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Cuori alla deriva: Harmony History
Cuori alla deriva: Harmony History
Cuori alla deriva: Harmony History
E-book236 pagine5 ore

Cuori alla deriva: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1809
Cinque lunghi anni in balia del destino: è questo il periodo che il tenente della Marina James Trevenen ha trascorso su una sperduta isola del Pacifico dopo che il vascello su cui era imbarcato ha fatto naufragio. Salvato da una comunità di missionari, torna nella tumultuosa Londra, ed è lì che ancora una volta dimostra di essere un uomo straordinario. Ogni sua azione, infatti, va a beneficio delle persone che gli stanno intorno e il suo coraggio gli vale il plauso dell'intera società. Ma dall'isola e dal naufragio l'affascinante tenente ha portato con sé anche terribili ricordi e incubi che non gli danno pace. Cosa potrà salvarlo da se stesso, se non l'amore di una donna che, come Susannah Park, ha vissuto sofferenze pari alle sue?
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2019
ISBN9788830501515
Cuori alla deriva: Harmony History
Autore

Carla Kelly

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Cuori alla deriva - Carla Kelly

    Immagine di copertina:

    Bruno Faganello

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Beau Crusoe

    Harlequin Historical

    © 2007 Carla Kelly

    Traduzione di Silvia Zucca

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-151-5

    Prologo

    «Credetemi, mi si è gelato il sangue nelle vene non appena ho ricevuto questa lettera da Sir Joseph!» esclamò Lord Watchmere a colazione.

    Guardò sua moglie, le due figlie e il nipote, poi di nuovo la lettera.

    «Ci sono sempre problemi quando Sir Joseph inizia con: Mio caro Watchmere, mi sono dimenticato di dirti...»

    «Ma deve pur sapere quanto siamo impegnati!» si lamentò Lady Watchmere.

    Impegnati?, rifletté Susannah sconcertata. E in che cosa? Siamo dei campioni d’indolenza! Scoccò un’occhiata al figlioletto, che non sembrava affatto interessato alla conversazione. Doveva tagliargli i capelli, ma continuava ad aspettare perché così le ricordava David, che aveva lavorato nella Compagnia delle Indie Orientali e del quale non le rimaneva che una miniatura accanto al letto.

    Lady Watchmere continuò. «Marito mio, non importa che Sir Joseph sia vostro parente e il padrino di Susannah. Ci mette sempre nei guai.»

    «Dio solo sa se la nostra famiglia non ne ha già abbastanza» commentò Loisa.

    Noah si strinse alla madre. Susannah gli accarezzò la testa, consapevole che Loisa non li perdeva d’occhio. Per quanto ancora intendi punirmi, Loie?, pensò triste.

    Papà li fece partecipi del resto della lettera: il vincitore del premio annuale Copley era in arrivo a Londra e Sir Joseph Banks, capo della Royal Society, aveva bisogno di un favore. «Qui dice che si tratta di un marinaio scampato a un naufragio e rimasto cinque anni su un’isola deserta. Mmh... è stato salvato da alcuni missionari... Cielo, che punizione!» Riprese la missiva, alzandola a livello degli occhi. «Ecco qua. La sua sopravvivenza è un trionfo, così pure il trattato che ha scritto, ma la mia gotta mi impedisce di essere un degno ospite.» Scosse il capo. «Dobbiamo offrirgli noi un alloggio fino alla consegna del Copley. Poi potremo rispedirlo in Cornovaglia con la prima diligenza.» Fissò Susannah. «Sarai tu a occupartene, figliola.»

    «Io?»

    «Clarence! Un po’ di decoro!» esclamò la moglie. «Susannah è...»

    «Devo la mia rovina alla cara Susannah. E ora dovrebbe andarsene in giro per Londra pavoneggiandosi insieme a uno zoticone della Cornovaglia?» protestò Loisa.

    Noah strinse la mano della madre.

    «Allora fallo tu, Loisa.»

    «Non farò niente del genere!» protestò Loisa.

