabbiosi. Uccidono mortali innocenti. Mettono a rischio tutti quei vampiri che non sono ancora stati scoperti e fanno ricadere sulla loro testa l’ira e l’odio di coloro che già sanno della nostra esistenza. Devono essere distrutti. Ma dovrai essere molto prudente.»

    «E profumatamente ricompensato.»

    Serrando le labbra, tirò fuori dalla fascia legata in vita una borsa chiusa da un cordoncino. Reaper non l’aveva notata e non c’era da stupirsi. Era di velluto nero, come il vestito. Tenendola in alto per le stringhe, in modo da farla penzolare dalle lunghe dita, disse: «Molto profumatamente».

    Lui prese la borsa, che pesava almeno un chilo e produsse un suono musicale quando la scosse. Non si diede la pena di aprirla. Si fidava di lei. Se diceva che era il prezzo giusto, lo era.

    «Centomila in oro. Questi krugerand sono solo un acconto. Avrai il resto a lavoro finito.»

    «Centomila, eh? Lo vuoi veramente morto, questo Gregor.»

    «Non solo io. I più antichi, i più potenti e i più ricchi tra noi hanno contribuito a questa causa, Reaper. Hai la loro benedizione.»

    «La benedizione dei dannati. Fantastico.»

    Rhiannon inclinò la testa di lato, increspando la fronte. «Sei un po’ troppo amaro, non credi?»

    «Trovi?»

    «Sto solo cercando di dirti che se hai bisogno di assistenza, ci sono molti di noi disposti a dartela.»

    «Non ho bisogno di aiuto.»

    «Ma se dovesse succedere...»

    «Lavoro da solo.» Le voltò le spalle e si allontanò.

    «Contattami quando avrai terminato l’incarico» gli gridò dietro; il tono autoritario della sua voce gli era familiare e faceva parte della sua natura.

    «Non ne avrò bisogno» rispose. «Lo saprai. Comunque mi metterò ugualmente in contatto, per incassare il resto del pagamento.» Lanciò in aria la borsa di monete d’oro e la riprese al volo mentre scompariva nella notte.

    1

    Seth Connor era con le spalle al muro e stava esaurendo l’energia, accovacciato sulla sommità di una cripta fatiscente nel mezzo di un cimitero. Un liquame tossico era penetrato nel terreno, impregnandolo da tutti i lati, quindi non era possibile scendere e attraversarlo di corsa. Non avrebbe resistito a lungo in quel letame. Per di più era circondato da zombi, creature stupide, sì, ma pur sempre pericolose. Il liquame non sembrava infastidirli, o forse erano troppo fuori di testa per farci caso. Tuttavia, tra gli zombi e quel cocktail chimico verdastro che ribolliva laggiù, non avrebbe avuto scampo. Doveva provare a coprire con un salto la distanza che lo separava dal punto in cui doveva andare: il tetto della casa del custode. Era un lungo salto e Seth non era sicuro di avere abbastanza energia per farlo.

    Ma nemmeno restare lì era possibile. Imbracciò il fucile, lo scaricò sulla folla di zombi che stavano già cercando di salire sul tetto, tanto per aprirsi un passaggio, poi spiccò il balzo. Fece una capriola in aria, una volta, due, tre volte; vide il liquame velenoso lampeggiare sotto di lui a ogni giro, poi gli parve di essere vicino. Diavolo! Si allungò, si raddrizzò, si protese... e afferrò con le dita il bordo del tetto.

    Le gambe penzolavano lungo la parete. Gli zombi lo raggiunsero e cercarono di tirarlo giù. Li allontanò a calci, poi riuscì a estrarre la pistola. Appeso solo con le dita di una mano, riempì di piombo quei bastardi, che abbandonarono la presa.

    Lasciò cadere la pistola – una maledetta perdita, ma avrebbe potuto trovarne un’altra al livello successivo. Issandosi sul tetto della casa del custode, diede un’occhiata intorno e individuò la via di fuga: un cavo elettrico sospeso all’estremità del tetto. Lo raggiunse, vi saltò sopra e, camminando come su una fune, raggiunse il nono livello.

