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The Eden's Guardian: Il Terzo Nato
The Eden's Guardian: Il Terzo Nato
The Eden's Guardian: Il Terzo Nato
E-book800 pagine11 ore

The Eden's Guardian: Il Terzo Nato

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Info su questo ebook

Pianeta Eden
Nell’anno 57.12.57, l’assemblea generale dei Pianeti Uniti (P.U.) approvò la legge che istituiva i Pianeti Eden (P.E.).
L’anno seguente il Presidente emanò il decreto che istituiva l’Alto Commissariato dei Pianeti Eden (A.C.P.E) con pieni poteri sull’istituzione e la gestione dei Pianeti Eden.
Sono chiamati Eden i Pianeti in cui i processi naturali possono svolgersi senza influenze esterne, adibiti alla conservazione della biodiversità, delle risorse naturali e agli studi scientifici.
E’ fatto obbligo a tutte le spedizioni scientifiche e commerciali di segnalare all’A.C.P.E. i nuovi pianeti da esplorare e inviare il primo rapporto entro venti rivoluzioni del pianeta attorno alla sua stella.
Nessuna attività sul Pianeta in esplorazione è permessa senza l’autorizzazione dell’A.C.P.E.
I trasgressori saranno puniti con la massima pena esistente nel loro pianeta di origine con decreto inappellabile dell’Alto Commissario dei Pianeti Eden.
Per le leggi istitutive vedi la banca dati legislativa dei Pianeti Eden.

Alla fine dell’ultima era glaciale una spedizione scientifica proveniente dal pianeta Thuban con lo scopo di classificare il pianeta Terra arrivò in un’area del Golfo Persico oggi sommersa dal mare. Come supervisore dell’Alto Commissariato per i Pianeti Eden c’era una giovane Kabyriana, Aalia Elkal. Non tutto andò come previsto ed invece di studiare gli ecosistemi si fecero esperimenti genetici su larga scala. Niente era come sembrava. La creazione di una razza potente ed immortale da parte dei Padri Creatori potrebbe portare all’estinzione il genere umano.
LinguaItaliano
Data di uscita23 set 2020
ISBN9788835899068
The Eden's Guardian: Il Terzo Nato

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    Anteprima del libro

    The Eden's Guardian - A. e D. Fontana

    The Eden’s Guardian

    Il Terzo Nato

    by A. e D. FONTANA

    Prima Edizione

    Copyright 2020 – Antonino Fontana e Diego Fontana

    Tutti i diritti riservati

    A Francesca

    CONTENUTI

    Pianeta Eden

    Circolo delle 12 Tribù – Sessione 129

    Ivan

    La Maple

    Anne

    Circolo delle 12 Tribù – Sessione 130

    Tina Jane Russo

    Eden

    Rose

    I Legionari

    Storia di Milo

    Lucius

    Titus, Milo e il Coso Volante

    Labelius Redtree

    Ritorno alla base

    Circolo delle 12 Tribù – Sessione 131

    Una strana cassa

    Due arcieri ed una gita a Roma

    Catastrofe a Roma

    Andrew Ross in ufficio

    Ivan della Caverna

    Lucius in action

    Un caso strano

    Circolo delle 12 Tribù – Sessione 132

    Ma è Blu! Sembra fatto d’acqua

    Akija Meshen

    Il Racconta Storie

    The Net

    Il viaggio del Terzo Nato

    Eelia

    Antartide

    Il giorno prima

    Punti di contatto

    Un nuovo inizio

    La battaglia di Castle Island

    Sms

    Il Circolo delle Tredici Tribù

    Due anni dopo - Pianeta Delta Thuban

    Due anni dopo – Pianeta Terra

    Nai Olos

    Titus Umbrius della Tredicesima Tribù

    La Compagnia dei Sette Pianeti

    Fortuna

    Circolo delle Tredici Tribù. Sessione 2

    Lo Straniero

    Aalia Elkal

    Soggetto Alfa

    Una lunga giornata

    Caccia a Kal Uno

    Caccia a Kal Due

    Alfa tra Washington e Baltimora

    Ritorno al Rifugio

    Alfa tra Mumbai e Agra

    Nilus Blackhill

    Ho sposato Supergirl

    Alfa tra Agra e l’Hymalaya

    Ritorno a Casa

    Un’altro giorno

    Fuga da Bansula City

    L’inizio

    Anne ed il Presidente

    Rotta verso la Terra

    La flotta militare Lyca

    Perché sempre di domenica?

    Separazione

    Gli Autori

    Pianeta Eden

    Nell’anno 57.12.57, l’assemblea generale dei Pianeti Uniti (P.U.) approvò la legge che istituiva i Pianeti Eden (P.E.).

    L’anno seguente il Presidente emanò il decreto che istituiva l’Alto Commissariato dei Pianeti Eden (A.C.P.E) con pieni poteri sull’istituzione e la gestione dei Pianeti Eden.

    Sono chiamati Eden i Pianeti in cui i processi naturali possono svolgersi senza influenze esterne, adibiti alla conservazione della biodiversità, delle risorse naturali e agli studi scientifici.

    E’ fatto obbligo a tutte le spedizioni scientifiche e commerciali di segnalare all’A.C.P.E. i nuovi pianeti da esplorare e inviare il primo rapporto entro venti rivoluzioni del pianeta attorno alla sua stella.

    Nessuna attività sul Pianeta in esplorazione è permessa senza l’autorizzazione dell’A.C.P.E.

    I trasgressori saranno puniti con la massima pena esistente nel loro pianeta di origine con decreto inappellabile dell’Alto Commissario dei Pianeti Eden.

    Per le leggi istitutive vedi la banca dati legislativa dei Pianeti Eden.

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    Circolo delle 12 Tribù – Sessione 129

    Oceano Pacifico. Aogashima Island. 7 Marzo 2013. Ore 7:25.

    Una suoneria molto fastidiosa interruppe il sonno di Lucius Sunshine, con gli occhi ancora mezzi chiusi diresse il suo sguardo verso l’origine del suono. Quella sua specie di telefono continuava a suonare, odiava quell’aggeggio ma Kin il suo assistente insisteva per tenerlo lì. Usò le parole magiche per zittirlo.

    «Accetto messaggio. »

    L’apparecchio si attivò e proiettò sulla parete l’e-mail appena consegnata nella sua casella di posta. Si alzò e sbadigliò sonoramente, stirando i muscoli con calma, per il momento decise di ignorare il testo proiettato sulla parete di acciaio, aveva fame, e non era di buon umore quando lo stomaco gli brontolava. Entrò Kin con un vassoio di croissant alla ciliegia appena sfornati e una caraffa di caffè bollente, puntuale come sempre.

    «Buongiorno Kin, dammi un paio di minuti. »

    Lentamente si diresse in bagno e dopo essersi lavato e aver curato i suoi lunghi capelli brizzolati, pettinandoseli all’indietro e raccogliendoli in una coda lunghissima, fece lo stesso con la sua amata barba, alla fine indossò la benda per coprire l’orrenda cicatrice che aveva sull'occhio sinistro, non si faceva mai vedere privo di essa. Soddisfatto del suo aspetto, spazzò via il vassoio di croissant caldi, erano i suoi preferiti, buttò giù due tazze abbondanti di caffè e finalmente si sentì in grado di affrontare quell’e-mail sulla parete, la lesse, sintetica come tutto ciò che riguardava il Circolo.

    A: Lucius Sunshine della Quarta Tribù, Numero Uno del Circolo delle XII Tribù

    Mittente: Ascanius Darkwood della Settima Tribù

    Oggetto: Convocazione straordinaria Circolo

    E’ stata richiesta la convocazione del Circolo.

    8 consiglieri su 12 hanno aderito.

    Domenica 10 marzo 2013 alle ore 12:00 si terrà la riunione.

    Si prega di dare le disposizioni necessarie per il buon esito della stessa.

    Lucius sbuffò infastidito, nonostante fosse il Numero Uno, gli altri membri avevano il potere di convocare il Circolo se almeno la maggioranza più uno ne avesse fatta richiesta. Non poteva perdere tempo, doveva iniziare i preparativi, di solito le riunioni del consiglio avvenivano una volta ogni cinque anni e l’ultima era stata esattamente tre anni prima. Per essere stati così in tanti a richiederla qualcosa era sicuramente sfuggito di mano, questo lo preoccupò non poco.

