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Filosofia del Corpo e Psicologia del Benessere: Psicosomatica, salute, spiritualità
Filosofia del Corpo e Psicologia del Benessere: Psicosomatica, salute, spiritualità
Filosofia del Corpo e Psicologia del Benessere: Psicosomatica, salute, spiritualità
E-book286 pagine4 ore

Filosofia del Corpo e Psicologia del Benessere: Psicosomatica, salute, spiritualità

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Info su questo ebook

Una “filosofia del corpo” non può limitarsi alla fisicità ma deve superarla coinvolgendo anche gli aspetti mentali, morali e spirituali.
Solo così abbiamo l'Uomo intero, che vive nella carne ma la finalizza per migliorare se stesso, preoccupandosi della salute, del benessere e del senso complessivo della vita.
Il disagio mentale (noia, ansia, pessimismo, depressione, dipendenze, disturbi di personalità) è in aumento, ma sbaglia strada chi pensa di guarirlo coi piaceri effimeri del mondo e non invece rientrando nelle profondità della propria anima per formarsi una corretta visione dell’esistenza e cercare pace, valori, serenità.
Un libro agile e chiaro, che illustra come siamo fatti, che suggerisce stili di vita, che mette in guardia dagli abusi della medicina e che, attraverso le citazioni di grandi filosofi e psicologi, offre momenti imperdibili di meditazione.
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2020
ISBN9788892720732
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    Anteprima del libro

    Filosofia del Corpo e Psicologia del Benessere - Giovanni Chimirri

    dell’autore

    ©2020

    OM EDIZIONI

    Tutti i diritti letterari ed artistici sono riservati.

    è vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, di quest’opera.

    Qualsiasi copia o riproduzione effettuata con qualsiasi procedimento (fotografia, microfilm, nastro magnetico, disco o altro) costituisce una contraffazione passibile delle pene previste dalla legge 11 marzo 1975 dei diritti d’Autore.

    Stampato in Italia nel mese di febbraio 2020 presso

    Graphicolor snc, via Cesare Sisi 2 – 06012 – Cerbara (PG)

    OM EDIZIONI

    Via I Maggio, 3/E – 40057 Quarto Inferiore (BO) – Italy

    Tel (+39) 051 768377 – (+39) 051 767079

    info@omedizioni

    www.omedizioni.it

    ISBN

    978-88-32299-50-2

    ISBN

    e

    B

    ook 9788892720732

    Giovanni Chimirri

    Filosofia del corpo

    e psicologia

    del benessere

    Psicosomatica, salute, spiritualità

    Introduzione

    Qualsiasi discorso sull’uomo dovrebbe sempre premettere un’antropologia filosofica per avere subito in chiaro, di quale uomo si vuole parlare, quali sono le sue principali facoltà e insomma come è fatto (cap. 1).

    Parlando poi della corporeità, si pensa spesso a qualche cosa di astratto, cioè una sostanza materiale in generale, un oggetto manipolabile come tanti. Invece bisogna affermare che non esistono corpi fuori dei loro Soggetti portatori, cioè di persone intere che hanno e che sono corpo, individui razionali, spirituali e morali.

    L’aspetto materiale e l’aspetto spirituale dell’uomo l’accompagnano sempre per tutta la vita: sono i due aspetti da armonizzare per migliorarsi, trascendersi, diventare sempre più uomo integrale; sebbene, oltre che di bipolarità umana, sarebbe meglio parlare di tripolarità costitutiva (spirito + mente + corpo) e definire l’uomo come un’unità spirituale-psico-somatizzata. In questa concezione, la mente (psiche) svolge un ruolo speciale di mediazione tra spirito e corpo (cap. 2).

    L’uomo rimane una realtà molto complessa, e questo lo caratterizza proprio come appartenente alla specie umana, a differenza di altre specie viventi dove i contrasti sono molto inferiori o inesistenti. Noi conosciamo non solo attraverso il corpo e tutti i suoi sensi interni ed esterni, ma conosciamo e sappiamo anche grazie a una lunga serie di elaborazioni mentali che ci caratterizzano come esseri metempirici (che travalicano l’esperienza).

    La conoscenza degli animali finisce dove finiscono i loro istinti; e quando hanno mangiato e copulato, per esempio, hanno già risolto ogni problema. Ma non così è per l’uomo che vive di altre mille esigenze, desideri, aspettative, bisogni individuali, famigliari, sociali, politici, religiosi, ricreativi ed ecologici (cap. 3).

