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Seguendo il filo d'Arianna (eLit): eLit
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E-book208 pagine2 ore

Seguendo il filo d'Arianna (eLit): eLit

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Info su questo ebook

ROMANZO INEDITO
43 Light Street 10
Zeke Chambers, noto linguista e docente universitario, nonché spia a tempo perso, riceve una strana lettera, accompagnata da una fotografia. Un'occhiata alla bambina ritratta nell'istantanea basta a confermargli quanto sostenuto nella missiva: lui è padre e lo scopre soltanto allora. Fino a quel momento ha nascosto il suo passato e i suoi sentimenti, ma ora deve uscire allo scoperto per salvare la figlia in pericolo in una remota località greca. Con l'aiuto dell'amica Elizabeth Egan, che deve fingersi sua moglie, Zeke si mette sulle tracce dei rapitori, seguendo il filo di Arianna...
LinguaItaliano
Data di uscita2 mag 2019
ISBN9788830500228
Seguendo il filo d'Arianna (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Seguendo il filo d'Arianna (eLit) - Rebecca York

    successivo.

    1

    «Mi vuoi sposare?»

    Doveva aver sentito male, non c'era altra spiegazione. Gli occhi azzurri di Elizabeth si sgranarono mentre fissava l'uomo che sedeva di fronte a lei, a tavola. «Hai detto, scusa?»

    «Ti ho chiesto se mi vuoi sposare.»

    La pioggia ticchettava sulla grande finestra alla loro destra, e un fulmine cadde così vicino alla casa che il rimbombo fece tintinnare bicchieri e piatti, sul tavolo di legno di rosa.

    Ma Elizabeth non ci badò. La sua attenzione era focalizzata su Zeke Chambers. Le parve pallido, nonostante l'abbronzatura.

    Sbatté le palpebre più volte, e gli cercò lo sguardo. Zeke l'aveva chiamata quella sera, dicendole che era nei guai, ma non poteva parlare al telefono. Le era sembrato in preda al panico. «Zeke...»

    «Scusami» farfugliò, «non me la sto cavando molto bene.»

    Non era una novità. Zeke non era mai stato un tipo comunicativo. L'aveva conosciuto due anni prima a una festa, e l'attrazione tra loro era stata immediata, oltre che reciproca. Bruno, alto, prestante, sguardo da bel tenebroso... ma non era soltanto questo. Elizabeth aveva letto qualcosa nei suoi occhi grigi: un lampo di fierezza che probabilmente celava passionalità e vigore, e sprezzo del pericolo. Tutte cose che Zeke si era sforzato di tenere nascoste, rivelando invece una dolcezza e una timidezza che la intenerivano.

    Era anche un uomo terribilmente schivo, che non permetteva a nessuno di entrare in confidenza. Ogni volta che le sembrava sul punto di abbassare la guardia, batteva in ritirata. Così se un tempo Elizabeth aveva sperato che tra loro potesse nascere qualcosa di importante, ora non si faceva illusioni; la loro era una bella amicizia, ma niente di più. A volte Zeke non si faceva vivo per settimane. Poi la chiamava... ed Elizabeth si sentiva balzare il cuore nel petto.

    «No, scusa, fammi capire: mi stai chiedendo di diventare tua moglie?»

    Lui annuì. Elizabeth tornò a guardarlo come se fosse uscito di senno.

    «Devo essere sposato entro domani sera, e non so a chi altri chiederlo.»

    Elizabeth si raddrizzò sulla sedia, cercando di non dare a vedere fino a che punto quelle parole la ferivano, e si sistemò una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio. «Non è esattamente una dichiarazione di amore eterno...»

    «Non mi pare che tu ne voglia una.»

    Ah, no?, fu tentata di urlargli in faccia. E tu che ne sai?

    «Ho pensato che fossi la persona più adatta. Non sei il tipo da farti coinvolgere emotivamente; e quando sarà finita, ce ne andremo ciascuno per la propria strada, senza problemi. Non sarà per molto» aggiunse Zeke.

    Esterrefatta, Elizabeth stava cercando di rabberciare una risposta, quando una folata di vento si abbatté sulla casa, scuotendola fin dalle fondamenta. Si spensero le luci, e la stanza piombò nel buio.

    Zeke imprecò. Si alzò, girò intorno al tavolo e la attirò in piedi. «Allontaniamoci dalla finestra, non si sa mai.»

    Ancora sconcertata, Elizabeth avrebbe voluto tirare via la mano e mettere quanta più distanza possibile tra lei e Zeke; purtroppo, tutt'intorno era buio pesto, e Zeke era il suo unico punto di riferimento.

