Tentazioni dal passato: Harmony Bianca
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Info su questo ebook
Jack: Io sono abituato a credere solo a ciò che vedo, per questo penso che Harry non potrà trarre alcun giovamento dalla sua permanenza alla Baia dei Delfini. Quello che credo, invece, è che la responsabile della struttura, che adesso si fa chiamare Kate, sia in realtà Cathy Heineman, una mia compagna ai tempi dell'Università. Ora voglio vederci chiaro e scoprire perché Kate è stata costretta a cambiare nome. Soprattutto perché il piccolo Harry si sta affezionando a lei ogni giorno di più.
Marion Lennox
Marion Lennox is a country girl, born on an Australian dairy farm. She moved on, because the cows just weren't interested in her stories! Married to a `very special doctor', she has also written under the name Trisha David. She’s now stepped back from her `other’ career teaching statistics. Finally, she’s figured what's important and discovered the joys of baths, romance and chocolate. Preferably all at the same time! Marion is an international award winning author.
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Anteprima del libro
Tentazioni dal passato - Marion Lennox
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Secret Shared...
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2014 Marion Lennox
Traduzione di Daniela De Renzi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-111-7
1
«E lei vorrebbe aiutare il bambino con canti sacri e delfini?» commentò il benzinaio con aria perplessa.
Il dottor Jack Kincaid lanciò un’occhiata al ragazzino pallido, seduto accanto a lui sulla macchina, e si augurò che non stesse ascoltando. Dal giorno dell’incidente nel quale erano rimasti uccisi i genitori, Harry parlava a stento.
«Il santuario ha un’ottima reputazione» affermò Jack non sapendo che cos’altro dire. Si trovavano a trecento miglia da Perth e si stavano dirigendo in una delle zone più remote dell’Australia, al Dolphin Bay.
«Suo figlio ha problemi?» domandò ancora l’altro, e a quelle parole Jack premette il telecomando dell’auto per alzare il finestrino e impedire a Harry di sentire.
Ma il bambino non sembrava averci fatto caso.
«È rimasto ferito in un incidente d’auto» spiegò Jack a disagio. Quel tizio lo stava sottoponendo a un interrogatorio.
«Lei è il padre?»
«Lo zio. I genitori sono rimasti uccisi.»
«Poveretto» affermò l’uomo, scuotendo la testa. «Ma perché lo porta al Dolphin Bay? La imbroglieranno, amico. Una volta da queste parti si pescava bene. Ma quegli hippy hanno avuto il permesso di dare da mangiare ai delfini. Li trattengono nell’area protetta, invece di lasciarli nuotare in mare aperto.»
«Da quanto tempo li usano per curare la gente?»
«Da quand’è arrivata quella dottoressa Kate. È un posto pieno di gente strampalata, convinta che serva più la meditazione che guardare in faccia la vita. Per me l’unico delfino buono è un delfino morto. Se soltanto ci lasciassero sparare...»
Fortunatamente il serbatoio era pieno e Jack tirò fuori il portafoglio con un sospiro di sollievo. «Tenga pure il resto.» Voleva andarsene il più in fretta possibile. «Ci compri delle esche.»
«Grazie, amico» affermò l’uomo soddisfatto. «Ma se fossi in lei, mi cercherei un posto in un motel e porterei il bambino a pescare. Molto meglio che mescolarsi a quegli hippy stravaganti.»
Era quello che pensava anche Jack. «Fosse per me, ci andrei di corsa» borbottò serio.
«E allora che cos’è che glielo impedisce?»
«Donne...» replicò Jack, prima di riuscire a trattenersi. «Non ci limitano forse tutti quanti?»
La morte del piccolo Toby Linkler era stata improvvisa. Un evento da spezzare il cuore, ma allo stesso tempo una benedizione.
Kate stava osservando Amy, la madre, che teneva il bambino tra le braccia. Il viso emaciato di Toby, provato da mesi di chemioterapia, pareva illuminato dall’interno. Il piccolo aveva riso. Poi Hobble, il delfino, si era immerso e lo aveva sospinto con delicatezza fuori dall’acqua. E in quello stesso istante lo sguardo di Toby si era come rivolto verso l’interno. Kate si era avvicinata, ma a quel punto lui se n’era già andato.
La madre del bambino era scoppiata in singhiozzi, rimanendo immobile, e il cerchio dei delfini si era fatto più ampio, come se gli animali volessero fare la guardia, pur tenendosi a distanza.
