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Confessioni a luci rosse: Harmony Privé
Confessioni a luci rosse: Harmony Privé
Confessioni a luci rosse: Harmony Privé
E-book237 pagine3 ore

Confessioni a luci rosse: Harmony Privé

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Info su questo ebook

Tu miri soltanto ai suoi soldi, e io lo dimostrerò.
Lui non immaginava che la ricerca della verità sarebbe stata così eccitante.

La bellissima e provocante Summer Love è a caccia dei soldi di suo nonno. L'avvocato Tate Carson ne è convinto ed è deciso a dimostrare che lei è una bugiarda, anche se per farlo è costretto a raggiungerla a St. Moritz. Lì, tra chalet di lusso e piste romanticamente innevate, anche Tate cade vittima del suo incantesimo. Una magia fatta di sguardi, mani che seducono, lenzuola sgualcite. Ora il corpo di Summer rappresenta per lui l'ultima tentazione: arrendersi al canto di questa eccitante sirena potrebbe voler dire conoscere finalmente la verità... o perdersi per sempre.
LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2019
ISBN9788830504127
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    Anteprima del libro

    Confessioni a luci rosse - Cathryn Fox

    successivo.

    1

    Tate

    «Dimmi che stai scherzando.»

    Le dita nodose del nonno si serrano intorno al bicchiere di cristallo sfaccettato che ha sollevato, quasi volesse fare un brindisi. Le rughe scavate dal tempo intorno agli occhi vispi si accentuano mentre mi sorride. «Mai stato così serio, figliolo» dice. E ingolla il liquido ambrato in un'unica, ricca sorsata.

    Mi alzo dalla poltrona di morbida pelle scura, sconvolto dal motivo per cui il nonno mi ha chiesto di passare un momento da lui dopo una lunga settimana trascorsa a sistemarmi nel nuovo ufficio. Pensavo che ci saremmo scambiati le ultime, reciproche novità, su tutto quello che mi sono perso nel periodo in cui ho esercitato a Boston prima di decidere di tornare a Manhattan, per stargli più vicino. Invece continuo a sedermi e a rialzarmi, a camminare su e giù per la stanza e a fermarmi di scatto, lambiccandomi il cervello per comprendere i motivi dell'inaspettata richiesta che mi ha appena fatto.

    Niente di trascendentale, per un avvocato. Un trasferimento di proprietà. A titolo gratuito, però. Una donazione, quindi. E non di un infimo sottoscala, o di uno sperduto pezzetto di terra: di metà del suo patrimonio immobiliare a Manhattan. A favore di una certa Summer Love.

    «Non è niente male» dice il nonno, e prende la polaroid incorniciata dal tavolino di mogano del suo studio. Lancio una sbirciatina alla foto. Cavoli! È da quando sono arrivato, cioè almeno trenta minuti, che il nonno la fissa con quella faccia beota da adolescente alla prima cotta.

    Possibile che si sia preso una sbandata? O peggio ancora, si sia innamorato? Di Summer Love?

    Che razza di nome, poi...!

    «Che pensi, figliolo?»

    Penso che ha un terzo della sua età, tanto per cominciare. E che potrebbe essere sua nipote. Che diavolo gli è saltato in testa? Scuoto il capo, mentre le dita deformate dall'artrite sollevano la fotografia per farmela osservare da vicino.

    Non è ben centrata: l'inquadratura taglia a metà il viso del nonno e parte del mento della ragazza. Fisso la bocca carnosa, appena imbronciata, il viso acqua e sapone, gli enormi occhi scuri da cerbiatta e i capelli color caramello raccolti alla meglio sopra la testa.

    A chi diavolo verrebbe in mente di farsi un selfie con una Polaroid?

    Infilo le mani nelle tasche dei pantaloni in frescolana e giro intorno all'enorme scrivania del nonno. Ancora incredulo, considerando la richiesta che mi è stata fatta, emetto un suono strano, una via di mezzo tra un colpo di tosse e una risata. Mi allungo verso la finestra e guardo fuori. C'è un gran viavai di gente sotto di noi sui marciapiedi della Sessantaquattresima. Fredde sferzate di vento sollevano i cappotti e spingono i passanti, che devono mantenersi i cappelli in questa gelida giornata di dicembre.

    «Dai, bevi un goccio anche tu. Brindiamo insieme.» La voce del nonno, zuccherosa fino a un attimo fa, si è fatta grave. Seria.

    Perplesso, sfilo una mano dalla tasca e me la passo tra i capelli... decisamente troppo lunghi. Quant'è che non vado dal barbiere? È che ho avuto così tante cose da fare di recente...

