Se Roma è fatta a scale. Stanno alle strade come traverse però fatte di gradini
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Anteprima del libro
Se Roma è fatta a scale. Stanno alle strade come traverse però fatte di gradini - Alessandro Mauro
Scritti Traversi
SE ROMA È FATTA A SCALE
Stanno alle strade come traverse però fatte di gradini
di Alessandro Mauro
SE ROMA È FATTA A SCALE
Stanno alle strade come traverse però fatte di gradini
di Alessandro Mauro
© 2016 - Edizioni Exòrma
Via Fabrizio Luscino 73 - Roma
Tutti i diritti riservati
www.exormaedizioni.com
Progetto editoriale Orfeo Pagnani
Collana Scritti Traversi
ISBN 978-88-31461-08-5
Impaginazione omgrafica, roma
VIA DELLA CORDONATA
Riluttante all’idea di diventare metropoli, Roma è talvolta vagamente incline all’evocazione sospirosa – dal ponentino agli stornelli, passando per la trippa con la mentuccia – delle belle cose di una volta.
Un posto di primo piano, nel santuario laico dell’iconografia cittadina, spetta ai nasoni, le fontanelle di forma cilindrica la cui cannella per far uscire l’acqua, a getto continuo, è piazzata a un’altezza che la fa appunto sembrare un grosso naso.
Da un po’ di anni ce ne sono meno, probabilmente per questioni di risparmio idrico: la stessa ragione per cui i non molti superstiti sono a volte senza naso, sostituito da un rubinetto color oro piazzato in fronte che si aziona a pressione, posticcio ma ecologico.
Via della Cordonata, per gli appassionati del genere, è un posto da andarci in pellegrinaggio, perché alla base della scalinata morbida che dà il nome alla strada c’è un’incredibile fontanella trinasuta, pezzo meraviglioso e forse unico nella collezione cittadina della potabilità per tutti.
La piccola strada a valle della cordonata si chiama, puntuale, via delle Tre Cannelle, ma sono le grandi vie delle immediate vicinanze a far sì che la scala, luogo di per sé appartato e quasi intimo, che custodisce un albergo e un liceo privato, metta in comunicazione, dall’alto in basso, nientemeno che XXIV Maggio e IV Novembre, ovvero la data del 1915 in cui l’Italia entrava in guerra e quella del 1918 in cui ne usciva.
Portare qualche classe a fare lezione in quei gradini ombrosi, al riparo dagli stradoni patriottico-turistici, potrebbe servire a dire che la guerra è salita, e strettoia, giacché la scala, complice, si assottiglia salendo.
E che la pace è una ricchezza da festeggiare, magari con una bella bevuta in compagnia.
RAMPA MASSACIUCCOLI
La Rampa Massaciuccoli è poggiata da un lato, con la strada omonima che le scorre a fianco e poi curva dalla parte opposta, suggerendo la possibilità di sfiorarla e passare oltre, senza curarsene.
Fosse in casa, sarebbe magari una scala che porta in soffitta.
Invece le tocca la città, che qui vicino è un po’ cambiata e adesso si dà arie da metropoli.
Imboccare via Massaciuccoli lasciandosi dietro piazza Annibaliano significa volgere le spalle a una delle pochissime fermate della metropolitana inaugurate nel presente millennio.
C’è, ovviamente, la M bianca in campo rosso, c’è parecchio cemento, c’è sullo sfondo Sant’Agnese, a ricordare dove siamo e mitigare ogni eventuale suggestione di futuro.
La rampa ha tre serie di scale. Fosse una poesia ne sarebbero le strofe. E nel caso racconterebbero di avere visto infanzie ancora passate in strada e giochi da cortile, anche in questa Roma probabilmente mai transitata per le cartoline.
Ma lo si potrebbe capire solo una volta arrivati su in cima, perché la rampa punta dritta al fianco di un palazzo e sembra non portare a granché, se non fosse che – specie a certe ore del giorno – arriva luce da un lato, come nei quadri di Vermeer, a suggerire un altrove.