    Lord Watchmere sorrise a Susannah. «Quindi tocca a te, cara. Ci siamo sempre fidati del tuo buonsenso.» Tossicchiò nel tovagliolo. «Almeno... fino alla tua fuga.»

    «Clarence, Susannah ha venticinque anni» gli ricordò la moglie.

    «E ha più buonsenso di un’intera sala di donne con il doppio della sua età» concluse il gentiluomo. Fissò ancora la figlia. «Dovrai farlo tu perché sai quanto detesti occuparmi di queste cose.»

    Susannah lo sapeva perché anche David glielo aveva detto: Cara, siamo onesti. Credi davvero che tuo padre mi detti tutte quelle lettere d’affari? È estenuante anche solo rincorrerlo per fargliele firmare.

    «Papà, questo...»

    «James Trevenen.»

    «Mr. Trevenen è un uomo anziano?»

    Il padre si strinse nelle spalle. «Il trattato sui granchi che Mr. Trevenen ha scritto sembra opera di un uomo maturo.»

    «Granchi?»

    Lady Watchmere e Loisa scoppiarono a ridere, Susannah e Noah, invece, scapparono via, fermandosi soltanto per prendere il cappellino e la giacchetta. Come sempre, uscirono dalla porta sul retro, evitando l’ingresso principale, dove i tucani di Lord Watchmere regnavano indisturbati, terrorizzavano Noah e disgustavano tutti gli altri.

    Faceva ancora caldo per essere settembre e Noah corse avanti, fermandosi ad aspettare sua madre al cancello che separava il giardino di Clarence Alderson, Visconte di Watchmere, dai Royal Kew Gardens.

    Per prima cosa, Susannah si diresse verso la serra, che i giardinieri avevano già aperto per lei. Doveva finire di potare le rose per prepararle all’inverno. Noah raccoglieva gli scarti e li riponeva in un sacco. Poi l’avrebbero svuotato sulla pila di foglie cui i giardinieri avrebbero dato fuoco.

    Erano passati sette anni, ma l’odore del fumo le ricordava ancora Bombay e le pire funerarie durante il colera. David era stato una delle prime vittime. Una mattina si era svegliato con un lieve mal di testa ed era morto prima del tramonto. Al sorgere del nuovo sole, il suo corpo avvolto in un telo di lino era stato deposto con gli altri sulla pira funeraria nel cortile.

    Non c’era da sorprendersi se a Susannah non piacevano i Kew Gardens in autunno.

    Quando ebbero finito, invece di avviarsi alla serra di botanica esotica si diressero verso Spring Grove.

    «Non dipingi, mamma?»

    «Non oggi. Ho bisogno di parlare a Sir Joe.» Susannah sorrise al figlio. «E tu probabilmente muori dalla voglia di mangiare un dolce.»

    Il bambino corse avanti e lei sorrise ancora. Le dispiaceva perdere un giorno di lavoro, specie dal momento che la Royal Society la pagava uno scellino per ogni acquerello di pianta o fiore che veniva portato dai vascelli di ricerca britannici. Sir Joseph aveva persuaso la Royal Society a lasciarle continuare il lavoro che era stato di Sydney Parkinson, l’artista che aveva accompagnato lo stesso Sir Joseph nei suoi viaggi con il capitano James Cook. Quando il dipinto era finito, un segretario di Sir Joseph scriveva una breve descrizione della pianta sul retro, in nome della scienza.

    A Spring Grove, Susannah scoprì che Sir Joseph non aveva esagerato sulle proprie condizioni di salute. Lady Dorothea distrasse Noah, mandandolo a prendere dei cannoli, e prese Susannah sottobraccio.

    «È tanto grave?»

    Lady Dorothea annuì. «Gli duole molto.» Gli occhi della donna si riempirono di lacrime. «Vederti lo aiuterà, cara. Sai che è così.»

    Mentre seguiva Barmley, il valletto, lungo il corridoio, pensò ancora una volta all’ingiustizia che aveva fatto di Sir Joseph e Lady Dorothea una coppia senza prole.