    Ho traslocato la settimana scorsa, e ho dovuto risistemare tutte le mie cose nel nuovo appartamento di Manhattan, per non parlare del riallestimento dello studio: se non ci sono intoppi, contiamo di riaprire e di essere operativi subito dopo le vacanze di Natale. Con l'altra mano mi liscio la cravatta, un'abitudine che ho preso dal nonno prima ancora di cominciare a indossare la giacca per andare al lavoro.

    «Sì, perché no?» accetto, alla fine.

    La verità è che ho bisogno di bere qualcosa che mi aiuti a buttare giù e a digerire questa novità sconcertante. Ma non ho intenzione di brindare al fatto che mio nonno abbia deciso di regalare metà del suo patrimonio a un'emerita sconosciuta che gli ha fatto perdere la testa.

    Crede di aver fatto il colpaccio, la pollastra. Ma si sbaglia di grosso. Raggiungo il mobile bar, mi verso due dita di brandy e me le scolo tutte d'un fiato; il liquido mi brucia la gola, scendendo fino allo stomaco. Sbatto il bicchiere sul mobile con più forza del necessario e mi giro a guardare il nonno.

    Che sorride, sornione. «È stupenda. Non trovi anche tu, James?» chiede, rivolgendosi a me col mio secondo nome. Lo ha sempre preferito a Tate. Forse perché anche lui si chiama James, e gli piace l'idea di un nipote che tramandi quel nome alle future generazioni.

    Alla mia nascita, mia madre invece puntò i piedi e volle chiamarmi come suo padre, che era mancato pochi mesi prima.

    Il pensiero di mia madre, come sempre, finisce per aggrovigliarmi lo stomaco. Se ne andò che non avevo dieci anni, accettando un generoso assegno da mio padre in cambio di non accampare mai nessun genere di pretese nei miei confronti. La bile mi sale alla gola ogni volta che penso a quella donna capace di preferire il denaro a suo figlio.

    Forse, mi dico, era l'unico modo per evitare le trappole di un contratto prematrimoniale. E in fin dei conti, è stato meglio per me restare con chi mi voleva.

    Ricacciando questi avvilenti pensieri nei meandri più reconditi della mia mente, torno ad attraversare lo studio e mi adagio sul bracciolo della poltrona di fronte al nonno. Traggo un lungo respiro e lo esalo lentamente. «Nonno» comincio, poi serro i denti. Come diavolo faccio a dirgli senza ferirlo che quella ragazza sta solo cercando si spillargli un bel po' di soldi?

    Quello che ho di fronte è un uomo che ha lavorato sodo tutta la vita, che dal niente è riuscito a diventare un gigante di Wall Street. Un uomo di saldi principi morali, che è sempre stato un esempio per me e per mio padre, per i miei zii e i miei cugini; ci ha insegnato il senso del sacrificio e dell'impegno.

    A nessuno dei suoi figli, dei suoi nipoti, è mai stato regalato niente. Se vuoi qualcosa, ci ha sempre detto, devi sudartela. E meritartela.

    Certo, ho avuto il privilegio di studiare nelle scuole migliori, ma il nonno ha sempre insistito perché mi trovassi qualche lavoretto nel tempo libero.

    Ad Harvard, al primo anno di legge lavavo i piatti nel pub del campus, e poi passai dietro il banco, a spillare birra. Devo molto a quest'uomo, e l'ultima cosa che vorrei è sbattergli in faccia una realtà indigesta quando pensa di essersi innamorato... di un'imbrogliona.

    La cornice gli sfugge di mano, e quando si china a raccoglierla improvvisamente mi rendo conto che è smagrito. Il pesante cardigan grigio gli si appende sulle spalle e rimane largo sui fianchi anche quando si risiede. Se lo sistema alla meglio, ma non può nascondere l'evidenza: non sta bene. Maledizione! Avrei dovuto rientrare a New York molto prima; forse avrei potuto impedire a questa furbacchiona di prendere all'amo un vecchio milionario in fin di vita.

    «Come vi siete conosciuti?» gli chiedo, con un gran nodo che mi serra la gola.

    Lui mi strizza l'occhiolino. «In ospedale.»

    «In ospedale?» Mi raddrizzo e torno ad alzarmi. «E che ci faceva in ospedale?»

    «Niente. Mi ha tenuto la porta aperta.»

    «Tutto qui?» Uhm... una coincidenza? E fino a che punto? Mi massaggio la base della nuca, sentendo arrivare i sintomi di quella che si prospetta come una feroce emicrania. La tensione si avverte in tutti quanti i muscoli del mio corpo, che si irrigidiscono. «È così che vi siete conosciuti?»

    «Sì.»

    Guardo mio nonno inclinando il capo; lo fisso negli occhi e cerco di interpretare ogni suo gesto, ogni sua espressione.

    Non me la conta giusta.

    C'è qualcosa che non mi ha detto. Il nipote in me lo sospetta, l'avvocato ne è certissimo. «E come mai era in ospedale?»

