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La lunga notte indiana (eLit): eLit
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E-book207 pagine2 ore

La lunga notte indiana (eLit): eLit

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Info su questo ebook

43 Light Street 2

Il desiderio di Abby diviene realtà. Dopo aver coronato il sogno di dividere la propria vita con Steve, adesso finalmente sta per diventare mamma! Shannon si dimostra più impaziente della madre, decidendo di venire alla luce in anticipo di due mesi. Il fatto costringe i medici a trattenere la bimba in ospedale. L’attesa snervante di Abby sta per finire. Ma per dare inizio a un incubo: la culla è vuota. Chi ha rapito Shannon?

ROMANZO INEDITO
LinguaItaliano
Data di uscita28 set 2018
ISBN9788858990100
La lunga notte indiana (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    La lunga notte indiana (eLit) - Rebecca York

    successivo.

    1

    Non si entrava in travaglio a otto settimane dal parto. Così, la dottoressa Abby Franklin ignorò il crescente dolore alla schiena mentre riceveva i pazienti delle dieci e delle undici.

    Reprimendo una smorfia, accompagnò alla porta il signor Pasternak, assicurandogli che la sua agorafobia era senz'altro curabile. Quando fu di nuovo sola, Abby tese un braccio, appoggiando il proprio corpo appesantito contro la porta.

    Grazie al cielo, non aveva altri appuntamenti fino alle quattordici. Stava per tornare alla scrivania quando un improvviso fiotto di liquido caldo tra le cosce trasformò il suo vago disagio in panico assoluto.

    Santo cielo, no!

    Era troppo presto per la bambina. Lei non aveva nemmeno previsto di interrompere l'attività professionale per un altro mese. A fatica raggiunse il telefono, si lasciò cadere sulla sedia e chiamò il dottor Goodman. Quando lo ebbe trovato, riferì in modo alquanto sconnesso di essere entrata in travaglio con due mesi di anticipo.

    «Ha le contrazioni?» domandò il medico col tono suadente che Abby riservava così spesso ai suoi pazienti isterici.

    «No, ma mi si sono rotte le acque.»

    Goodman non perse tempo. «Si faccia portare al Freeman Memorial Hospital al più presto, va bene?»

    «Va bene.»

    Era riuscita a mantenersi abbastanza coerente durante la telefonata. Non appena ebbe riattaccato, ricacciò un singhiozzo di paura.

    Poi, la colpì la prima contrazione e dimenticò tutto ciò che aveva imparato al corso prenatale sulle tecniche di rilassamento. Si limitò a stringere i denti e ad aspettare che il dolore passasse.

    Quando fu di nuovo in grado di respirare, compose il numero del marito, Steve. Se si fosse spicciato, sarebbe arrivato lì in venti minuti dal Baltimore-Washington International Airport, dove aveva sede la sua società, la Claiborne Carriers.

    Jan Monroe, la segretaria, percepì l'agitazione di Abby. «Qualcosa che non va?»

    «Potrei parlare con Steve?»

    «Non è in ufficio ora e c'è un carico che voleva ispezionare prima della partenza.» La ragazza sembrava perplessa.

    «Ho le doglie» spiegò lei con urgenza. «Ed è così presto. Per favore, io...»

    Jan trasalì. «Santo cielo, mi dispiace. Ha ricevuto una telefonata ed è corso via.»

    «Quando?»

    «Alle undici.»

    «Oh.» Abby non trovò nient'altro da dire.

    «Quando rientra, che cosa devo dirgli?»

    Già, che cosa? Che lei aveva bisogno di suo marito. Subito.

    «Abby?»

    «Immagino che non possa proprio portarmi all'ospedale.»

    «Abby, mi dispiace da morire.»

    «Di' a Steve di raggiungermi al Freeman Hospital. Il più presto possibile.»

    Abby lasciò cadere il ricevitore sulla forcella mentre un'altra contrazione la spaccava in due. Aggrappandosi al bordo della scrivania, contò fino a cento. In un modo o nell'altro, se la sarebbe dovuta cavare da sola.

    Aspettò di essersi ripresa, poi chiamò lo studio legale di Laura Roswell, nello stesso stabile.

    Noel, che vi lavorava adesso part time in attesa di laurearsi a sua volta in giurisprudenza, prese la chiamata.

    «Noel, ho un problema.»

    «Che cosa posso fare per aiutarti?»

    «Mi si sono rotte le acque.»

    «Ma ti mancano ancora...!» Noel si fermò di colpo.