    Lui la attirò verso l'interno della casa, aprì una porta e la guidò in un altro ambiente, forse nell'ingresso.

    «Elizabeth, tu devi sposarmi» mormorò.

    Una rabbia cieca la assalì, ma si impose di tenerla a freno. «Io non devo fare un bel niente.»

    «Ma io pensavo... che fossimo amici.»

    La voce tirata di lui le fece comprendere che Zeke non aveva la più pallida idea di ferirla, con quella proposta così indelicata. «E ti sembra un motivo sufficiente per sposarsi?» sbottò.

    Zeke sospirò. «Direi di no. Scusami. Non riesco più a ragionare lucidamente. È che ho bisogno di te, Elizabeth...»

    «Tu non hai bisogno di nessuno» replicò stizzita, senza più controllarsi. Era arrivato il momento di esprimere quei pensieri che aveva sempre temuto di rivelargli, per paura di allontanarlo. «Tu non permetti a nessuno di avvicinarti, Zeke. Per carità, sei sempre garbato e affabile, e sei bravissimo a mettere tutti quanti a proprio agio. Ma secondo me, sei un uomo che nasconde dei segreti: cose che non vuoi far scoprire a nessuno. Perciò tieni tutti a debita distanza.»

    «Sono così trasparente?»

    «Forse per gli altri no. Ma io ti vedo così.»

    Lui sibilò un'imprecazione, tra i denti.

    Non avendo nulla da perdere, Elizabeth proseguì. «Forse non te la cavi bene a esprimere a parole quello che pensi, ma... Insomma, Zeke, non puoi chiedere a una donna di sposarti, e un attimo dopo dirle che non l'ami.»

    «Hai ragione. Scusami; ma sono successe certe cose...»

    «Quali cose?»

    Zeke trasse un respiro tremulo. «C'è in ballo una vita, e sto cercando di salvarla.»

    Elizabeth tornò a fissarlo, cercando di decifrare la sua espressione.

    «Parlo di mia figlia: ho appena scoperto di averne una» le rivelò Zeke. «Ha cinque anni. Davvero, Elizabeth, se non mi aiuti, non so cos'altro...» Le strinse le mani, con disperazione. «Ti supplico, aiutami a salvare la mia bambina.»

    Un torrente di emozioni la travolse al pensiero che Zeke aveva avuto una storia con un'altra donna; una storia importante, se aveva concepito un figlio con lei. Tuttavia la sofferenza che dilaniava Elizabeth in quel momento passava in secondo piano, paragonata all'immagine di quella bambina di cinque anni, spaventata e sola, che rischiava la vita. Anche lei era stata abbandonata, e terrorizzata, un tempo, e Sam e Donna erano stati la sua ancora di salvezza. Ora Zeke le stava dando la possibilità di ripagare al destino quel debito di gratitudine.

    «Va bene. Puoi contare sul mio aiuto» decise.

    «Grazie al cielo...» mormorò lui, immensamente risollevato.

    «Però dovrai dirmi che sta succedendo» lo avvisò, visto che Zeke non accennava a fornirle altre spiegazioni.

    «Io... non saprei da dove cominciare.»

    «Dalla madre di tua figlia, magari. Era tua moglie? Siete divorziati?» L'amavi? Questo no, era troppo vigliacca per chiederglielo.

    «È morta.»

    «Mi dispiace.»

    «Non era mia moglie.»

    La tristezza con cui si esprimeva parlava da sola: Zeke aveva amato la donna che gli aveva dato una figlia. Ed Elizabeth si sentì crollare il mondo addosso: lo aveva creduto incapace di nutrire un sentimento sincero per qualcuno. Invece ora scopriva che aveva amato teneramente un'altra donna. «Perché non l'hai sposata?»

    «Perché ha sposato un altro uomo.»

    «Cioè, hai avuto una relazione con una donna sposata?» domandò, incerta.

    «No. Sposò Aristotele dopo che... eravamo stati insieme.» Zeke si interruppe per trarre un lungo respiro. «Io dovevo ultimare un lavoro. Avevo dato la mia parola... Pensavo che sarei stato via solo un paio di giorni. Invece, quando tornai, i suoi l'avevano costretta a sposarsi.» Scosse il capo. «Ma non so perché vengo a dirti queste cose...»

    Elizabeth chiuse gli occhi, frustrata, e li riaprì. Attese ancora che lui si risolvesse a continuare. Di fronte al suo persistente silenzio, decise che almeno uno dei due dovesse sforzarsi di essere sincero fino in fondo. «Sai una cosa, Zeke? Mi sento come se mi avessi preso a calci nello stomaco. Sarà meglio che me ne vada, finché sono ancora in tempo.»