    Una filosofia del corpo, dunque, non può porsi solamente come uno studio della fisicità e del suo linguaggio non verbale (postura, sguardo, contatto, attrazione: cap. 4), ma deve porsi anche come riflessione sull’uomo nel suo insieme; e perciò, pur occupandoci principalmente del corpo, emergeranno questioni che vanno di là del corpo (questioni morali, interpersonali, spirituali e persino sanitarie).

    Così viene offerta una discussione sulla medicina psicosomatica e olistica attenta all’integralità dell’umano e non limitata alla cura dei singoli organi (cap. 5); una discussione su cosa sia per davvero la salute e la malattia, il normale e l’anormale (cap. 6); una proposta di principi e regole di prevenzione per vivere bene (alimentazione, igiene, stili di vita, ecc.) e soprattutto si lancia un allarme contro gli abusi della medicina moderna che spesso tradisce la sua missione originaria di non nuocere al paziente svenduto alle multinazionali che lo avvelenano con migliaia di farmaci inefficaci e inutili (cap. 7).

    Quando l’uomo non si riguarda e non cura la sua salute, mette a rischio la propria vita e conduce un’esistenza disagiata. Le malattie mentali sono in forte aumento, ma queste non sono causate (per lo più) da fattori organici e fisiologici del cervello, ma dalla malattia filosofica di vivere (cap. 8)!

    Allora l’uomo moderno crede di risolvere i suoi problemi affogandosi nei piaceri del corpo (cibo, sesso, alcol, fumo, ecc.) e in mille stupidi divertimenti che gli offre l’industria dello spettacolo: ecco l’offesa e la mistificazione del piacere, che non tarda però a rivoltarsi contro l’uomo stesso anticipando la sua dimora al camposanto (cap. 9).

    Depressione, angoscia, inquietudine, noia, pessimismo, ecc. sono i sintomi di un profondo malessere esistenziale, gestibili con un ritorno all’interiorità, alla profondità dell’animo, alla pace con gli altri, alla bellezza dei sentimenti e infine alla massima serenità possibile su questa terra (cap. 10).

    Nota editoriale: questo volume riprende, adatta, rielabora e aggiorna, vari temi già svolti in precedenti pubblicazioni elencate nella nota bio-bibliografia dell’Autore che appare nell’ultima pagina. A quei volumi si rimanda anche per tutto quanto qui sottointeso, per le notizie sugli autori citati, le fonti complete delle citazioni (che potranno subire lievi adattamenti) e ogni altro approfondimento. Non di meno, una bibliografia essenziale e selezionata offerta alla fine del lavoro, permette al lettore di proseguire lo studio percorrendo varie strade e confrontandosi con diverse discipline.

    Capitolo primo

    Chi siamo e come siamo

    1. L’uomo come soggetto e persona

    L’uomo è un soggetto spirituale incarnato e relazionato, un’animale pensante, una mente desiderante, una volontà ragionante. L’uomo non è un oggetto buttato nel mondo come tutte le altre cose di questo mondo (quasi un pezzetto di mondo qualsiasi) ma è un mondo-a-sé, un mondo-a-parte, un microcosmo.

    Io esisto su me stesso; io sono un essente indipendente e non sono un’appendice di qualcos’altro né un’appendice di qualcuno (autosussistenza). Io sono una centrale autonoma che costruisco la mia vita e non sono una marionetta nelle mani del destino.

    In quanto soggetto, io sono sempre titolare di diritti, proprietà, attività. L’uomo non è risolvibile nelle rappresentazioni che gli altri si fanno di lui, ma è un essere personale, una «sostanza individuale di natura razionale» (Boezio), una «natura razionale in un’esistenza individuale» (U. di san Vittore), «ciò che è perfetto in tutta la sua natura ragionevole» (Tommaso d’Aquino).

    Il mondo greco non aveva il termine persona. L’uomo è certo ragione e anima, e tuttavia egli è sostanzialmente una funzione, una maschera, una specie di attore nel teatro del mondo il cui compito era recitare bene il ruolo affidatogli dal Destino. Ma l’uomo in quanto maschera (una barriera attraverso cui si lascia uscire qualcosa, si rappresenta qualcosa) ha pure un senso positivo: la maschera rinvia simbolicamente a un’identità che c’è, pur non apparendo; rinvia a qualcosa di valido che non si esaurisce nell’esteriorità; è indice di una modalità di esistere in un luogo-situazione; è uno strumento di comunicazione, ecc.

