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Sei secondi (eLit): eLit
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E-book430 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Il conto alla rovescia è iniziato.

Un intreccio ad altissima tensione.
Un evento destinato a entrare nella Storia.
Un uomo e una donna uniti in una strenua lotta contro il terrore.

Irak.
Una donna perde il marito e il figlio. Poco dopo salva la vita di un americano. Credendo che lui possa aiutarla nel suo desiderio di vendetta, lo accompagna nel suo ritorno a casa, negli Stati Uniti.

California.
Una madre va a prendere il figlio a scuola, ma scopre che suo marito è arrivato prima ed è scomparso senza lasciare notizie.

Montagne Rocciose.
Un poliziotto recupera da un torrente in piena una bambina che spira tra le sue braccia pronunciando poche, misteriose parole. L'uomo si lancia in un'indagine che lo conduce in una scuola dove è iniziato il conto alla rovescia per un evento che riscriverà la Storia...

Tre sconosciuti intrappolati in un disegno destinato a cambiare il mondo in soli sei secondi...
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2018
ISBN9788858987766
Sei secondi (eLit): eLit
Autore

Rick Mofina

Dopo una lunga esperienza come cronista e inviato di guerra per importanti testate americane, Rick Mofina si è dedicato alla scrittura di thriller che si sono imposti all'attenzione di pubblico e critica per le trame impeccabilmente costruite e per le ambientazioni particolarmente efficaci.

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    Anteprima del libro

    Sei secondi (eLit) - Rick Mofina

    PROLOGO

    La donna del video indossa un hijab bianco, delicatamente ricamato di perline. La candida sciarpa di seta le incornicia il volto, accentuandone la naturale bellezza. Fa un cenno con il capo alla telecamera.

    Si sente un lieve segnale, poi comincia.

    «Mi chiamo Samara. Non sono una jihadista. Sono una vedova e una madre macchiata dal sangue di mio marito e di mio figlio il giorno in cui i vostri governi li hanno assassinati.»

    La voce chiara e intelligente sottolinea la sua determinazione, con un accento che fa pensare a un misto tra il Medio Oriente e l'est di Londra. Gli occhi bucano lo schermo, mentre la telecamera indietreggia lentamente. Parla direttamente al pubblico che presto la vedrà sui televisori di tutto il mondo.

    Rimane in silenzio per un attimo. Le mani incrociate davanti a sé sopra un semplice tavolo di legno. Gli anelli al pollice e al medio brillano. La telecamera allarga il campo, rivelando la fotografia incorniciata di una famiglia, un uomo, un bambino e la stessa donna. Sorridono. Gli occhi della donna si riempiono di gioia. Perché è un ritratto di se stessa in un'altra epoca. Un'altra vita. È vicino a lei come una lapide sulla sua felicità e un testimone del suo destino.

    Per condividere il dolore.

    Non è una dichiarazione preparata per gli esperti dei servizi segreti che analizzeranno il messaggio. Nessun lancia-granate in bella mostra davanti a lei. Nessun AK-47 al suo fianco.

    Nessun verso tratto dal testo sacro.

    Non si vedono bandiere nere e dorate sui muri alle sue spalle. Niente tappeti, né stoffe. Lo sfondo è semplice, solamente uno specchio ad angolo.

    Nulla suggerisce dove si trovi la donna, né chi la stia aiutando. Potrebbe essere in una casa protetta in Cisgiordania. O Atene. Forse Manila, Parigi o Londra. Magari Madrid, o Casablanca.

    Oppure in un quartiere di periferia negli Stati Uniti.

    «I vostri soldati hanno fatto irruzione in casa mia, torturato mio marito e mio figlio. Li hanno obbligati ad assistere mentre mi violentavano, uno dopo l'altro. Poi li hanno uccisi davanti ai miei occhi. Se ne sono andati solo quando i bombardieri hanno cominciato a colpire a morte la mia città. Ho portato il corpo di mio figlio attraverso le macerie sulla riva del fiume Eden e lì l'ho sepolto, insieme a mio marito e alla mia vita. Ma sono resuscitata per ottenere giustizia per questi crimini.

    «Ed è per questi crimini che vi porto la mia ira di madre. A causa di questi crimini, conoscerete la morte.

    «La mia morte non è una fine. La mia morte è una promessa mantenuta. Avrò vendicato la distruzione del mio mondo portando la morte nel vostro. La morte sarà il mio premio, perché mi ricongiungerò con mio marito e mio figlio in paradiso. Per loro, mi faccio martire. Sarò la loro vendicatrice.»

