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Un matrimonio inatteso
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E-book169 pagine2 ore

Un matrimonio inatteso

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Info su questo ebook

Stretta al suo peggior nemico...

Quando il cancello della prigione si apre di fronte a lei, Beth Lazenby si ripromette di gettarsi il passato alle spalle. Quest'illusione dura però solo fino a quando non si trova nuovamente a tu per tu con lo spietato avvocato che ha contribuito alla sua ingiusta condanna di qualche anno prima.
Ancora convinto della colpa di Beth, Stefano Conti resta di stucco quando la propria rabbia si trasforma in passione, e si scopre intenzionato a non lasciarsi scappare quella donna per nessuna ragione al mondo. Ma di fronte a una proposta di matrimonio che assomiglia più a un ordine che a una richiesta, riuscirà Beth a dimostrargli la propria innocenza?
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2020
ISBN9788830514003
Un matrimonio inatteso
Autore

Jacqueline Baird

Inglese, coltiva da sempre due grandi passioni: la pittura a olio e la navigazione in barca a vela.

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    Anteprima del libro

    Un matrimonio inatteso - Jacqueline Baird

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Cost of her Innocence

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2013 Jacqueline Baird

    Traduzione di Laura Pagliara

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-400-3

    Prologo

    «Glielo chiederò un’altra volta signorina Mason: comprende l’accusa che questa corte muove contro di lei?»

    «Sì» rispose infine Jane, con la voce strozzata.

    Non riusciva ancora a credere di essere stata imputata per detenzione di droga pesante e spaccio. Era al secondo anno di economia aziendale e lavorava cinque sere a settimana in un fast food per riuscire a pagarsi l’università. Tutta quella storia le sembrava un incubo. Forse, da un momento all’altro, si sarebbe svegliata...

    Ma non stava sognando. Era tutto vero, dovette constatare, quando la voce del giudice le chiese: «Come si dichiara?».

    Jane si tenne salda sul corrimano del banco e, sollevando la testa, gridò: «Non colpevole!».

    Perché non avrebbero dovuto crederle? Rivolse uno sguardo disperato alla signora Sims, l’avvocato difensore che la corte le aveva assegnato d’ufficio, ma l’attenzione della donna era tutta concentrata nel ripassare gli appunti che teneva in mano.

    Stefano Conti era rimasto seduto in silenzio durante i preliminari. Non era un caso che, di norma, avrebbe preso in considerazione, ma Henry Bewick, titolare dello studio legale dove aveva fatto il praticantato, gli aveva chiesto il favore di assisterlo.

    A ventinove anni, Stefano era un avvocato di fama internazionale, specializzato in controversie commerciali. Non seguiva cause penali da anni, ma aveva letto i verbali e, da quanto riportavano, sembrava essere tutto molto chiaro.

    Un veicolo aveva urtato la fiancata dell’auto della signorina Mason. Quando il poliziotto accorso sul luogo dell’incidente le aveva chiesto la patente, la ragazza aveva iniziato ad armeggiare nella borsa. Ne era caduto un pacchetto sospetto che, come era poi risultato, conteneva droga. L’unico passeggero in auto con lei era uno sbronzo Timothy Bewick, figlio di Henry. La ragazza aveva dichiarato di non sapere nulla della droga. Si era difesa dicendo che qualcuno, e alludeva al suo compagno di viaggio, doveva averla messa nella sua borsa.

    Stefano aveva parlato con Timothy, e il ragazzo, palesemente infatuato dell’amica, era riluttante a testimoniare contro di lei. L’avvocato lo comprendeva perfettamente. Aveva visto la ragazza in foto: alta, snella, capelli neri, indossava un paio di pantaloncini corti e un top minuscolo che mettevano in mostra le generose curve del suo corpo e le gambe lunghe. La signorina Mason era bellissima e avrebbe tentato qualsiasi uomo. Un adolescente tutto testosterone non avrebbe mai potuto resisterle. Stefano quindi aveva finito con l’accettare il caso.

    Alzò la testa quando sentì la sua dichiarazione di non colpevolezza. Bugiarda, pensò, fissandola intensamente. Per l’udienza aveva decisamente adottato uno stile molto più sofisticato e consono all’occasione. Indossava un completo nero molto elegante, i capelli erano stati raccolti in uno chignon e sul viso non aveva applicato neanche un filo di trucco.

    In realtà, se quella tenuta le era stata consigliata dal suo avvocato, la signora Sims non aveva avvantaggiato la sua cliente, anzi aveva fatto esattamente il gioco di Stefano. Il taglio rigoroso dell’abito metteva in risalto i seni sodi, la vita stretta e i fianchi tondi, e faceva apparire la Mason più vecchia dei suoi diciannove anni, cosa che avrebbe sicuramente aiutato Stefano, quando avrebbe chiamato Timothy Bewick sul banco dei testimoni. Confrontando i due, la giuria avrebbe capito subito che il giovane e ingenuo ragazzo innamorato diceva la verità.

