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L infiltrato
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E-book395 pagine5 ore

L infiltrato

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Info su questo ebook

L'isolamento è la somma totale della miseria di un uomo. - Thomas Carlyle

Per quattordici anni Virgil Skinner ha pagato per un omicidio che non ha commesso. Alla fine è stato scagionato, ma non può sfuggire alla banda con cui si è unito per sopravvivere durante gli anni del carcere. Faranno qualsiasi cosa per impedirgli di dire quello che sa. E se non riescono a raggiungere Virgil, inseguiranno sua sorella e i suoi figli. Il Dipartimento per la Correzione e la Riabilitazione della California ha bisogno di qualcuno per infiltrarsi in un'altra banda, gli Hells Fury, che sta prendendo il controllo non solo del Pelican Bay, il più famoso centro di detenzione dello Stato, ma anche delle strade dell'intera California del Nord. Virgil accetta di farlo sotto falso nome in cambio della protezione di sua sorella. La vicecapo Peyton Adams, invece, è contraria ad avere un informatore come Virgil nella sua prigione. Come potrà proteggerlo se le cose andranno male? Inoltre, lei è troppo attratta da quell'uomo rude e taciturno e questo la rende ancora più motivata nel voler tenerlo al sicuro, e le dà un timore in più di poterlo perdere.
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2019
ISBN9788830505834
L infiltrato
Autore

Brenda Novak

Autrice americana, vive a Sacramento con la famiglia. I suoi romanzi da sempre incontrano i favori della critica e l'entusiasmo di migliaia di lettrici.

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    Anteprima del libro

    L infiltrato - Brenda Novak

    successivo.

    1

    L'isolamento è la somma totale della miseria di un uomo.

    Thomas Carlyle

    Peyton Adams guardò circospetta i tre uomini che erano venuti con lei dal carcere alla biblioteca per un incontro riservato, e gli altri due con cui avevano organizzato quella riunione segreta. Sapeva già che non avrebbero gradito quello che stava per dire, specialmente il direttore del carcere, che era tanto disperato da accettare qualsiasi proposta per risolvere il problema urgente, ma Peyton si sentiva in dovere di affermare esattamente come la pensava al riguardo.

    «Non sono d'accordo» dichiarò con fermezza. «È troppo rischioso. Forse se lo mettessimo in isolamento potremmo proteggerlo, ma non tra i detenuti comuni.»

    Simeon Bennett, a cui Peyton stava cercando di salvare la vita, era seduto di fronte a lei. Al suo commento, serrò leggermente gli occhi azzurro ghiaccio e la fissò con ostilità.

    «Qualcosa in contrario?» lo apostrofò lei in tono di sfida.

    «Sono sicuro di riuscire a portare a termine la missione con successo, altrimenti non sarei qui ora» replicò lui.

    Le avevano detto che era un agente di Department 6, un'organizzazione privata di Los Angeles che si occupava di sicurezza e che lei non aveva mai sentito nominare. A guardarlo, pareva perfettamente in grado di tenere testa anche ai più pericolosi detenuti con cui lei aveva avuto a che fare nei suoi sedici anni di lavoro nell'amministrazione penitenziaria. Alto più di uno e novanta e con circa cento chili di muscoli granitici, aveva un fisico massiccio e statuario. I bicipiti e i pettorali sembravano sul punto di scoppiare e tendevano il tessuto della camicia; i capelli biondi rasati con un severo taglio militare contribuivano a conferirgli un aspetto minaccioso. Tuttavia Peyton sapeva che non gli sarebbero bastati i muscoli possenti e lo sguardo truce per sopravvivere a Pelican Bay, se avesse dato fastidio alla persona sbagliata.

    «Non credo che lei si renda conto di come sia la vita carceraria» obiettò.

    Lui aprì la bocca come per ribattere, poi tacque per chissà quale motivo. Al suo posto intervenne Rick Wallace, il vicedirettore del Dipartimento di Correzione e Riabilitazione della California. Era stato lui a presentare Bennett, che sembrava il suo esatto opposto. Sempre impeccabile, con un abbigliamento di classe curato fin nei minimi particolari e un vistoso anello d'oro al dito, Wallace pareva proprio un damerino rispetto al rude Simeon Bennett.