    CAPITOLO

    1

    Blue Rose Creek, California

    Maggie Conlin uscì di casa credendo a una bugia.

    Reputava che la sua vita fosse tornata quella di un tempo. Che i problemi che affliggevano la sua famiglia fossero finiti, che Logan, il figlio di nove anni, avesse superato i traumi che l'Iraq aveva portato nella loro esistenza.

    Ma la verità s'insinuò nella sua mente mentre guidava per andare al lavoro.

    Le ferite - quelle invisibili - non erano guarite.

    La mattina, mentre aspettavano l'autobus della scuola, le era parso che Logan fosse a disagio.

    «Tu vuoi bene a papà, vero mamma?»

    «Assolutamente. Con tutto il cuore.»

    Logan guardò a terra e diede un calcio a un sassolino.

    «Cosa c'è?» gli chiese.

    «Penso che potrebbe succedere qualcosa di brutto. Che possiate divorziare.»

    Maggie gli strinse le spalle. «Non stiamo per divorziare. È comprensibile che tu sia confuso. Questi ultimi mesi, da quando papà è tornato a casa, non sono stati facili. Ma il peggio è passato, vero?»

    Logan fece un cenno con la testa.

    «Io e papà staremo sempre qui, insieme in questa casa. Sempre. D'accordo?»

    «D'accordo.»

    «Ricordati, vengo a prenderti dopo la scuola per andare in piscina. Non prendere l'autobus.»

    «D'accordo. Ti voglio bene, mamma.»

    Logan la strinse così forte da farle male. Poi saltò sull'autobus, la salutò con la mano e le sorrise dal finestrino prima di sparire all'orizzonte.

    Mentre si recava al Centro Commerciale Liberty Valley Promenade, Maggie rifletteva sui suoi problemi guidando per le strade di Blue Rose Creek, una città di circa centomila abitanti, vicina alla Contea Riverside. Parcheggiò la Ford Focus e timbrò il cartellino da Stobel and Chadwick, dove era libraia associata da diversi anni.

    La mattinata trascorse tra le telefonate ai clienti, l'assistenza a quanti cercavano determinati titoli, i suggerimenti per idee regalo e il rifornimento della sezione bestseller. Tuttavia, nonostante la mole di lavoro, Maggie non riusciva a sfuggire alla verità.

    La sua famiglia era stata colpita da eventi impossibili da controllare.

    Suo marito Jake era un camionista. Negli ultimi anni il suo tir si era guastato frequentemente e le fatture si accumulavano. Faticavano a far quadrare i conti. Per risolvere la situazione, Jake aveva accettato un lavoro come autista in Iraq, ben pagato ma rischioso. Maggie non avrebbe voluto lasciarlo andare, ma avevano bisogno di soldi.

    Al suo ritorno a casa, pochi mesi dopo, era un uomo cambiato. Spesso di cattivo umore, sfiduciato, paranoico e con improvvisi scatti d'ira.

    Gli era successo qualcosa in Iraq, ma si rifiutava di parlarne e anche di chiedere aiuto.

    Era tutto passato?

    I debiti erano pagati ed erano riusciti a mettere dei soldi in banca. Jake aveva nuovi incarichi a lungo tragitto e sembrava sereno, quindi Maggie pensò che forse il peggio fosse passato.

    «Telefonata per te, Maggie» disse la voce che veniva dall'altoparlante. La prese nella postazione vicina alla sezione di Storia dell'Arte.

    «Maggie Conlin. La posso aiutare?»

    «Sono io.»

    «Jake? Dove sei?»

    «Baltimora. Lavori tutto il giorno oggi?»

    «Sì. Quando pensi di tornare a casa?»

    «Torno in California nel weekend. Come sta Logan?»

    «Gli manchi.»

    «E a me manca lui. Tantissimo. Mi farò perdonare quando torno a casa.»

    «Manchi anche a me, Jake.»

    «Senti, devo andare ora.»

    «Ti amo.»

    Non le rispose e in quel silenzio, reso più pesante dalla distanza che li separava, Maggie capì che Jake era ancora aggrappato alla falsa convinzione che lei lo avesse tradito quando era in Iraq. In piedi vicino alla scrivania, desiderò che l'uomo di cui si era innamorata tornasse da lei. «Ti amo e mi manchi, Jake.»