    Il Circolo era l’organo supremo di governo dei Primi Nati, nato mezzo millennio prima a seguito della pace stipulata con Guardiano. Qualsiasi decisione presa durante una delle loro sedute diventava immediatamente legge e non era lontanamente sindacabile. Inoltre, vigeva la segretezza assoluta. La base veniva cambiata ogni secolo e questa era stata costruita su un'isola vulcanica molto amata dai turisti, in pratica un vulcano nel vulcano, circa 200 km a sud di Tokyo. La struttura era stata costruita sotto terra, al centro del piccolo vulcano spento, all'interno di quello principale, coperta da una fitta vegetazione. Sopra la base era un continuo via vai di aerei turistici di proprietà del Circolo, nessuno poteva sospettare della loro vera funzione.

    Lucius aveva fretta, doveva organizzare tutto, quindi andò a vestirsi indossando un dolcevita nero, un paio di jeans grigi e scarpe formali scure, amava i suoi costosi completi, pensava che quello di averli gratis fosse il vantaggio migliore di essere il Numero Uno. Uscì dal suo alloggio e si avviò verso una specie di monorotaia in un enorme tubo di vetro che collegava l'intera base. Una navetta si fermò davanti a lui, entrò e inserì il comando vocale.

    «Lucius. Numero Uno. Direzione hangar. »

    Immediatamente la navetta s’illuminò di verde, partendo a velocità elevata e impiegando pochissimi secondi per raggiungere la destinazione. Scese dalla piattaforma e cominciò ad attraversare le numerose volte di acciaio che stabilizzavano il soffitto della base, quando vide da lontano la figura del capo pilota, che stava dando istruzioni attorno ad un aereo, lo chiamò ad alta voce.

    «Carter! Carter! Muoviti e vieni qua da me! » quasi urlò mettendosi vicino a uno dei velivoli.

    Carter arrivò di corsa, si mise sull’attenti.

    «Numero Uno, aspetto il vostro ordine. »

    «Raduna gli altri piloti. Dovete andare a prendere i membri del Circolo. Per domenica mattina li voglio tutti qui, entro le 8 di mattina.»

    E poi sottovoce in modo che nessuno potesse sentirlo.

    «Stai all'erta Victor, non ho idea di cosa stia succedendo, tieniti pronto a tutto.»

    «Ai suoi ordini, Numero Uno! » rispose Victor ad alta voce in modo da essere sentito da tutti.

    Una volta dati gli ordini al capo pilota, Lucius risalì sulla navetta e si diresse verso la sala comandi per organizzare la riunione.

    I giorni passarono lentamente per Lucius, le domande sul perché di questa riunione lo tartassavano, ma impiegava le giornate organizzando la nuova seduta e occupandosi della gestione corrente, e non era di certo un lavoro semplice. Ormai domenica era giunta e Lucius quella notte non era riuscito a dormire, era di pessimo umore. Dato che i membri del Circolo tardavano ad arrivare, decise di andare a prendere i suoi abiti cerimoniali, posti in una piccola cassaforte. Inserì il codice vocale e questa si aprì, rivelando al suo interno una tunica rossa cerimoniale in stile greco antico e così lunga da arrivargli alle caviglie. Poggiata sopra c’era una cintura in cuoio con fibbia in oro, su questa era inciso il simbolo dei Padri Creatori, sei pianeti attorno ad uno più grande al centro. Li indossò e guardando il suo riflesso allo specchio pensò che avrebbe preferito dei normali abiti a questi, vecchi di migliaia di anni.

    Uscì dalla stanza e percorse un lungo corridoio, alla fine di questo c’erano sei soldati, erano membri di un’elite Crawlers, disposti in fila ordinata su entrambi i lati. Indossavano le tipiche armature cerimoniali in cuoio e ferro battuto, armati con asce bipenne. Al suo passaggio presentarono le armi in segno di saluto. Ogni volta che gli passava affianco gli veniva voglia di ridere a vedere Primi Nati così potenti felici di fare i soldatini, … loro erano fatti così. Proprio lì davanti girò a destra, dove era situata una porticina, l’unica in cui necessitava una chiave per entrare, la sua. La sbloccò ed entrò nella sala privata da aspetto, una piccola camera con una poltrona di pelle bianca e un tavolinetto nero. Lucius con molta calma si sedette, poggiò i piedi sul piccolo mobile per rilassarsi e si mise a guardare la sala riunioni attraverso la vetrata che aveva davanti. Chi era all’interno della sala vedeva solo uno specchio enorme.

    Il Numero Uno era sempre l’ultimo a entrare. I minuti passavano e la stanza della riunione iniziava ad animarsi attorno al tavolo ovale di pregiata e antica fattura, sulle pareti erano presenti dei monitor e delle videocamere. Aspettò che tutti occupassero il proprio posto, anche i rispettivi aiutanti stavano entrando e si piazzarono alle spalle dei loro Numero Uno. Solo Kin, assistente e Numero Due di Lucius tardava, questo lo spazientiva. Mancavano meno di due minuti alle dodici quando sentì la porta alle sue spalle aprirsi.

    «Ce ne hai messo di tempo Kin. » esclamò stizzito.

    Kin era da anni il suo personale aiutante e suo amico fidato, anch’esso un Primo Nato Bystander, alto e pallido come gli altri, vantava una bellissima capigliatura lunga e bionda.

    «Scusami Lucius! Non mi abituerò mai alle riunioni straordinarie. Troppi impegni, devo coordinare tutto e tu non sei mai dove dovresti essere. Poi ha telefonato Junior. »

    Questo fece sorridere Numero Uno, gli serviva sdrammatizzare un po’, ogni riunione era causa di altri capelli bianchi.

    «Junior? Il mio figlioccio. Tutto bene? »

    «Ha fatto il primo esame all’università, massimo dei voti. »

    «Complimenti di cuore. Lo sai che tuo figlio ti toglierà il posto, vero? »

    «Non oseresti! »

    «Oserò, Kin, oserò!»

    Risero entrambi, da buoni amici qual erano da tempo immemorabile.

    Alle ore 12:00 in punto Lucius entrò dalla porta sul retro, sbucando da dietro i baluardi col simbolo dei Padri Creatori, raggiunse la sua personale poltrona seguito da Kin con l’ascia cerimoniale e tutti si alzarono, slacciandosi le cinture. Come dettato dalla tradizione, i consiglieri del Circolo dovevano staccarsi la fibbia in oro e poggiarla davanti a loro, formando un cerchio sul tavolo che simboleggiava il pianeta di origine dei Padri Creatori.

    Lucius prese dei fogli poggiati sulla sua postazione, che erano stati consegnati solo pochi istanti prima dall’aiutante del rappresentante della VII Tribù, riguardavano i punti all’ordine del giorno.

    « Silenzio prego. Benvenuti al 129° Circolo delle 12 Tribù. Prego, sedetevi. »

    Tutti obbedirono.

    «L’ordine del giorno contiene due argomenti e otto firme e pertanto lo dichiaro valido. Punto uno: Accordi commerciali con partners stranieri. Punto due: Nuove strategie per individuare il Terzo Nato. »

    In verità il secondo punto si trovava in tutte le convocazioni, ma il primo fu quello che lo lasciò di stucco. Le Tribù erano libere di fare accordi commerciali con chiunque, fin dalla fondazione del Circolo, nel rispetto delle leggi dei Secondi Nati.

    Una volta finito di leggere il foglio, Ascanius Darkwood alzò la mano per chiedere la parola. Quel Bystander era il portavoce e capo indiscusso della Settima Tribù, stanziatasi nell’America Meridionale.

    «La parola ad Ascanius Darkwood della Settima Tribù. » disse ad alta voce Lucius.

    Ascanius, un Bystander basso e tozzo, con folti capelli che cadevano giù fino alla nuca, si alzò solennemente, sorrise a tutti i presenti in modo quasi compiaciuto e si girò verso il Numero Uno.

    «Mesi fa ricevetti un messaggio dai Padri Creatori. »

    Immediatamente lo stupore si diffuse nella sala, erano rimasti tutti di sasso.

    «All’inizio mi sembrò un falso e non ne feci parola con nessuno, ma in seguito mi dovetti ricredere, mi ricontattarono e tre di loro scesero sulla Terra, hanno promesso a noi Primi Nati il controllo del Pianeta per diritto di primogenitura. »

    I consiglieri erano visibilmente perplessi dalle sue parole, erano rimasti come paralizzati al sentire Padri Creatori. Lucius intervenne.

    «Attenzione Ascanius, quando si parla di Padri Creatori è meglio avere sempre le prove di quello che si dice, finora abbiamo sentito solo le tue parole. Sai che chiunque di noi può essere accusato di blasfemia. »

    Il Numero Uno, ammantato della sua autorità, ogni tanto, quando gli conveniva, si divertiva a fare il reazionario e gli piaceva usare la parola Blasfemia. Ogni volta si sentiva un po’ alla Torquemada. Per risposta Ascanius fece un cenno al suo aiutante e con un sorriso enigmatico invitò tutti a sedersi.