Lassù a sinistra, infatti, c’è uno slargo che è già l’inizio della strada, via Pusiano, che procede in salita, verso destra.
Le macchine, qui come altrove, modificano il paesaggio. Ma sono quasi tutte parcheggiate, e possono passare interi minuti in cui, se l’ora e il caldo sono appropriati, si sentono soltanto le cicale.
E può anche accadere che arrivi, se qualcuno ha cominciato a cucinare, l’odore concretamente nostro del sugo per la pasta.
Non dovesse succedere, il luogo sembra adatto, anche senza profumi, a cercare di immaginarselo.
VIA DEI QUERCETI
La maggior parte delle rampe, a Roma, è preceduta da piccole colonne, solitamente in marmo.
Stanno lì soprattutto per evitare che qualcuno si scapicolli di sotto con la macchina, esclusiva riservata a 007.
A parte questo, però, quei piantoni bassotti sono arredo specifico delle scalinate, con l’eccezione di quelli che cingono qualche palazzo importante, e che a quell’occupazione prestigiosa sacrificano, come spesso accade, anche un po’ di libertà, condizione sottolineata talvolta dalle catene che li collegano.
Non hanno catene, invece, questi che presidiano la sommità delle scale e in rari casi la base, e se ne stanno in coppia, o in piccoli gruppi, la cui ordinata equidistanza non diventa quasi mai marziale.
In cima alla scalinata di via dei Querceti ce ne sono dieci, con buone possibilità che si tratti del record cittadino, tanto più in proporzione al numero degli scalini, che sono soltanto dodici.
Trovarne la metà impacchettata da lavori in corso fa pensare a una squadra con assenze importanti, e all’attesa o al ricordo di tempi migliori. Conferma, per chi ha dubbi, che la vita non è perfetta.
Però fa regali, e la parziale indisponibilità di questa scala rende più facile accorgersi che da qui se ne vede un’altra.
Solo raggiungendola si apprende che scende, insieme a una dirimpettaia un po’ diversa, verso la basilica di San Clemente, meraviglia mosaicale con annesso chiostro, che a sua volta ha sei scalini affacciati proprio sulle due rampe.
È il vecchio ingresso della chiesa, diventato cortiletto di fatto, che tanto i sampietrini quanto i piccoli mattoni dei muri fanno sembrare esso stesso mosaico.
Da lì si può ricambiare lo sguardo alle colonnine in formazione rimaneggiata, avendo più chiaro del solito che in città, umani compresi, tutto quanto è tassello.
VIA GIOVANNI DA MONTECORVINO
Di solito te lo chiedono con un sorrisetto misto di complicità e minima vergogna, come a dire: Lo so, non ti sto domandando dove stanno i Musei Capitolini, però sai benissimo di che parlo e probabilmente li hai visti pure tu
.
Se incontrate coppie di turisti in giro per la Garbatella, a volte con figli che condividono il setaccio, quasi sempre stanno cercando il Bar dei Cesaroni.
Lui, frontale per posizione e vocazione, verbalizza al viandante il fatto di essere quello che presta la facciata alla seguitissima serie tv.
Più in alto della scritta Bar dei Cesaroni, posizionata su una tenda da sole, ce n’è un’altra che com’è noto sta direttamente sul palazzo che ospita il locale e dice solo Garbatella, dieci lettere che – casomai non trasudassero sufficiente identità – sono incastonate tra due stemmi dell’Associazione Sportiva Roma, mentre due bandiere della medesima incorniciano il tutto.
Solo chi si avvicina però può farsi una fischiata col pappagallo Nerone, e già che c’è accorgersi che il bar, dentro, non c’entra niente con quello della serie, scorgendo nei biliardi sul retro appartata concentrazione e zero riflettori.
Fuori, a pochi metri, c’è un altro locale, che specie all’ora dell’aperitivo contribuisce alla vivacità dello slargo. Da lì, tra tavoli e tavoli, parte in salita – perciò, ragionevolmente, avvicinandosi alla luna – la scalinata di via Giovanni da Montecorvino.
Si può salire per il gusto di andare, per scoprire che il palazzo del bar – ineffabile