    «Devo andare.»

    Per due volte quel pomeriggio, Maggie sentì il bisogno di rifugiarsi nel magazzino, e trattenere le lacrime.

    Dopo il lavoro, Maggie raggiunse in fretta la scuola di Logan, nonostante il traffico. Gli ultimi autobus stavano lasciando il parcheggio mentre trovava posto.

    Si registrò e andò verso la classe riservata ai bambini in attesa. Eloise Pearce, l'insegnante responsabile, era lì con due bambini e due bambine. Logan non c'era. Forse era in bagno?

    «Signora Conlin?» le sorrise Eloise. «Cosa fa qui? Logan non c'è.»

    «Non c'è? Che significa non c'è?»

    «Sono venuti a prenderlo prima.»

    «Ma no, si sbaglia!»

    Eloise le spiegò che l'uscita di Logan era stata registrata la mattina dalla segreteria. Maggie tornò velocemente indietro e suonò il campanello così forte da attirare l'attenzione della segretaria e del vicepreside, Terry Martens.

    «Dov'è mio figlio? Dov'è Logan Conlin?»

    «Signora Conlin» disse il vicepreside mentre mostrava il registro a Maggie. «È venuto a prenderlo il signor Conlin stamattina.»

    «Ma Jake è a Baltimora. Gli ho parlato al telefono poche ore fa.»

    Terry Martens e la segretaria si scambiarono uno sguardo.

    «Era qui stamattina, Signora Conlin» le disse il vicepreside. «Ha detto che c'era stato un imprevisto e che lei non sarebbe potuta venire all'uscita da scuola.»

    «Cosa?»

    «Va tutto bene?»

    Maggie respirava affannosamente tentando di chiamare il cellulare di Jake mentre correva verso la macchina. Dopo diversi squilli la telefonata fu trasferita alla segreteria telefonica.

    «Jake richiamami per favore e dimmi cosa sta succedendo! Per favore!»

    Ogni semaforo rosso le sembrava eterno. Chiamò a casa, c'era la segreteria telefonica e lasciò un altro messaggio per Jake. Quando giunse nel suo quartiere, Maggie pensò di chiamare la polizia.

    E che cosa potrei dire?

    Meglio andare prima a casa. Cercare di capire. Forse aveva frainteso e li avrebbe trovati lì. E se Jake era a Blue Rose Creek, perché avrebbe detto di essere a Baltimora? Perché le avrebbe mentito?

    Giunta nella sua strada, Maggie si aspettò di vedere il camion di Jake davanti casa.

    Non c'era.

    Sgommò con la macchina nel vialetto, si precipitò alla porta e infilò la chiave nella serratura.

    «Logan!»

    Lo zainetto di Logan non era nell'ingresso. Maggie andò nella sua stanza. Non era nemmeno lì. Corse per tutta la casa, cercando affannosamente.

    «Jake! Logan!»

    Chiamò ancora il cellulare di Jake.

    E continuò a chiamare.

    Poi chiamò la maestra di Logan, i suoi amici. Nessuno sapeva o aveva sentito nulla. Si precipitò alla porta del signor Miller, ma il vecchio idraulico era stato fuori casa tutto il giorno. Chiamò il maestro di nuoto di Logan e l'officina che normalmente riparava il camion di Jake.

    Nessuno aveva sentito niente.

    Stava forse diventando pazza? Non era possibile viaggiare da Baltimora alla California in mezza giornata. Jake aveva detto di essere a Baltimora.

    Mise anche a soqquadro la scrivania di Jake senza sapere cosa stesse cercando.

    Chiamò la compagnia telefonica del cellulare per sapere se fosse possibile rintracciare la chiamata. Scelse con cura le parole per convincerli a controllare, ma si sentì dire che quel telefono non veniva utilizzato da due giorni.

    Verso sera, chiamò la polizia.

    La centralinista cercò di calmarla. «Signora, emetteremo una descrizione del camion e del numero di targa. Controlleremo tutti gli incidenti stradali. Per adesso, questo è tutto ciò che possiamo fare.»

    Era ormai notte e Maggie aveva perso la cognizione del tempo e il conto delle telefonate che aveva fatto. Sempre stringendo il telefono in mano, scattava verso la finestra ogni volta che sentiva una macchina passare e le parole di Logan le risuonavano in testa.

    «... succederà qualcosa di brutto...»