    «Capisco che la nostra proposta sia senza precedenti» esordì. «Tuttavia è ora di prendere provvedimenti perché i problemi di Pelican Bay stanno assumendo proporzioni preoccupanti e la stampa accusa il carcere di essere il teatro della guerra tra bande. La situazione è critica e dobbiamo agire concretamente, con forza. Il direttore è deciso a scoprire e incriminare chi ha ucciso il giudice Garcia. Ha l'appoggio del segretario Hinckley e del governatore per questo progetto. Il signor Bennett è consapevole dei rischi che corre. Pur lavorando nel settore privato, è impegnato in ambito penale da una decina d'anni e secondo me vale la pena dargli fiducia.»

    Sempre più agitata, Peyton si alzò. «Anche se ha esperienza, nessuna missione passata può averlo preparato allo scenario in cui verrà a trovarsi. E pensa davvero di agire da solo?»

    Simeon la guardava impassibile, senza aprire bocca.

    «Non sarà solo» la contraddisse Wallace. «Avrà il suo appoggio, signorina Adams.»

    «Non dimentichi che io sono in amministrazione. Se verrà accoltellato posso accertarmi che venga portato in infermeria, ma non posso fare di più.»

    Wallace aprì la valigetta portadocumenti che aveva posato davanti a sé sul tavolo della riunione. «Mi sta dicendo che non riesce a garantire la sicurezza dei suoi detenuti?»

    «Le prigioni servono a proteggere l'incolumità di chi è all'esterno, ed è lì che suggerisco che resti il signor Bennett se volete evitare di mettere a repentaglio la sua esistenza» replicò Peyton. «Se un nuovo arrivato, catapultato nella popolazione carceraria, comincerà a fare troppe domande e a pestare i calli alle persone sbagliate, non sopravvivrà una settimana e...»

    «Abbiamo preso nota della tua obiezione, Peyton» intervenne il direttore del carcere, Fischer, interrompendola e facendole segno di rimettersi a sedere.

    Era al timone del più famoso carcere di massima sicurezza della California solo da tre anni, ma aveva sessantun anni e lavorava in quel settore da molto più tempo di lei. Probabilmente aveva anche il doppio di anni di servizio rispetto a lei; aveva lavorato a San Quintino e a Corcoran prima di approdare a Pelican Bay, che dirigeva con il pugno di ferro. Per giunta era amico di Arnold Schwarzenegger, che l'aveva nominato quando era il governatore della California. Credeva fermamente nella politica della repressione dura e inflessibile del crimine che aveva portato alla creazione di supercarceri come Pelican Bay, e non era benvoluto né dai detenuti né dalle guardie carcerarie. Tozzo e robusto, con il torace a tronco e il girovita ampio, gambe arcuate e voce roca, aveva un fisico rozzo che si accompagnava bene al suo carattere scontroso e poco malleabile.

    Peyton faceva il possibile per sopportarlo, ma era convinta che Fischer confondesse la riabilitazione con la punizione e non vedeva l'ora che se ne andasse in pensione. Come vicedirettore della struttura, sperava di prendere il suo posto e poter finalmente guidare il carcere verso un'amministrazione più illuminata.

    «E tu che ne pensi, Rosenburg?» chiese il direttore all'uomo al suo fianco.

    Alto poco più di un metro e settanta, un paio di centimetri più di Peyton, Frank Rosenburg era più vicino ai quaranta che ai trenta ed era ispettore capo. L'organico della polizia penitenziaria di Pelican Bay era composto da quattro agenti che dovevano indagare sul traffico di droga e sulle attività delle bande all'interno del carcere, oltre che su tutti gli altri reati commessi all'esterno e organizzati dai detenuti. Tra omicidi, riciclaggio, rapine in banca, furti in appartamento e persino prostituzione, Rosenburg e i suoi uomini avevano il loro bel daffare. Oltretutto il rapporto fra agenti e detenuti non era certamente ottimale, considerato che c'erano tremilatrecentoquarantatré carcerati, buona parte dei quali era di quarto livello, il peggio del peggio, per usare un eufemismo che Peyton aveva sentito fino alla nausea nei sei mesi trascorsi da quando aveva preso servizio a Pelican Bay. Circa milleduecento detenuti erano in isolamento per cercare di contenere il problema della violenza in carcere. Erano sistemati in celle di cemento di due metri e mezzo per tre e mezzo, senza finestra, da cui uscivano unicamente per l'ora d'aria che trascorrevano camminando da soli in un cortile grande come un campo da squash. Pur essendo controllati costantemente e privi di concessioni e contatti con altri detenuti o con l'esterno, riuscivano a gestire reti criminali dentro e fuori dal carcere.