    Tirando un sospiro di sollievo, Seth lasciò cadere il joystick sul tavolino, si alzò e stiracchiò i muscoli della schiena. Ci aveva messo un po’ a superare quell’ultimo livello, ma la sensazione di trionfo, per quanto gratificante, durò poco. Era solo un gioco. Un passatempo nell’interminabile attesa che era diventata la sua vita. Non sapeva nemmeno che cosa stesse aspettando. Ma quell’anticipazione nervosa, l’accumulo di tensione prima della scarica di un fulmine, la sensazione che stesse per accadere qualcosa di grosso, quel giorno era più forte che mai.

    Era destinato a qualcosa di importante. L’aveva sempre saputo. Ma si stava annoiando a morte nell’attesa di scoprire di che cosa si trattasse.

    Il telefono squillò, facendolo sussultare da tanto era teso. Poi lo afferrò con la vaga sensazione che quella potesse essere la chiamata che lo avrebbe indirizzato sulla sua strada, verso il suo destino, qualunque fosse. Uno sguardo al display spazzò via questa certezza. Era solo J.J. che chiamava da The Hole, il bar sportivo dove Seth era stato promosso gestore.

    Sospirando, prese la chiamata. «Sì, amico, che cosa c’è?» C’era sempre qualcosa.

    «Seth, non so davvero che cosa fare. Tommy doveva essere di turno alla griglia, ma è andato a casa perché non si sentiva bene. Abbiamo finito la granatina e la lavastoviglie fa di nuovo le bizze. E stasera siamo al completo, con poco personale.»

    «Mi chiami ogni volta che ho una serata libera.»

    «Si tratta di una crisi, Seth.»

    «No, è la norma. Una crisi è quando le cose vanno insolitamente male. Quello che mi dici succede tutti i giorni. È normale, J.J. Devi imparare a gestire gli imprevisti.»

    «Ci sto provando, ma non mi posso sdoppiare.»

    Seth chinò il capo, poi sospirò e si disse: Al diavolo! Non che avesse altro da fare. Forse andare a letto presto. Forse sognare nuovamente di lei. Della bellissima rossa con gli occhi che sapevano leggergli fino in fondo all’anima. Quella che aveva qualcosa a che fare con il suo destino. Quella che non aveva mai incontrato, ma che sognava sin da quando riusciva a ricordare.

    Sospirò ancora. Lei avrebbe aspettato lì nel suo inconscio, indipendentemente dall’ora in cui sarebbe andato a dormire. «Arrivo, d’accordo? Intanto chiama Bobbie e mettila alla griglia. È la più vicina e le fa sempre piacere qualche ora di straordinario. Chiama Tanya per servire ai tavoli. Venendo, passerà vicino alla drogheria, quindi dille di prendere un paio di bottiglie di granatina; ci basterà fino all’arrivo del camion, domani. Sarò lì tra cinque minuti.»

    J.J. fece un sospiro sonoro. «Grazie, Seth. Sei un eroe, lo sai?»

    Già. Un eroe. Maestro di lavastoviglie difettose e personale assente, poteva superare con un solo salto ubriachi malfermi sulle gambe. Chiuse gli occhi e scosse il capo prima di prendere la felpa con il cappuccio dal gancio sulla porta e infilarla mentre usciva.

    Quattro ore dopo, il bar era chiuso, gli sgabelli erano stati ribaltati sul bancone di mogano, le sedie sui tavoli, il pavimento era stato pulito e il locale odorava di detersivo al pino silvestre. Seth si preparava a uscire per godersi quel poco che restava della notte.

    J.J. era accanto a lui e portava la borsa con l’incasso, che avrebbero messo al sicuro in banca, nella cassetta dei depositi notturni, sulla strada verso il parcheggio d’angolo. La sua zazzera castana ribelle era tenuta prigioniera sotto un vecchio cappellino degli Yankee, logoro e macchiato. Trascinava i piedi mentre camminava con le spalle cadenti. Seth pensò che il ragazzo aveva bisogno di ben altro che un lavoro come apprendista, se voleva farsi strada nella vita.

    Ma in fondo, si disse, chi era lui per giudicare? D’accordo, forse non soffriva di mancanza di autostima come J.J., ma faceva un lavoro che non lo portava da nessuna parte, in una vita che non era altro che un riempitivo, in attesa del grande evento che aveva sempre creduto fosse il suo fato. Era destinato a qualcosa di grosso, lo sapeva. E quella sera si sentiva più vicino che mai.