    CAPITOLO

    2

    Cinque mesi dopo

    Faust's Fork, nei pressi di Banff, Alberta, Canada

    Haruki Ito stava camminando da solo lungo il fiume quando si fermò, immobile.

    Impugnò la Nikon, aggiustò l'obiettivo finché l'orso non riempì il campo. Una femmina di grizzly, a caccia di trote sulle rive del fiume Faust, sulle Montagne Rocciose.

    Fotografare grizzly era la realizzazione di un sogno per lui, in vacanza dal lavoro di fotoreporter per lo Yomiuri Shimbun, uno dei maggiori quotidiani di Tokyo. Mentre scattava la fotografia e si accingeva a farne un'altra, qualcosa entrò nel suo campo visivo.

    Mise a fuoco e scattò - una piccola mano emergeva dalle acque mosse dalla corrente.

    Ito si precipitò verso la riva per offrire aiuto, inciampando nella boscaglia fitta per raggiungere le rocce avvolte nella nebbia, finché riuscì a scorgere la mano, poi un braccio, poi una testa e infine l'intero corpo, prima che il fiume liberasse la sua vittima in un un gorgo lì vicino.

    Si avvicinò con cautela a quella pozza vorticante. Si tolse la macchina fotografica di dosso e si avventurò nelle acque gelide fino alla vita, cercando di aggrapparsi mentre si avvicinava al corpo del bambino.

    Era un bambino bianco. Di otto o nove anni, Ito pensò. Felpa, jeans e scarpe da ginnastica.

    Morto.

    La tristezza gli pervase il cuore.

    Mentre cercava di portare il bambino verso riva, il tonfo improvviso di qualcosa di grosso lo costrinse a scansarsi e una canoa si schiantò sulle rocce vicine. Era vuota.

    Diede un'occhiata al fiume e rabbrividì.

    C'erano altre vittime?

    Ritornò sul sentiero, riuscì ad attirare l'attenzione di due donne - due turiste tedesche in bicicletta - e nello spazio di un'ora le guardie forestali avevano cominciato le operazioni di ricerca.

    La zona era conosciuta come Faust's Fork, un'area accidentata di fiumi, laghi, boschi, ghiacciai e montagne tra il Parco Nazionale Banff e la Contea Kananaskis. Era percorsa da sentieri e campeggi solitari. Vi si poteva accedere solamente a piedi o a cavallo, fatta eccezione per qualche punto lungo il fiume raggiungibile con la macchina e un campeggio servito da una vecchia carrettiera.

    Dopo la conferma della morte del bambino, e immaginando che vi fossero altre vittime, le guardie forestali avvertirono la polizia a cavallo canadese, il patologo, i paramedici, i vigili del fuoco, la guardia forestale provinciale e altre organizzazioni. Sistemarono un reticolato intorno all'area per le ricerche.

    Le barche di salvataggio percorsero il fiume in tutte le direzioni, senza trovare alcun superstite nell'area dove era stato rinvenuto il bambino. La corrente era troppo forte. Squadre di ricerca perlustrarono l'area a piedi, a cavallo e con mezzi anfibi. Tutti erano dotati di trasmittenti, alcuni avevano cani da soccorso. Un elicottero e un piccolo aereo da ricognizione si unirono all'operazione, come anche gruppi di volontari, che informavano i campeggiatori nei dintorni di Faust's Fork.

    In un remoto campeggio più a monte, Daniel Graham era solo su un pendio che offriva un bel panorama del fiume, delle montagne e del cielo.

    Si soffermò a guardare l'urna che aveva in mano, sfiorò le foglie e le colombe che l'adornavano al centro. Dopo qualche istante, svitò il tappo, scosse l'urna e sparse il suo contenuto nel vento. Ceneri fini come la sabbia danzarono sulla superficie del fiume fino a scomparire.

    Guardò i picchi innevati, come se offrissero la soluzione ai suoi problemi. Ma non ebbe il tempo di scoprirlo. La solitudine che cercava venne interrotta da un elicottero che volava lungo il fiume a meno di trecento metri da lui.

    Dopo pochi minuti, fece un altro volo basso nella direzione opposta.

    Doveva essere per un soccorso, immaginò Graham, mentre metteva l'urna da un parte per vedere cosa stesse succedendo.

    Poco dopo che l'elicottero si fu allontanato, sentì il crepitio delle trasmittenti e due uomini in tuta arancione entrarono nel campeggio.