    Lisciandosi il pizzetto bruno con aria cupa, Frank rispose: «Sa bene com'è la situazione, capo. Lavoriamo come bestie, ma controllare i detenuti è impegnativo e ci porta via tanto tempo. Credo che i responsabili della morte del giudice Garcia siano gli Hells Fury. L'ordine dovrebbe essere partito da Detric Whitehead o da chissà chi. Garcia avrebbe presieduto il processo di Chester Wellington e gli Hells Fury erano contrari, quindi l'hanno eliminato. Però non saprei spiegare come abbiano fatto e dimostrarlo sarà ancora più difficile».

    «Perciò sei d'accordo sull'idea di un infiltrato?» insistette Fischer.

    Frank guardò Simeon con diffidenza. Era chiaro che non era affatto d'accordo, ma non voleva respingere decisamente il progetto per deferenza nei confronti del direttore e del Dipartimento. «Sinceramente preferirei aumentare l'organico e avere qualche agente in più al mio comando per risolvere questa faccenda internamente.»

    «Non abbiamo i fondi per assumere altro personale, lo sai» obiettò il direttore.

    «Però potremmo collaborare con la polizia di Santa Rosa e istituire una task force congiunta come hanno fatto per l'Operazione Vedova Nera» suggerì Frank.

    «E questa sarebbe la tua proposta? L'Operazione Vedova Nera coinvolgeva trenta agenzie ed enti pubblici, tra cui l'FBI. È stata una delle più estese e costose indagini sulle attività delle bande negli Stati Uniti ed è durata ben tre anni. Se la California non ha fondi per aumentare l'organico della polizia penitenziaria, di certo non li ha neanche per un'altra operazione complessa e articolata come quella. Di sicuro i Federali non la sovvenzioneranno. Hanno già abbastanza problemi per conto loro.»

    Frank assunse un'espressione contrariata. «Non possiamo permetterci di fallire, o gli Hells Fury aumenteranno il loro potere, che si sta espandendo pericolosamente dentro e fuori dal carcere.»

    Wallace intervenne di nuovo con foga. «L'Operazione Vedova Nera ha avuto successo grazie all'impiego di un informatore che ha messo in moto le indagini, ed è quello che cerchiamo di fare qui. Senza notizie precise su nomi, date e luoghi, non abbiamo elementi da cui cominciare. Sappiamo solo che una nuova banda sta prendendo il controllo di Pelican Bay e delle strade della California del Nord.»

    «Forse potremmo convincere qualcuno a collaborare. Un pentito sarebbe utile» disse Peyton. «Qualcuno che stia per uscire in libertà condizionata e preferisca cambiare vita invece di tornare a militare nelle file degli Hells Fury, con la certezza quasi matematica di tornare in prigione.»

    Rosenburg accolse con sollievo il suggerimento di Peyton. «Buzz Criven uscirà il mese prossimo. Potremmo offrirgli un accordo...»

    «Anche se lo accettasse, nessuno ci garantisce che starebbe ai patti. Sapete tutti quanto siano inaffidabili quei bastardi e quanto siano inclini a mentire» obiettò Fischer.

    «Per questo propongo di usare una talpa» disse Wallace.

    Ma a quale costo?, si chiese Peyton. Evidentemente una vita umana valeva meno delle spese di un'indagine normale. Se Simeon Bennett sperava di guadagnarsi la fiducia degli Hells Fury solo perché era un bianco dall'aspetto minaccioso, sbagliava di grosso. Le bande non funzionavano così.

    Peyton guardò Simeon Bennett dritto in faccia. «Conosce la regola di base dell'appartenenza a una banda? Sangue per entrare, sangue per uscire. Il candidato deve uccidere un altro detenuto per poter far parte della gang e non ne può uscire, pena la morte.»

    Lui mise le mani sul tavolo e intrecciò le dita nodose e segnate dalle cicatrici, il che indicava che era abituato a fare a pugni. Ma furono le parole LOVE e HATE, amore e odio, tatuate sulle dita, ad attirare l'attenzione di Peyton. Era chiaro che non era un normale agente; anzi, tecnicamente non faceva parte delle forze dell'ordine, ma era solo un consulente. Però questo non significava che si sarebbe sentito a suo agio in carcere con stupratori, assassini e gang violente.

