Un dono inaspettato
Di Laura Iding
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Info su questo ebook
Ryan: Se ho perso mia moglie e il mio bambino è stata solo colpa mia, non ho saputo proteggerli e adesso loro non ci sono più. Per questo non voglio e non merito di essere felice. Tuttavia, lavorare insieme a Cassie e vederla lottare per ottenere la custodia di Emma mi sta facendo capire quello che mi sono perso in tutti questi anni e che l'amore, quando arriva, è in grado di curare tutte le ferite.
Laura Iding
Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Un dono inaspettato - Laura Iding
978-88-3052-550-4
1
«Cassie?» chiamò a voce alta la segretaria dell'Unità di Terapia Intensiva Neonatale. «Dal Pronto Soccorso ti chiedono di scendere con un'incubatrice.»
«Sul serio?» Cassandra Jordan era un'infermiera di quel reparto e alzò gli occhi dal computer sul quale stava lavorando. Un modo decisamente interessante d'iniziare la giornata. «C'è una donna in travaglio?»
«Non lo so. Ma ci chiedono di fare in fretta.»
Cassie annuì, andando a prendere l'incubatrice d'emergenza. «Non sarebbe meglio avvertire anche un medico?» domandò, mentre sospingeva il macchinario verso la porta.
«Ho inviato un messaggio al dottor Ryan. Dovrebbe arrivare a momenti.»
Il dottor Ryan Murphy era uno dei migliori specialisti di Terapia Intensiva Neonatale. Ma sfortunatamente era anche alto, bello e scuro di capelli, qualità che mettevano a dura prova l'equilibrio di Cassie. E, come se non bastasse, era anche single. Vedovo, per la precisione. Girava però voce che non fosse interessato a uscire insieme alle infermiere.
A dire il vero in quel periodo anche Cassie non era particolarmente interessata agli uomini. Il fallimento del suo matrimonio era stato più che sufficiente a farle perdere ogni interesse nell'altro sesso. Eppure, ogni volta che incrociava lo sguardo penetrante del dottor Ryan, il suo stomaco faceva capriole e lei arrossiva all'improvviso come una ragazzina.
Si avviò con decisione verso il Pronto Soccorso. Parecchie persone erano radunate intorno al banco dell'Accettazione e tra queste spiccava la testa di capelli scuri del dottor Ryan.
Lui la salutò con un cenno del capo, poi fece un gesto con la mano. «Per cortesia, lasciate spazio per le attrezzature di emergenza.»
La folla si aprì come le acque del Mar Rosso, lasciando a Cassie la possibilità di avvicinarsi. Sopra il bancone era appoggiato un seggiolino con un neonato, che emetteva grida particolarmente acute. «Dov'è la madre?» domandò Cassie allarmata.
«È andata via» si limitò a informarla il dottor Ryan. «La bambina ha un giorno o due e ha un disperato bisogno di cure. Dobbiamo metterla nell'incubatrice e visitarla subito.»
«Si chiama Emma...» dichiarò Gloria, che lavorava all'Accettazione del Pronto Soccorso. «La madre non è in grado di occuparsene. Ci ha chiesto di prenderci cura di lei.»
Emma. Bel nome, pensò Cassie, inserendo la spina dell'incubatrice e accendendo le lampade. Poi aprì il serbatoio dell'ossigeno e collegò i tubi, mentre il dottor Ryan sollevava la bimba dal suo lettino. E quando l'appoggiò con cautela nell'incubatrice, la piccola cominciò ad agitare gambe e braccia.
Cassie si concentrò, per collegare il naso e la bocca al tubicino dell'ossigeno. Poi il dottor Ryan spogliò la bambina. Le sue dita lunghe apparivano enormi accanto a lei. Auscultò il cuore e i polmoni di Emma, mentre Cassie sistemava sul piccolo petto gli elettrodi necessari per l'elettrocardiogramma.
Le sue mani sfiorarono inavvertitamente quelle di Ryan, ma lei cercò d'ignorare il formicolio che le percorse il braccio, mantenendo lo sguardo sul monitor e controllando il ritmo cardiaco della bambina che appariva più veloce del normale.
«I polmoni sono a posto» affermò il dottor Ryan a bassa voce. «Ma ci sono dei suoni intestinali.»
Cassie fece un cenno del capo. «Sì. Ed è anche tachicardica. Forse disidratata...»