    «No, per favore...»

    «Allora spiegami per bene cosa è successo. Non ti sarò di nessun aiuto se non mi dici tutto quello che sai.»

    «Ci sono cose che non posso spiegarti...»

    «Maledizione, Zeke, non stiamo giocando, qui, lo capisci?» Lo aveva preso per le spalle, e cercava di scuoterlo.

    «Elizabeth, ti supplico...» Zeke sembrava un uomo in trappola, che chiedeva aiuto. E sembrava sul punto di crollare. In che genere di pasticcio si era cacciato, se non era nemmeno libero di parlarne?

    «Hai fatto qualcosa di illegale?» gli chiese.

    «Sì.»

    Elizabeth deglutì a fatica, cercando di digerire quell'amaro boccone. Nel giro di pochi minuti, Zeke era riuscito a trasformare completamente l'immagine che si era fatta di lui. L'unica cosa che restava era quella luce pericolosa, che gli brillava negli occhi.

    «Ma non sono un criminale» ci tenne a puntualizzare. «Non è come stai pensando.»

    Elizabeth non sapeva cosa pensare, per la verità. Sapeva di volere delle risposte, ma l'uomo che aveva di fronte forse non era in condizioni di reggere un interrogatorio. Attenuò la presa sulle sue spalle, massaggiandole, per aiutarlo ad allentare la tensione.

    Miracolosamente, qualcosa sembrò sciogliersi in Zeke, che le posò una guancia sulla fronte, in un cenno di resa. «Ti sto chiedendo troppo, lo so. Sarebbe troppo per chiunque.»

    «Non per me.» Elizabeth chiuse gli occhi e lo abbracciò. Lo sentì tremare, e comprese di avere a che fare con un uomo tormentato dai suoi segreti.

    Aveva sempre creduto che Zeke non volesse confidarsi con lei; ora intuiva che si era portato dentro un fardello terribile, che nessun uomo avrebbe dovuto sopportare da solo.

    Il temporale, fuori, sembrava essersi placato.

    Nell'ingresso, immerso nel buio, regnava un silenzio assoluto.

    «Si risolverà tutto, vedrai» lo incoraggiò, ottimista.

    «Tu fai sembrare tutto così semplice.»

    Elizabeth gli posò il capo su una spalla, simulando una calma che era ben lungi dal provare. «Come hai fatto a sapere della bambina?» chiese.

    «Me lo hanno scritto in una lettera. Si chiama Arianna» aggiunse, intenerito.

    «Un bel nome.»

    «Sì. È tratto dalla mitologia greca.»

    «È la principessa che aiutò Teseo a sfuggire al Minotauro» disse Elizabeth, ricordando quella vecchia leggenda. «Chi ti ha mandato quella lettera?»

    «La zia della bambina. Ma non diceva molto di più...»

    Qualunque cosa stesse per dire, fu interrotto da un tuono fragoroso, e da un fulmine così violento che tutta la casa tremò. Seguì un rumore di vetri infranti.

    Elizabeth sussultò, spaventata. «Cos'è stato?»

    «Non lo so. Andiamo a vedere.»

    Senza lasciarle la mano, la ricondusse in camera da pranzo, orientandosi agilmente nel buio.

    Da parte sua, Elizabeth non vedeva niente; ma avvertiva una sensazione poco piacevole, quasi di pericolo. Il pavimento era bagnato, e sarebbe scivolata se non si fosse aggrappata a Zeke, che le serrava la mano con fermezza. A un certo punto, fu assalita da una folata di vento che portò con sé una miriade di minuscole goccioline di pioggia.

    Si girò istintivamente verso le ampie finestre, che occupavano un'intera parete della stanza; un lampo di luce squarciò il cielo, e in quel momento vide un enorme foro in un vetro. Era da lì che entravano la pioggia e il vento.

    «Fammi controllare» disse Zeke, lasciandole la mano.

    «Attento. Ci sono vetri dappertutto: potresti tagliarti» lo avvisò. Lo vide avvicinarsi alla finestra, e chinarsi a tastare il pavimento, come se si aspettasse di trovarci qualcos'altro, oltre all'acqua e ai vetri.

    «Macché... Senza luce, non riesco a vedere niente. Tu non ti muovere di qui. Torno subito.»

    Di lì a pochi secondi, mentre Elizabeth si appoggiava a una parete, il buio della stanza venne squarciato da un raggio luminoso: Zeke aveva preso una torcia. Lo vide rientrare nella stanza, e procedere a passo tranquillo.