    «Vuole mettermi alla prova con un quiz sul codice delle bande?» la provocò lui.

    Lei si aggiustò il bavero della giacca del gessato blu scuro con la gonna a tubino acquistato l'ultima volta che si era recata a San Francisco. «Quindi sarebbe disposto a pugnalare qualcuno per farsi ammettere in una banda? Perché se è vero le preparo una cella oggi stesso» replicò spavalda.

    Lui le strizzò l'occhio. «Ora cominciamo a ragionare.»

    Peyton lo fissò a bocca aperta. «Ed è lui che volete usare come infiltrato?» chiese a Wallace incredula.

    «È perfetto, no?» replicò l'uomo con un ghigno soddisfatto.

    Per evitare d'imprecare, Peyton prese tempo e si lisciò i capelli che erano raccolti in uno chignon stretto alla nuca. «Quindi a lei sta bene quello che il signor Bennett si propone di fare?»

    Calmo e composto, da vero politico navigato, Wallace la guardò dritto negli occhi. «Secondo me è credibile, perciò è proprio quello che cerchiamo.»

    «Quello che intendevo dire è che non basta fare lo spaccone per superare l'iniziazione in una banda» ribatté Peyton, parlando lentamente e scandendo bene le parole.

    «Io e Simeon ne abbiamo già parlato» rispose Wallace. «Potremmo simulare certe situazioni, con la sua collaborazione, per far sembrare che qualcuno sia stato accoltellato, per esempio.»

    «Forse non ha ben compreso la situazione» disse Peyton, trattenendo a stento l'esasperazione. «Non è lui che decide chi colpire e cosa fare. Sono gli Hells Fury a scegliere il bersaglio e la prova da superare.»

    «Vedremo al momento.» Wallace lanciò un'occhiata esasperata a Fischer, che però non colse l'invito implicito a rimettere Peyton al suo posto.

    «Sarà il Dipartimento a finanziare le indagini?»

    «Sì, certo. Se l'operazione avrà successo, saranno soldi ben spesi e ci sarà costata meno che dover risolvere il problema in altro modo, se continuerà ad aumentare di proporzioni.»

    A causa della crisi economica che affliggeva la California il direttore del carcere, come tutti i suoi colleghi, aveva problemi di bilancio, ma per Peyton risparmiare non giustificava il rischio che avrebbe corso Bennett. Sperava che almeno il quinto partecipante alla riunione, Joseph Perry, uno dei suoi sottoposti, fosse d'accordo con lei.

    Ma quando lo interpellò per chiedergli cosa ne pensasse, lui si aggiustò gli occhiali sul naso e dichiarò: «Potrebbe funzionare».

    In altre parole, non gli importava affatto se Bennett ci avrebbe rimesso la pelle. Non era lui a rischiare la vita, dopotutto.

    Peyton si voltò verso il direttore. «Almeno prenda un po' di tempo per riflettere meglio sulla questione, signore» lo pregò.

    «È esattamente quello che ho fatto» le rispose Fischer asciutto, prima di rivolgersi a Simeon. «È sicuro di essere in grado di affrontare la situazione?»

    Bennett incurvò un angolo della bocca in una specie di ghigno, poi si arrotolò la manica per mostrare un tatuaggio che a prima vista le parve il numero di matricola di un detenuto.

    «Lei è già stato in carcere?» osservò Peyton incredula.

    Bennett si riabbottonò la manica e fece un cenno d'assenso.

    «Ah, fantastico!» borbottò lei sarcastica. «Ora sì che sento di potermi fidare.»

    «Considerate le sue riserve, sono più preoccupato del fatto che io non posso fidarmi di lei» obiettò Bennett.

    Il direttore intervenne prima che Peyton potesse dargli una risposta tagliente. «Perché è finito in carcere?»

    «Omicidio di primo grado» rispose Bennett continuando a tenere gli occhi puntati su Peyton, anche se non era stata lei a porgli la domanda. Era curioso di vedere la sua reazione.

    Sbalordita, lei lo fissò a bocca aperta.

    «Per quanto tempo è stato in carcere?» gli domandò Rosenburg.