«Forse» convenne Ryan serio. «Ma potrebbe essere il sintomo di una condizione più grave. Purtroppo non abbiamo l'anamnesi della madre. A meno che non abbia partorito qui... Portiamola in reparto. Bisogna farle una flebo e un prelievo di sangue.»
«Bene. Proverò a controllare, ma non penso sia nata qui da noi. Sono stata di turno negli ultimi giorni e me ne ricorderei» affermò Cassie, scollegando il cavo elettrico e attivando la batteria dell'incubatrice. «Possiamo andare.»
Il dottor Ryan la seguì, posizionandosi sull'altro lato dell'incubatrice e tenendo sotto controllo il battito della bambina. Cassie avrebbe voluto prenderla in braccio, ma in quel momento non era possibile.
Una volta in ascensore le grida della piccola si bloccarono di colpo. Cassie osservò sconvolta il monitor, il cui allarme era entrato in azione. Il ritmo cardiaco era schizzato a duecento battiti al minuto. «Non respira!» esclamò Cassie, afferrando il kit per le emergenze.
«Mi passi il resuscitatore» affermò il dottor Ryan, senza perdere la calma.
Lei annuì, porgendogli lo strumento e collegandolo al serbatoio dell'ossigeno. Continuò a tenere d'occhio il monitor, mentre il medico copriva con la mascherina il naso e la bocca della bimba, per darle la possibilità di respirare.
«Funziona» mormorò piano Cassie. «Il battito sta rallentando. È sceso a centottanta.»
«Bene.» Il dottor Ryan la guardò negli occhi e Cassie notò il lampo di sollievo, che tradiva la soddisfazione per aver realizzato un buon lavoro di squadra.
Poi lei tornò a concentrarsi sulla piccola. «Poverina, non ha nessuno...» mormorò commossa.
«Ha noi» affermò deciso Ryan. «Ci occuperemo di lei. E faremo il possibile per aiutarla.»
In quel momento la porta dell'ascensore si aprì e Cassie sospinse l'incubatrice lungo il corridoio, in modo da permettere al dottor Ryan di camminarle accanto e fornire il supporto necessario alla bambina.
Quando entrarono nel Reparto Neonatale, Cassie si diresse subito verso la Terapia Intensiva, pensando che Emma avrebbe potuto aver bisogno del respiratore artificiale.
«Ho sentito dire che lei è bravissima, Cassandra. Le spiace prepararla per la flebo?» domandò il dottor Ryan, una volta sistemata la bambina.
«Certamente.» Inserire l'ago per la flebo in un neonato non era un'operazione semplice, ma era la specialità di Cassie.
Recuperò tutto il necessario, trovò la vena nel braccio sinistro di Emma e posizionò il catetere. Sfortunatamente nei bambini così piccoli l'ago poteva uscire dal suo alloggiamento e probabilmente sarebbe stato necessario ripetere presto l'operazione. «A quale velocità deve scendere il liquido?» domandò poi a Ryan, mentre con un cerotto fissava l'ago alla pelle.
«Bene. Cominciamo con cinque cc all'ora.»
Cassie sistemò il dosatore, cercando di nascondere il rossore delle guance. Si rese conto che si stava davvero comportando come una ragazzina.
Sapeva che un paio d'infermiere avevano cercato di uscire con il dottor Ryan, ma lui aveva rifiutato con educazione. Doveva cercare di controllare i propri ormoni.
«Vediamo se riesce a respirare da sola» mormorò Ryan, rimuovendo la mascherina che copriva il viso della bimba.
Cassie fissò la piccola per qualche minuto. Stava già per girarsi, quando la situazione si modificò all'improvviso. Il respiro di Emma si fece difficoltoso e il battito tornò alle stelle.
«Le somministri un decimo di milligrammo di midazolam» ordinò subito Ryan in tono cupo. «Sarà necessario intubarla.»
«Vado subito a prendere i farmaci» esclamò in quel momento Diane, una collega. Cassie recuperò la strumentazione, mentre Ryan continuava a far respirare Emma con il resuscitatore.
Diane tornò in pochi minuti e mostrò a Cassie la siringa, perché controllasse la dose. Poi iniettò il farmaco. «Midazolam iniettato» esclamò decisa.
Cassie passò al dottor Ryan il tubicino endotracheale e trattenne il fiato, ripensando alle parole che lui aveva pronunciato poco prima.
Ha noi. Ci occuperemo di lei.