«Se n’è... andato» mormorò Amy con un filo di voce. «I medici avevano detto... Avevano detto che avrebbe potuto...»
Li avevano avvisati che avrebbero potuto esserci dei mancamenti, seguiti da morte improvvisa. Kate aveva studiato la cartella clinica. Toby aveva soltanto quattro anni e un tumore al cervello, parzialmente rimosso circa un anno prima. La massa rimasta era stata ridotta con la chemioterapia, ma poi aveva ricominciato ad aumentare. Le ultime annotazioni dicevano: «Se il tumore rimane invariato, la prognosi è di qualche settimana. Consigliate cure palliative. Rinviato al medico di base».
Ma una mamma nel Reparto di Oncologia pediatrica aveva parlato a Amy del Dolphin Bay e del loro programma. Kate aveva fatto fatica a trovar loro un posto. Ringraziò il cielo di esserci riuscita.
Toby aveva trascorso gli ultimi giorni galleggiando insieme ai delfini e ne era rimasto affascinato. Loro lo avevano fatto divertire, sospingendolo sul pelo dell’acqua; avevano tirato in aria le palle e le avevano recuperate, quando lui non ci riusciva.
Il piccolo aveva bisogno di analgesici, farmaci anticonvulsivi e medicine che contenessero l’accumulo di calcio. Eppure in quei sei giorni era tornato un bambino a tutti gli effetti. La notte aveva dormito rannicchiato vicino a Maisie, il cane da terapia della struttura, ed era sembrato quasi felice.
Quella mattina era sembrato più silenzioso e pallido del solito. Il respiro era superficiale. Kate sapeva che non gli rimaneva più molto tempo. In ospedale avrebbe ordinato esami del sangue e richiesto una risonanza magnetica. Ma non sarebbe servito a niente. La madre di Toby aveva fatto la sua scelta ed era chiaro quello che il bambino voleva.
«Voglio nuotare con Hobble.»
Ma adesso era morto e non c’era niente che si potesse fare. Rimaneva soltanto un vuoto, che non era possibile colmare.
«Sono contenta...» mormorò Amy, quando finalmente riuscì a smettere di singhiozzare. «Sono contenta di averlo portato qui. Oh, Kate, grazie!»
«Non deve ringraziare me» replicò la dottoressa, abbracciandola. «Ringrazi piuttosto i miei delfini.»
«La dottoressa Kate è in ritardo» affermò la donna alla reception. «Mi dispiace, Harry» dichiarò poi, rivolta al bambino. «Questa è Maisie...» continuò, indicando un grosso golden retriever, accucciato sotto al bancone. «Maisie, questo è Harry» esclamò, dando un calcetto alla cagna, che sollevò lo sguardo come volesse accertarsi che si stesse rivolgendo proprio a lei. «Maisie... saluta Harry.»
La cagna si rotolò sulla schiena, si stiracchiò ed emise un sospiro, alzandosi pesantemente. Poi attraversò la stanza, si sedette davanti a Harry e... gli porse la zampa.
Il bambino la guardò perplesso. Lei rimase pazientemente seduta con la zampa tesa, finché lui l’afferrò con un po’ di esitazione.
«La dottoressa Kate è in acqua. Sta facendo terapia» spiegò la donna, rivolgendosi a Jack, mentre il cane porgeva la zampa a Harry una seconda volta. «Se vuole, può scendere in spiaggia e restare a guardare.»
Jack si sentiva ancora diffidente nei confronti di quel posto. Perché diamine era venuto? Abitava a Sydney. E anche Harry viveva nella stessa città.
L’idea era venuta alla zia Helen, che aveva acconsentito a lasciare Harry alle cure di Jack, se fosse stato disposto ad accompagnarlo al Dolphin Bay.
«Tu vuoi andare in spiaggia o preferisci restare qui con Maisie?» stava domandando a Harry la donna alla reception. Il bambino guardò il cane e si limitò ad annuire in silenzio.
Quel semplice gesto era già da considerarsi un miracolo. Da quando erano morti i genitori, il ragazzino si sentiva perso.
«Sei sicuro?» gli domandò Jack, e naturalmente non vi fu risposta. Harry era inginocchiato sul pavimento accanto al cane, che si stava spostando lentamente di lato. A circa un metro di distanza c’era una palla e Maisie la stava fissando.
Jack le diede un calcetto per avvicinarla. Subito Maisie l’afferrò, lasciandola ricadere ai piedi di Harry. Poi si allontanò, continuando a fissare il bambino.
