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Presunta colpevole (eLit): eLit
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E-book332 pagine4 ore

Presunta colpevole (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Per venticinque anni l'uomo d'affari plurimilionario Ron Raven ha finto di essere un marito e padre amorevole, in due case molto diverse. Ma quando Ron scompare, la sua finzione viene svelata. Di fronte al più grande tradimento, entrambe le famiglie vengono lasciate a domandarsi di chi possono fidarsi, e chi rimane sospettato.
Il cinico avvocato Liam Raven nasconde la bigamia d suo padre fino a che non è troppo tardi. Ironicamente, Liam è specializzato in casi di divorzio. Ma quando Chloe Hamilton è accusata di aver assassinato suo marito, un famoso sindaco di Denver, lui fa una eccezione. La relazione di Liam con Chloe presto va oltre quella tra cliente e avvocato. Il suo precedente marito aveva molti segreti, incluso un collegamento con l'altra famiglia di Ron Raven. E assolvere Chloe significa scoprire una serie di bugie e inganni che conducono proprio al padre di Liam.
LinguaItaliano
Data di uscita29 dic 2017
ISBN9788858979587
Presunta colpevole (eLit): eLit
Autore

Jasmine Cresswell

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Presunta colpevole (eLit) - Jasmine Cresswell

    successivo.

    1

    Denver, Colorado, lunedì 7 agosto

    Sbirciando la donna che gli dormiva accanto nel letto, Liam Raven si sforzò di ricordarne il nome. Gli sembrava che fosse una patita dello snowboard. Di sicuro studiava da infermiera.

    Il nome, tuttavia, gli sfuggiva.

    Guardò la luce che filtrava attraverso le stecche rotte della veneziana e si chiese come fosse possibile che alla veneranda età di trentacinque anni - presto trentasei - non avesse ancora trovato un modo migliore di trascorrere le notti salvo portarsi a letto qualche sconosciuta che non intendeva rivedere mai più e di cui regolarmente dimenticava il nome.

    La vibrazione del cellulare gli impedì di addentrarsi nei torbidi recessi della propria psiche. Fu grato dell'interruzione. L'autoanalisi gli procurava il mal di testa nove volte su dieci, mentre il lavoro si rivelava in genere il più affidabile degli anestetici.

    Sgusciò fuori dal letto, aprendo il cellulare. Per rispetto nei confronti della donna senza nome ancora addormentata, aspettò di trovarsi nell'attiguo salotto prima di rispondere. «Sono Liam Raven.»

    «Oh. Fortuna che l'ho trovata, avvocato! Sono Chloe Hamilton.» La donna dall'altro capo del filo inspirò a fondo, come prendendo coraggio. «Si ricorda di me? Sono venuta nel suo studio a primavera. Le avevo chiesto di occuparsi del mio divorzio...»

    «Certo che mi ricordo, signora Hamilton.» Anche nel novero dei ricchi e famosi clienti di Liam, sarebbe stato difficile dimenticare una campionessa olimpica, tra l'altro sposata con il sindaco di Denver. Per non parlare del fatto che la campionessa in questione era anche uno schianto. Alta, snella e con un corpo atletico che sembrava uscire dalle pagine di una rivista di fitness.

    «Abbiamo discusso di come tenere nascosto il procedimento finché la sentenza non fosse stata emessa» continuò Liam, facendole capire di rammentare perfettamente il caso. «Alla fine, però, lei ha deciso di non divorziare per il bene di sua figlia. Come posso aiutarla, signora Hamilton?»

    «Jason è morto!» esplose lei con un piccolo singhiozzo. «È stato... assassinato» aggiunse balbettando.

    Il sindaco di Denver era stato assassinato? Diavolo! Gli sfuggì quasi un'imprecazione. «Mi spiace apprendere...»

    «Sono stata io a trovarlo! Sono scesa dabbasso e lui giaceva sul pavimento del seminterrato. C'era sangue dappertutto. Sulla parete. Sul pavimento. Oh, è stato terribile...» La Hamilton parlò in modo sconnesso, come se le stessero battendo i denti. «Tutto quel sangue» ripeté. «Santo cielo, tutto quel sangue...»