    Stavolta Bennett si voltò verso Frank. «Quasi sei anni.»

    «Il caso del signor Bennett è stato a dir poco spiacevole ma, grazie a prove emerse in seguito, è stato prosciolto» spiegò Wallace.

    Certo, pensò Peyton. Anche se Bennett sembrava indurito dalla vita del carcere come gli altri detenuti che vedeva tutti i giorni, non era colpevole di omicidio. Un assassino non avrebbe potuto collaborare con il Dipartimento.

    Ma sei anni?, pensò stupita. Non osava pensare che tortura fosse stata per lui restare in carcere per così tanto tempo per un crimine che non aveva commesso. Le sembrava incredibile che, dopo essere stato condannato ingiustamente, fosse disposto a tornare dentro. Per rendere credibile la finzione non avrebbero potuto fare favoritismi nei suoi confronti. Un infiltrato a Pelican Bay avrebbe subito lo stesso trattamento degli altri, come se fosse stato un vero detenuto.

    «Se pensa di convincermi in questo modo di essere il candidato perfetto, si sbaglia di grosso» lo avvertì Peyton.

    «Perché?» replicò Bennett in tono di sfida.

    «Un'esperienza tragica come sei anni di carcere per un errore giudiziario lascia il segno. Non può non essere cambiato.» Peyton vide allora un muscolo guizzargli nella mascella.

    «Sta dicendo che sono mentalmente instabile?»

    «Potrebbe.»

    Simeon sollevò il mento con orgoglio. «Le assicuro che ho passato a pieni voti tutti i test psicologici attitudinali.»

    Peyton si guardò intorno e si accorse che nessuno dei presenti sembrava condividere il suo scetticismo. Anzi, guardavano tutti Bennett con curiosità, quasi con ammirazione.

    Wallace consegnò agli altri una cartellina. «Ho fatto una copia del curriculum di Bennett per ognuno di voi. Considerato il suo passato, ho previsto che avreste avuto dubbi o comunque domande. Vogliamo che vi sentiate assolutamente sicuri della nostra scelta e vi garantiamo che abbiamo esaminato scrupolosamente tutti gli aspetti della questione. L'abbiamo chiamata Operazione Inside, e noi siamo fiduciosi sulla sua riuscita.»

    «Noi?» ripeté Peyton.

    «Il Dipartimento» precisò Wallace con enfasi, per sottolineare il peso istituzionale della sua opinione.

    Il messaggio era chiaro; Peyton avrebbe fatto meglio a non mettere i bastoni tra le ruote a chi le elargiva lo stipendio.

    Spostò lo sguardo verso Simeon. «In quale carcere è stato?»

    «In uno federale.»

    La sua risposta laconica le fece capire che Bennett non gradiva troppe domande. Per pudore o perché aveva la coscienza sporca? Nonostante fosse stato scagionato, uno che aveva passato sei anni in prigione per omicidio poteva nascondere parecchi segreti...

    «Da quanto tempo è uscito?» gli domandò Fischer.

    Simeon lo guardò con palese disprezzo. Era chiaro che non gli piaceva essere interrogato né parlare del passato. «Da dieci anni.»

    «E cos'ha fatto da allora?»

    «Prima sono entrato in polizia, poi sono passato al settore privato.»

    «Quindi è andato in carcere molto giovane» intervenne Peyton.

    «A diciotto anni.»

    Doveva essere stato terribile, pensò Peyton. «Immagino che colpo per la sua famiglia...» mormorò.

    Lui non si lasciò ingannare dal suo tono comprensivo. Capì al volo che Peyton voleva altri particolari, ma non le diede soddisfazione ed evitò qualsiasi spiegazione. «Sì, è stato molto brutto per tutti.»

    Peyton sperava che Fischer sarebbe stato diffidente nei confronti di un uomo con i suoi trascorsi. Invece il direttore, senza neanche aprire la cartellina per dare un'occhiata al curriculum, si alzò e porse la mano a Wallace.

    «Faremo tutto il possibile per garantire la sua incolumità» dichiarò con fermezza. «Quando entrerà?»

    Peyton digrignò i denti, frustrata. Fischer aveva ceduto.

    «Pensavamo subito dopo i nuovi trasferimenti di martedì prossimo» rispose Wallace stringendo la mano del direttore. «Così non darà nell'occhio.»