    A un isolato dalla banca, J.J, stava fischiettando il motivo portante dell’ultimo film di Rocky. Non c’era traffico e il selciato luccicava.

    «Ma ci pensi che ha piovuto e ha smesso mentre eravamo al bar e non ce ne siamo nemmeno accorti?» chiese J.J.

    «Già. The Hole è come un mondo chiuso in se stesso.»

    «Mondo?» gli fece eco J.J. «Noo. Una piccola città, forse. Ancora meglio, è una soap opera chiusa in se stessa. Ne ha tutte le caratteristiche. C’è il vecchio sporcaccione, Henry, che non sa pensare ad altro che al sesso e molesta tutte le donne presenti con la lunghezza del suo pene.»

    «Henry non pensa solo al sesso, J.J. Sta cercando di ricordare che è ancora un uomo. Una pacca sul sedere a una cameriera che gli passa accanto è l’unico modo che gli resta per farlo. Anche se penso che si sentirebbe più uomo se una di loro gli desse uno schiaffo anziché sorridergli e fargli pat pat sulla testa come se fosse uno scherzo e non rappresentasse una vera minaccia. Potrebbero almeno fingersi indignate.»

    J.J. inarcò le sopracciglia. «Non l’avevo mai vista in questo modo. E la signora Brown?»

    «Shauna?»

    «Sì. Sanno tutti che è sposata, eppure viene ogni sera e beve fino a intontirsi, poi ci prova con tutti gli stranieri di passaggio.»

    «Ma non ci finisce mai a letto.»

    «E allora?»

    «Pensaci. È una bella donna, J.J. Se volesse davvero andare a letto con uno straniero, non avrebbe problemi. Non ci prova realmente. Se appena qualcuno mostra un po’ di interesse, si tira subito indietro, finché quello capisce l’antifona e se ne va. Poi continua a bere finché scoppia a piangere e mi dice di chiamarle un taxi.» Seth si strinse nelle spalle. «È infelice e vuole solo sentirsi amata. Se suo marito non si sveglia, immagino che alla fine troverà il coraggio di lasciarlo. Fino ad allora, credo che continuerà a sentirsi infelice.»

    «Tu riesci davvero a leggere nelle persone» osservò J.J. «Che cosa vedi in me, Seth?»

    Seth si strinse nelle spalle e non lo guardò negli occhi perché era una conversazione melensa e poco virile. «Un ragazzo con un grande potenziale. Tu puoi fare qualsiasi cosa voglia, J.J. Devi solo crescere un po’, capisci? Guarda stasera: avresti potuto prendere qualche decisione, risolvere un po’ di problemi da solo e assumerti la responsabilità delle conseguenze, buone o cattive. Invece hai chiamato me per evitare di correre dei rischi.»

    «Perché rischiare se non ci sei costretto?» domandò J.J.

    «Sai come ho fatto a essere promosso, J.J.?» Senza aspettare una risposta, Seth continuò: «Una sera ci fu una crisi seria al bar. Il gestore aveva avuto un attacco di cuore e lo hanno dovuto portare al pronto soccorso. La moglie, che doveva gestire il banco, era andata con lui. La capocameriera li aveva accompagnati in macchina. E poi c’ero io. Sono arrivato e ho preso in mano la situazione. Ho fatto qualche telefonata, ho trovato qualcuno che sostituisse il barman e la cameriera, e ho gestito il bar per tutta la sera facendolo lavorare come un orologio. Subito dopo ho avuto la promozione e un aumento di stipendio. Ecco perché rischiare anche se non ci sei costretto. Chi non risica non rosica, amico».

    J.J. annuì. «Credo di aver capito.»

    La luce del lampione tremolò. In seguito Seth avrebbe pensato che quel tremolio era stato quasi un avvertimento. Ma in quel momento non vi prestò più attenzione di quanta ne diede al brivido che gli risalì lungo la spina dorsale.

    Poi, nella frazione di un secondo, qualcuno gli piombò sulla schiena, sbattendolo sul marciapiede con tanta violenza da spaccargli il mento. Seguì una gragnuola di pugni in testa; il dolore esplose dietro gli occhi. Lo sgomento e la sorpresa gli fecero martellare il cuore, ma riuscì ugualmente a reagire, rotolando su se stesso e liberandosi di quel bastardo; poi si rialzò e si guardò rapidamente intorno.