    «Ecco le prove che volete. » disse e improvvisamente un brusio generale riempì la stanza, alcuni si alzarono e batterono le mani per le affermazioni di Ascanius.

    Lucius cominciò a colpire il tavolo urlando.

    «Silenzio! Ordine in sala! Esigo ordine! »

    Un rumore come di stasi elettrica fece effettivamente zittire tutti. I monitor sulle pareti cominciarono a trasmettere un filmato di esseri simili ai Padri Creatori. Per una ventina di minuti non si mosse una foglia, erano tutti lì a farsi estasiare da quelle immagini, fino a che gli schermi non si spensero del tutto.

    Lucius era sbiancato in volto. Le implicazioni di quel video erano a dir poco disastrose. Sarebbe stata guerra con Guardiano e tutto questo per cosa? Per non parlare delle sofferenze che avrebbero causato ai Secondi Nati. Con quello che proponevano il pianeta si sarebbe impoverito di risorse essenziali per la vita degli umani, per non parlare della stabilità economica delle nazioni, che sarebbero regredite di almeno duemila anni. Mandare in aria cinquecento anni di pace era una pazzia. Lucius era furioso, non avrebbe mai permesso una simile eresia. Non avrebbe mai lasciato accadere che i Primi Nati spadroneggiassero sulla Terra una seconda volta. Sarebbe stata l’Apocalisse. Si alzò in piedi, guardò Ascanius e proprio quando stava per prendere la parola, questo lo bloccò e continuò il suo intervento, la parola non poteva essere tolta e lui ancora non aveva finito. Usò parole terribili, dirette.

    «Come consigliere dei dodici chiedo, per diritto di nascita e di rappresentanza, di mettere immediatamente ai voti la destituzione di Numero Uno. »

    «Ma cosa? E’ una follia! » urlò Lucius, ma nessuno sembrò volere intervenire.

    La misero ai voti, l’aiutante di Ascanius prese un’urna in ceramica e distribuì i bigliettini con scritto Favorevole e Contrario, ogni membro doveva sceglierne uno ed inserirlo dentro l’urna mettendosi in tasca l'altro, così da rendere la votazione anonima. Quando scrutinarono il voto, risultò che dieci membri erano favorevoli contro uno solo contrario, questo fece indispettire Ascanius, sapeva chi era stato a tentare di salvare Lucius.

    «La maggioranza dei Consiglieri ha deciso di destituire Lucius. Tale decisione sarà applicata con effetto immediato. E… cari fratelli, non ho finito. Per la sicurezza del Circolo chiedo, inoltre, che Lucius sia esiliato nei suoi possedimenti e sottoposto ad una stretta sorveglianza. »

    Votarono di nuovo, fu tutto così veloce che Lucius non poté fare altro che assistere inerme mentre si disfacevano di lui, altri dieci voti favorevoli furono scrutinati, ma ciò che lo colpì più di tutto fu l’ultima richiesta di quel maledetto di Ascanius.

    «Chiedo di essere eletto Numero Uno. »

    E così fu.

    Lucius dopo l’ennesima votazione vide che le guardie si stavano avvicinando, infuriato come non mai in vita sua, prese la fibbia e la scagliò con violenza a terra in segno di sfida, rompendone il sigillo, ma fu colpito alla nuca da un Primo Nato per il gesto, questo provocò la reazione di Kin.

    «Giù le mani da Numero Uno. » ringhiò Kin che si mise tra Lucius e le guardie. Ascanius scosse la testa nel vedere la fedeltà di quell’aiutante.

    «Mi spiace Kin, stai servendo un nostro nemico. Fatti da parte.>> intimò Ascanius, Kin non cedette.

    «Uccidetelo. »

    Non appena Ascanius impartì l’ordine, due guardie si avvicinarono, Kin non fece in tempo a brandire la sua ascia che la sua testa fu staccata di netto, rotolando ai piedi di uno sconcertato Lucius. Che, paralizzato dagli ultimi avvenimenti, si fece scortare fuori dalla struttura senza resistenza al fine di evitare altre decisioni insensate. Fu infine rinchiuso in una stanza, la sua, ad aspettare il prelievo per l’esilio. Era stato destituito da un pazzo e Kin era morto, Lucius si scervellava per capire cosa stesse succedendo, Ascanius parlava di aver avuto contatti con i Padri Creatori e che si sarebbero ripresi la Terra, questo significava il caos. Avrebbero risvegliato l’ira di Guardiano, questi avrebbe fermato il piano di Ascanius a tutti i costi, sarebbe stato perfino capace di eliminare ogni singolo Primo Nato pur di farlo.

    Passarono le ore e nel frattempo Lucius aveva indossato vestiti normali ed infilato con rabbia nella tazza del water la sua tunica cerimoniale, sebbene avesse perso il controllo del Circolo era deciso a trovare il modo di impedire ad Ascanius di portare al suicidio l’intera razza dei Primi Nati. Doveva avvertire Guardiano, ma come? La sua linea di pensiero si dovette interrompere, sentì bussare alla porta e andò ad aprire, erano le guardie, pronte ad accompagnarlo all’esilio. Incatenato, salì su un aereo, un piccolo jet privato con scritto il nome di una compagnia fittizia, la Galapag Airlines, uno dei nomi con cui si registrava il Circolo.

    L’aereo partì, seduto davanti a lui, c’era un plotone di Crawlers pesantemente armati, gli sembrò di vedere quello che aveva ucciso Kin, se avesse potuto, lo avrebbe strangolato con le sue stesse mani. L’aereo era diretto nell’Essex a Nord di Londra, per lasciare Lucius nella sua tenuta privata, dove sarebbe rimasto in esilio fino a nuove disposizioni. Il volo fu tranquillo ma carico di tensione, sentiva gli occhi dei carnefici di Kin sopra di lui, rimase a guardare fuori dal finestrino fino a che non riconobbe le terre francesi. Diede uno sguardo in giro, gli sembrava di conoscere quell’aereo, alle spalle delle guardie si trovava la cabina di pilotaggio, riconobbe il pilota, era Victor Carter, c'era ancora speranza. Dopo un po’ notò Victor alzarsi dopo aver inserito il pilota automatico. Lo guardò dritto negli occhi. Lucius capì le sue intenzioni, appena gli fu accanto, lo vide attivare un telecomando, una nube di vapore verdastro si diffuse nella carlinga, Victor tirò fuori dalla giacca una mascherina antigas e gliela mise. Un Primo Nato lo assaltò cercando di strappargli la maschera, Lucius lo riconobbe e senza fatica lo immobilizzò, gli passò un braccio attorno al collo e con un salto all'indietro glielo spezzò, aveva vendicato almeno in parte Kin. Gli altri Primi Nati nel frattempo avevano perso i sensi e dormivano ignari del loro destino. Victor impostò una nuova rotta e inserì il pilota automatico, l'aereo avrebbe finito il carburante sul Mare del Nord e lì sarebbe precipitato facendo perdere le sue tracce.

    «Victor! » esclamò contento Lucius, mentre il ragazzo si sfilava la maschera.

    «Padre! Ho saputo cos'è successo e mi sono offerto di pilotare l’aereo. Pensavo avresti potuto avere bisogno di me. Come il solito. »

    «Come mai in vita mia, figliolo, come mai in vita mia. »

    Victor indicò due paracaduti nella cabina di pilotaggio senza dire una sola parola, Lucius capì cosa aveva in testa. Non gli sarebbe dispiaciuto stare un po' di tempo nella sua casa parigina, avrebbe rivisto la sua amata Autumn, la gemella di Victor. Li indossarono, non aveva mai utilizzato uno di quei cosi, ma la levetta color arancione sembrava l’unica cosa da tirare in quello zainetto. Victor aprì il portello ed entrambi si aggrapparono alle maniglie di sicurezza, sentirono un forte risucchio tentare di lanciarli fuori.

    «Al mio tre! » urlò Victor. «Uno... due... e... »

    Si lanciarono. Lucius stava sentendo un’orribile sensazione allo stomaco, lanciarsi da 25000 piedi di altezza non era di sicuro uno dei suoi sogni. Victor capì il suo malessere e gli si avvicinò in caduta libera, afferrandolo per una mano e tirando la leva del suo paracadute. Dopo un’estenuante discesa atterrarono entrambi sani e salvi sul suolo francese, in un vigneto. Rimasero sdraiati un po’ per riprendersi e Lucius, sfinito, ringraziò suo figlio di cuore, contento di averlo cresciuto così bene.

    Sebbene il Circolo ne avesse ordinato l'esilio, Lucius sapeva che, alla fine, avrebbero mandato dei sicari per finire il lavoro di Ascanius. Ora era arrivato il momento di prendere contatto con l’unica persona che lo poteva aiutare, suo fratello Julius, Guardiano, il Terzo Nato, l'unico abbastanza potente da fermare questa follia.