    Così la persona-maschera, che dapprima è solo ciò che sembra, che appare o che è nascosta, diventa poi l’essere umano effettivo e reale. La persona umana è riconoscibile da molte note che andiamo ora a elencare sommariamente.

    2. L’uomo come individuo

    Tutta la storia può essere letta, secondo E. Fromm, come un «processo di individuazione», ossia come una storia di libertà intesa come qualità dei rapporti verso la natura e gli altri. L’uomo è pienamente tale quando, pur essendo animale non si comporta secondo la natura ma se ne serve e differenzia. Tutti i legami primari hanno un loro ruolo e ragion d’essere, danno sicurezza e senso d’appartenenza, ma insieme ognuno diventa libero proprio quando si libera da questi legami passando a un’esistenza più evoluta. Ed è proprio qui che Fromm individua un problema:

    Questa separazione da un mondo che in confronto alla propria esistenza individuale è irresistibilmente forte e potente, crea un sentimento d’impotenza e ansietà. Finché si era parte integrante di quel mondo, ignari delle possibilità e delle responsabilità dell’azione individuale, non si sentiva il bisogno di avere paura. Una volta divenuti individui, si è soli ad affrontare il mondo in tutti i suoi aspetti pericolosi e soverchianti. Sorgono allora impulsi a rinunciare alla propria individualità, a superare il sentimento di solitudine e d’impotenza sommergendosi completamente nel mondo esterno.¹

    Il caso classico offerto dalla psicologia evolutiva è rappresentativo: il neonato vive in perfetta simbiosi con la madre ed è totalmente dipendente da lei, ma questo neonato è pur destinato a diventare bambino e adolescente e adulto, ed è proprio in questo processo che l’individuo si gioca la conquista del proprio carattere, identità, personalità e libertà. L’esistenza davvero umana comincia quando le pulsioni non sono più in grado di determinare ciecamente le azioni, quando l’adattamento alla natura perde il suo carattere coercitivo, quando il modo di agire non è più fissato da meccanismi ereditari. Da questa forma di libertà iniziale si può e si deve poi costruire una libertà più matura come capacità di autorealizzazione in vista di un fine, quindi non più una semplice libertà-da ma una libertà-per.

    La persona è dunque un individuo personale; la coscienza di un’assoluta e misteriosa originalità, ineguagliabilità, indivisibilità, incomparabilità. Nessuno può cogliere l’essenza della nostra individualità; nessuno ha accesso al sacrario della coscienza altrui se non per una remota approssimazione e in relazione a quanto ci si espone. L’altro rimane sempre un altro e noi non cogliamo l’atto-d’essere dell’altro, altrimenti la molteplicità dei soggetti svanirebbe nell’infinità del mio atto rappresentativo ed io stesso non potrei in vero pormi come individuo.

    3. L’uomo come istinto

    L’istinto è un principio, forza, conato, predisposizione, guida naturale con cui gli esseri animali agiscono per un fine, ottenendo piacere e appagamento. In questa direzione, Nietzsche definisce l’essere umano come un groviglio di serpenti sempre pronti a lottare e cercare la loro preda nel mondo. Egli considera poi tutta la storia della morale come una giocosa interpretazione degli istinti, che però i moralisti ritengono cattivi e li negano per sentirsi buoni! L’istinto/impulso si caratterizza per i seguenti elementi:

    – è cieco (manca la percezione cosciente del fine);

    – è specifico (non c’è un solo istinto ma molti, ognuno deputato a svolgere una determinata funzione);

    – è innato (si nasce già con un istinto preformato e compiuto, sebbene alcuni siano primari e altri secondari, alcuni si attivano subito e altri dopo);

    – è immutabile e infallibile (si tratta di schemi stereotipati e fissi, basti pensare per esempio al nuoto dei pesci o al volo degli uccelli che migrano da un continente all’altro da milioni di anni senza sbagliare rotta);

    – è uniforme (assolutamente uguale in tutti gli individui della stessa specie);

    – è coordinato e complesso (richiede una lunga serie di automatismi).