    Liam non perse tempo. «Ha chiamato la polizia? Un medico?» chiese a raffica. Un medico avrebbe potuto aiutare Chloe, se anche fosse stato troppo tardi per il marito.

    «La polizia pensa che l'abbia ucciso io.» Le parole le ruzzolarono fuori come un torrente in piena. «Sono sicura che presto mi arresteranno. Ho bisogno di un avvocato. Non posso andare in prigione, nemmeno per un paio di notti. Sophie ha appena perso... ha appena perso suo padre. Non può perdere anche me. Semplicemente non può.»

    Sophie doveva essere la figlia. Liam non l'aveva mai vista e non sapeva quale età potesse avere. Non andava ancora a scuola, ricordò di colpo. Quindi, che cos'aveva? Tre o quattro anni?

    Tornò a parlare. «È lì la polizia ora?»

    «Solo due agenti che sorvegliano la scena del delitto e tengono lontani i giornalisti. Hanno già portato via...» Chloe si interruppe e poi riprese. «Hanno già portato via il corpo di Jason.»

    «Qualsiasi cosa faccia, signora Hamilton, non dica niente. Niente, mi ha sentito? Se i poliziotti le chiedono come si chiama, va bene, allora risponda. Dopotutto, è tenuta a identificarsi ma, per il resto, silenzio totale. Anche se le domande le sembrano innocue, non un fiato. In un caso di omicidio, la consorte e i familiari più stretti vengono sospettati per primi. A meno che lei non abbia un alibi di ferro...»

    «Sono sempre stata qui» lo interruppe l'altra con affanno. «Tutta la notte. Dev'essere successo mentre ero di sopra, a dormire.»

    Si era trovata di sopra, a dormire... sempre che non fosse stata lei ad assassinare il marito, rifletté Liam con una punta di cinismo. Tuttavia, evitò di mostrarsi scettico. «Date le circostanze, temo che per i poliziotti sia lei la sospettata numero uno, signora Hamilton. Non è niente di personale, badi bene.» Tenne a precisarlo. «Solo una procedura di routine ai primi stadi di un'indagine.»

    «I loro sospetti mi sembrano più di una semplice routine.»

    Sì, be', forse perché le prove puntavano direttamente nella sua direzione, concluse Liam. Ma non era quello il punto. Colpevole o meno, il suo consiglio per Chloe Hamilton rimaneva invariato: procurarsi un penalista coi fiocchi e tenere la bocca chiusa.

    Ribadì il concetto. «Trattandosi dell'assassinio di un cittadino molto in vista, la polizia la farà presto interrogare da alcuni dei suoi investigatori migliori. Qualsiasi cosa le chiedano questi signori - anche solo l'ora - lei temporeggi, va bene? Dica di doversi consultare con il suo legale prima di rispondere.» Non gli importava di apparire allarmista, intransigente o anche solo pedante. La situazione era grave e andava affrontata con criterio. «È chiaro?»

    «Sì, capisco. Ma temo che sia troppo tardi. Ho già risposto a un sacco di domande su quanto è successo stanotte.»

    Liam trattenne un'imprecazione. Non avrebbe mai cessato di stupirlo il modo in cui persone sofisticate e persino colte trascurassero di avvalersi del sacrosanto diritto di rimanere in silenzio dopo un crimine. Tentò comunque di rassicurarla. Chloe gli sembrava già abbastanza stressata senza che lui le facesse notare che si era comportata in modo decisamente stupido.

    «Con tutta probabilità, il danno è minimo.» Per il bene della Hamilton e di sua figlia, si augurava che fosse vero. Quando un genitore ne ammazzava un altro... be', non c'era modo migliore di rovinare la vita a un bambino. Crescere con la mamma in prigione non era esattamente il requisito ideale per un'infanzia da cartolina.

    «Faccia in modo di non rispondere a nessun'altra domanda finché non avrà un legale al suo fianco, d'accordo?»

    «Okay.»

    «Ha carta e penna?»

    «Credo. Se mi dà un minuto, controllo.» Le si affievolì la voce, e lui se la immaginò mentre si guardava intorno con occhi vacui, ancora troppo sconvolta per registrare con chiarezza dove si trovasse. Restò sorpreso per la facilità con cui riusciva a visualizzarla. A quanto pareva, gli era rimasta più impressa di quanto non avesse pensato.