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    Ivan

    Londra. The City. 10 Ottobre 2012. Ore 10:43.

    Ivan aveva ricevuto un altro Le faremo sapere. Ormai non li contava più. Il suo conto in banca era sull'orlo del baratro e il prossimo mese sarebbe precipitato in un dirupo rosso da cui non c'era salvezza. Non aveva esperienza, e con questo? A ventiquattro anni chi ha esperienza? Era laureato in Economia da sei mesi e per sei mesi i Le faremo sapere l'avevano colpito duro, più duro di quanto avesse mai potuto immaginare. Forse non era quello il miglior modo di trovare lavoro.

    Uscì dall'edificio, asettico ed enorme, sede della New Bank On Line, il suo volto era cupo e nero come la notte. Immerso nei suoi pensieri, camminò lungo le strade bagnate dalla fortissima pioggia e come al solito era senza ombrello. Era talmente deluso ed arrabbiato che cominciò ad attraversare le strade senza rispettare i semafori, camminava senza una meta precisa, ormai era fuori dalla realtà. Un colpo di clacson sembrò risvegliarlo, si girò e notò una donna sbraitante al volante di una Beetle che per poco non lo investì mentre attraversava il centro di un incrocio. Chiese scusa con un gesto della mano, sospirò e riprese a camminare. Il suo senso di giovanile invincibilità era ormai svanito con la realtà dei fatti.

    Nella fitta pioggia le uniche luci chiaramente visibili erano quelle di un chiassoso pub. Si avvicinò, bagnato fradicio, con passi veloci, doveva ripararsi e mandare giù qualcosa, lo stomaco gli brontolava da quando si era alzato. Arrivò davanti al locale, era in una specie di seminterrato, l’insegna ondeggiava per il vento ed era quasi impossibile leggerla, scese alcuni gradini e sulla porta d’ingresso vide la scritta The Little Bank Pub, ciò gli provocò un sorriso quasi isterico per l'ironia, pensava che sarebbe stato l'unico tipo di banca in cui potesse stare per un po' di tempo. Mentre stava entrando, sentì una forte fitta al volto, come se un lembo di pelle della sua guancia si fosse squarciato, chiuse gli occhi istintivamente per il dolore, imprecando contro il destino, la pioggia, la città, il mondo.

    «Scusa, oh… mio Dio non si vede assolutamente niente con questa pioggia! Oh mio Dio, scusami.» disse con tono preoccupato una ragazza, che aveva colpito con l’asta di un vecchio ombrello giallo il suo volto, proprio davanti all'ingresso del Pub.

    Ivan fece una smorfia di dolore, si rese conto che la sua guancia stava perdendo parecchio sangue, cercò di tamponare la ferita con un fazzoletto ma il sangue iniziò a filtrare attraverso esso.

    «Entriamo, vediamo se hanno una cassetta del pronto soccorso. » continuò lei preoccupata.

    Si affrettarono ad entrare nel locale, era molto affollato e rumoroso. La ragazza lanciò l’ombrello al lato della porta e si diressero verso Joe, il barista, che capendo la situazione portò immediatamente alcune garze e del disinfettante.

    «Ragazzi, non siete i primi che vedo farsi male con degli ombrelli. Quei cosi sono delle vere e proprie armi! E poi quello di Anne è particolarmente pericoloso. » disse scherzandoci su con un chiaro accento irlandese.

    Per risposta ebbe uno sguardo di rimprovero fulminante da parte di Anne. La ragazza disinfettò accuratamente la ferita di Ivan prima di poggiarci sopra, delicatamente, una garza, fissandola con un paio di cerotti, il tocco leggero e gentile della ragazza sembrava averlo calmato.

    «Ecco, così dovrebbe andare bene per un po’. » disse, orgogliosa di quel mezzo intervento da crocerossina.

    Ivan una volta curato si girò verso di lei e vide finalmente la colpevole dell’incidente. Una ragazza minuta, sua coetanea, capelli neri ed occhi ancora più neri e sorridenti. Vestita in modo semplice. Una ragazza come tante, ma che sembrava emanare una luce particolare di gentilezza e serenità.

    «Sei ancora arrabbiato? Mi farò perdonare. Mi chiamo Anne Still e non volevo rovinarti la giornata. » disse, porgendogli la mano.

    «Non credere di essere stata tu a rovinarmi  la giornata, Anne. Il mio nome è Ivan, Ivan Sokolov. » rispose il ragazzo, stringendole la mano e sorridendo in un modo così inusuale per lui da mettersi quasi a disagio da solo.

    «Ti va di fare colazione insieme? » domandò Anne, che ebbe immediatamente un si come risposta.

    Appena seduti, arrivò la colazione, come se i camerieri sapessero esattamente cosa servire. Ivan per un attimo fissò il suo caffè con tristezza, questo bastò per catturare l’attenzione di Anne.

    «Ce l’hai con me vero? » disse, con occhi da cucciolo bastonato.

    «No, Anne, anzi, avere offerta una colazione da una splendida ragazza è la cosa migliore che mi sia capitata oggi. » ammise Sokolov, che spalancò gli occhi per la frase appena detta, si aspettava uno schiaffo o che la ragazza lo prendesse per uno sbruffone, non era mai stato il massimo col sesso femminile, era sempre stato troppo sulle sue e timido, ma per sua fortuna Anne si limitò a sorridergli incuriosita dalle sue parole.

    «Che è successo? Hai la faccia tagliata eppure sembra essere il minimo dei tuoi problemi, se ti va di parlarne... »

    «Ti annoierei, è la solita storia di un ragazzo disoccupato e squattrinato, succede a tutti penso. Non mi reputo così speciale da meritare un trattamento diverso dagli altri. »

    «Mi dispiace Ivan. » disse Anne Still, poggiandogli una mano consolatoria sulla spalla, il che trasmise a Ivan dei piacevoli brividi lungo la schiena.

    Guardandola, rispose sorridendo.

    «Non ho voglia di auto commiserarmi, parlami di te invece, che fai? Studi? Lavori? »

    «Sì, lavoro non lontano da qui. Anzi, a dirla tutta lavoro proprio nella porta affianco al pub, con mio padre. » rispose Anne, quasi dispiaciuta per la fortuna di avere un lavoro.

    «Affianco? » chiese Ivan, poggiando il bicchiere di succo d'arancia sul tavolo.

    «Sì, la The Little Bank of England, e questo è il pub dove di solito si riunisce il personale dopo il lavoro. Beh, più che tutto il personale intendo i due addetti alla sicurezza che lavorano lì, siamo una banca molto piccola e poco conosciuta ma va bene così. Ma a te che cosa è successo esattamente? »

    Sokolov allungò la mano per prendere il sale e nel farlo sfiorò la mano di Anne, che sorrise, mentre, lui d'istinto si diede un colpo in faccia per l’imbarazzo, chiedendo scusa, con un tono così alto che riecheggiò per tutto il locale.

    «Ho avuto un colloquio proprio qui vicino un paio di ore fa, alla New Bank on Line, mi hanno chiesto se avevo esperienza, … esperienza? Ho solo ventiquattro anni e sono appena uscito dall'università, così gli dissi, e dopo la mia risposta mi congedarono, indovina come? »

    «Le faremo sapere. » dissero ridendo, quasi contemporaneamente.

    Ivan d'improvviso arrossì di nuovo, senza rendersene conto stava sfiorando di nuovo la mano di Anne, che rise di cuore. Trovava amabile la sbadataggine e i modi garbati del ragazzo, che insistette perfino nel pagare il conto. Ad Ivan sembrò di avere riacquistato la sua sicurezza, anche se quella con le ragazze gli era nuova. In qualche modo Anne lo faceva sentire a suo agio. Era come se l'avesse conosciuta da sempre. Irraggiava serenità, era impossibile essere nervoso davanti a lei.

    Anne sbuffò scherzosamente dicendo «Se non offro io non ho nessun modo per ripagarti del danno causato. »

    Quello era il momento adatto per Sokolov di chiederle di uscire, mostrò il sorriso più smagliante del suo repertorio, si avvicinò in modo sensuale, pensava, e proprio quando stava per aprir bocca.

    «Ci sono! Ti posso presentare un mio amico! »

    La delusione di Ivan fu indescrivibile.

    «E’ proprietario di un negozietto di libri qua vicino e so che ha agganci con una grossa casa editrice, forse può aiutarti, guarda, è seduto proprio lì in fondo. »

    Si girò, guardando la serie di tavoli di legno posti alla sua destra e notò un uomo seduto, era difficile vederlo bene poiché era coperto dalle cameriere del locale, che facevano a gara per servirlo. Sokolov ne notò subito l’aria sicura e distinta, portava un trench di colore beige, che faceva spiccare il suo fisico asciutto e il suo volto pulito.