    Ciò detto, l’istinto puro nell’uomo non esiste, se non come eco o residuo, se non nelle fasi neonatali per cui il bimbo ha l’istinto di poppare e piangere! Perciò nelle scienze psichiche si preferisce parlare di impulso, tendenza, tensione, desiderio, inclinazione, appetito naturale, abitudine appresa, motivazione, slancio, spinta, passione, spontaneità, ecc.

    La comprensione degli istinti è un punto vitale per ogni antropologia, essendo l’uomo spesso in contrasto con essi. Il punto discriminante è quello dell’intelligenza intesa come riflessività, autocoscienza, intenzionalità, ponderazione, consapevolezza delle proprie azioni, prima/durante/dopo averle commesse (ecco l’Homo sapiens); tutti elementi che negli animali inferiori sono insufficienti o assenti. Salvo che vogliamo tornare indietro e riposizionarci al piano della bruta ferinità con cui, per esempio, succede che i cani si mangiano ogni tanto qualche bambino perché il loro istinto li ha mossi a farlo!

    Un altro punto discriminate, è il progresso e lo sviluppo culturale attraverso cui l’uomo esiste come uomo e non più come semplice animale; animali che sono da milioni di anni quello che sono e che non devono aspettarsi alcun futuro diverso dalle condizioni in cui nascono, muoiono, sono cibo per altri animali, finiscono in padella, ecc.

    Allora, quei pochi istinti che potremmo ancora rinvenire nell’essere umano (meccanismi materiali e fisiologici di conservazione, riproduzione e socializzazione), non esistono più allo stato naturale ma solo trans-naturati, trascesi, trans-finalizzati, spiritualizzati. La psicologia parli pure di istinti, senza dimenticare però che non sussistono fuori della consapevolezza che ne ha l’uomo e fuori della sua capacità di viverli e direzionarli; cioè, fuori della dialettica del libero arbitrio e soprattutto del significato del piacere raggiunto con la loro soddisfazione.

    Un’azione meramente istintiva, è quella che si estrinseca senza alcuna decisione dell’individuo e senza particolari ostacoli. Ma poi in generale c’è sempre, almeno sullo sfondo, la presenza di un sentimento, di un giudizio e di una rappresentazione di fini (quantunque operi ancora l’istinto) senza di cui torniamo a essere puri fenomeni biologici (dove l’istinto sfugge a ogni verifica complementare e regna sovrano).

    Nell’individuo sano e consapevole, gli istinti sono per lo più umanizzati e pensati, e con questo essi sono già inibiti e davanti ai quali l’uomo può reagire e opporsi. Pensiamo solo all’impulso sessuale in chi si vota alla castità, o all’appetito in chi si vota al digiuno, o al rifiuto della conservazione dell’Io in chi s’immola nel martirio, o all’eremitaggio rinnegante l’impulso alla socializzazione. Non c’è istinto umano, allora, che non sia o che non vada civilmente educato, plasmato, adattato alle attese della società e dell’ambiente.

    Le psicologie indaghino e classifichino pure tutti i condizionamenti che ritengono, ma l’uomo resta sempre un essere libero e pensante; e questo non tanto negando quei condizionamenti, ma al contrario vivendoli coscientemente dal loro interno e piegandoli ai propri fini. La libera volontà vive e si esercita sul materiale fornito dagli impulsi e non nel loro vuoto.

    Se nell’evoluzione della specie umana vi è stato un periodo in cui l’uomo ha vissuto solo con gli istinti, egli è poi progredito reagendo agli istinti col pensiero e la volontà; col piacere di plasmare la natura fuori di sé e dentro di sé, col piacere della novità e del cambiamento che mutano ed estetizzano le dinamiche degli istinti. Secondo K. Jaspers (cf. Psicopatologia generale) l’esser umano possiede tre categorie di istinti/pulsioni:

    a) sensoriali-corporee (sesso, fame, sete, sonno, evacuazioni, ecc.);

    b) vitali, che riguardano l’esistenza in generale (volontà di affermazione, sentimento gregario, fuga/attacco/aggressione, amore/odio, timore/coraggio, altri speciali pulsioni psichiche come la curiosità, la cura/difesa dei famigliari, la tranquillità, le tendenze creative e produttive, ecc.),

    c) spirituali (riconoscimento e dedizione a valori etici, religiosi, estetici, filosofici, desiderio di verità, ecc.).