    Stefano si alzò con un sorriso cinico, sostenendo deliberatamente lo sguardo della ragazza. Guardò dentro i suoi grandi occhi verdi imploranti e gli parve di scorgervi un lampo di terrore. Lei si inumidì le labbra con la lingua in modo seduttivo ma l’avvocato Conti non si fece abbindolare neppure per un secondo, anche se, stranamente, provò un’improvvisa fitta di desiderio. Dio, era davvero brava. Non c’era da stupirsi che il giovane Bewick avesse perso la testa! Dopotutto, pensò, sarebbe stato molto divertente smontare l’incantevole signorina Mason sul banco degli imputati.

    Jane guardò l’uomo alto dai capelli neri che si era alzato per andarle incontro. Lo vide sorridere e si sentì mancare il fiato. Lo stomaco si contrasse e il cuore sussultò pieno di speranza. Era stupendo! I lineamenti perfettamente scolpiti e il corpo snello e forte sprigionavano sicurezza e pura forza virile. Quest’uomo avrebbe capito che lei diceva la verità. Glielo suggeriva l’istinto...

    Come si era sbagliata, riconobbe amaramente, quando il cancello della prigione si chiuse con clangore alle sue spalle. Stordita dalla paura, Jane alzò lo sguardo sull’edificio che l’avrebbe ospitata per i successivi tre anni o, con un po’ di fortuna, per la metà della pena, in caso di buona condotta, secondo la signora Sims, il suo più che inutile avvocato...

    «Mi dispiace da morire lasciarti qui, Helen» disse Jane, guardando la donna più vecchia con le lacrime agli occhi. «Non so come sarei sopravvissuta senza di te in questi diciotto mesi.» Abbracciò l’amica che le aveva letteralmente salvato la vita.

    «Grazie per le tue parole» rispose Helen, baciandole la guancia e facendo un passo indietro. La sua espressione si fece di colpo seria. «Ora basta piangere, piccola. Oggi sei una donna libera. Attieniti ai piani che abbiamo fatto e andrà tutto bene.»

    «Sei sicura di non volere che venga a trovarti, Helen? Mi mancherai da morire.»

    «Sì, sono sicura. Mia figlia ha perso la vita a diciott’anni, un pessimo avvocato e dei cosiddetti amici hanno quasi rovinato la tua. Ricorda cosa ti ho detto: il mondo è ingiusto, ma tu non devi rimuginare sui dolori del passato, perché non farà che consumarti di rancore. Pensa solo al tuo futuro. Adesso va, e non guardarti mai indietro. Il mio avvocato, Clive Hampton, ti sta aspettando e di lui puoi fidarti. Ascoltalo e sii prudente, sicura e fiera della donna di successo che sono certa diventerai...» Helen la abbracciò. «Buona fortuna.»

    1

    «Buonanotte, Mary» disse Beth Lazenby alla receptionist, uscendo dagli uffici della Steel and White, lo studio di commercialisti nel centro di Londra di cui era un giovane associato. Si fermò un istante sul marciapiede e fece un respiro profondo, felice di essere fuori all’aria fresca... be’, non proprio fresca, pensò afflitta. Il lavoro le piaceva, ma di recente, soprattutto da quando trascorreva più tempo al cottage, si era chiesta se voleva davvero passare il resto della vita in città.

    Beth osservò le persone che le passavano davanti a passo spedito, dopo avere terminato la giornata di lavoro. Era l’ora di punta e quando vide la lunga fila alla consueta fermata dell’autobus, decise di andare a piedi fino a quella successiva. Un po’ di moto le avrebbe fatto bene e, a parte Binkie, non aveva nessuno a casa che la aspettava. La sua amica Helen era morta di cancro tre anni prima, quattro mesi dopo essere stata rilasciata sulla parola.

    Allontanando il triste ricordo, Beth si passò la borsa a tracolla sulla spalla e si incamminò. Era una donna alta, bellissima, con capelli rossi che brillavano come fuoco alla luce del tramonto e, mentre camminava, il corpo snello si muoveva sinuoso sotto il vestito di lino grigio che indossava. Ma Beth era incurante degli sguardi di apprezzamento che gli uomini, incrociandola, le lanciavano. Non le interessava affatto stringere alcuna relazione sentimentale. Aveva una carriera di successo ed era orgogliosa di dove era arrivata. Era pienamente soddisfatta così.

    D’improvviso per poco non inciampò scorgendo un uomo che procedeva in senso opposto al suo e la cui testa spiccava nettamente al di sopra della folla. Il cuore prese a batterle forte e Beth distolse veloce lo sguardo da quell’individuo che odiava con tutte le forze. La sua immagine le era rimasta scolpita nella mente fin da allora: l’avvocato Conti, il diavolo in persona, per quel che la riguardava si trovava ora a pochissimi metri di distanza da lei.

    Ricordò le parole di Helen. Sii prudente, sicura e fiera della donna di successo che sono certa diventerai.