    «Vieni, te lo faccio conoscere. » disse Anne, prendendo Ivan per mano, il che lo fece sentire come un bambino.

    «Jay! »

    «Oh, Anne» rispose l’uomo esibendo un meraviglioso sorriso, poco prima di pregare le ragazze di portargli la sua Coca Cola, le sue patatine e di lasciarli parlare.

    «Anne, ma sei tutta bagnata, quante volte ti avrò detto di cambiare quell’ombrello? »

    «Hai ragione, sai che ci sono affezionata, è un regalo di Rose. »

    Anne notò la faccia imbarazzata di Ivan, che per colpa di quell’ombrello avrebbe dovuto portare parecchi cerotti per un bel po’ di tempo.

    «A proposito, ti presento Ivan Sokolov. Ivan, lui è Jay Benson. »

    «Piacere! » dissero entrambi, stringendosi la mano.

    «Ivan ha avuto una giornataccia, non riesce a trovare lavoro e proprio oggi ha avuto l’ennesimo rifiuto. Hai qualche possibilità di aiutarlo? »

    Ivan restò stupito dal modo schietto e diretto con il quale Anne si era rivolta a quell’uomo.

    «Anne, sai che non so dirti di no. »

    E rivolto a Ivan. «Stai su ragazzo, non ti preoccupare, qualcosa ci inventeremo per te. » disse Jay sfoderando uno splendido sorriso rassicurante.

    «Oh, grazie, non so che dire. Ormai ci sono abituato, sarà capitato più di quindici volte... »

    Ivan si grattò la testa, come faceva sempre quando diceva qualcosa di troppo, si rese conto che quelle parole l’avrebbero potuto far passare per un disperato.

    «Ragazzo, su col morale! » ripeté Jay, sorridendogli.

    Ivan ricambiò con un sorriso e stranamente si tranquillizzò.

    «Dimmi Ivan, che titolo di studio hai? »

    «Laurea in Economia conseguita poco tempo fa. » rispose con orgoglio.

    «Ok e ancora nessun lavoro, vero? »

    «Zero»

    «Sembri un ragazzo sveglio, è un peccato che finora non hai avuto fortuna.>>

    «Guarda, mi accontenterei pure di pulire i pavimenti arrivato a questo punto! » ribadì, facendo ridere sia Anne sia Mr. Benson.

    Una cameriera, super contenta, nel frattempo, servì Jay, che mandò giù tutto così velocemente da lasciare i due ragazzi a bocca aperta.

    «Natalie, per favore, puoi portarmi delle Crepes con Nutella? Porzione tripla coma al solito. » ordinò alla cameriera e rivolgendosi a loro.

    «Sarò onesto, non riesco a fare a meno di patatine e Nutella, senza andrei in astinenza. »

    Poi, parlando a Ivan. «Allora, figliolo, forse posso aiutarti. Hai mai sentito parlare della casa editrice Maple? »

    Sokolov deglutì, non la conosceva.

    «La Maple è una casa editrice che stampa copie anastatiche di libri antichi, di loro proprietà, una società molto dinamica. Sono il loro distributore ufficiale qui in Inghilterra, ora li chiamo, mi devono qualche favore. »

    Ivan non aveva parole, i suoi occhi erano completamente spalancati, stava per offrirgli un lavoro? Era possibile? E perfino in una casa editrice? Si limitò ad annuire, era così felice che per paura di dire qualche scemenza preferì restare in silenzio.

    «Bene, fatemi fare una telefonata. »

    Jay si alzò, estraendo un ingombrante telefono nero dalla tasca per fare la sua chiamata.

    «Vedi? Mi sono fatta perdonare. » disse Anne, rivolgendosi ad Ivan e dandogli un’amichevole pacca sulla spalla, anche allora Ivan si limitò ad annuire, era tutto troppo bello per essere vero.

    Jay tornò.

    «Allora Ivan, sei libero domani verso le dieci? Penso che tu non sappia dov’è la sede della Maple, vai verso Liverpool Street Station, seconda strada a sinistra e dritto fino alla Maple. Lì c’è una grossa insegna all’ingresso, un ramo d’acero con tre foglie come logo, non puoi sbagliare. »

    «Liberissimo, Mr. Benson. » rispose agitato.

    «Domani avrai un colloquio di lavoro. All’ingresso chiedi di Ms. Marie Bertrand, che ti aspetta, stai tranquillo, questa volta andrà diversamente. Garantisco io. Ora è giusto che stiate un po' da soli. » concluse Jay.

    Dopo aver salutato i ragazzi, riprese la sua colazione. Ivan ed Anne si allontanarono arrossendo, li aveva scambiati per una coppia.

    «Ivan, penso che ora dovresti essere contento, hai ancora speranza, però puoi cominciare a dire qualcosa di normale. »

    «Scusami, mi pare un sogno. » rispose ed Anne prontamente gli diede un colpetto sulla guancia ferita, che sembrò più una carezza, non sentì nessun dolore, evidentemente era sotto l'effetto di un potente anestetico: di nome Anne.

    «Non è un sogno e non provare ad essere triste. »

    «Non ne sono ancora sicuro, permettimi di fare una prova. »

    Le parole di Ivan incuriosirono di nuovo Anne, la quale con lo sguardo fisso su di lui era pronta ad udire le sue prossime parole.

    «Ti va di uscire con me? »

    Sì, era un sogno. Ivan dormì bene quella notte, si svegliò con il ricordo di una frase L’ora più buia è quella prima dell’Alba finalmente l’aveva capita, prima un colloquio di lavoro che sarebbe andato di sicuro bene, poi sarebbe uscito con quella ragazza così attraente e simpatica, le cose non potevano andare meglio. Si svegliò puntuale, si lavò, mise un cerotto pulito sulla ferita, indossò quello che lui riteneva il suo completo migliore, uscì di casa, prese la metro, e alle 9:30 era già alle porte della casa editrice. Una gigantesca insegna con un ramo d’acero con la scritta Maple era proprio sopra la sua testa quando varcò la soglia dell’edificio.

    Da lì la vita del giovane e demoralizzato Ivan cambiò drasticamente. Il colloquio si rivelò una pura formalità, fu subito assunto da Marie Bertrand Presidente del Consiglio di Amministrazione, una gentilissima signora sorridente che lo nominò Direttore responsabile della nuovissima divisione Ebooks della Maple, che nacque proprio quel giorno, gli assegnò degli uffici nuovi, uno staff di programmatori e una segretaria personale, Priscilla Evans, classica segretaria con occhiali ad occhio di gatto ed unghie rosse, vestita tipo anni ‘60 e voce squillante sull'orlo del fastidioso, nevrotica quanto bastava.

    «Un abbraccio ad Anne da parte mia. » disse Marie Bertrand prima di congedarlo.

    Ivan continuò a vedersi con Anne, continuava il sogno. Domenica due dicembre ricevette una sua visita.

    «Ivan sono io, apri. »disse Anne, parlando al citofono del piccolo e angusto loft affittato in pieno centro a Londra, gli costava mezzo stipendio, una fortuna, ma era vicino alla Maple e soprattutto vicino alla Banca di Anne.

    «Oh! Ciao Anne, scusami, stavo facendo la doccia, ti apro subito. »

    Anne prese l’ascensore, pigiò il pulsante nove, una volta uscita trovò la porta aperta, quell'appartamento le era simpatico, poteva essere meglio di sicuro, non aveva finestre ma un'unica vetrata che dava sulla strada principale, le pareti erano di un colore definibile come ex bianco e scrostate, quando si entrava ci si trovava già nella stanza principale, ammobiliata con vecchi divani in stile moderno e una stufa a legno mal funzionante per combattere il freddo invernale. Ivan scese dalla scala a chiocciola ancora in accappatoio e corse subito ad abbracciarla.

    «Dammi il tempo di vestirmi. C’è del caffè appena fatto, serviti pure. »

    «Si, ok Sokolov, non è la prima volta che vengo qua e so com’è il tuo caffè. » ironizzò come risposta, mettendolo in imbarazzo.

    Anne si sedette e Ivan andò a cambiarsi in fretta e furia, mettendosi un comodo paio di pantaloni e una felpa grigia, dopo di che la raggiunse.

    «Allora, Anne, come mai non mi hai chiamato? »

    «Sono venuta appena mio padre mi ha detto che vuole conoscerti. » la buttò giù Anne semplicemente.

    Ivan si bloccò come paralizzato dalla risposta.

    «Come mai? Che ho fatto? Perché ora? » rispose nevroticamente.