    «Siamo della squadra di soccorso» disse il primo. «C'è stato un incidente in barca, giù al fiume. Ci sono diverse persone alla ricerca dei dispersi. Ci avverta se vede qualcosa.»

    «Grave?»

    I soccorritori diedero un'occhiata a Graham. Sui quaranta, un metro e ottanta di struttura piuttosto muscolosa e due giorni di barba sfatta sopra il mento, che ne accentuavano lo sguardo intenso.

    Tirò fuori un portafoglio di pelle e lo aprì per mostrare il distintivo dorato con la corona, la ghirlanda di foglie d'acero, le parole Regia Polizia a Cavallo Canadese, la testa di bisonte circondata dalla fascia con il motto, Maintiens le Droit. Il documento apparteneva al Caporale Daniel Graham, della polizia a cavallo canadese.

    «Sei un Mountie

    «Nel Reparto Investigativo Speciale di Calgary. Fuori servizio al momento. È un incidente grave? Ci sono vittime?»

    «Una accertata. Un bambino. Non ne conosciamo ancora le generalità.»

    «Sono già arrivati i colleghi? Puoi contattare il centralino?»

    Uno dei due prese la radio, fece qualche controllo con il centralinista e disse a Graham che stavano arrivando i colleghi della Polizia di Banff and Canmore. Altri erano stati chiamati per dare una mano.

    «Sapete qualcosa sulla vittima o dove sia successo il fatto?» chiese Graham.

    Alla radio un centralinista del parco disse a Graham che il corpo di un bambino, dell'età di otto o dieci anni, era stato trovato a circa un chilometro a valle del campeggio. Dai primi accertamenti, sembrava si fosse rovesciata una canoa e i forestali pensavano ci fossero altre vittime.

    «Dev'essere successo da poco» disse il centralinista.

    «Darò una mano nelle ricerche mentre scendo verso il luogo dell'incidente. Ditelo per radio» disse Graham.

    I soccorritori continuarono a monte mentre Graham recuperò alcune cose e si diresse verso il fiume, muovendosi con una certa velocità nonostante il terreno impervio. Quella interruzione lo aveva distratto dalla ragione per cui si trovava lì. Mise da parte i suoi problemi personali per affrontare la tragedia che si svolgeva davanti ai suoi occhi.

    Si fermò per osservare con il binocolo le sponde accidentate e l'acqua, concentrandosi sulle rocce che emergevano. Creavano zampilli spettacolari e cortine arcobaleno quando venivano colpite dalla corrente. Mentre scrutava, Graham sentì echeggiare le pale dell'elicottero e il ronzio dell'idrovolante sulla testa.

    Arrivato in una zona impervia, scivolò sulle rocce lubriche e batté il ginocchio. Ma continuò, facendosi strada tra i dirupi che proteggevano una cascata di circa venti metri. Ne riusciva a sentire il boato.

    Mentre cercava di restare in equilibrio, gli sembrò di vedere una macchia di colore tra le tante rocce che creavano geyser d'acqua nel fiume. Mise a fuoco il binocolo. Gli spruzzi gli annebbiavano la vista ma era sicuro di aver visto qualcosa di rosa giù sulle rocce. Cercò una posizione migliore e riuscì a distinguere altri dettagli: una piccola testa, un braccio, una mano.

    È un bambino. Una bambina. Inchiodata alla roccia dalla corrente. Aggrappata alla vita.

    Li separava la larghezza di un campo da football. Poteva finire sott'acqua in qualunque momento o staccarsi dalla roccia e venire trascinata nella cascata. Non sarebbe mai sopravvissuta a quel salto.

    Non c'era tempo da perdere. Non aveva una radio né un cellulare. Non vedeva nessuno dei soccorritori. Doveva prendere una decisione.

    In piedi sulla riva del fiume, fissando quel quadratino rosa, Graham sentiva le vibrazioni dell'acqua che gli echeggiavano nel torace. Conosceva i rischi di entrare in quelle acque. Aveva solo una possibilità di riuscita. Se l'avesse persa, la corrente l'avrebbe portato via e non avrebbe potuto fare altro che cercare di salvare se stesso prima di finire nella cascata e cadere sulle rocce.

    Dopo tutto quello che gli era capitato, cosa restava nella sua vita?

    Probabilmente sarebbe morto. Come quella bambina, se non avesse fatto qualcosa.

    Doveva raggiungerla.