    J.J. era steso a terra, a faccia in su, e un altro grosso figlio di puttana lo prendeva a calci nelle costole. Seth si lanciò sull’aggressore con tutta la forza che aveva ed entrambi ricaddero di peso nel vicolo.

    Seth atterrò sopra lo sconosciuto ma il suo compagno fu sopra di lui prima che potesse tirare il fiato. Riuscì a gridare: «Corri, J.J. Scappa lontano da qui! Corri!».

    E così fu. Uno dei due gorilla lo sollevò di peso, lo fece girare su se stesso e lo stese nuovamente con un pugno alla mascella. Mentre giaceva supino nel vicolo, ebbe una fugace visione di J.J. che correva a rotta di collo, già a un isolato di distanza. Poi i teppisti furono tutt’intorno a lui, bloccandogli la visuale; ce n’erano quattro, adesso, e sa Dio da dov’erano spuntati fuori gli altri due. Seth non vedeva altro che le loro gambe avvolte in jeans sbiaditi e stracciati, che pendevano flosci, e le punte degli scarponi da lavoro scamosciati, senza lacci, con le linguette in fuori.

    «Dammi la busta dei soldi, stronzo» disse uno di loro.

    Seth fece un lento sorriso, ma smise subito per il dolore. Immaginò di avere il labbro spaccato e forse anche la mascella incrinata. Non aveva intenzione di dire a quei bastardi che era J.J. ad avere in custodia la borsa. Non ancora. Doveva dare al ragazzo il tempo di allontanarsi. In ogni caso pensava di essere ormai spacciato. «Perché non ve la prendete da soli?» chiese.

    «Con piacere.»

    Allora cominciò il vero pestaggio. E non c’era un dannato accidenti che Seth potesse fare. Cercò di assestare qualche colpo, di parare i pugni e calci con le braccia, ma alla fine era ridotto molto male e sanguinava troppo per fare di più che raggomitolarsi come un gambero bollito e aspettare che si stancassero.

    Dopo un po’ si domandò se fosse quello il momento di gloria a cui aveva sempre saputo di essere destinato. Forse l’unico scopo della sua vita era quello di trovarsi lì quella sera, per permettere a J.J. di salvarsi. Forse era J.J. che era destinato a qualcosa di grande, dopo tutto. Forse avrebbe finito per diventare presidente o qualcosa del genere. E Seth era solo una pedina da sacrificare per un bene più grande.

    Dannazione. Aveva sempre pensato che ci sarebbe stato qualcosa di più. E il suo rammarico più grande era lei, la ragazza che sognava da tanto tempo. Poteva davvero morire senza averla mai incontrata di persona? Non sembrava possibile, ma in quel momento era altamente probabile.

    Dopo aver sondato per bene l’ambiente dei vampiri, l’unica traccia che Reaper aveva trovato per risalire a Gregor era una ricca vampira viziata che si faceva chiamare Topaz. Viveva in una grande casa a Emerald Isle, nella Carolina del Nord, e correva voce che recentemente avesse perso gran parte delle sue ricchezze per colpa di un vampiro truffatore che le aveva spezzato il cuore. Nessuno conosceva il suo nome, ma la descrizione corrispondeva a quella del braccio destro di Gregor. Il modus operandi era lo stesso, il luogo rientrava nella loro area d’azione abituale, e Reaper era abbastanza sicuro che il suo istinto non si sbagliasse. L’artista del raggiro doveva essere il vampiro noto come Jack di Cuori. E se trovava Jack, avrebbe trovato Gregor e il resto della banda.

    Così era diretto a Emerald Isle, quando venne colpito da una sensazione. Dapprima fu una specie di energia nervosa, una stretta allo stomaco, una contrazione muscolare, un’ondata di adrenalina. Fuggi o combatti. Ma non c’era alcun motivo. Non era in pericolo.

    No, ma qualcuno lo è.

    Avvertì un dolore. Un dolore atroce. Ma non era suo.

    Poi intuì l’essenza nascosta, l’aura che avvertiva ogni volta che un suo simile veniva a contatto con uno di loro oppure aveva bisogno d’aiuto. Le sensazioni venivano da uno dei Prescelti.

    E non uno qualsiasi, ma il suo. Seth Connor. Il giovane era in difficoltà. E Reaper si sentì rivoltare lo stomaco, suo malgrado. Il ragazzo si cacciava sempre nei guai, di un tipo o di un altro, ma il dolore che provava ora... Questo non era un danno da poco.