    Il solo pensiero di conoscere il padre di Anne lo terrorizzava. Anne lo dipingeva come un uomo duro e dolce ma era la parola duro che preoccupava Ivan che la traduceva più come un dai un dispiacere a mia figlia e ti rompo le ossa. Per risposta Anne si mise a ridere, l’innocenza del suo ragazzo la metteva sempre di buon umore.

    «No Ivan, non hai fatto nulla, ti ha solo invitato a visitare la banca! Ti vuole solo conoscere. Fidati di me. Di te sa già tutto da qualche tempo. » esclamò entusiasta.

    «Oh, la banca! Perché proprio io? »

    «Pensaci su. Perché sei ricco sfondato o perché esci con sua figlia? Indovinato?>>

    «Già. E’ un’opportunità. A quando la visita? »

    «Sabato mattina, ti aspetta, non puoi mancare, verso le undici. E vestiti bene, non vorrai fare brutta figura con mio padre. » concluse Anne, scherzosamente, mandandolo nel panico, pur sapendo che suo padre non era un tipo formale. Sokolov non poteva essere più nervoso, ma annuì rassegnato, in fin dei conti sapeva che nessuno si può sottrarre al proprio destino, e la sua ora era giunta.

    «Ci sarò, promesso. »

    I giorni di quella settimana per Ivan passarono velocemente, impegnato com’era con il lavoro e con Anne, ma non ci fu un solo momento in cui si dimenticò della visita alla banca. La banca aveva un qualcosa di strano, Ivan aveva preso qualche informazione, era una banca ricchissima con un giro d'affari enorme. Aveva solo un paio di dipendenti oltre gli addetti alla sicurezza. Anne era il Direttore Generale della Banca, roba da alta finanza e suo padre Presidente. Anne era pure la cassiera e suo padre il Direttore di Agenzia. Si chiese parecchie volte come faceva la banca ad essere così ricca con solo due dipendenti. Comunque, la stranezza più grande che Ivan aveva notato riguardava Anne. Ovunque andasse con Anne c'era sempre qualcuno che la conosceva, una vecchia signora con la spesa in mano, un distinto uomo d'affari che la salutava, Jay, Joe il barista e quanti altri. E anche alla Maple sembrava che tutti, dai dirigenti ai più semplici impiegati, la conoscessero. Ormai non ci faceva più caso.

    Il fatidico giorno era arrivato. Ivan si alzò alle sei di mattina, per essere sicuro che nulla ostacolasse quella visita. Dopo una breve doccia fredda per risvegliare tutti i sensi aprì l’armadio ed estrasse uno dei migliori completi del suo repertorio, in altre parole l'unico. Lo aveva comprato qualche giorno prima, Italian Style, altro mezzo stipendio svanito, giacca e pantaloni neri a strisce bianche, una cravatta di seta rossa, scarpe taglia quarantaquattro nere e splendenti. Stava benissimo, almeno così gli disse una commessa, che sembrava una modella, all’Emporio Armani. Verso le 9:30 era già sulla metro, tenendosi lontano sia dalle persone che dai sedili per evitare di sporcarsi e rovinare il suo look impeccabile, non era per Anne che si era vestito così ma per dare una buona impressione a Mr. Thomas Still. Alle dieci era già all'ingresso della banca, sulla porta una targa con su scritto The Little Bank of England e sotto since 1534. Mancava ancora un'ora all’appuntamento, così decise di approfittarne per fare colazione al The Little Bank Pub, che si trovava nello stesso edificio della banca, ma al piano terra, con un'entrata separata. Entrò e si sedette al bancone, con la massima attenzione e controllando con cura lo sgabello.

    «Joe, cos’hai di buono oggi? » domandò al barista irlandese, ormai era amico di tutti anche lui.

    «Oh! Ma come siamo eleganti. Beh, per te che sei vestito così bene nulla che non possa rovinarti quella bella giacca. Cos'è? Armani, Valentino, Versace? Fammi indovinare... Armani. Sì... lo sapevo! Qualcosa per la colazione? Per il tuo vestito? Sì... ho tutto ripieno di crema e marmellata. » rispose il barista, deridendolo amichevolmente.

    «Avrai pure qualcosa di non pericoloso per Armani, non posso rischiare di sporcarmi, devo salire su in banca, non fate più i pancakes? »

    «Sì, li facciamo ancora, te li porto ricoperti di sciroppo d’acero? » rise ancora, ma sapeva già la risposta, quindi andò in cucina per prenderli. Alle 10:45 Ivan pagò e si diresse velocemente verso l’uscita, quasi dimenticando la sua valigetta professionale completamente vuota che aveva portato con se solo per far scena.

    «Devi andare in banca, vero? Guarda che la porta principale è di qua! » urlò Joe prima che Ivan uscisse, indicando una minuscola porta grigia di fianco la cucina.

    L'entrata non era proprio come se l’immaginava Sokolov, ma in fin dei conti poteva anche essere così, era pur sempre la banca più piccola del mondo. Aprì la porta e osservò stupefatto una scalinata di marmo nero, con passamani di ottone ai lati. Salì le scale. Sembravano infinite, anche se salivano solo per un piano, mentre saliva notò una porta fatta completamente di vetro, ma il suo cuore quasi collassò quando arrivò su. Ai lati della porta c’erano due uomini, enormi, vestiti da guardie di sicurezza, quello a destra sarà stato alto almeno due metri, completamente pelato e di carnagione scura, a sinistra quello meno alto, ma altrettanto muscoloso, teneva i capelli all’indietro, raccolti in una coda di cavallo. Si sentì come Frodo davanti ai Giganti. Entrambi a braccia conserte a fissarlo e a ringhiare come dei cani da guardia. Enormemente intimidito, cominciò a balbettare.

    «Scu... scusate, io dovrei... ehm... dovrei... »

    «Ivan finalmente! »

    Il giovane Sokolov vide, sollevato, Anne passare dalla porta per abbracciarlo.

    I due mastini sembrarono essere stati domati dalla vista di Anne e di punto in bianco diventarono gentilissimi.

    «Buongiorno Ms. Anne, ha avuto una buona giornata? » disse quello a destra.

    «Buongiorno a voi, sì, ho avuto una bella giornata, finora, non stavate per fare del male ad Ivan vero? »

    «Nooo… signora! Non proprio. » esclamò l’altro schiacciando un occhio, con un tono più docile, sebbene ugualmente spaventoso.

    Ivan ascoltando si tranquillizzò, sembravano adorare Anne, non avrebbero di certo fatto del male a lui, alla fin fine era il suo ragazzo e questo doveva proteggerlo. O forse no?

    «Vieni, mio padre ti sta aspettando. » esclamò Anne, eccitata, prendendogli la mano.

    La ragazza aprì la porta e si diresse dentro quando quell’omone dalla carnagione scura sulla destra, guardandolo storto, disse a bassa voce.

    «Trattala bene, non vorrei darti tanto, tanto, tanto dolore. »

    Ecco, Ivan si ritrovò a disagio, non doveva preoccuparsi solo del padre di Anne ma anche delle due bestie feroci messe a guardia dell’antro.

    Entrarono direttamente nel salone principale, arredato con mobili antichi, divani rossi e alti tavolini, lo stile gli ricordò quello usato nel XIX secolo. Il pavimento e le pareti erano di legno di ciliegio, le luci erano gialle e soffuse, tutto era molto di classe. Notò del rumore provenire da una porta, anch’essa in legno, con su scritto Direzione e Presidenza, quando questa si aprì. Uscì un distinto uomo sulla cinquantina, non eccessivamente alto, i suoi baffi erano neri con sfumature di grigio, uno sguardo severo che intimidiva e che sembrava avere una grande fretta. Si avvicinò a passi veloci verso i ragazzi, Anne sorrideva mentre teneva per un braccio Ivan.

    «Ivan, finalmente ti conosco, mi fa piacere vederti qui, ma... sono desolato, ho una commissione della massima urgenza da sbrigare, pensavo di fare prima ma sono in ritardo, sarò di ritorno tra un’ora. Non muoverti da qua, voglio conoscerti meglio. Sono contento che tu sia qui. »

    «Ciao, ciao papà! » salutò Anne.

    Ivan fece un profondo respiro di sollievo, poteva rilassarsi per un’altra ora buona, il padre di Anne era proprio come se lo immaginava e ciò non era un’ottima cosa per il suo stato mentale. Si avvicinò alla finestra e si affacciò, la prima cosa che vide fu la figura di Mr. Thomas che stava entrando in una stupenda Rolls Royce modello Phantom completamente bianca. Partì con un grosso rombo a velocità sostenuta. Ivan si girò verso Anne, la quale tenendogli le mani disse.