    Nella biblioteca, Sir Joseph non riusciva quasi a girare la testa per guardarla entrare e Barmley si affrettò a voltargli la carrozzella.

    Susannah sorrise al servitore, grata dell’amore che sembrava nutrire verso il padrone. L’uomo arrossì e lasciò la stanza, mormorando che avrebbe servito al più presto il tè.

    «Devi smetterla d’incantare i miei servitori» le disse Sir Joseph. «Vorrei che rivolgessi le tue attenzioni a qualcuno più adatto a te.»

    «Non l’ho quasi guardato!» protestò lei, accorgendosi poi del sorriso dell’anziano.

    «Suppongo che Clarence non abbia intenzione di invitare qualche giovanotto da farti conoscere.»

    «Lo farebbe, se questi si presentasse con un Pipilo Codaverde su una spalla.»

    Sir Joseph si mise a ridere. «La vita accanto a un osservatore di uccelli deve essere difficile.»

    Il valletto, dopo aver posato sul tavolo il vassoio, li lasciò di nuovo soli. Susannah versò il tè e sorresse la tazzina fino alle labbra del suo padrino.

    Questi la guardò con un misto di gratitudine e imbarazzo, poi bevve.

    «A quanto pare, dovrò sopportare molto di più, Sir Joe» disse lei. «Papà ha deciso che sarò io a fare da scorta a quel povero vecchio di Mr. Trevenen, quando arriverà.»

    «Povero vecchio?» ripeté il suo padrino. «Come ha fatto mio cugino ad arrivare a queste conclusioni?»

    «Papà ha deciso che chiunque abbia passato cinque anni su un’isola deserta non può trovarsi in condizioni migliori di un terribile esaurimento. E insiste con il dire che il trattato che Mr. Trevenen ha scritto è l’opera di un uomo maturo.»

    «È un bel trattato davvero» convenne Sir Joseph. «Forse ti piacerebbe leggerlo. Va’ a prenderlo, cara. È sulla scrivania.»

    Susannah trovò lo scritto. «La Gloriosa Jubilate. Creature in una pozza di marea su un’isola deserta nell’arcipelago di Tuamotu.» Non poté fare a meno di sorridere nel vedere il granchio che era ritratto in copertina: ovviamente, fra i talenti di Mr. Trevenen non vi era quello della pittura.

    La dedica, invece, era toccante: Alla mia cara madre, che era sempre accanto a me, sebbene così lontana. Il primo paragrafo, poi, le tolse il respiro.

    Grazie alla Divina Provvidenza e non alle mie forze, visto che ero privo di sensi, la mia barca trovò una breccia nella barriera corallina e mi abbandonò sulla spiaggia sabbiosa del mio esilio.

    Ero il solo sopravvissuto.

    «Sir Joe, potrei...»

    «Leggilo pure. Noah mangerà dolci per tutto il pomeriggio e io mi riposerò gli occhi.»

    Susannah si tolse le scarpe e si rannicchiò comodamente sul sofà.

    L’arcipelago di Tuamotu è circondato da una barriera corallina che non è ancora stata tracciata sulle mappe. L’Orion, che era fortunosamente scampato ai tifoni della Nuova Zelanda, si è incagliato nella barriera, che ne ha squarciato lo scafo mandandolo a picco in meno di dieci minuti.

    Il capitano Hugo Marsh mi ha ordinato di salire su una scialuppa con una parte dell’equipaggio e mi ha consegnato il diario di bordo.

    Susannah portò con sé il trattato, quando lei e Noah lasciarono Spring Grove, e riprese la lettura dopo cena, quando ebbe messo a letto suo figlio.

    Ho scoperto che la Gloriosa Jubilate è un animale sociale, che gradisce la compagnia del gruppo. Per quanto tempo dovrò vivere in questo posto? Io non ho alcun compagno. Perciò ho deciso che devo approfondire la conoscenza con queste piccole creature che abitano l’isola del mio esilio.