    «Ho bisogno di un passaggio all'ospedale.»

    «L'hai trovato. Aspettami, arrivo subito.»

    Due minuti dopo, Laura e l'investigatrice privata Jo O'Malley irruppero nello studio di Abby. Entrambe facevano parte dell'affiatato gruppo di donne che lavorava al 43 di Light Street. Non solo si aiutavano professionalmente, ma erano anche buone amiche.

    «Noel è andata a prendere l'auto» avvertì Jo in tono spiccio. «Siamo venute a portarti giù.»

    «Ce la fai a camminare?» domandò Laura.

    Non volendo preoccupare le amiche, Abby si fece forza. «Sto bene. Sul serio. Fatemi solo chiudere lo studio.» Prese un mazzo di chiavi e guidò fuori il gruppetto. Poi si fermò. «Oh, no. Ho altri tre pazienti nel pomeriggio.»

    «Non ti preoccupare per questo. Cancellerò i tuoi impegni per i prossimi...» Jo s'interruppe.

    «... due mesi almeno.» Rovistando nella borsa, Abby estrasse l'agenda degli appuntamenti e la passò all'investigatrice.

    Dabbasso, in strada, aspettò trepidante. Perché Noel ci metteva così tanto?

    Alla fine, l'automobile girò l'angolo e lei scattò in avanti. Con un sospiro di sollievo, occupò il sedile del passeggero e chiuse la portiera.

    «Starò con lei e vi chiamerò quando sarà tutto finito» assicurò Noel a Jo e a Laura. Salutando, s'inserì con l'auto nel traffico del mezzogiorno. «Coraggio, Abby. Arriveremo nel giro di pochi minuti.»

    «Grazie. Non so davvero come ringraziarti.»

    «E di che cosa? Qualche mese fa, mi hai aiutata tu a uscire da una brutta situazione. Ora si aggiusterà tutto anche per te.»

    Lei si aggrappò a quelle parole. Non molto tempo prima, Noel aveva passato un'esperienza terribile che era incominciata quando aveva assistito a un omicidio. Ma aveva ritrovato anche l'uomo che amava, Jason, il suo attuale marito. Se Noel era stata così fortunata, lo sarebbe stata anche lei.

    Noel stava ancora parlando. «La tua gravidanza mi ha fatto riflettere parecchio su me e su Jason. Un bambino fa crescere un rapporto.»

    Abby non rispose. Non poteva dire all'amica che l'imminente nascita aveva sottoposto il suo matrimonio a considerevole stress. I genitori di Steve erano stati piuttosto duri coi loro figli e lui temeva di fare altrettanto coi propri. Di conseguenza, non avevano programmato quella gravidanza. Per mesi Abby aveva oscillato tra rimorso e felicità allo stato puro. Aveva pensato di avere il tempo per preparare Steve psicologicamente. Adesso, invece...

    Una mano invisibile le torse il ventre, e Abby cercò di concentrarsi sulle tecniche respiratorie che conosceva appena. Tuttavia quella volta il dolore era più intenso. «Santo cielo, che fitta terribile...»

    «Così brutta?» domandò Noel.

    «Più forte di quanto non mi aspettassi. E più lunga.»

    «Forse dovresti cronometrare i dolori. Cioè, le contrazioni.»

    «Dolori» bisbigliò Abby guardando l'orologio. Invece dei numeri e delle lancette, vide il volto della sua creatura. Se l'era immaginata così tante volte! Quando ancora non ne conosceva il sesso, aveva visualizzato una copia in miniatura di Steve: un neonato con gli occhi azzurri e i capelli biondi. Poi, l'ecografia le aveva detto che era una bambina, e lei aveva incominciato a figurarsi una piccolina coi suoi occhi verdi... e i capelli di Steve. Non aveva voluto rinunciare ai capelli.

    «Oh, Shannon, tesoro.» Mormorando il nome che aveva scelto settimane prima, Abby si toccò il pancione. «Andrà tutto bene.»

    «Che cosa?» chiese Noel.

    Lei arrossì. «Scusa. Parlavo da sola.»

    Ebbe un'altra contrazione e smise di pensare. I dolori si stavano facendo sempre più ravvicinati. Deglutì a fatica. «Potresti andare più in fretta?» la supplicò.