    Beth sollevò il mento con determinazione e continuò a camminare. Helen era riuscita a vivere abbastanza a lungo per vederla ottenere ciò che desiderava, e ora Beth non l’avrebbe delusa. Conti non poteva riconoscerla. L’ingenua Jane Mason era scomparsa per sempre e Beth Lazenby era una persona scaltra. Eppure, sentì i peli della nuca rizzarsi quando Conti le passò accanto e con la coda dell’occhio colse il suo sguardo su di lei. Aveva avuto un istante di esitazione? Beth non lo sapeva e non le interessava. Continuò semplicemente a camminare. Ma la sensazione di benessere era svanita, perché i ricordi del passato avevano preso a riversarsi come un fiume in piena nella sua mente. Strinse le labbra, chiedendosi quante altre vittime innocenti il vile Conti aveva mandato in prigione negli ultimi otto anni.

    Ricordò l’ingenua adolescente che era stata, in piedi sul banco degli imputati, spaventata a morte. Conti le aveva sorriso e il tono profondo e comprensivo della sua voce, quando l’aveva incoraggiata a non essere nervosa e a non temere, le aveva dato speranza. Aveva detto che lui e tutti i presenti volevano solo scoprire la verità... Stupidamente, lei gli aveva creduto. Lui era il suo cavaliere senza macchia e senza paura, il suo salvatore. Poi però Timothy Bewick e l’amico James Hudson avevano mentito entrambi al processo e quando lei aveva compreso l’errore che aveva commesso era già troppo tardi: era stata giudicata colpevole. L’ultima immagine di Conti, mentre la portavano via dalla sala del tribunale, era di lui e del suo assistito che conversavano e ridevano come se lei non fosse mai esistita.

    Stefano Conti era di buon umore. Aveva appena vinto una causa per una multinazionale, ottenendo una cifra molto maggiore di quando il cliente stesso avesse mai sperato. Licenziato l’autista che lo stava aspettando, aveva deciso di tornare a piedi al suo appartamento, dove entro un’ora gli avrebbero consegnato la Ferrari personalizzata che aveva ordinato. Un sorriso soddisfatto gli curvava le labbra.

    Mentre camminava a passo spedito sul marciapiede, i suoi occhi scuri furono rapiti dai capelli rosso fuoco di una bellissima donna che gli veniva incontro. Conti indugiò, dimenticandosi improvvisamente della Ferrari. Era alta – circa un metro e settantacinque, tirò a indovinare – e indossava un formale abito grigio che terminava appena sopra le ginocchia. Un vestito davvero insulso se indossato da qualunque altra donna, la faceva invece risaltare e la rendeva bella da mozzare il fiato. Lo sguardo affascinato di Conti non poté fare a meno di vagare sul corpo slanciato ma formoso di lei e sulle sue lunghe gambe.

    Si fermò, voltando automaticamente la testa quando la donna passò oltre. Il solo ondeggiare delicato dei fianchi avrebbe fatto venire un infarto a un uomo più debole e Stefano si sentì profondamente eccitato. Non c’era da sorprendersi se quella donna gli provocava una tale reazione, pensò. Era stupenda e molto sexy e lui non faceva sesso da un mese, rifletté. Subito dopo però si premurò di ricordare a se stesso che era fidanzato con Ellen.

    In quanto avvocato internazionalista, Stefano aveva uffici a Londra, New York e Roma. Teneva un appartamento in ogni città, ma considerava casa sua la tenuta in Toscana in cui era nato, e che apparteneva alla sua famiglia da generazioni.

    Aldo, lo zio di Stefano, fratello minore del padre e capo dello studio Conti e Associati di Roma, era morto lo scorso marzo e, al funerale, gli avevano fatto notare che adesso era lui l’ultimo maschio rimasto della famiglia Conti. Era ora che la smettesse di pensare solo alla carriera e che si accasasse, assicurando alla famiglia uno o due eredi, prima che il nome dei Conti si estinguesse per sempre.

    Stefano aveva sempre immaginato che prima o poi si sarebbe spostato e avrebbe avuto dei figli, ma ora, a trentasette anni, il tempo rimastogli non era più molto. Voleva avere figli, possibilmente un erede maschio, mentre era ancora fisicamente in forma per essere un padre attivo e presente. Quindi aveva scelto Ellen, perché la conosceva da un paio d’anni e la rispettava per la sua capacità professionale e perché aveva tutti i requisiti necessari. Era intelligente, attraente, amava i bambini e inoltre, essendo avvocato, capiva le sue esigenze lavorative. E il sesso fra loro non era male. Un’unione perfetta, dunque, e una volta che Stefano prendeva una decisione, non cambiava mai idea. Le altre donne erano fuori dalla sua vita per sempre.

    Ma quella rossa era uno schianto e, dopotutto, faceva parte dell’indole degli uomini guardare pur sapendo di non poter toccare, cercò di consolarsi.

    Un’ora dopo, Beth camminava spensierata lungo il viale che conduceva a casa sua. Giunta

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