    Susannah si appoggio il manoscritto sul petto e pensò alla propria vita ad Alderson House. «Un esilio, davvero! Quanto mi piacerebbe trovarmi su un’isola tropicale. Acque pacifiche, frutta e pesce di laguna.» Spense la candela. «Che tu sia giovane o vecchio, Mr. Trevenen, dovrai raccontarmi tutto del tuo paradiso.»

    1

    La Orion era affondata sei anni prima, ma James Trevenen sentì rizzarsi i peli sul collo quando la moglie del locandiere sbatté la tovaglia per aprirla su un tavolo del salone, perché quel rumore era terribilmente simile a quello che il corallo aveva provocato contro la chiglia della nave, squarciandola.

    Si guardò attorno, sperando che nessuno avesse notato il suo irrigidimento. E si domandò per quanto ancora dei semplici rumori lo avrebbero spaventato.

    C’era molta gente nella locanda e nessuno sembrava fare caso a lui. James non aveva problemi ad aspettare: solo Dio sapeva se era paziente. Secondo il vetturino, tutto il distretto era stato colpito da una forte pioggia che aveva reso difficoltoso l’attraversamento di ponti e strade tra Lovell e il villaggio successivo. Il risultato era una fermata imprevista in quella locanda.

    A lui non importava. Aveva ascoltato le lamentele dei suoi compagni di viaggio, con il conforto che nessuna sistemazione sarebbe stata peggiore di quella in cui era stato costretto per cinque anni, solo e affamato su un’isola deserta.

    Era dispiaciuto per l’istitutrice e i due fanciulli che sedevano di fronte a lui sulla carrozza di posta, perché l’aveva sentita singhiozzare con particolare disperazione. E l’aveva vista sbirciare nella borsettina con la speranza che le poche monete che aveva si riproducessero. Sospettava che quella fermata imprevista la costringesse a mettere mano ai suoi risparmi personali, che non dovevano essere molti, vista la povertà dei suoi abiti. Il suo padrone doveva essere un uomo avido e crudele.

    Aveva preso una stanza, ma stava discutendo con l’oste per rinunciare al salotto privato perché, di tutte le cose, odiava rimanere da solo, quando un damerino entrò con tronfia indolenza nella locanda domandando alloggio.

    L’oste si scusò, riferendogli che era tutto esaurito e che Mr. Trevenen aveva avuto l’ultima camera. Il damerino si voltò verso James. «Allora prenderò la vostra, signore.»

    Un cicisbeo maleducato, pensò James, più divertito che offeso. «E se dicessi di no?»

    Il nuovo venuto aveva occhi sporgenti, che sembrarono saltar fuori dalla testa a quell’obiezione. James lo osservò diventare tutto rosso. Non sei abituato a sentirti dire di no, eh? Probabilmente quella era la situazione peggiore in cui si fosse mai trovato, pensò. Avrebbe tentato di giocare la carta della prepotenza o quella della simpatia?

    Fu quella della simpatia. «Non potete immaginare che giornata ho avuto» dichiarò infatti.

    «Ne sono sicuro» convenne James, cercando di non sorridere davanti a un gentiluomo inglese profumato di lavanda che pretendeva di fargli la cronaca delle sue miserie.

    Eppure, quell’uomo sembrava davvero distrutto. Il colletto e i lacci dei polsini erano flosci, e tutto il suo elegante abito da viaggio aveva visto tempi migliori.

    Non era una persona abituata a viaggiare, decise James voltandosi verso l’oste. «Non ho problemi a cedergli la mia stanza.»

    «Ma è l’ultima, signore» gli ricordò il locandiere.

    James si strinse nelle spalle. «Posso dormire su una panca, se mi date un cuscino e una coperta.»

    «Allora siamo d’accordo!» esclamò l’altro, anche se la sua allegria durò finché scoprì che la camera dava sul cortile e le latrine. Si premette un fazzoletto sul naso, come se già stesse inalando l’aria delle stalle. «Oh! Suppongo non si possa fare niente per la vista.»