    Quel giorno era venerdì, pensò Peyton. Quindi l'operazione sarebbe cominciata di lì a quattro giorni.

    Anche Frank si alzò. «Quale sarà la sua storia di copertura?»

    «Sulla sua cartella sarà scritto che è stato condannato per l'omicidio del patrigno» rispose Wallace. «Più cercheremo di attenerci alla verità e più la sua storia sarà credibile.»

    «La verità?» ripeté Peyton perplessa.

    «Sì, è la condanna per cui era finito dentro.»

    Peyton sentì un brivido percorrerle la spina dorsale. Non solo Bennett era stato condannato per omicidio, ma addirittura per aver ucciso qualcuno con cui aveva dei rapporti di parentela, e a lei sembrava decisamente inquietante, anche se poi era stato prosciolto. Doveva comunque esserci stato un motivo se era stato accusato ingiustamente.

    Quando i penetranti occhi azzurri di Simeon si posarono su di lei, Peyton intuì che lui aveva avvertito la sua diffidenza e che si era aspettato la sua reazione, ma al contempo ne era risentito.

    «Invece chi era stato?» chiese curiosa.

    Bennett si limitò a sorridere e Wallace intervenne per spiegarle: «Suo zio. In questo momento è nel carcere di Solano in attesa di processo. Ci sono degli indizi che indicherebbero che è stata sua madre a convincerlo a commettere l'omicidio, ma nessuna prova certa, perciò la madre non è stata accusata formalmente. Simeon Bennett ha anche una sorella minore, che ha due figli ed è divorziata. Servono altre informazioni?».

    In effetti sì, pensò Peyton. Se la madre di Bennett aveva indotto il fratello a uccidere suo marito, perché era finito in carcere Simeon? La madre avrebbe dovuto fare qualcosa per impedire che fosse accusato ingiustamente. Oppure lei e suo zio l'avevano incastrato? Nella mente di Peyton ronzavano mille domande che però non osò porre, anche perché era inutile. Fischer avrebbe avviato l'operazione con o senza il suo consenso. Perché indispettirlo ancora di più? Dal tono sarcastico di Wallace, aveva capito che era già esasperato dal suo comportamento.

    «No» rispose.

    «Bene, allora saremo pronti ad accogliere il signor Bennett martedì» intervenne Fischer.

    «Un'ultima cosa» disse Wallace in tono cupo. «La vera identità di Bennett è top secret, così come tutte le altre informazioni relative all'Operazione Inside. Sono stato chiaro?»

    «Non si preoccupi» lo rassicurò Fischer. «Quando tornerò a Pelican Bay, convocherò tutto il personale per spiegare la delicatezza della situazione.»

    «No.» Wallace scosse la testa. «Nessuno deve saperlo oltre a coloro che sono stati convocati qui oggi.»

    Fischer si grattò il mento con aria perplessa. «Quindi non possiamo neanche informare le guardie carcerarie dei detenuti generici?»

    «Esattamente.»

    «Allora come potranno proteggere il signor Bennett?»

    Wallace allargò i lembi della giacca e infilò un pollice nella cintura, come un modello in posa. Era un tipo ambizioso ed era chiaro che aspirava a diventare un giorno il direttore del Dipartimento, per cui si sforzava di far colpo sui suoi superiori ed era inflessibile con i sottoposti. Scrollò le spalle e rispose: «Si comporteranno come fanno con gli altri detenuti, né più né meno».

    Peyton notò che Fischer cominciava a comprendere i motivi della sua perplessità. «Ma...» cominciò.

    Wallace lo zittì. «Trattarlo in maniera diversa o mostrargli un rispetto che non viene concesso agli altri, parlare con lui in disparte... servirebbe solo a metterlo in pericolo.»

    «Però in questo modo non riceverebbe alcun appoggio» obiettò Fischer, come aveva già sottolineato Peyton.

    «Non possiamo fare altrimenti, o rischieremmo di svelare la sua copertura.»

    «Le assicuro che il personale gode della mia completa fiducia» insistette Fischer.

    «A Pelican Bay ci sono millequattrocento dipendenti. Come può garantire per tutti?» precisò Wallace agitando la mano ornata dal pesante anello. «Non accuso nessuno, ma sappiamo benissimo che droga, armi e messaggi entrano ed escono dal carcere con una certa frequenza, il che significa che qualcuno dei secondini è in combutta con i detenuti. Basterebbe un vago sospetto, un avvertimento agli Hells Fury e tutti saprebbero la verità. È inutile che le dica quale sarebbe il risultato.»