    Tornó rapidamente a monte, si tolse gli scarponi, ripose il distintivo, il binocolo - tutto quello che lo avrebbe ostacolato - e si infilò nelle acque gelide.

    Il fiume lo afferrò subito e l'adrenalina gli scorreva nelle vene mentre combatteva con la corrente. Un lampo di luce bianca gli passò davanti agli occhi mentre la gamba sbatteva su una roccia. Un dolore pungente gli attraversò il corpo e si ritrovò sotto la superficie, con l'acqua che gli gorgogliava nelle orecchie e zampillava nello stomaco.

    Riuscì a emergere, tossendo e sputando acqua, ingoiando aria mentre cercava di orientarsi per raggiungere la bambina. La macchia rosa, il suo punto di riferimento, era sparita. La corrente e gli spruzzi gliela nascondevano. Era accecato dall'acqua, e poteva solamente intuire dove si trovasse.

    Una roccia sommersa gli ridiede fiato; riuscì a fatica ad aggrapparsi, intravedendo del rosa a valle, mentre la corrente lo trascinava, ancorato allo spigolo aguzzo della roccia.

    Scivolò di nuovo sott'acqua. E riuscì a scorgere delle gambe attraverso le acque agitate che premevano contro la roccia davanti a lui. Era sott'acqua, non riusciva a muoversi, aveva difficoltà a riemergere.

    Gli fischiavano le orecchie. I polmoni gli facevano male per la mancanza d'aria. Sentiva che non ce l'avrebbe fatta.

    «Resisti, Daniel» sentì la voce di sua moglie. «Devi resistere.» Ci volle tutta la forza rimastagli per contrastare la potenza dell'acqua e raggiungere la superficie, e finalmente ingoiare aria rimanendo aggrappato alla roccia. Dopo qualche minuto tornò in sé e cercò di raggiungere l'altro lato della roccia, fino a che venne in contatto con delle dita, la mano, poi il braccio della bambina.

    I suoi occhi, spalancati di terrore, si incrociarono con quelli di Daniel.

    Le labbra erano ormai blu.

    Era viva, tremante per lo shock.

    Sembrava avere cinque o sei anni.

    Graham si avvicinò, l'avvolse con il braccio e cercò di staccarla dalla roccia. Sanguinava per una ferita alla testa. Tentò di spostare entrambi in una posizione migliore, pregando che non fosse tutto inutile.

    Mentre la teneva, i loro sguardi si incrociarono.

    Avvicinò la bocca al suo orecchio per confortarla.

    «Andrà tutto bene» le disse. «Ti aiuto io. Tu resisti. Devi solo resistere.»

    Mentre lo fissava, cominciò a muovere le labbra.

    Lui avvicinò l'orecchio, sforzandosi di sentire la sua voce oltre il boato del fiume, ma non era sicuro di aver capito.

    «No... papà... no... per favore...»

    CAPITOLO

    3

    Blue Rose Creek, California

    Nello stesso momento, a circa trecento chilometri a sud del fiume Faust, Maggie era di fronte alla sede di un quotidiano e rifletteva sui cinque mesi passati da quando Jake era sparito con Logan.

    Il giorno dopo, la Contea aveva mandato a casa sua un incaricato che le aveva consigliato di rivolgersi a Vic Thompson, un investigatore piuttosto scontroso e oberato di lavoro. Così venne a sapere che Jake aveva dieci giorni di tempo dopo la denuncia per comunicare un indirizzo o un numero di telefono al procuratore distrettuale e avviare la richiesta di affidamento. Se questo non fosse accaduto, la Contea avrebbe emesso un mandato a carico di Jake per sottrazione di minore. Maggie diede a Thompson tutti i dettagli riguardanti la banca, la carta di credito, il telefono, il computer, la scuola e persino le cartelle cliniche.

    Lui le disse di cercarsi un avvocato.

    Trisha Helm, l'avvocato più economico che Maggie era riuscita a trovare, il primo appuntamento è gratuito, le consigliò di avviare le pratiche di divorzio e richiedere l'affidamento.

    «Non voglio il divorzio. Voglio solo trovare Jake e parlare con lui.»

    Allora Trisha suggerì di assumere un investigatore privato e le consigliò Lyle Billings, delle Investigazioni Farrow.

    Maggie diede a Billings copie dei loro dati personali e un assegno per svariate centinaia di dollari. Due settimane dopo, lui le disse che Jake non aveva rinnovato la sua patente in nessuno Stato americano e neppure in territorio canadese e che Logan non era stato iscritto in nessuna scuola.