    «Deve pur esserci una penna da qualche parte...» la sentì dire.

    «Trovi qualcosa con cui scrivere, forza» la riscosse Liam. «Rimango in linea.»

    Passò qualche altro minuto prima che Chloe riprendesse in mano il ricevitore. «Grazie per aver aspettato, avvocato Raven. Mi spiace. Di solito non sono così disorganizzata. Ho la penna adesso.»

    «Si annoti questo numero di telefono. È di un mio amico, Bill Schuller. Bill è un ottimo penalista e lei deve chiamarlo prima che la polizia torni a interrogarla.»

    «Ma io non voglio che sia Bill Schuller a rappresentarmi!» protestò la donna. «Voglio lei. Per questo l'ho chiamata. La prego, avvocato, deve aiutarmi.»

    «È quello che sto facendo. Si fidi. Bill Schuller è il miglior penalista di Denver...»

    «No, è lei il migliore!» si ostinò Chloe. «Lo dicono tutti. Ha fatto scagionare Sherri Norquist contro ogni previsione.»

    Bastò quel nome a rivoltargli lo stomaco, e si detestò per come stava reagendo a un caso e a una donna che appartenevano al suo passato da tre anni ormai. Era stato un idiota con Sherri Norquist. Si era fatto strumentalizzare a tal punto da innamorarsi di quella carogna di un'assassina. Ma, ehi, nessuno era perfetto. Era ora di voltare pagina. Sherri l'aveva fatto... e senza la benché minima traccia di rimorso.

    Quando tornò a parlare, la sua voce era gelida come una mattina d'inverno. «Apprezzo il complimento, signora Hamilton. Ma non ritengo di meritarlo. Ho solo avuto fortuna con quelli che sono stati i miei primi casi. Non esercito da anni come penalista. Di recente, mi occupo soltanto di divorzi.» Il che non solo lo teneva lontano da un indegno assortimento di sospetti assassini, ladri e spacciatori, ma gli forniva altresì il piacere di mandare mentalmente al diavolo quel bigamo di suo padre ogni volta che accettava un nuovo caso o ne chiudeva un altro.

    Liam si rendeva conto che c'erano cose peggiori per un ragazzo che non scoprire come il proprio padre avesse due mogli e due famiglie distinte. E in realtà non era stato nemmeno un ragazzo quand'era venuto a conoscenza della seconda famiglia del padre. Nondimeno, il suo odio per il genitore era profondamente radicato. Persino il fatto che Ron Raven fosse stato di recente assassinato non sembrava aver spento né attenuato quell'immenso rancore.

    Riportò la propria attenzione sulla telefonata in corso. «Deve chiamare Bill Schuller prima che torni la polizia a interrogarla, signora Hamilton» concluse categorico. «E si ricordi che gli agenti non scherzano quando affermano che tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei. Ecco il numero di Bill. Lo chiami subito, è importante.» Le dettò le cifre, rinnovò le condoglianze per la morte del sindaco e riattaccò prima che Chloe potesse protestare di nuovo.

    Aveva appena troncato la comunicazione quando la donna senza nome uscì dalla camera, avvolta in un asciugamano azzurro. Sembrava assonnata, graziosa e spaventosamente giovane.

    Santo cielo, dove aveva avuto la testa la sera prima?, si chiese Liam con segreto sgomento.

    «Oh, sei ancora qui» esordì la ragazza, sollevata. «Temevo te ne fossi già andato.»

