Non giocare col mio cuore: Harmony Collezione
Di Kathryn Ross
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Info su questo ebook
Libby Sheridan, giovane pubblicitaria londinese, vede casualmente in televisione un'immagine di suo padre, che lei credeva morto. In realtà, l'uomo è diventato un celebre attore in America, e ora è a Cannes per il famoso Festival cinematografico. Libby decide così di recarsi in Costa Azzurra, e di contattarlo attraverso Marc Calyton, il suo agente. Per tenerla sotto controllo, Marc, convinto che lei sia interessata solo ai soldi dell'uomo, decide di farla alloggiare vicino a casa sua, e la cosa dà ai due giovani la possibilità di conoscersi meglio e di... cadere l'uno fra le braccia dell'altra. Il momento dell'incontro col padre, però, tarda ad arrivare, e la fiducia che Libby ripone in Marc viene messa a dura prova. Possibile che lui voglia solo sedurla?
Kathryn Ross
Americana, viene giustamente considerata uno dei nuovi "talenti" della narrativa rosa targata Harlequin.
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Anteprima del libro
Non giocare col mio cuore - Kathryn Ross
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Mistress to a Rich Man
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2005 Kathryn Ross
Traduzione di Anna Vassalli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-064-6
1
È opinione diffusa che il sesso debole riesca a essere più malvagio del sesso forte. Libby si sentiva la classica eccezione alla regola dopo che Simon non solo le aveva prosciugato il conto in banca, ma le aveva anche spezzato il cuore.
Come fosse riuscito in quell’intento davvero non sapeva spiegarselo. Non si può smettere all’istante di amare qualcuno solo perché, un mattino a colazione, ti comunica con aria indifferente che gli spiace ma non funziona, e va via con la sacca da viaggio, già pronta in anticamera, sulle spalle.
D’accordo, il commiato era stato improvviso e privo di sensibilità, e durante la relazione, in alcune occasioni, lui aveva dato prova d’egoismo. Ma c’erano stati anche momenti splendidi e, sfortunatamente, erano quelli a tormentarla durante la notte. Perché la mente è così stupidamente selettiva? Perché non mantiene la memoria soltanto degli aspetti negativi? O perlomeno, perché non si concentra sul fatto che, per colpa di Simon, lei avrebbe dovuto traslocare? Infatti, nonostante l’ottimo stipendio, la situazione finanziaria ridotta ormai all’osso non le permetteva di mantenere l’appartamento in Merrion Terrace.
E adesso, oltre al danno la beffa. Simon aveva fatto fin troppi acquisti dispendiosi, tutti con la sua carta di credito.
«La carta di credito è a mio nome, ma il conto è a firma congiunta» confidò Libby a Chloe, la sua migliore amica, quando si incontrarono alla enoteca per il consueto aperitivo del venerdì. «Lo so che avrei dovuto far togliere il suo nome quando se n’è andato, ma non avrei mai immaginato che potesse farmi una cosa del genere.»
«Ne hai parlato con lui?»
«Non ancora.» Libby bevve un sorso di vino, l’espressione cupa. «Non risponde al cellulare, ma la settimana prossima avrò qualche giorno libero e mi metterò a caccia.»
Erano soltanto le cinque del pomeriggio, ma il locale era affollato di uomini d’affari che si ritrovavano a bere qualcosa prima di tornare a casa. Alle otto sarebbe stato deserto.
Chloe si sporse verso l’amica. «Non voltarti, ma c’è un uomo che ti sta osservando dal tavolo vicino e pare anche che cerchi di ascoltare.»
«Non m’interessa, Chloe. Ho cancellato gli uomini dalla mia vita, dovresti averlo capito ormai» sentenziò Libby senza neppure alzare lo sguardo.
«Sciocchezze. Incontrerai qualcuno e t’innamorerai pazzamente.»
«Non sono neanche più sicura di credere nell’amore.» Terminò il vino e posò il bicchiere sul tavolino. «Non penso proprio che consegnerò più il mio cuore a qualcuno. Anzi, la prossima volta... se mai ci sarà una prossima volta... mi farò guidare dalla ragione, e sarà la volta buona che mi cercherò qualcuno con una valanga di soldi.»