    Il nonno tentenna e io mi massaggio l'attaccatura del naso, immaginando questa Summer Love che bazzica davanti all'uscita del reparto geriatria, in attesa di veder spuntare il prossimo pollo da spennare. Se va a caccia di soldi, col nonno ha fatto davvero il colpaccio.

    Ma Santo Iddio, che genere di donna è capace di certe bassezze?

    Una donna avida.

    Un'astuta calcolatrice.

    Una bugiarda patentata.

    «E lavora in ospedale, quindi?» domando.

    Una mano ossuta si solleva e smuove l'aria, come per scacciare una mosca fastidiosa. «Cos'è, un interrogatorio? Ti piacerà, James. Aspetta di incontrarla. Sono sicuro che voi due vi intenderete a meraviglia.»

    Sarà, ma ho i miei dubbi.

    Una collera sorda mi accende il sangue e devo fare uno sforzo sovrumano per contenerla. In passato, il nonno si è sempre preoccupato di stilare patti prematrimoniali a prova di bomba. Perché stavolta vuole fare diversamente? Per la miseria, non ha ancora sposato questa Summer Love e già è pronto a intestarle metà del suo patrimonio.

    Deve essersi bevuto il cervello. Non c'è altra spiegazione.

    «È tanto che la conosci?»

    «Abbastanza da volere che entri a far parte della famiglia.» James distoglie lo sguardo e lo punta al di là della mia spalla, per fissare... la libreria che occupa tutta la parete dello studio.

    Perché mai è così evasivo?

    Mi alzo e mi sposto accanto ai libri; faccio scorrere una mano sulla mensola che raccoglie preziosi tomi rilegati in pelle. L'odore di quei vecchi volumi mi riporta inevitabilmente ai pomeriggi trascorsi a studiare nella biblioteca di Harvard.

    «Ne hai parlato con papà? Che ne pensa?» Mi volto, tornando ad affrontare il nonno. No, non gli permetterò di commettere questa pazzia.

    Lui si stringe nelle spalle sottili. «Pensa che sia un'ottima idea.»

    Strabuzzo gli occhi, incredulo. Impossibile che mio padre abbia dato la sua approvazione. A meno che, non si sia bevuto il cervello anche lui. E purtroppo non posso chiamarlo per accertarmi che sia nel pieno possesso delle sue facoltà mentali: è a Bali, a trascorrere la sua quarta luna di miele con una ragazza che ha la metà dei suoi anni in un resort esclusivissimo. Conoscendolo, avrà staccato il telefono.

    Sia mio padre che il nonno hanno al loro attivo una sfilza di mogli più giovani; solo che stavolta il nonno sembra aver davvero esagerato. E comunque, mio padre ha avuto il buonsenso di far firmare alla pollastra di turno un accordo patrimoniale prima di farsi mettere una fede al dito.

    Torno a scrutare il nonno: i bianchi capelli diradati, il viso scavato. La ragnatela di rughe intorno agli occhi azzurri, più acquosi di un tempo ma sempre vividi, mentre di nuovo volge lo sguardo sulla Polaroid.

    Non voglio fargli scoppiare in faccia questa bolla di sapone, giuro, ma non gli permetterò di dar via così il lavoro di tutta una vita, se posso impedirlo. Non sono solo suo nipote: sono il suo avvocato, il professionista con cui si consulta prima di concludere un affare, e ho l'obbligo morale, oltre che personale, di tutelare i suoi interessi.

    «Quando me la presenti?»

    Il nonno solleva il capo, e per un istante mi sembra di veder balenare una luce nei suoi occhi: una luce che mi ricorda l'uomo scaltro, forte e deciso di un tempo. Ma dura solo un'infinitesima frazione di secondo. Sul suo viso appare una smorfia triste. «È in vacanza a Saint Moritz. Non rientra prima di sette giorni.»

    Ma certo, in vacanza a Saint Moritz, dove il nonno possiede una mezza dozzina tra alberghi e chalet di lusso. Io stesso ci andavo spesso a sciare, durante le vacanze invernali; e naturalmente lavoravo anche lì, nel bar di uno degli alberghi. Come altro avrei potuto imparare il valore del denaro e del lavoro?

    «E alloggia in uno dei tuoi alberghi?» incalzo.

    «Basta con le domande.» Si drizza in piedi per andare a riempirsi il bicchiere, ma il suo rifiuto di rispondere alla mia domanda la dice lunga. La ragazza è ospite di uno dei suoi alberghi. E niente di più probabile che sia stato il nonno a pagarle anche il viaggio in aereo, di andata e ritorno.

    Mi sfilo il cellulare dalla tasca e digito il nome Summer Love su Google. Poi sui vari social.

    Non viene fuori niente.