    «No, sono ancora qui ma per poco. Stavo rispondendo al telefono e non ti volevo disturbare.» Le sorrise con tutto il calore di cui era capace al momento. Ovvero, pochissimo. La ragazza non poteva avere più di ventidue o ventitré anni. Il che significava che aveva qualcosa come quindici anni meno di lui. C'era ancora un che di infantile nella sua espressione e Liam provò uno sprazzo di colpevole rimorso per essersi approfittato della sua ingenuità. Era abilissimo nell'inventarsi le frasi migliori con cui rimorchiare e lei le aveva bevute tutte. Oh, certo, si erano conosciuti nel più equivoco dei bar. Nondimeno, anche per l'avventura di una notte, la poverina si sarebbe meritata un soggetto meno cinico di quanto non fosse lui riguardo alle relazioni. Tre mesi prima l'avrebbe probabilmente scartata senza nemmeno provarci ma, da quando era morto suo padre all'inizio di giugno, era come se la minuscola riserva di bontà umana rimastagli dopo il fiasco con Sherri Norquist si fosse volatilizzata, andando a marcire nelle profondità dell'Atlantico, insieme ai cadaveri del genitore e della sua misteriosa amante.

    «Vorrei tanto potermi trattenere.» Liam rivolse un altro sorriso in direzione della giovane. Un sorriso contrito che indicava rammarico per la fretta incalzante che gli imponeva la professione. Desiderava sganciarla nella maniera più indolore. O forse convincere se stesso che sedurre quella ragazzina non era stato poi così... ehm, scorretto.

    Le mostrò il cellulare. «Mi spiace» aggiunse. «Ho appena ricevuto una chiamata urgente dall'ufficio e devo scappare. È in atto una crisi familiare che coinvolge uno dei miei principali clienti, ed è richiesta la mia presenza.»

    «Adesso?» domandò lei, con espressione imbronciata. «Così presto? Non sono nemmeno le sei e trenta.»

    «Lo so. Pazzesco, eh? Veramente, abbiamo forse più emergenze noi avvocati che non i medici.»

    «Ma tu sei un divorzista! Non credevo che i divorzisti avessero emergenze!»

    «Come ti sbagli.» Le accarezzò una guancia, sentendosi addosso cent'anni mentre le rifilava una versione riveduta e corretta della verità. «A volte penso che siano proprio i divorzisti a beccarsi il peggio della trincea. Specie di lunedì mattina. I fine settimana sono duri per le coppie che si stanno separando. È allora che scoppiano le battaglie per la custodia. E nella maggior parte dei casi non sono solo le parole a volare.»

    «Oh, lo so.» Gli occhi della ragazza si fecero tristi. «I miei hanno divorziato quando avevo quindici anni. Per come la vedo io, avrebbero fatto un gran favore a me e ai miei fratelli se si fossero lasciati almeno dieci anni prima. Non si picchiavano, questo no. E nemmeno picchiavano noi. Ma tutte quelle scenate... ecco, erano orribili!»

    «I matrimoni in crisi sono duri per i figli, sia che reggano o che si sfaldino.» Liam non voleva veramente farsi trascinare in una conversazione sui problemi associati alle coppie che rifiutavano di ammettere la fine del loro rapporto. Era un argomento che lo riguardava troppo da vicino.

    Tornò nella camera da letto, chiedendosi se non fosse stata una battaglia per la custodia tra Jason e Chloe ad aver causato l'omicidio del sindaco. Un coniuge ne uccideva un altro per problemi di custodia con la stessa frequenza con cui uccideva per denaro, e molto più spesso di quanto non uccidesse per infedeltà. A Liam era bastato il primo consulto per capire come Chloe stravedesse per la figlioletta. Sarebbe stata capacissima di commettere un omicidio pur di difenderla, rifletté adesso, per quanto la sua indole fosse tutto fuorché violenta in circostanze normali.

    Quando Chloe si era rivolta a lui la prima volta, il suo istinto professionale gli aveva gridato che ad animarla era qualcosa di più del puro e semplice desiderio di divorziare. Analogamente, la riconciliazione non sembrava di per sé spiegare la successiva decisione della donna di rimanere con il marito. Lui aveva cercato di sondarla, beninteso. Ma Chloe gli aveva assicurato di avere semplicemente cambiato idea e di voler dare una seconda chance al proprio matrimonio.

    Liam non era sicuro di crederle, adesso come allora. All'epoca, aveva sospettato che Jason Hamilton fosse ricorso a una qualche forma di pressione, pur di tenersi la consorte e allontanare lo spauracchio del divorzio. Per esempio, se il sindaco aveva minacciato di battersi per la custodia della piccola Sophie, Chloe avrebbe potuto decidere di porre fine al ricatto emotivo sbarazzandosi dell'uomo.