    Poi, tutto successe così in fretta che non ebbe nemmeno il tempo di spaventarsi. Vide una figura umana che si materializzava, nella penombra, e avanzava rapidamente contro Zeke, prendendo forza e consistenza.

    Non era un fantasma, ma un uomo tarchiato, e muscoloso. Non riusciva a vederlo in faccia. Più tardi, Elizabeth si chiese chi le avesse impedito di urlare, per avvisare Zeke: forse la paura folle che le attanagliò il cuore.

    L'uomo si mosse per aggredirlo, ma Zeke dovette avvertire la sua presenza perché si girò verso di lui.

    Lo sconosciuto si arrestò, mentre veniva illuminato in pieno: la sua espressione era un misto di rabbia e di risentimento. Non guardò in direzione di Elizabeth, quindi forse pensava che Zeke fosse solo. Automaticamente, Elizabeth si schiacciò contro il muro.

    Fu Zeke a parlare per primo. «Sebastian Demos... che sei venuto a fare, qui?»

    Quelle parole rimasero sospese tra i due uomini, come un guanto di sfida gettato per terra da un duellante.

    «Non mi aspettavi, vero?» ribatté l'intruso, in tono arrogante, e con una cadenza straniera inequivocabile.

    «Perché sei venuto proprio adesso? Hai sempre saputo dove trovarmi.»

    «Sophia è morta» dichiarò l'uomo. «Non lo sapevi? O non te ne importa?»

    «Me lo ha scritto Irena. E me ne importa.»

    Sebastian ignorò la risposta, e l'angoscia che trapelava dalla voce di Zeke. «L'hai messa incinta quando sapevi che era promessa a un altro.»

    Zeke tacque, impassibile.

    «Vorresti negare di averla sedotta?»

    «Non è andata esattamente così. Noi...»

    L'altro uomo lo interruppe, brusco. «Aspettava un figlio da te, e l'hai abbandonata a se stessa. O vorresti negare anche questo?»

    «Io non sapevo niente della bambina.»

    «Avevi fretta di andare ad Atene, a fare il turista! Non potevi rimandare di qualche giorno?»

    Zeke serrò i pugni. «Non si trattava di un viaggio di piacere. Io... non avevo scelta.»

    L'altro uomo scosse il capo, adagio. «Non me le bevo più le tue bugie, Zeke. Comincia a pregare, perché sono venuto ad ammazzarti.»

    2

    Non sta scherzando, pensò Elizabeth in preda al panico. Vuole ammazzarlo adesso! Vide l'uomo che alzava una mano, e il fascio luminoso della torcia si rifletté sulla lama di un pugnale.

    Un'ondata di nausea le serrò la gola. Mordendosi un labbro per impedirsi di urlare, Elizabeth si guardò intorno, in cerca di un'arma. Ma non ebbe il tempo di agire: la mano armata si sollevò. Per fortuna Zeke non si fece cogliere alla sprovvista; schizzò all'indietro senza dare al suo aggressore la possibilità di far andare a segno il colpo.

    Scaraventò via la torcia, che cadde sul pavimento con un tonfo; il buio lo avvantaggiava, perché sapeva come muoversi, a differenza di Sebastian. Perciò si spostò rapidamente verso destra, e poi a sinistra, procedendo come un giaguaro pronto ad avventarsi sulla sua preda.

    Una frazione di secondo più tardi, la mano di Sebastian tornò ad alzarsi, il pugnale cadde ancora su Zeke. Per un istante terrificante, Elizabeth pensò che lo avesse colpito. Probabilmente fu così; però Zeke si scagliò addosso a Sebastian, lo girò e lo distese per terra.

    Ma Sebastian non si diede per vinto. Si divincolò come un'anguilla, riuscì a liberarsi... E ne nacque un violento corpo a corpo.

    Incapace di starsene lì con le mani in mano, Elizabeth decise di intervenire. Ricordò di aver visto un attizzatoio accanto al caminetto, e corse a prenderlo. Quando fu di ritorno, i due uomini si rotolavano ancora sul pavimento; nessuno dei due riusciva ad avere la meglio sull'altro. Zeke era più massiccio, e robusto; ma Sebastian non era da meno. Ed era ancora armato.

    Senza preoccuparsi per la propria incolumità, Elizabeth si fece avanti e abbatté con forza l'attizzatoio sulla schiena di Sebastian. Questi urlò, inarcandosi, e Zeke ne approfittò per sferrargli un poderoso pugno sulla mascella.

    Per difendersi, Sebastian cominciò

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