    Com'è possibile? Una ragazza di ventisette, ventotto anni al massimo che non bazzica i social? Io ho un profilo su Istagram e sono su Twitter, anche se non posto quasi mai niente. Certo, una che di mestiere frega soldi alla gente deve essere anche abbastanza furba da non lasciare tracce dietro di sé.

    Agitato più di quanto vorrei, mi allontano dallo scaffale e ricomincio a misurare la stanza a grandi passi. Sì, questo è il motivo per cui tengo alla larga le donne. Tra mio padre e mio nonno, nel corso degli anni ho visto andare e venire tante di quelle zie da imparare un'importante lezione: non è all'uomo che mirano le donne, ma al suo conto in banca.

    Mia madre? Non era diversa.

    No, dico, ma è possibile che siano tutte così? Che non se ne salvi nemmeno una, capace di provare dei sentimenti veri, profondi? Qualcuna per cui le persone contino più del denaro?

    Be', ammesso che esista una donna di questo genere, di certo non frequenta i miei stessi ambienti.

    E comunque, mettere la testa a partito è l'ultimo dei miei desideri.

    Il sesso? Come no? Ma solo una bella scopata ogni tanto, tanto per gradire. Niente promesse, niente legami. Sono queste le regole a cui mi attengo; regole che mi proteggono come una corazza.

    Ora però non è di me che devo preoccuparmi: ho cose più importanti da risolvere. Cose come la salute mentale di mio nonno e smascherare le vere intenzioni di un'imbrogliona che risponde al nome di Summer Love. Non me ne starò a guardare mentre quella donna allunga le mani sui sudati milioni della mia famiglia.

    «Quanto ti ci vorrà per preparare tutti i documenti?» chiede il nonno, sistemandosi più comodo sulla poltrona. E di nuovo ha quella strana luce negli occhi. «Quando Summer torna a New York, voglio farle una sorpresa.»

    Mi strofino il mento prendendo tempo, mentre un piano comincia a prendere forma nella mia mente. Socchiudo gli occhi, rendendomi conto che la mia idea diventa sempre più nitida. A prima vista, sembrerebbe ridicola. Ma si sa: a mali estremi, estremi rimedi. «Dovrei farcela in una settimana» lo informo.

    Giusto il tempo di recarmi a Saint Moritz, sedurre Summer Love. E costringerla a venire allo scoperto.

    Smascherarla, sì, questo il mio obiettivo.

    La missione da portare a compimento.

    2

    Summer

    «Io non mi muovo di qui» sbuffo, senza riuscire a nascondere il nervosismo mentre fisso la cima della collina innevata e mi chiedo come farò a scendere a valle senza spezzarmi l'osso del collo.

    «È poco più che un dosso» minimizza Amber, tirandosi il guanto impermeabile coi denti e poi sistemandoselo intorno al polsino della giacca a vento. «Ce la farai benissimo. A lezione te la sei cavata egregiamente.» Mi da una sgomitata per smuovermi, e ci manca poco che non finisca per terra. Sì, be', dovrei scendere senza problemi giù per la montagna su due pezzi di plastica spalmati di sciolina quando non riesco nemmeno a reggermi in piedi su questi stupidi scarponi!

    Amber punta un dito per terra. «Che aspetti? Aggancia gli sci e raggiungiamo Cara.»

    Sbuffo e socchiudo gli occhi per mettere a fuoco il puntolino che si allontana in quella fredda distesa bianca e sono quasi tentata di scaraventargli contro una delle mie bacchette: che invidia! Cara procede spedita senza apparentemente fare il minimo sforzo!

    Adoro le mie amiche, giuro. Sono nate e cresciute negli Hampton ed erano già molto legate, quando le ho conosciute ad Harvard. Fresca di iscrizione al primo anno di medicina, era la prima volta che mi allontanavo da Brooklyn e da mio padre: mi sentivo sola, e spaesata.

    Loro mi accolsero subito nella loro comitiva.

    E da allora, non ci siamo più separate.

    Non c'è assolutamente niente che non farei per loro, ed è questo il motivo per cui mi trovo sulle ripide pendici di una montagna innevata a Saint Moritz, pronta a rischiare la frattura di un femore. O un trauma cranico.

    Mi guardo intorno. «E se invece ci facessimo un bel giro in slitta?»

    «Neanche per sogno.» Amber sistema gli scarponi negli sci e fa scattare l'aggancio.

    «Perché mi sono fatta convincere a venire qui quando potevo starmene ad arrostire sotto il sole dei Caraibi?» borbotto, e il mio fiato caldo si trasforma in una nuvoletta di vapore davanti al mio naso.

    Amber ride. «Perché per venire qui non abbiamo sborsato un centesimo.» Strizza l'occhiolino. «Un gentile omaggio del tuo nuovo amichetto.»

    «James non è il mio amichetto» puntualizzo piantandomi un pugno su un fianco, anche se so che Amber scherza. Solo che James è davvero generoso, e con me in modo particolare:

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