    La ragazza senza nome seguì Liam nella camera da letto, richiamando la sua attenzione. Si appoggiò contro lo stipite della porta e l'asciugamano le scivolò maliziosamente verso il basso, mentre lo guardava vestirsi. «Non vuoi nemmeno farti una doccia prima di andare?» indagò. «E il caffè? Non lo prendi?»

    Lui si infilò la camicia nei pantaloni, chiudendosi la cerniera come scusa per non notare l'invitante seno nudo della donna. «Grazie per l'offerta» borbottò, «ma devo passare da casa a cambiarmi. Ho un'udienza in tribunale oggi e la mia cliente paga soldoni per il privilegio di vedermi apparire con il mio miglior completo a tre pezzi e la camicia inamidata.»

    La giovane tornò a protestare ma senza eccessivo vigore, come se non credesse del tutto alle sue scuse ma non volesse al tempo stesso insistere troppo, per paura di sentirsi dire qualcosa che non desiderava veramente sapere.

    Liam riuscì a svignarsela in meno di cinque minuti. Sarebbe stato facile mentire, promettere di tenersi in contatto e via dicendo, ma un tardivo sprazzo di coscienza lo costrinse al più sincero dei silenzi mentre infilava l'ascensore, lasciando un'avvilita bellezza senza nome sulla porta. La verità, concluse scontento, era grandemente sopravvalutata come ingrediente delle relazioni, sessuali o meno.

    Per l'ora in cui raggiunse la propria autovettura, aveva lo stomaco in subbuglio. Mandò giù una manciata di antiacidi - la sua colazione preferita - e guidò con feroce concentrazione attraverso il traffico già intenso. Denver era una città che si svegliava presto, tanto che le sette del mattino rientravano nell'ora di punta.

    Fu un sollievo tuffarsi nella rilassante austerità del suo nuovo appartamento di Confluence Park. Liam aveva scelto pareti bianche, pavimenti d'ardesia e mobili di design che contrastavano deliberatamente con il caotico confort casalingo del Flying W, il ranch di famiglia nel Wyoming.

    Riconosceva per primo che la propria quasi maniacale esigenza d'ordine rifletteva il caos della sua vita interiore. A volte si chiedeva se sarebbe mai riuscito ad abbassare il livello di guardia senza rischiare un crollo emotivo. Nondimeno, a prescindere dalle pulsioni psicologiche che avevano determinato le sue decisioni in materia di arredamento, l'immacolato lindore e l'accorta praticità di ogni stanza fungevano da tonico per la sua anima irrequieta.

    Gettò le chiavi dell'auto nella ciotola dell'ingresso e puntò verso la camera padronale per farsi la doccia, fermandosi lungo il tragitto a controllare la segreteria telefonica. C'erano quattro messaggi, tutti di lavoro. Sarebbe stata, grazie al cielo, un'altra settimana frenetica. Proprio il genere di sovraccarico che piaceva a lui, forse perché lo privava del tempo per fermarsi a riflettere.

    Accese il televisore mentre si rivestiva e scoprì che l'omicidio di Jason Hamilton stava già monopolizzando ogni canale, non soltanto locale ma anche nazionale. Comprensibile, dato che Jason era stato il sindaco di una grande città e che Chloe aveva portato la corona di fidanzatina d'America per parecchi mesi dopo le Olimpiadi Invernali del 1998.

    Ad attirare ulteriormente l'interesse dei media, Jason era stato quanto mai attivo nel settore immobiliare, accumulando miliardi, e vantava inoltre una parentela illustre, dato che il padre era un generale in pensione. La morte violenta di Hamilton rappresentava un'irresistibile combinazione di ricchezza, mistero e successo per le fameliche rotative del Paese.

    Passando da un canale all'altro, Liam si rese conto che i fatti riguardanti l'omicidio non si sprecavano davvero. Sembrava, tuttavia, che il corpo senza vita di Jason fosse stato scoperto dalla moglie nel seminterrato della loro abitazione di Park Hill verso le tre e trenta del mattino, ora di Denver. La vittima era stata pugnalata. La signora Hamilton aveva cercato di soccorrere il marito. I cronisti - discretamente vaghi a quello stadio - evitavano di speculare su quando Chloe fosse entrata in scena, se prima o dopo la morte di Jason.