    Importante qui notare, che il secondo e terzo gruppo non possono attuarsi senza il primo, mentre il primo e il secondo possono limitarsi a loro stessi senza progredire e tendere nel terzo (almeno esplicitamente); come importante sarebbe l’analisi delle reciproche interferenze e condizionamenti fra i tre gruppi (distanzianti in ogni caso l’uomo dalla mera vita animalesca) nella formazione dell’intera personalità nostra. Per quanto riguarda invece lo sviluppo disturbato delle pulsioni, Jaspers elenca:

    a) la distruzione degli stati pulsionali superiori, cosicché quelli inferiori acquistano una forza irrefrenabile;

    b) la scissione delle pulsioni fra loro, che anziché relazionarsi e cooperare al buon funzionamento globale della personalità, si realizzano di per sé creando alternativamente scompensi e malattie, idealizzazioni nevrotiche, cattiveria e freddezza sentimentale;

    c) l’inversione del rapporto fra gli strati superiori e inferiori delle pulsioni (Jaspers fa qui l’esempio dell’eros negato e ucciso a favore di un amore puramente spirituale, o al contrario del sentimento religioso come maschera della voluttà);

    d) la fissazione e perversione dell’istinto, bloccato a un’età infantile e che prosegue nella vita adulta quasi nascosto e all’insegna della menzogna;

    e) la trasformazione e degenerazione delle pulsioni in manie, quando al normale soddisfacimento dell’impulso subentrano forze coercitive estranee alla sua naturalità (con i relativi fenomeni di vuoto e di crisi d’astinenza);

    f) da ultimo, Jaspers osserva che quando le pulsioni originarie di base non possono essere soddisfatte, nascono dissimulazioni e compensazioni non genuine, cioè forme di soddisfazione illusorie e disoneste solo in parte consapevoli. In questi casi, si esclude semplicemente la realtà e si crede che sia reale solo il proprio desiderio e irreale tutto ciò che non è desiderato (psicosi reattive, fughe della realtà); o si prende come oggetto di soddisfazione dei simboli (abbandonati appena sorge la possibilità di soddisfare legittimamente gli impulsi), oppure, infine, avviene uno spostamento nella percezione dei valori e una loro falsificazione per rendere la vita sopportabile agli individui meschini e deboli, pieni di odio e risentimento verso i forti, i coraggiosi, i nobili, i ricchi, i fortunati, ecc.²

    4. L’uomo come unità psicosomatica

    Sia chiara intanto la differenza tra il nostro corpo soggettivo (vissuto) e quello degli altri corpi presenti nel mondo e quindi la differenza tra uomo e animale. La corretta determinazione del rapporto anima/corpo è una chiave di lettura per l’intera antropologia, per molte questioni bioetiche e per l’intera psicologia. La storia del pensiero registra sostanzialmente cinque possibili soluzioni in merito al rapporto corpo/mente: dualismo, realismo e concordanza, monismo, fenomenismo, materialismo (ci dilunghiamo e spieghiamo queste soluzioni nel prossimo capitolo).

    5. L’uomo come interiorità/identità/Io

    Ognuno di noi è un ente sostanziale, un Io forte ed esistente, un soggetto unico e irripetibile, spiritualmente, psicologicamente e fisicamente importante e valevole. Come io non posso cambiare la mia essenza individuale, così non la possono cambiare gli altri, né questi mi possono scambiare o sostituirmi con alcunché. Siamo tutti figli unici, al massimo adottabili ma non proprietà di alcuno.

    Nel corso della vita certo si cambia, sia caratterialmente che biologicamente. La mia identità è se stessa ma lungo un processo, in uno sviluppo dove io rimango io, cioè la continuità e la sintesi di me medesimo. Io non posso mai confondere me con gli altri; non mi fossilizzo mai in un ruolo sociale; rimango coerente e responsabile delle mie scelte; sono capace di coinvolgermi in relazioni stabili.

    In psicologia, i termini di interiorità, identità, Io, sono molto usati, e si parla per esempio d’identità perduta, identità negativa, negata, ritrovata, ecc.; mentre per l’Io si parla per esempio di: Io-sostanza, Io-Sé, Io-me, Io-persona, Io-soggetto, Io-empirico, Io-ideale, Io-anima, Io-mente, Io-spirito, Io-coscienza, Io-pensiero, Io-biologico, Io-mondo, Io-comportamento, Io-linguaggio, Io-sociale, ecc. Solo l’animale umano è capace di dire Io (e lo dice a sé e agli altri), poiché è consapevole della sua assoluta singolarità e individualità.