    «Supponiamo che abbiano cambiato nome» disse Billings. «Rifarsi un'identità è più facile di quanto si creda. Sembra che suo marito sia entrato in clandestinità.»

    L'agenzia chiese altri fondi per continuare le ricerche.

    Maggie non se lo poteva permettere.

    I risparmi bastavano appena per lei, per mandare avanti le cose ancora per tre o quattro mesi. E poi avrebbe dovuto vendere la casa. Aveva tagliato molte spese e aveva ancora il suo lavoro in libreria, ma la situazione stava diventando disperata.

    Decise di non pagare l'agenzia e di fare da sola, passando le notti al computer. Contattò le associazioni di camionisti e le organizzazioni per i bambini scomparsi, fece appello a diverse newsletter e blog. Setacciò i siti di notizie alla ricerca di incidenti con tir oppure bambini dell'età di Logan coinvolti.

    A ogni nuova tragedia, le si annodava lo stomaco.

    Partecipava a gruppi di sostegno. Le dissero di coinvolgere la stampa. Ogni due o tre giorni, poi ogni settimana, prendeva in mano la sua lista: il Los Angeles Times, l'Orange County Register, il Riverside Press-Enterprise, e quasi tutte le radio e le televisioni della California meridionale.

    «Ah, certo, ce ne siamo occupati» disse a Maggie un produttore distratto, mangiando una mela dopo che gli aveva lasciato tre messaggi. «I nostri contatti ci dicono che finché il fatto è classificato come sottrazione di minore da parte di un genitore, si tratta più di una questione domestica. Mi dispiace.»

    Tutti i cronisti avevano smesso di risponderle al telefono, tranne Stacy Kurtz, la reporter di nera dello Star-Journal.

    «Non abbiamo ancora un articolo, ma mi tenga informata» diceva ogni volta che Maggie la chiamava.

    Almeno Stacy la ascoltava. Maggie non l'aveva mai incontrata, ma aveva visto la sua foto pubblicata accanto ad alcuni articoli. Stacy portava degli occhiali con la montatura scura, orecchini a cerchio e un sorriso indurito dal lavoro. Raccontare ogni giorno l'ultima sparatoria, incendi, annegamenti, incidenti di macchina o svariate tragedie urbane, le stava togliendo qualcosa. Sembrava più vecchia della sua età.

    «Non posso garantirle che scriveremo un pezzo, ma sono pronta ad ascoltarla, a patto che mi tenga aggiornata su qualunque sviluppo.» Nonostante i modi spicci, Stacy era disposta a dedicarle del tempo.

    Maggie sentiva di non averne più molto.

    E se non fosse riuscita a trovare Logan? Se non l'avesse mai più rivisto?

    Era lì, di fronte alla sede dello Star-Journal, il quotidiano che raccontava le storie di Blue Rose Creek. Un edificio triste a un piano, su un viale a quattro corsie.

    Sembrava più un centro commerciale di provincia degli anni Sessanta abbandonato, che il giornalaccio grintoso di un tempo. Una palma si incurvava sopra l'ingresso. Un vento leggero muoveva appena la bandiera americana sgualcita sul tetto, dal quale un vecchio condizionatore sgocciolava un liquido rugginoso sulla facciata dell'edificio.

    Per la gente del posto, lo Star-Journal era un pugno nell'occhio e aveva solo bisogno dell'estrema unzione.

    Per Maggie, era l'ultima spiaggia per trovare Logan, per mantenere viva una speranza che, giorno dopo giorno, svaniva come i colori di quella bandiera sul tetto.

    «Posso aiutarla?» le chiese una donna robusta, con un abito stampato, dalla scrivania vicina alla porta. Le altre erano disposte come spesso accade nelle redazioni. Una dozzina di scrivanie caotiche, accostate le une alle altre. La maggior parte vuote. A quelle occupate facce tetre si concentravano sullo schermo del computer o su una conversazione telefonica.

    I muri bianco sporco erano tappezzati di cartine geografiche, prime pagine, foto di articoli o titoli di testa. Il canale-radio della polizia gracchiava in un angolo mentre tre televisori trasmettevano le ultime notizie. In fondo alla stanza, in un ufficio dalle pareti di vetro, un uomo con la calvizie incipiente e la cravatta allentata discuteva animatamente con un

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