    La mancanza di dettagli sull'assassinio veniva compensata da immagini e servizi di repertorio. Non c'era cronista che non ricordasse ai telespettatori le indiscutibili doti umane e politiche del già compianto sindaco. Nessuno aveva mai totalizzato più consensi di lui. Era persino riuscito a far sgomberare dalla neve alcune delle strade meno battute della città dopo la bufera peggiore dell'anno... un'impresa che aveva messo in ombra gran parte dei suoi predecessori, accattivandogli le simpatie dell'elettorato.

    I servizi a carattere politico si alternavano a reportage sulla signora Hamilton all'epoca dei suoi exploit sportivi. Era stata la prima sciatrice americana a vincere l'oro olimpico nella discesa libera. E sulla scia del proprio entusiasmante trionfo, la bionda Chloe era diventata la beniamina dei mass media, tanto che fioccavano sia video che fotografie da mandare in onda. Il primo piano dell'atleta sul podio della vittoria sembrava essere l'immagine più gettonata dai notiziari della mattina. Liam non stentava a capirne il motivo. Chloe era davvero una bellissima donna e il suo sorriso radioso bucava letteralmente lo schermo.

    Avendo sopportato due settimane sotto i riflettori quando il padre era stato assassinato lo scorso maggio, Liam simpatizzò con ciò che la Hamilton doveva passare in quel momento. Le sue simpatie erano comunque smorzate dalla forte probabilità che fosse stata proprio quest'ultima a uccidere il consorte. Le mogli erano sempre le principali sospettate in un caso di omicidio, e la sua esperienza di penalista non gli aveva dato motivo di dubitare delle statistiche. Facendo spallucce, si disse che una campionessa olimpica che sceglieva di pugnalare il proprio marito doveva per forza aspettarsi un po' di pubblicità negativa.

    Comunque fossero andate le cose, colpevole o innocente che fosse, Chloe avrebbe fatto meglio a prevedere il più feroce dei linciaggi mediatici. Se la polizia non fosse riuscita a identificare l'assassino del sindaco entro le successive quarantotto ore, la donna si sarebbe vista scagliare nell'orbita dell'attenzione nazionale. Un posto orribile in cui trovarsi quando quell'attenzione era tutto fuorché benevola.

    Per fortuna, nessuno dei problemi connessi con l'omicidio di Jason Hamilton lo riguardava da vicino. Liam scacciò un fremito di irrazionale rimpianto per la sua precedente carriera di penalista. Sì, gli era piaciuto il duro confronto in aula, e lo confortava tuttora il ricordo di quei rari clienti innocenti che aveva contribuito a far liberare. Ma il suo lavoro attuale garantiva un reddito maggiore, orari più prevedibili e molta meno tensione. Sarebbe stato pazzo anche solo a contemplare l'idea di rituffarsi nello stress delle cause penali, specie rimettendosi in gioco con una cliente famosa come la Hamilton. Quello sì che avrebbe creato il genere di pubblicità e clamore di cui nessuno nella sua famiglia aveva attualmente bisogno!

    Mentre raggiungeva lo studio, ripassò mentalmente il programma della giornata. Il suo primo appuntamento era con Heather Ladrow, della quale aveva curato il divorzio da uno dei più famosi capitalisti di Denver, quindici mesi prima. Nel fissare l'appuntamento, Heather gli aveva fatto capire che erano insorti gravi problemi con gli accordi finanziari.

    Quando arrivò, la ex signora Ladrow gli sembrò molto più vecchia e sciupata di quanto Liam non ricordasse. Non appena ebbe saputo ciò che stava passando, non si sorprese del suo aspetto malmesso. L'ex marito di Heather, il miliardario Pierce Ladrow, era venuto meno ai propri obblighi legali e aveva smesso di provvedere al mantenimento dei figli.

    «Non si preoccupi.» Liam rassicurò la propria cliente. «Otterremo un'ingiunzione del tribunale che lo obblighi a pagare il dovuto. E chiederemo al giudice di fissare penale e interessi. E se ancora il suo ex rifiutasse di pagare, allora tenteremo la via della confisca.»