    Il premio Nobel A. Sen, ha sempre insistito sulle molteplici e importanti funzioni dell’identità degli individui e delle genti. Egli osserva che il senso dell’identità è un tratto fondamentale dell’essere umano, poiché contribuisce a rafforzare le nostre relazioni col prossimo, arricchisce i nostri legami e ci spinge ad aiutare gli altri. Nella nostra vita quotidiana tutti ci consideriamo membri di qualcosa e tutti agiamo secondo quest’appartenenza.

    Ma a ben vedere, osserva Sen, noi non siamo invero solo una identità e non apparteniamo solo a un gruppo, ma abbiamo diverse identità sociali e apparteniamo a una molteplicità di gruppi. Infatti, io non sono solo Tizio, ma sono anche bianco, maschio, celibe, milanese, italiano, europeo, credente, scrittore, sportivo e via dicendo. Ognuno di noi è dunque una costellazione di qualificazioni che tutte insieme e solo insieme formano quell’unicum che è l’individualità di Tizio.

    I problemi nascono proprio quando ogni individuo o gruppo assolutizzano tali qualificazioni e si mettono gratuitamente contro le altre identità e gli altri gruppi. Così, Tizio odia chi non è bianco (ma di altro colore), chi non è maschio (ma di altro genere), chi non è italiano (ma di altra nazionalità), chi non è cristiano (ma di altra religione), chi tifa per la squadra avversaria, ecc. Professionisti della politica, dittatori e capi religiosi, hanno sempre fatto leva non sulla nostra identità complessiva ma solo su qualche tratto identificativo a cui sono concessi priorità e valore assoluto (siamo quasi condannati ad assumere solo un tratto, condannati alla mono-dimensionalità) per fomentare l’incomprensione/diversità dell’altro, giudicato imprevedibile, incontrollabile e pericoloso, e quindi per incitare alla violenza, aggressività, guerra!

    Operai contro contadini, borghesi contro nobili, casta contro casta, islamici contro induisti, cristiani contro ebrei, ecc. Per qualche differenza, si creano artificialmente conflitti, non vedendo che l’altro non è solo quello che noi vediamo e soprattutto stigmatizziamo, ma è sempre nel contempo un essere complesso e polimorfo e in fondo è un essere umano dalla dignità uguale alla nostra. Gli esseri umani hanno dunque molte più affinità, uguaglianze e appartenenze da condividere che differenze da difendere con la spada, ed è solo per un pretesto bellicoso che si isola qualcosa dell’identità altrui nella presupposizione che basti una qualificazione (la mia, quella ritenuta vera, migliore, evoluta) per arrogarsi il diritto alla violenza!

    6. L’uomo come coscienza/autocoscienza

    Ci sono diversi significati della coscienza: generica conoscenza, autoconsapevolezza (sentire di sentire, ipseità, accesso al Sé), coscienza come percezione intenzionale di un oggetto esterno o interiore.

    Sulla coscienza è possibile riflettere secondo diverse prospettive, che spaziano dalla filosofia alla psicologia, dalla psichiatria alle neuroscienze. Anche per il linguaggio comune, la coscienza è qualcosa di composito riguardante vari campi dell’essere e dell’agire. Si dice per esempio che Tizio-1 ha una coscienza pulita/sporca (piano morale: la coscienza come giudizio di valore); che Tizio-2 ha operato con coscienza (piano cognitivo e della competenza: la coscienza come teoria); che Tizio-3 ha la coscienza confusa/alterata (piano psicopatologico, disorganizzazione dell’individuo); che Tizio-4 ha perso coscienza (piano medico-fisiologico), ecc.

    Sotto il profilo antropologico, la coscienza indica l’essere senziente (ricezione/reazione agli stimoli), indica lo stato di vigilanza, l’autoconsapevolezza (capacità di riflettere su se stessi, autocoscienza, di fronte magari a una coscienza immediata come percezione passiva e/o spontanea di qualcosa), l’unità mentale che premette di agire ordinariamente e ordinatamente nello spazio e nel tempo; un’unità che permette in modo mirabile di vivere simultaneamente una molteplicità di contenuti che per se stessi sarebbero dispersi nello spazio e nel tempo, oppure presenti solo astrattamente e intellettualmente.

    Ognuno di noi sa di essere dotato di coscienza, e questo dato lo traspone agli altri, presupponendo che anche questi abbiano una

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