    Fischer si accigliò. «Quindi l'indagine è rivolta ai detenuti, ma anche al personale?»

    «È da vedere» replicò Wallace sibillino. Alzatosi in piedi, prese la valigetta e uscì con Simeon Bennett dopo aver salutato i presenti con un vago mormorio.

    Rimasti soli, Peyton, Fischer, Rosenburg e Perry si fissarono attoniti. Alla fine il direttore chiese a Rosenburg e a Perry di aspettare fuori per parlare a quattr'occhi con Peyton.

    Preparandosi a sentirsi rimproverare per essersi dimostrata ostile e poco diplomatica, Peyton chiuse la porta dopo che gli altri due furono usciti. Invece Fischer la stupì.

    «Non approvi l'operazione, vero?» esordì.

    «No, capo» confermò Peyton.

    «Non ritieni che Bennett possa farcela?»

    «Temo che nessuno possa cavarsela in quelle condizioni, né lui né un altro. Sai cosa gli succederebbe se fosse accusato di essere una talpa. Non servirebbero prove, basterebbe il sospetto per decidere di farlo fuori.»

    Fischer sospirò e ammise: «Per un verso o per l'altro, è un'operazione delicata e pericolosa. Però, se davvero avesse modo d'infiltrarsi tra gli Hells Fury, potrebbe esserci molto utile per sgretolare la roccaforte della banda a Pelican Bay».

    «Sì, sarebbe davvero un gran colpo poter bloccare Detric Whitehead e porre fine alle sue attività criminose.»

    «Non abbiamo scelta, dobbiamo collaborare per forza con Wallace. Te ne rendi conto, spero.»

    «Ma perché per forza?» ribatté Peyton, tenace.

    «L'hai sentito con le tue orecchie. Wallace ha illustrato l'operazione fingendo che noi potessimo avere voce in capitolo, quando in effetti non è così. La decisione era già stata presa ancora prima che lui ci chiedesse di partecipare a questa riunione.»

    «Allora cosa dovremmo fare?»

    «Collaborare con le indagini, come ci è stato chiesto» dichiarò Fischer con fermezza. «Ma è inutile che vi dedichiamo tempo prezioso in due. Io ho dato il mio avallo, ora occupatene tu.»

    Una morsa d'apprensione serrò lo stomaco di Peyton. «In che senso?»

    «Io ho già abbastanza impegni. D'ora in poi il referente sarai tu. Dovrai incontrarti con Bennett in maniera da non destare sospetti e riferire a Wallace i suoi progressi. Quest'operazione diventerà una tua creatura, ora pensa a farla crescere. D'accordo?»

    Peyton era esterrefatta. Proprio lei, che non era affatto convinta del progetto, avrebbe dovuto dirigerlo? Oltretutto, per aver dato voce apertamente alle sue obiezioni ora si era inimicata Wallace, per non parlare di Bennett. Perché il direttore aveva affidato il comando proprio a lei, sapendo che non era d'accordo?

    Poi, di colpo, le balenò in mente la verità.

    Fischer voleva prendere le distanze dall'operazione perché non ne era convinto neanche lui e gli serviva un capro espiatorio se l'iniziativa si fosse rivelata un fallimento.

    Ora capiva perché l'avesse invitata alla riunione. Fischer aveva pensato di accontentare il Dipartimento avallando la missione, schivando però qualsiasi colpa se avesse fatto un buco nell'acqua.

    «Ho forse scelta?»

    Fischer si lisciò i radi capelli bianchi. «Sì, puoi rassegnare le dimissioni, se preferisci» insinuò.

    Peyton fece un respiro profondo. Per quanto fosse tentata di andarsene sbattendo la porta, aveva investito sedici anni nella sua carriera e non intendeva vanificare tutti gli sforzi abbandonando il campo senza lottare, soprattutto se c'era un'infinitesimale possibilità che Bennett avesse successo e li trasformasse entrambi in eroi.

    Ripensò alle strane iridi chiare di Bennett, che sembravano schegge di ghiaccio. «No, signore.»