    «Magari» mormorò Heather, giocherellando con la tracolla della borsetta. «Solo che quel farabutto ha lasciato il paese.»

    Pierce aveva sposato una francese e si era trasferito a Montecarlo, spiegò la donna, prendendo tra l'altro la cittadinanza francese. Aveva venduto tutte le proprietà che gli restavano negli Stati Uniti, investendo l'intero patrimonio in monopoli complicati, che erano detenuti da banche del mondo intero. Dal punto di vista finanziario, per ciò che atteneva alle autorità americane, l'uomo era come scomparso dalla faccia della terra. Per giunta, l'ultima volta in cui si erano parlati al telefono, Ladrow aveva ribadito a Heather che nemmeno sotto tortura avrebbe mandato un altro centesimo a lei o ai ragazzi.

    Liam storse il naso. La situazione era peggiore del previsto e non si provò neppure a nasconderlo. «La brutta notizia, signora, è che il suo ex si è praticamente sottratto alla giurisdizione dei tribunali statunitensi. La via del pignoramento è sempre possibile ma, da quanto mi è parso di capire, non ci sono più beni in questo paese verso cui orientare i nostri sforzi.»

    «E il denaro che Pierce ha in Europa? E alle Cayman? E alle Bahamas? A Hong Kong, pure!» Il volto della donna era rosso per la frustrazione. «Quel maiale del mio ex possiede venticinque milioni di dollari e io mi sto arrabattando per comprare un paio di scarpe nuove a mio figlio! Nel frattempo, mia figlia ha smesso di frequentare la scuola di danza perché non ce la potevamo più permettere.»

    «È ingiusto, me ne rendo conto. Però, non vedo alcuna azione legale che possa...»

    «Ma Pierce me li deve, quei soldi!»

    «Certo che glieli deve. La ragione è assolutamente dalla sua parte. Anche la legge. Solo che non c'è nessuno che si trovi nella posizione di far valere le decisioni della corte.»

    «Che cosa dovrei fare allora? Dargliela vinta? Dannazione, non posso!»

    Liam ricacciò un sospiro. I Ladrow si erano lasciati in preda a un risentimento tale che il loro divorzio era stato una guerra più che uno strumento per gestire un matrimonio fallito. «C'è di buono che la casa di Cherry Creek appartiene a lei» volle ricordarle. «Non è gravata da nessuna ipoteca e vale almeno due milioni di dollari.» Malgrado la feroce opposizione del difensore di Ladrow, Liam aveva insistito affinché l'abitazione andasse a Heather e ai ragazzi. Adesso era doppiamente felice di non aver accettato l'offerta della controparte di un accordo che avrebbe garantito alla ex consorte pagamenti maggiori, ma lasciato a Pierce anche quell'immobile. Col senno di poi, risultava evidente perché Ladrow fosse stato così interessato a incrementare gli alimenti. Aveva programmato chiaramente sin dall'inizio di lasciare il paese e... non pagarli!

    «Non sono un esperto finanziario, signora Ladrow. Ma se fossi in lei, venderei la casa e comprerei qualcosa di più piccolo ed economico. Dopodiché, investirei il saldo in un fondo comune d'investimento, dove produrrebbe senz'altro abbastanza reddito da consentirle piccoli lussi come le lezioni di danza per sua figlia e le scarpe nuove per il ragazzo.»

    «Pensavo che ci fosse una legge contro i padri snaturati in questo paese!» commentò Heather amaramente.

    «Infatti c'è, e chiederò subito che venga emesso un mandato d'arresto contro il signor Ladrow...»

    «Davvero può farlo?» si meravigliò la donna.

    «Certo. Se mai il suo ex rimetterà piede nel Colorado, dovrà scegliere tra pagare o andare in prigione. Ma come dare seguito al mandato se suo marito rimane all'estero?»

    «Non può arrestarlo la polizia di Montecarlo?»

    «In base ad accuse che derivano da un accordo di divorzio contestato? Ne dubito.»

    «Ma il mancato pagamento degli alimenti è un reato penale!»

    «Vero, ma non è un reato

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