    «Scusami Ivan. Penso che sarebbe stato meglio farti venire ad un’ora diversa. »

    «Oh non preoccuparti, anzi, forse è meglio così, avrò più tempo per calcolare le mie parole. »

    Anne sbuffò e puntò il dito contro il petto di Ivan.

    «Non ti mangerà mica! Ma cosa avete voi uomini? Fate i supermaschi e poi siete spaventati a morte dal padre della vostra ragazza! »

    Ivan rise e la abbracciò.

    «Comunque, giovanotto, il secondo sabato di ogni mese è un giorno speciale per la banca e tra un’ora capirai il perché.>>

    Ivan annuì.

    «Sono un tipo paziente. »

    Dopo di ché si girò a guardare di nuovo fuori dalla finestra. All'angolo della strada, quasi nascosto, gli sembrò di notare la sagoma di Jay Benson, quel trench e quel cappello li avrebbe riconosciuti ovunque, li indossava sempre, ma non ne fu assolutamente sicuro, scelse di non dire nulla.

    Dopo un'ora vide la vetrata d’ingresso che veniva aperta dalle due guardie. Entrò una signora bellissima, elegante nel passo, poteva avere non più di cinquanta anni. I suoi capelli neri corvini, che le cadevano sopra un cappotto rosso, gli ricordarono istintivamente quelli di Anne. Era accompagnata da Thomas e dalle guardie di sicurezza che le aprivano la strada. Anne si mise a correre.

    «Rose! » esclamò gioiosa.

    Ivan non poté che chiedersi chi fosse. Le due si abbracciarono amorevolmente dopo di ché guardandolo.

    «Rose, ti presento Ivan, il mio ragazzo. »

    Lui andò per stringerle la mano ma Rose si lanciò in un forte abbraccio.

    «Ivan! Finalmente ti conosco! Anne non fa che parlarmi di te. »

    Non sapendo che fare con le mani, Sokolov tentò un semi abbraccio imbarazzato, ma era distratto dallo sguardo di Thomas.

    «Ivan, ti presento Ms. Rose Tenenbaum, una nostra cliente e amica, la nostra migliore amica. »

    Anne si era già piazzata come cassiere dietro il banco e Rose, con movimenti lenti ma aggraziati, si diresse verso il fondo della sala. Anne le fece firmare un modulo e dopo contò 1000 sterline. Sembravano madre e figlia che facevano un gioco di società. Quando finirono, si sedettero per prendere un caffè. Ivan, ovviamente, si sentì al centro dell’attenzione. I caffè furono portati dai due energumeni di guardia alla porta, sembrava si stessero divertendo. Guardavano Ivan come se lo sfottessero. Il loro atteggiamento cambiava quando guardavano Anne e Rose. Era come se adorassero quelle due splendide donne. Rose volle servire lei il caffè.

    «Zuccherato o amaro? »

    Ivan stava per rispondere quando il suo karma colpì di nuovo, con la punta delle dita rovesciò la tazzina, versandosi il caffè bollente addosso, era riuscito a macchiare il suo Armani, imprecò d'istinto.

    «Porca p... puledra! » disse smorzando la frase, se la prima impressione era quella che contava di più allora lui se l'era giocata male.

    «Anne, mi piace, è come me lo aspettavo. » sentenziò Rose, facendola annuire.

    «Scusate il bagno? E’ urgentissimo! » quasi urlò Ivan, il caffè bollente non era piacevole in certe zone.

    «Entra nella stanza della Direzione, in fondo a destra c’è il mio bagno privato. Cerca solo di non combinare altri guai, ragazzo. » disse Thomas ironicamente.

    I due bestioni erano rimasti all’interno della banca, se la spassavano senza nasconderlo, sembravano due persone di famiglia più che guardie di sicurezza, e poi non si vedeva un cliente, non c'era una telefonata, niente di niente, strano, pensò il cervello di Ivan quasi inconsciamente, la banca aveva un qualcosa di molto ma molto strano. Sokolov si diresse così velocemente in bagno che quasi inciampò sullo zerbino d’entrata, provocando parecchie altre trattenute risate dietro di lui, non riusciva a combinarne una giusta. Ripulita, nel miglior modo possibile, la macchia di caffè sui pantaloni, ritornò in salone, sentendosi a disagio come non mai in vita sua. Gli occhi di tutti erano fissi su di lui, sembrava come se si sforzassero di trattenere le risate, ma decise di non farci caso.

    «Allora, sì, dove eravamo? »

    «Il caffè Ivan, lo vuoi zuccherato? »

    E ripartì tutto d’accapo. Si trovò bene con loro, Thomas era meno severo di quanto credesse, dovevano averlo preso in simpatia, oppure lo consideravano solo un idiota. In ogni caso per Sokolov era una buona notizia.

    La primavera era alle porte e il rapporto con Anne procedeva fantasticamente. Thomas lo incontrava raramente e ne era sempre intimidito, anche se alla fine sembrava avessero instaurato un ottimo rapporto, dopo ogni incontro Ivan era sempre di ottimo umore. Thomas era una figura molto paterna e lui inconsciamente lo aveva assimilato a suo padre, che non aveva mai conosciuto. Una volta al mese era invitato in banca, dove poteva scambiare due parole con Rose. E in quelle occasioni, cosa strana, all’angolo della strada vedeva sempre Jay. Il lavoro lo teneva occupato quasi tutto il giorno, ma amava farlo, pensava che fosse perfetto per lui. Aveva un ufficio tutto suo, con le vetrate proprio alle spalle della scrivania in pieno stile metropolitano, una comoda poltrona e scaffali pieni di documenti e libri vari. Odiava stare solo, le visite dei suoi pochi amici si limitavano a casa e mai al lavoro, passava ore ad armeggiare con il suo computer, a cercare nel database della Maple i libri da pubblicare e a consultare le statistiche di vendita.

    Londra. Sede della Maple. Lunedì 11 marzo 2013.

    Tutti i lunedì, il Consiglio di Amministrazione teneva le riunioni operative. Per Ivan non c’era giorno peggiore, era sempre stanco dopo ogni week end. Quel giorno fu diverso. Infatti, era particolarmente piovoso e a quanto pare, Marie Bertrand, la presidente del consiglio di amministrazione, a causa della forte pioggia aveva per errore tamponato una vecchia Ford Fiesta guidata da una ragazza, il che aveva creato una fila così lunga da bloccare tutta George Town Street, facendola restare imprigionata nel caos stradale e pertanto la riunione fu rinviata. Questo voleva dire per il giovane Sokolov una giornata completamente libera. Che cosa fare? Era lì, al computer, a controllare i vari ordini quando la sua curiosità naturale colpì di nuovo. I libri. Non era mai sceso nell’archivio dei libri, si trovavano nel piano sotterraneo sotto l’atrio della Maple, gli venne voglia di visitarlo, pensò che dovesse essere grande almeno quanto una base aerea.

    Lasciò tutto tranne il suo fido zaino regalatogli da Anne e si diresse verso l’ascensore, magari poteva trovare qualcosa d’interessante da leggere per passare il tempo. Il piano dove si trovava il magazzino della Maple era il -1, dopo aver spinto il pulsante, capì che l’ascensore stava impiegando più tempo del solito ad arrivare, come se invece di scendere per tre piani ne stesse facendo qualcuno di più. Le porte dell’ascensore si aprirono e un’aria gelida lo investì, facendolo rabbrividire. La sensazione di freddo durò poco, si accorse che il magazzino era così enorme che era difficile vederne il soffitto, che sarà stato alto almeno una ventina di metri. Le luci erano bianche, anzi, bianchissime, riuscivano ad illuminare tutto perfettamente. Per non parlare degli scaffali, enormi, lunghissimi, in legno pregiato. Si estendevano da tutti i lati sotto l’edificio della Maple, quella era una vera e propria camera del tesoro. Improvvisamente un arzillo vecchietto gli spuntò davanti, prendendo la sua mano in una forte stretta e urlando.

    «Piacere! Piacere! Tu devi essere uno dei dirigenti. Sokolov giusto? »

    La voce dell’uomo riecheggiò per tutto il magazzino, spaventandolo a morte. Ivan rimase molto sorpreso, quell’uomo poteva avere più di ottanta anni, aveva la schiena curva ed era vestito con una salopette verde e un cappellino rosso, ma sembrava avere più energie di lui.

    «Sì, salve, sono Ivan Sokolov. » disse, liberandosi dalla poderosa morsa.

    «Sono Nick. » rispose il vecchio.

    «Nick... e basta?>

    «Oh, tu chiamami solamente Nick, sono il bibliotecario. Mi occupo io del magazzino e anche di ritrovare i libri in questo posto, se ti serve un titolo, io so dov’è. »

    Ivan non poteva che essere stupito. «Come fai? Cioè, sei solo qui? »

    «Sono anni che faccio questo lavoro, ragazzo, e so farlo benissimo!»