    «State sprecando il vostro tempo» sbottò Steve Claiborne furente fissando i due uomini che lo avevano interrogato su Oliver Gibbs nell'ultima ora. Gli avevano detto che il suo ex socio era nei guai e che aveva bisogno del suo aiuto, così lui si era presentato nella camera 152 del Quality Inn Motel e aveva trovato due agenti speciali ad aspettarlo.

    Quello con le spalle spioventi era McGuire. L'altro si chiamava Driscoll.

    Gli avevano mostrato il tesserino, dichiarando di lavorare per il governo. Ora Steve incominciava a dubitarne. Più parlavano e più si convinceva che fossero interessati ad aiutare il suo ex socio quanto un ladro a entrare in prigione. Nessuno dei due aveva risposto alle sue domande. Al contrario, lo avevano torchiato soltanto.

    «Non abbia fretta di saltare alle conclusioni» avvertì McGuire. «Il suo amico è nei guai e lei gli farebbe un grosso favore a collaborare con noi.»

    «Che genere di guai?»

    «Non siamo autorizzati a dirlo.»

    Steve si accigliò. Non sentiva Oliver da mesi... il che era strano, a pensarci bene. In che razza di pasticcio si era cacciato quella volta?

    Erano stati soci per tre anni in Estremo Oriente prima che lui ritornasse a Baltimora e sposasse Abby. E Steve possedeva ancora una piccola quota dell'impresa di trasporto aereo, visto che Gibbs non aveva mai rimediato i quattrini per liquidarlo del tutto. Quel particolare aveva gettato un'ombra sulla loro amicizia, perché il fatto di essere in debito aveva ferito l'ego di Ollie.

    Quando beveva, Gibbs sapeva trasformarsi in un idiota irresponsabile. Ma da sobrio, era un amico fedele e un pilota validissimo. Tuttavia, la sua smania di concludere in fretta lo aveva inguaiato in più di un'occasione... come la volta in cui aveva accettato di consegnare rare opere d'arte tailandesi a un collezionista privato. Aveva probabilmente subodorato l'insidia. Per sua sfortuna, solo al momento dell'arresto aveva scoperto che le opere in questione erano state trafugate dal Museo Nazionale della Tailandia.

    Che cosa aveva combinato adesso? Aveva qualcosa che i federali volevano indietro? Steve si tenne per sé quella congettura. Ollie Gibbs gli aveva salvato la vita due volte e si sentiva in dovere di aiutarlo.

    Steve fissò McGuire. «Per chi lavorate veramente? La CIA? La Mafia?»

    «Oh, stia tranquillo, siamo dalla parte dei buoni. Ma c'è in ballo la sicurezza nazionale. Ci dica dov'è Gibbs e la lasceremo in pace.»

    «La sicurezza nazionale?» Gli venne da ridere. «Non vi viene in mente niente di più originale?»

    «È la verità.»

    «Ah, sì? Be', non importa, io continuo a non avere nessuna informazione.» In realtà, pur non sapendo con certezza dove si trovasse Gibbs, qualche idea, ce l'aveva. Ma non avrebbe detto niente finché non avesse capito qual era la posta in gioco.

    «Claiborne, farebbe meglio a vuotare il sacco» suggerì McGuire.

    Steve non gradì quell'implicita minaccia. «Altrimenti?»

    Driscoll ammiccò. «Ha una moglie a cui pensare, adesso. E un figlio in arrivo.»

    «Bastardo.» Stringendo i pugni, si lanciò in avanti.

    McGuire corse a fermarlo. «Calma. Il mio collega voleva soltanto dire che non le conviene sfidare la giustizia proprio adesso.»

    Lui esitò, poi abbassò le mani. Aveva ragione McGuire. Abby non aveva bisogno di altri problemi... tipo un marito in carcere per aver aggredito un agente federale.

    L'automobile si fermò davanti all'ingresso del pronto soccorso. Abby tentò di sganciare la cintura di sicurezza, ma era troppo scossa e dolorante per far funzionare le dita.

    «Trovami... trovami una sedia a rotelle» riuscì a dire.

    Noel la guardò in preda al panico. Poi, smontò dalla macchina e corse via.

    Abby chiuse gli occhi, piagnucolando mentre lottava contro le fitte e la paura. Quando il dolore al ventre incominciò ad attenuarsi, fece per tirare un sospiro di sollievo. Ma quasi subito un'altra contrazione la spezzò in due.

    Santo cielo, non sarebbe dovuto accadere così! Nessuno dei libri che aveva letto aveva descritto quel genere di travaglio. Non così presto. Non così in fretta e con così tanta violenza e dolore.