Harry guardò la cagna. E lei guardò Harry. Tutti trattennero il fiato. Poi il bambino, esitando, raccolse la palla morsicata e la tirò di nuovo al cane.
Maisie afferrò la palla con un gesto plateale prima che toccasse terra. Poi girò tre volte su se stessa, gettò di nuovo in aria la palla e la riprese. Tornò indietro e la depose ai piedi di Harry. E a quel punto, incredibilmente, lui accennò una risatina.
«Comprerò quel cane» borbottò tra se Jack e la donna alla reception sorrise.
«Non è in vendita. Per Kate è più preziosa di un diamante. Vada da lei, se vuole. Harry e Maisie staranno sicuramente bene qui con me.»
Jack osservò il bambino e, per la prima volta da quando i genitori di Harry erano morti, si sentì improvvisamente rilassato. Quel cane si stava prendendo cura di lui e il sollievo era incredibile.
«Vada» lo sollecitò la receptionist con gentilezza. Il messaggio era chiarissimo. Lasci che facciano conoscenza.
Harry non aveva bisogno di lui. Dal momento dell’incidente sembrava non aver più bisogno di nessuno. E se un cane poteva fare la differenza...
Il dottor Kincaid non se lo fece ripetere due volte e s’incamminò verso la spiaggia.
Era ora di uscire dall’acqua. Ora di accettare l’ineluttabilità della morte. Il tempo di Toby era scaduto. Il bambino era morto. La madre avrebbe dovuto cominciare ad affrontare il mondo senza di lui.
Mentre camminavano nell’acqua bassa, Kate mise un braccio intorno alla vita di Amy. Il mondo sembrava essersi fermato di colpo. Ma a quel punto si sarebbe dovuta attivare la burocrazia e Kate non avrebbe più potuto proteggere Amy.
Raggiunta la spiaggia, si voltarono indietro. Al largo Hobble sembrava guardarle. Stava disegnando ampie curve ai confini della zona recintata. E quando arrivava nel punto più lontano, saltava fuori dall’acqua e poi si tuffava di nuovo. «Grazie...» sussurrò Amy, rivolta al delfino.
Jack salì sul crinale di sabbia nel momento in cui le due donne iniziavano a camminare lungo la spiaggia.Due donne e un bambino. Le donne indossavano tute antimedusa di un azzurro intenso, mentre il bambino indossava una muta. Ma il bambino era morto.
Jack era un medico e lo capì all’istante. Cominciò a correre. Se il bimbo era finito sott’acqua, poteva non essere ancora troppo tardi. Per quale motivo non stavano tentando di rianimarlo? Tirò fuori il telefono e cominciò a digitare il numero del Pronto Intervento.
«Lasci perdere» gli ordinò la donna più alta in tono deciso, tanto da farlo desistere. L’altra si lasciò andare in ginocchio, continuando a stringere il bambino.
«Cosa diavolo...?»
«Va tutto bene.»
Jack le raggiunse e stava per inginocchiarsi vicino al bambino, quando la donna più alta lo trattenne.
«Sono la dottoressa Kate» affermò porgendogli la mano. «Mi dispiace che abbia dovuto assistere a questa scena. Ma, mi creda, è tutto a posto.»
«Come può essere tutto a posto?»
«Aveva un cancro...» spiegò la dottoressa a bassa voce, cercando di non disturbare il dolore della madre. Prese Jack per un braccio e lo tirò da parte. «Aveva metastasi al cervello, era in fase terminale. Non si sarebbe potuto evitare.»
Jack pensò a quello che avrebbero potuto fare in un ospedale cittadino. «Sicuramente...»
«Amy ha preferito così» affermò Kate semplicemente. «Ha il diritto di scegliere per suo figlio e credo che la sua sia stata una giusta decisione.» Esitò un attimo e guardò l’orologio. «Lei dev’essere il tutore di Harry» affermò poi con un sorriso. «Mi scusi il ritardo, ma cerchi di capire...» Accennò alla donna e al bambino. «Ci sono cose che devono avere la precedenza. Maisie si è presa cura di Harry?»
Maisie... la cagna. Quella donna affidava al suo cane la cura di un nuovo paziente?
Ma Maisie si era davvero presa cura di Harry. Meglio di quanto avrebbe potuto fare lui stesso.
«Sì...» dovette ammettere Jack, distogliendo finalmente lo sguardo dalla madre e dal bambino.
«Mi fa piacere» replicò la dottoressa. E gli sorrise