L’apparente determinazione di Libby non convinse Chloe. Fissò l’amica e sbottò in una risata. «Già, certo. Come se non sapessi che presteresti tranquillamente anche l’ultimo penny che hai in tasca, dimenticando di chiederne la restituzione.»
«Be’, sappi allora che la nuova Libby è diversa» affermò risoluta. «Vuoi un altro bicchiere?»
Si guardò intorno e scorse lo schermo TV gigante. Trasmettevano il telegiornale, che stava mandando in onda un uomo che usciva da una limousine. Quando la telecamera zoomò sul suo viso, a Libby si bloccò il fiato in gola, e le si annebbiò la vista.
Era Carl Sheridan... suo padre! Ma com’era possibile? Confusione e shock si alternarono caoticamente nella sua testa. Suo padre era morto, gliel’aveva detto sua madre anni prima.
Fissò lo schermo a occhi sbarrati, dubitando per un attimo della propria vista. Tuttavia, benché avesse avuto solo sette anni quando aveva visto suo padre per l’ultima volta, sapeva con certezza che si trattava di lui. Non era cambiato molto, gli stessi capelli castano chiaro e lo sguardo penetrante che lei aveva ereditato.
Cosa ci faceva in televisione? E dove era stato tutti quegli anni? E soprattutto, perché sua madre le aveva detto che era morto?
«Libby, stai bene?» La voce di Chloe sembrò raggiungerla da una distanza abissale.
«No... per la verità no.» Libby scosse il capo senza distogliere lo sguardo dal televisore. «È mio padre!»
«Chi?» Chloe seguì il suo sguardo.
«Quell’uomo... Carl Sheridan... Cosa stanno dicendo di lui?»
Libby drizzò le orecchie, ma era impossibile cogliere le parole nel brusio intenso del locale.
«È Carl Quinton... Un attore cinematografico americano, Libby.» Chloe scosse il capo confusa.
Libby, sorpresa, guardò l’amica. Chloe si occupava di pubbliche relazioni e seguiva i media con attenzione. Sapeva tutto di tutti, ma stavolta si era sbagliata di sicuro. «Te lo ripeto, Chloe, è mio padre e non è americano, ma di Londra.»
Chloe aggrottò la fronte. «Be’, posso dirti che adesso è conosciuto come Carl Quinton. Ho letto un articolo su di lui proprio l’altro giorno.»
«E cosa diceva?» chiese Libby sempre più confusa.
«Che ha iniziato la sua carriera con le soap opera per una televisione locale californiana e ha avuto successo. Poi gli è stata offerta una parte da protagonista a Broadway. Da quel momento ha cominciare a scalare la vetta del successo negli Stati Uniti, e adesso, per mantenere la metafora, è in cima alla classifica. Forse in Europa non è ancora molto conosciuto, ma lo sarà ben presto perché un suo film, con Julia Hynes come co-protagonista, sarà presentato a Cannes. Tra l’altro, è nella rosa dei possibili vincitori.»
Quanto Chloe le stava raccontando era così assurdo e incomprensibile che Libby non riusciva a razionalizzarlo. «Ma... stiamo parlando della stessa persona?»
«Assolutamente. È una star negli Stati Uniti, abita a Beverly Hills, si è sposato tre volte e altrettante ha divorziato. Non si è mai parlato di figli.»
«Be’, che ne abbiano parlato o meno, io sono sua figlia» ribatté Libby, «e si chiama Carl Sheridan. I miei genitori si sono separati quando avevo sette anni.»
«Scusate...» L’uomo che occupava il tavolo accanto posò una mano sul braccio di Libby. «Non sono certo di aver capito bene. Ha detto che Carl Quinton è suo padre?»
Libby lo osservò. Aveva circa la sua età, ventisette anni, capelli biondi folti, un viso pallido e lo sguardo inquisitore. E poi quella domanda la metteva notevolmente a disagio.
«No.» Si scrollò la mano dell’uomo dal braccio.
Nondimeno, il giovane prese posto sulla sedia libera al loro tavolo.
«Sono John Wright, un giornalista freelance, e mi interessano molto gli aspetti sconosciuti della vita di Carl Quinton.»
«Mi spiace, ma non posso aiutarla.»
«Immagino non veda suo padre da qualche tempo?» Il tono era amichevole, ma l’atteggiamento troppo insistente.