    La sedia a rotelle si materializzò accanto alla portiera. Un'infermiera aiutò Abby a sedersi e la sospinse dentro l'edificio. «Credo che manchi poco» osservò. «Meglio affrettarsi. Quando è entrata in travaglio, cara?»

    Lei scosse il capo. Tremava dalla testa ai piedi adesso, e batteva i denti mentre veniva trasportata in maternità. Sperando nell'impossibile, allungò il collo in cerca di Steve. Ma il marito non c'era.

    «Fa' preparare la sala parto. La porto su subito» gridò l'infermiera all'impiegata dell'accettazione. Poi si rivolse ad Abby domandandole: «Chi è il suo ginecologo?».

    «Goodman.» Qualche minuto dopo, Abby sentì chiamare il medico con l'altoparlante.

    Salirono in ascensore, poi si ritrovarono in un atrio in penombra. Il dottor Goodman sopraggiunse di corsa, col camice bianco che gli svolazzava intorno alle gambe.

    «Dottore...»

    «Andrà tutto bene.»

    «Lo spero.»

    L'infermiera la pilotò in una delle stanze che davano sul corridoio. Qualcun altro l'aiutò a spogliarsi e a indossare il camice dell'ospedale. Poi, Abby fu adagiata su una barella.

    Frasi concitate vorticavano intorno a lei e le giungevano come dallo spazio siderale. «Travaglio improvviso.» «Monitoraggio fetale.» «Trentadue settimane.» «Fate venire qui Wilmer, immediatamente.»

    «Willman?»

    «Wilmer. Il neonatologo.»

    Abby si aggrappò ai bordi della barella. Per favore, pregò tra sé e sé, per favore, fa' che la mia bambina sia sana.

    Sentì il pianto inondarle il viso.

    «Il dolore passerà a minuti» le disse qualcuno. «È quasi pronta a partorire.»

    Le lacrime non erano per il dolore. Erano per sua figlia. Ma riusciva appena a parlare... e perché sprecare energia cercando di spiegarsi?

    Le porte della sala parto si spalancarono in sincronia perfetta, catapultando Abby in una nuvola di antisettico e nell'alone abbagliante delle lampade chirurgiche. Qualcuno sistemò il tavolo. Mani capaci la sollevarono senza sforzo, alzandole il camice e divaricandole le gambe.

    «Devo... devo spingere» balbettò Abby.

    «Non ancora.»

    Lei fece del proprio meglio per dominarsi.

    Il dottor Goodman entrò col volto coperto da una mascherina verde. Senza perdere tempo, si chinò a esaminarla.

    Il bisogno di spingere si fece incontrollabile. «Io... io devo...»

    «Vada!»

    Abby non se lo fece ripetere.

    «Brava. Così.»

    Quando la contrazione fu finita, lei si afflosciò. Lo sforzo l'aveva sfinita.

    Lo schema si ripeté tre o quattro volte. Abby era in preda all'euforia. Qualche minuto prima era stata incapace di controllare il proprio corpo. Ora si stava impegnando per partorire la bambina.

    «Ecco che ne viene un'altra. Si tenga pronta, va bene?»

    Lei spinse con forza, dando il meglio di sé. Nello specchio sopra il tavolo scorse l'inizio di una testolina tonda.

    «Ottimo. Se la sta cavando a meraviglia» la incoraggiò il ginecologo.

    Con un'altra contrazione, Abby vide emergere la testa della bambina. La spinta successiva liberò le spalle. Poi, il dottor Goodman sollevò un corpicino rosso e grinzoso.

    Abby trattenne il fiato. Perché la bambina non piangeva?

    Un vagito quasi impercettibile la indusse a raddrizzarsi. Le stesse mani che l'avevano sollevata sul tavolo la spinsero giù.

    «Per favore, io... Sta bene?»

    Nessuno rispose alla sua domanda angosciata. L'équipe medica era tutta concentrata su Shannon. Una delle infermiere portò la bimba in fondo alla sala e la depose su una specie di carrellino. Poi, un uomo vestito di verde si chinò sulla piccola e Abby si sentì morire.

    2

    «Che cosa c'è che non va? Che cosa le sta facendo?» gridò Abby.

    «Si calmi. È un normale controllo» spiegò l'infermiera.

    Abby non le badò. Passò un'eternità mentre aspettava il verdetto.

    Poi, l'uomo che aveva esaminato Shannon si avvicinò al tavolo. «Dottoressa Franklin, sono il dottor Wilmer» esordì

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