    «Accidenti, di tutti i momenti...» Reaper roteò gli occhi e si disse che Seth si stava dimostrando proprio una seccatura, esattamente come aveva detto a Rhiannon. Tuttavia, abbandonò tutto quello che stava facendo per accorrere in suo aiuto. Si ricordò che non aveva scelta. Non aveva mentito quando aveva detto a Rhiannon che era costretto, come tutti i vampiri, a proteggere gli umani come Seth e a vegliare su di loro. Se avesse potuto ignorare la chiamata, pensò con determinazione, avrebbe continuato a guidare.

    Già. E chi credi di prendere in giro, Reaper?

    Così obbedì al bisogno istintivo di raggiungere il giovane e di farlo il più presto possibile. Imboccò un’uscita, seguendo i propri sensi, la propria intuizione, e, mentre si avvicinava, si rese conto che era un bene che l’avesse fatto.

    Avvertì lì vicino il respiro gelido della lugubre mietitrice e seppe che Seth, l’umano che gli era stato affidato, era prossimo alla morte. Arrestò l’auto, balzò fuori, si voltò e corse, muovendosi così veloce da essere invisibile agli occhi umani. Pochi istanti dopo era all’imbocco di un vicolo, dove quattro uomini stavano prendendo a calci e pugni un quinto che giaceva al suolo, rannicchiato inerte su se stesso.

    Reaper non parlò, agì. Il primo colpo mandò uno degli uomini a schiantarsi contro il muro, dove staccò un pezzo di mattone nel punto in cui lo colpì con la testa. Afferrò il secondo per la collottola e lo fece volare in aria, senza curarsi di dove atterrasse, anche se si udì un rumore di vetri rotti. Agguantò il terzo per i capelli e gli sbatté la faccia contro il suolo. Poi sferrò un calcio al plesso solare del quarto, spaccandogli probabilmente l’intestino. E tutto nel giro di un paio di secondi, forse meno.

    Infine si inginocchiò accanto al ragazzo e sentì una stretta allo stomaco mentre si piegava su di lui. Il volto di Seth era stato malamente pestato ed era ricoperto di sangue. Gli occhi erano gonfi e violacei, il naso rotto, le labbra spaccate, la mascella disarticolata. Nemmeno sua madre l’avrebbe riconosciuto, ma Reaper sì. Conosceva il suo odore, la sua essenza. La sua energia frustrata, inquieta.

    Per quanto detestasse i contatti fisici, non c’era altro da fare in quel momento. Fece scivolare un braccio sotto le spalle di Seth e gli sollevò il capo dal cemento del vicolo dove giaceva. Il corpo era fratturato come il viso, ma non si vedeva a occhio nudo.

    «J.J. è riuscito a fuggire?» domandò il giovane. La voce era roca e flebile.

    Reaper socchiuse gli occhi, poi sondò la mente di Seth e osservò la scena spiegarsi attraverso la sua memoria. L’aggressione. L’altro, più giovane di lui, J.J., che veniva picchiato. Vide quello che aveva fatto Seth, attirando su di sé gli assalitori per consentire la fuga a J.J. Sarebbe potuto scappare facilmente lui stesso, ma era rimasto ad affrontarli. Reaper sentì che J.J. era riuscito a mettersi in salvo. «Sì, è al sicuro» disse.

    Seth chiuse gli occhi con un sospiro. «Ne sono felice.»

    Stava morendo. Oppure no. La decisione era sua.

    «Apri gli occhi, Seth» gli disse Reaper. «Ho bisogno di parlarti.»

    Seth non sapeva bene se fosse vivo o morto. Il dolore si stava attenuando e tutto sbiadiva. Gli pareva di allontanarsi sempre di più da tutto quello che era reale. Poi una voce insistente, una voce maschile che gli era stranamente familiare, si fece strada attraverso un sentiero lungo e tortuoso dall’orecchio fino al cervello.

    «Apri gli occhi, Seth. Ho bisogno di parlarti.»

    Cercò di obbedire – qualcosa in quella voce lo spingeva a farlo – ma non poteva. E dopo tutto non lo voleva abbastanza. Stava sognando ancora di lei. Era così reale, questa volta. Poteva

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