«La prego, mi lasci in pace. Se ne vada e si preoccupi degli affari suoi» sbottò Libby.
«Senta, non ho potuto fare a meno di sentire che al momento è un po’ a corto di denaro. Le pagherò l’intervista» continuò il giornalista con tono pratico. «Pago molto bene...»
«Non voglio il suo denaro.» Libby si alzò. «Chloe, devo assolutamente uscire da qui.»
Non ricordava di essere uscita dal locale, ma fu con sollievo che si ritrovò all’esterno, anche se la pioggia battente sferzava le strade di Londra.
Quando finalmente trovarono un taxi erano entrambe fradice.
«Cosa ti ha dato quell’individuo?» chiese Chloe.
«Niente. Perché?»
«Sì, invece» insistette l’amica.
Libby aprì la mano e, sorpresa, vi trovò un biglietto da visita. John Wright giornalista investigativo, recitava. In fondo, il numero di telefono.
Libby accartocciò il biglietto e lo ficcò in tasca.
«Vuole solo rovistare nel fango» borbottò. E c’era una gran quantità in cui rovistare, pensò rabbiosa.
Si appoggiò al sedile del taxi e chiuse gli occhi. Era percorsa da brividi incontrollabili, e non sapeva se attribuirli al freddo o allo shock.
Ripensò a quanto aveva amato suo padre, e al legame affettivo strettissimo che li aveva uniti. Persino in quel momento ricordava come la prendeva in braccio, facendola volteggiare in aria mentre lei rideva estasiata. Ricordava anche che molte sere era lui a portarla a letto, a leggerle una favola e a darle il bacio della buonanotte. Le sembrava di percepire ancora l’aroma della sua colonia.
Ma il suo ricordo più nitido si riferiva al giorno in cui se n’era andato.
«Devo andare, tesoro, ma questo non significa che non ti voglia bene.»
Ricordava di averlo supplicato di restare, il viso inondato di lacrime.
«Devo, tesoro, ma tornerò.»
Si era aggrappata a lui, disperata, ma sua madre l’aveva trascinata via.
«Papi, ti prego... ti prego...» Aveva cercato di divincolarsi dalla stretta di sua madre per rincorrerlo, ma aveva raggiunto la porta solo quando lui se l’era richiusa alle spalle.
Il ricordo di quel momento la turbava ancora. Suo padre non era più tornato, e lei non aveva più saputo niente fino a quel giorno.
Ogni compleanno e ogni Natale aveva atteso invano una sua parola. Poi, un giorno, poco prima che compisse dieci anni, sua madre l’aveva tratta in disparte e, con dolcezza, le aveva detto che era morto.
Perché l’aveva fatto?
L’aspetto più frustrante era che non avrebbe mai avuto risposta a quest’ultimo quesito, perché sua madre e il patrigno erano morti entrambi in un incidente ferroviario dodici mesi prima.
Fino a quel momento, insomma, aveva ritenuto di essere sola al mondo.
«Cosa farai, adesso?» le chiese Chloe, emotivamente molto coinvolta dalle vicissitudini della sua migliore amica.
Libby aprì gli occhi. «Vado a cercarlo, naturalmente.» Il tono era deciso. «Ho bisogno di alcune importanti risposte.»
2
Il sud della Francia si rivelava in tutto il suo splendore nel sole pomeridiano e, mentre l’aereo planava, Libby ammirò le colline di un verde intenso e la baia in cui gli yacht dei milionari si cullavano sulle acque turchesi. Nonostante una certa apprensione all’idea di rivedere il padre dopo tanti anni, provò un impeto di felicità. Impossibile non essere sereni quando il cielo era così azzurro e il mare così blu. Tutto si sarebbe sistemato, si disse convinta. Avrebbe incontrato suo padre e...
E, cosa?, pensò colta da un panico improvviso. Il dolore causato dalla sua assenza sarebbe forse svanito? Era utopistico.
Semplicemente, avrebbe dovuto fare un passo per volta, senza aspettarsi molto. Per quanto ne sapeva, suo padre poteva anche rifiutare d’incontrarla.
Mettersi in contatto con lui si era rivelato più difficile del previsto. In un primo momento l’aveva cercato chiamando lo Studio cinematografico in California,