    Questo Sokolov non l’avrebbe mai messo in dubbio.

    «Cosa ti porta qui? » chiese lo strano individuo.

    «Solo la curiosità e magari per leggere qualcosa. »

    Il vecchio sorrise, mostrando una dentatura da fare invidia a un attore di soap opera. «Ti porto io a fare un giro, ma bada che potrebbero volerci giorni.»

    E di questo aveva ragione, quel luogo sembrava contenere migliaia e migliaia di manoscritti.

    «E i libri non hanno nessun ordine. »

    «Nessun ordine? E come fai a trovarli? »

    «La memoria Ivan, uso quella. »

    Sokolov aveva smesso di farsi domande da un pezzo, il magazzino era strano tanto quanto Nick. «Allora darò un’occhiata in giro. Ci vediamo tra un po’. » finì di dire Ivan prima di avventurarsi tra gli imponenti scaffali impolverati.

    Camminò per dieci minuti abbondanti, guardando con calma i dorsi dei libri dei primi tre ripiani, per gli altri ci sarebbe voluta una scala e, sebbene ce ne fossero a flotte, decise per il momento di guardare solo quelli riposti in basso. Qualcosa catturò la sua attenzione. Una lampada sul soffitto doveva essersi leggermente staccata dalla propria base, il che la fece dondolare a destra e a sinistra per un breve periodo. Un libro situato al sesto ripiano s’illuminò, mettendo in risalto la sua rilegatura color oro. Lo guardò, ponderando come raggiungerlo, prese una vecchia scaletta quasi arrugginita e parecchio traballante situata alla sua destra, la poggiò allo scaffale e salì, tenendo le mani poggiate sulle mensole. Arrivò quasi a prenderlo quando un rumore poco rassicurante lo bloccò. La scala si ruppe e lui si tirò una gran parte di libri giù, parecchi caddero sulla sua testa, altri a terra, causando un gran baccano. «Tutto bene? » urlò, non si sa da dove, il vecchio Nick.

    «Sì, tutto bene. Grazie. Sistemo io! » rispose Ivan, toccandosi la fronte per controllare i bernoccoli freschi.

    Cominciò a riporre al proprio posto tutti i libri che aveva fatto cadere, quando un titolo sembrò catturare la sua attenzione, il manoscritto si chiamava Il Guardiano dell’Uomo. Il Mistero Svelato. Aprì il libro e cominciò a leggere le prime pagine, era la storia di un paladino venuto, non si sa da dove, per proteggere la terra. Un ottimo racconto di fantascienza, pensò Ivan, allora lo infilò nel suo zaino, ne avrebbe ripreso la lettura in ufficio. Tornò indietro, impiegando molto tempo perché si perse un paio di volte, alla fine dovette seguire la voce di Nick per uscire. Lo salutò e Nick gli diede un abbraccio così forte da provocargli un dolore alla schiena.

    «Torna presto ragazzo, lo farai vero? E... se vedi Anne, un bacio da parte mia. »

    Ivan annuì perplesso, restò senza parole. Anche lui la conosceva? Pensò che Anne stesse diventando un mistero, un piacevole mistero. Era cotto, da mesi viveva per Anne, gli avrebbe portato di sicuro i saluti di Nick, il vecchietto, che sebbene strambo era molto affettuoso e... amico di Anne anche lui. Una volta tornato alla sua scrivania tirò fuori il libro e cominciò a leggerlo, ne rimase enormemente colpito. Quel manoscritto lo aveva completamente stregato. Sembrava un libro di fantascienza attuale, ma scritto 500 anni fa. Si fecero quasi le sette quando il suo cellulare squillò, era Anne.

    «Ivan dovevi chiamarmi. Te lo eri scordato? »

    «No, hai ragione, è che ho avuto parecchio da fare e... »

    «Alle 20:30 mio padre ci aspetta per la cena... volevo solo ricordartelo. Sembri così distratto, va tutto bene? »

    «Tutto bene, stai tranquilla, ci sarò. »

    «Va bene, ti amo, a dopo. » disse Anne prima di chiudere.

    Ivan non aveva il tempo di finire di leggere il libro. Quel manoscritto sarebbe stato la perla del bookshop online della Maple, ne era convinto. Decise di spendere una mezz’oretta pubblicandone un sunto nel sito e aggiungendo la nota che il titolo sarebbe stato disponibile per la vendita a breve. Nel giro di dieci minuti le richieste di prenotazione fioccarono, centinaia di clienti volevano assolutamente averlo. Non poté rispondere ai commenti dei futuri compratori, lo stavano aspettando. Prese il cappotto, infilò il libro nel suo zaino e andò alla sua meritata cena con Anne.

    La Maple

    Londra. Martedì 12 Marzo 2013. Ore 16:05.

    Un cab nero accompagnò la giovane TJ Russo ed il suo collega, Phil Waterflux di fronte all’edificio della casa editrice Maple. La struttura era alta solo tre piani ma era così larga da riempire quasi un quartiere con la sua imponenza. Era emozionatissima e felice, con questo compito operativo avrebbe finito il suo tirocinio presso l’Agenzia.

    «Russo, vediamo di sbrigarcela al più presto, sono stanco di accompagnare novellini in giro per Londra. Sai come finirà l’incontro? Con una segnalazione di contrabbando o di evasione fiscale ed il gioco è fatto. »

    «Oh dai, è sempre lavoro. »

    TJ si sentiva come una ragazzina al suo primo ballo, accompagnata dal suo personale principe azzurro. L’agenzia le aveva dato false generalità, lei era Annabelle Russo, esperta di libri antichi e stava lavorando per un collezionista egiziano. Una copertura perfetta. Phil invece era lì per organizzarle il piano e fargli da supervisore, e in caso qualcosa fosse andato storto a tirarla fuori dai casini.

    «Bene, TJ, manca esattamente un’ora al tuo incontro con il direttore della divisione Ebooks, come si chiama? Ha un nome russo, sì... Ivan Sok… e qualcosa, ripassiamo il piano? »

    Lei annuì, ma non aveva bisogno di altri ripassi, si era studiato il tutto nei minimi dettagli. Il controllo era stato approvato giorni prima. L'occasione si era presentata quando sul sito web della Maple aveva letto il sunto de Il Guardiano dell’Uomo. Il Mistero Svelato, era perfetto per fare domande su come la Maple reperiva i testi originali. Il suo capo aveva approvato la missione e la copertura. Non voleva fallire il suo primo compito per conto dell’Agenzia, era fin troppo importante per lei.

    L’agente Waterflux le indicò un piccolo Starbucks proprio di fronte alla casa editrice e si diressero lì per ordinare un americano.

    «Allora! Se qualcosa va male cosa fai? » disse Phil mentre si sedeva accanto alla vetrata che dava all’ingresso dell’edificio.

    «Premo il retro della mia collana. » rispose soddisfatta.

    «E se tardo ad arrivare che fai? »

    «Urlo come un’ossessa e poi mi fingo morta. » disse scherzosamente, facendo ridere il suo collega.

    «Anche se non è un’operazione pericolosa. » sussurrò Phil a bassa voce «Mi preoccupa che ti possa accadere qualcosa. Fai la brava, per favore. »

    Lei gli diede una pacca sulla spalla e si alzò, era quasi ora di andare.

    «Farò del mio meglio, paghi tu i caffè, vero? Sei un vero e proprio cavaliere. » disse prima di andarsene, facendo roteare gli occhi in segno di dissenso a Waterflux.

    TJ era sola adesso, doveva dimostrare il meglio di se a tutta l’agenzia. Camminò a passi lenti e sensuali verso il banco informazioni, dove era seduto un addetto alla sicurezza, un omone completamente pelato e con le sopracciglia cerettate, che non le staccava gli occhi di dosso.

    «Mi scusi, mi potrebbe dire a che piano si trova l’ufficio del Direttore Marketing Online? Ivan... mi sembra... Sokolopp…»

    La guardia deglutì ma cercò di ricomporsi.

    «Sokolov! Il secondo piano, signorina. Vuole essere accompagnata? » rispose con un sorriso, provandoci spudoratamente con la ragazza.

    «No grazie. » disse Russo avviandosi verso l’ascensore seguita dallo sguardo dell’uomo.

    Nell'ascensore c'era una planimetria completa dei singoli piani, la studiò con calma mentre l'ascensore saliva, sapeva la strada. Alla fine del corridoio sulla destra trovò la porta, bussò e la voce di una donna le disse di accomodarsi, era Priscilla, la segretaria.

    «Buongiorno, lei è? » chiese, picchiettando

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