    Fischer sorrise. «Mi fa piacere. Buona fortuna a te e a Bennett» concluse prima di uscire e lasciarla sola nella sala.

    Peyton appoggiò i gomiti sul tavolo e si prese la testa fra le mani, maledicendo mentalmente Fischer e la sua vigliaccheria, che lo induceva a lavarsene le mani e a eludere ogni responsabilità in quella delicata operazione.

    Simeon Bennett era in gamba come riteneva Wallace? Lo sperava, perché se avesse fallito avrebbe trascinato a fondo anche lei.

    2

    Wallace aveva fornito una misera paginetta d'informazioni su Simeon Bennett, niente di più. E l'aveva chiamato curriculum!, pensò Peyton delusa. Lei comprendeva la necessità di segretezza, il rischio che avrebbe corso mettendo troppi particolari nero su bianco, ma quelle scarne note biografiche non rivelavano nulla che non sapesse già. Il cosiddetto curriculum era una finzione, una pura formalità, e questo la metteva a disagio. Peyton trascorreva cinque giorni alla settimana con alcuni tra i più astuti bugiardi, ladri e assassini della California, perciò ormai aveva sviluppato un fiuto per l'inganno e capiva al volo quando qualcuno cercava di raggirarla. La riunione le aveva dato proprio quell'impressione.

    Che cosa stava architettando Wallace? Peyton non avrebbe mai immaginato di doversi preoccupare di chi era dallo stesso lato della barricata, e oltretutto le era superiore di grado.

    Sentendo bussare, rimise il foglio che stava leggendo nella cartellina, che infilò sotto una pila di pratiche ammassate sulla sua scrivania.

    «Avanti!»

    Shelley, la sua segretaria, si affacciò. «Io vado a casa. Devo fare qualcosa prima di uscire?»

    Peyton guardò l'orologio. Erano già le quattro e mezza?, si domandò stupita. Era talmente impegnata che le giornate volavano. Forse era per questo motivo che non aveva una vita sentimentale, oltre al fatto che si rifiutava di frequentare gli uomini che lavoravano a Pelican Bay... escludendo così una grossa fetta della popolazione maschile di Crescent City.

    «No, grazie. Ci vediamo lunedì.»

    Shelley non ricambiò il saluto. La testa sormontata da una massa di riccioli castani restò nell'arco della porta. «Mmh...» mugugnò.

    «Che succede?»

    «Hai la ruga dei momenti brutti.»

    «Eh?» Cercando di fare finta di niente, Peyton raddrizzò la spillatrice e allineò il calendario e il portapenne.

    «Sì.» Shelley si indicò un punto tra gli occhi. «Quando sei preoccupata hai una ruga proprio qui. Cosa c'è che non va?»

    Peyton sorrise per fare sparire quel segno. Non avrebbe ammesso per nulla al mondo che era in pensiero; l'Operazione Inside era segretissima. «Niente, il solito aspirante suicida» sospirò. «Un detenuto continua a sostenere di avere tendenze suicide.»

    «Che cosa dice la perizia psichiatrica?»

    «Che finge.»

    Shelley entrò nell'ufficio e appoggiò le spalle allo stipite della porta, poi incrociò le braccia sul seno prosperoso. «Per cosa è dentro?»

    «Ha molestato tre ragazzini.»

    «Allora non avrà vita facile.»

    Peyton annuì. Tutti sapevano che gli stupratori, i pedofili e gli assassini di bambini erano detestati e venivano picchiati o addirittura uccisi da altri detenuti. «Non sono sicura che sia l'unico motivo per cui sostiene di volersi togliere la vita.»

    Shelley si avvicinò e si sedette su una delle due poltroncine di fronte a Peyton. «Non è una novità che quelli come lui cerchino di farsi ricoverare nel reparto psichiatrico, ma non puoi mandarceli tutti, considerato che ci sono soltanto centoventotto posti letto. Fossi in te, lo rimetterei fra i detenuti generici.»

    «Senza esitazione?»

    «Perché no?»

    «E se dovesse suicidarsi davvero? Se s'impiccasse nella sua cella, vorresti addossartene la responsabilità?»

    «Io no» replicò Shelley decisa. «Ma tu vieni pagata profumatamente proprio per questo.»

    Profumatamente?, pensò Peyton. Guadagnava centoventimila dollari l'anno, ma un sostanzioso stipendio non l'aiutava a dormire

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