    I bagagli vennero portati al piano superiore e il damerino, che si presentò come Sir Percival Pettibone, richiese l’attenzione dell’oste per altre esigenze sventolando uno dei suoi fazzoletti.

    James afferrò la propria valigia e la borsa di pelle che conteneva il suo trattato. Sperava di non diventare mai così, si augurò a quel punto. La sua famiglia aveva molte terre ma nessun titolo e lui era stato mandato per mare con lo scopo di fare carriera. Da quando era tornato, aveva potuto osservare che a molti suoi conterranei avrebbe giovato qualche anno di isolamento, avrebbe insegnato loro un po’ di umiltà.

    Rimase seduto nel cortile fino al calar del sole, senza fare nient’altro che sfogliare le pagine del trattato, anche se ormai lo conosceva a memoria. In effetti, quando sull’isola aveva finito l’inchiostro, e prima di scoprire come ricavarlo dai polipi, ne aveva memorizzato interi paragrafi.

    Sulla copertina c’era la Gloriosa stessa, che, una volta tornato a casa, aveva cercato di riprodurre con colori fedeli.

    Aveva anche dato dei nomi alle creature che osservava: Boney, un po’ più piccolo degli altri ma molto aggressivo, Lord Nelson, al quale mancava una chela, Maria Antonietta, dai colori brillanti. Be’, gli facevano compagnia anche adesso.

    Alzò la testa di scatto, guardandosi attorno alla ricerca dell’altro suo compagno. «Tim, dove sei?» domandò sottovoce. Trattenne il fiato, ma non vide alcun volto familiare nel cortile. Era troppo sperare che Tim avesse finalmente deciso di lasciarlo in pace? Forse aveva deciso di perseguitare Sir Percival Pettibone, almeno per quella sera. James scosse il capo: non si poteva mai dire con gli spettri.

    Quando rientrò, il salone era deserto. L’oste gli aveva lasciato coperta e cuscino su una panca, insieme a un boccale di birra. Stava finendo di pulire alcuni bicchieri e lanciò uno sguardo preoccupato a James.

    «Non preoccupatevi per Sir Percival» gli assicurò James. «Non m’importa.»

    «Dovrebbe, invece. Penso che Robespierre avesse ragione.» Il locandiere si passò l’indice sotto la gola. «Zac!»

    James abbozzò un sorriso e si alzò, lasciando il trattato sul tavolo e dirigendosi verso le latrine.

    Si era appena riabbottonato quando sentì odore di fumo.

    In allerta, controllò la fila di finestre al primo piano. Il fumo proveniva da quella della stanza di Sir Percival Pettibone. Si affrettò verso l’edificio e vide l’uomo affacciarsi con disperazione.

    James chiamò il locandiere.

    Sir Percival, in camicia da notte, scavalcò il davanzale con una delle sue gambette ossute.

    «No! Non fatelo!» gli ordinò James.

    «Salvatemi!»

    L’oste corse nel cortile, poi subito gridò alla moglie di far evacuare tutti dalla locanda.

    James, intanto, aveva raggiunto un tubo di scolo e ne aveva saggiato la resistenza dandogli una scrollata. Poi si era arrampicato come se fosse stato su una palma, dopo essersi tolto stivali e calze. «Tornate dentro» gridò a Sir Percival. «Adesso!»

    Nonostante la paura, il damerino serrò le labbra in un’espressione corrucciata.

    «Non m’importa un fico secco di chi siete!» ruggì James. «Fate come vi dico!»

    La gamba scomparve all’interno della stanza e James trovò lo spazio per saltare dentro, voltando subito la testa per il fumo. Gli spettatori nel cortile iniziarono a battere le mani.

    Sir Percival gli si aggrappò alla camicia, con disperazione.

    «Per l’amor del cielo, contenetevi!» sibilò James. «Non vedo neppure le fiamme.»

    E infatti non ce n’erano. Quando il fumo iniziò a diradarsi, nonostante gli occhi che lacrimavano, James scorse il punto da cui proveniva,

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