Ryan riuscì a inserire velocemente il tubicino nella trachea di Emma. L'intera procedura non aveva richiesto che pochi minuti e Cassie fissò il tubo con del cerotto, mentre lui lo teneva in posizione.
Nancy Kramer, la terapista della respirazione, azionò il respiratore automatico. «Su quali parametri lo devo tarare?» domandò al medico.
Lui definì i parametri, poi si rivolse a Cassie. «Ho bisogno di avere i valori dei gas contenuti nel sangue arterioso e un test antidroga.»
«Un test antidroga?» domandò lei sorpresa, guardando il viso della bimba, parzialmente coperto dal sostegno del tubo tracheale. «Pensa che la madre si drogasse?»
«Sì, mi spiace dirlo, ma è molto probabile. Ha lasciato la bimba al Pronto Soccorso, dicendo di non essere in grado di occuparsene. Secondo la legge Safe Haven, che prevede la possibilità per la madre di abbandonare il figlio e darlo in adozione, non è possibile richiedere i dati clinici della madre, che rimane tutelata dall'anonimato. Quindi dobbiamo arrangiarci. Le grida acute e il modo in cui la bambina ha smesso improvvisamente di respirare sono i classici sintomi di una crisi di astinenza. Dobbiamo aspettarci possibili attacchi epilettici. Faccia eseguire gli esami e mi comunichi i risultati.»
Cassie annuì con un senso di nausea. Doveva ammettere che le grida di Emma assomigliavano a quelle di altri due bambini, dei quali si era occupata in passato e che presentavano i sintomi di una crisi di astinenza.
In ospedale non risultava registrata la nascita della bambina. Dove poteva aver partorito la madre? Chissà se era residente a Cedar Bluff?
Cassie era arrivata lì soltanto da sei mesi, ma sapeva che i casi di bambini abbandonati non erano frequenti. La madre di Emma era stata abbastanza altruista da rinunciare alla bambina, piuttosto che finire per trascurarla o farle del male.
Ugualmente per Cassie non era facile vedere come certe madri rinunciassero facilmente ai propri figli, mentre altre, come lei, erano incapaci di portare a termine una gravidanza. Una difficoltà che le aveva lasciato un gran senso di vuoto.
Ryan era convinto che i test sarebbero risultati positivi agli oppiacei. Fortunatamente non gli capitava spesso di doversi occupare di bambini assuefatti alla droga, ma quei pochi gli erano rimasti stampati nella mente. Soprattutto Emma gli ricordava che, se suo figlio fosse nato, avrebbe avuto lo stesso pianto disperato. Sarebbe stato assuefatto agli analgesici e avrebbe mostrato i medesimi sintomi di crisi di astinenza. Almeno a lei era stata offerta la possibilità di sopravvivere. Cercò di congelare i ricordi e il senso di colpa che ancora bruciava. Erano trascorsi tre anni, eppure l'immagine del viso senza vita di Victoria, pallido e freddo, lo perseguitava.
Avrebbe dovuto accorgersi che sua moglie era dipendente dagli antidolorifici. Come aveva potuto non rendersi conto dei sintomi prima che fosse troppo tardi e trovare Victoria morta sul sedile della macchina, incinta del loro figlio...?
Le porte dell'ascensore si aprirono e Ryan cercò di ricomporsi e ricordare dove stesse andando. Oh, sì... Stava tornando in Pronto Soccorso. Si sentiva in dovere di chiedere.
L'infermiera all'Accettazione – come si chiamava? Gloria? – era ancora seduta al suo posto. «Che cosa ricorda della madre?» le domandò lui senza preamboli.
Non sembrò sorpresa di quella domanda. «Capelli biondi sottili, giovane ma non adolescente... Avrà avuto circa venticinque anni. Era molto pallida e portava maniche lunghe. Le braccia tremavano, come se facesse fatica a reggere la bambina...»
Si trattava sicuramente di droga, pensò Ryan con un sospiro. «Aveva un'aria familiare?»
«No, nessuno la conosce. Ma immagino che, appena si spargerà la notizia, si farà vivo qualcuno. In questa città tutti sanno tutto di tutti.»
Ryan annuì, sapendo che era vero. «È stata avvisata la polizia?»
Gloria rimase un momento a pensare. «Non credo. Ho chiamato subito la Terapia Intensiva Neonatale. Il modo in cui la bambina piangeva mi ha spaventata.»
«D'accordo, li avviserò io.» La madre di Emma