Gli artisti del tempio: Dal codice di Piero alla squadra e compasso
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Anteprima del libro
Gli artisti del tempio - Luigi Pentasuglia
Luigi Pentasuglia
Gli artisti del Tempio
Dal codice di Piero alla squadra e compasso
A mio fratello Francuccio
© Luigi Pentasuglia
www.pentasuglia.it
luigipentasuglia@gmail.com
Edizioni Basileus, Matera 2019
Progettazione grafica:
Carlo Molinari 080.3022506
ISBN: 9788890224515
Indice
Prefazione
I. Il Tempio di carta di re Salomone
Il ‘Tempio-Tetraktys’
Il Codice ‘VV’
Due icone imperiali
Rex et sacerdos
Il ‘Tempio’ secondo Giovanni
II. Il sogno di Bessarione
Un compromesso ‘politico-spirituale’
Realpolitik bessarionea
Un illustre precursore
Sigismondo principe ribelle
III. Terribilis est locus iste
Un musico alla corte dei Malatesta
La tesi di Charles Warren
La tesi di Craig Wright
La nostra tesi
Conclusione mariana
IV. Musica cristallizzata
Il milieu albertiano
‘Quel che muti discorda’
Il San Sebastiano di Mantova
Il modulo musicale albertiano
Santa Maria Novella
La ‘prospettiva’ ideale
Conclusione
V. L’affresco di Rimini
Lo stemma sigismondeo
L’enigma della ‘colonna spezzata’
Un affresco ‘double face’
La lira di Filolao
Il ‘maschio’ nel ‘tondo’
VI. L’enigma della Flagellazione
Un mare di ipotesi
Un ‘novello’ figurante
L’età dei conversanti
Convenerunt in unum
VII. Chrismon
La Resurrezione di Cristo
Il Battesimo di Cristo
Il Sogno di Costantino
La Verifica della vera Croce
VIII. La Natività
Una Natività sui generis
Il lato ‘buono’
Il lato ‘cattivo’
Digressione leonardesca
IX. Sacre Maternità
La Pala di Brera
La Madonna del parto
Altre due Sacre Maternità
X. Un epigono d’eccellenza
Il Cenacolo di Leonardo da Vinci
XI. Il caso ‘Giorgione’
Giorgione o giorgionismo?
In veste di David
Squadra e compasso
Rebus philosophorum
Elogio della saggezza
La ritrattistica
La Pala di Castelfranco
Appendice: L’enigma del dollaro (parte prima)
Parole ‘a chiave’
Massoni ‘illuminati’
La ‘democrazia di Dio’
La banconota di Dio
Appendice: L’enigma del dollaro (parte seconda)
La ‘chiave di volta’
La civetta
Si vis pacem para bellum
L’occhio onniveggente
Una ‘sinistra’ lettura
Bibliografia
Prefazione
Il fondamento ideologico della massoneria consiste in un complesso apparato allegorico-simbolico che ha, come comune denominatore, rivendicato da tutte le logge, la discendenza ideale delle fratellanze dai costruttori del Tempio di Salomone. Se volessimo dunque evocare con uno slogan un tale mitico lignaggio, tutt’altro che sacrilega suonerebbe la parafrasi del prologo evangelico giovanneo: All’inizio era il Tempio di Salomone! Un’asserzione decisamente impegnativa, anche se inficiata da un clamoroso paradosso cronologico. Infatti le dimensioni della facciata del Tempio gerosolimitano, riportate nel Primo libro dei Re, corrispondono a quelle del sacro simbolo greco della Tetraktys - il tri-angolo equilatero, che ha per lato il quattro, espressione ‘parimpari’ del principio universale di coincidentia oppositorum - su cui i pitagorici pronunciavano i loro solenni giuramenti. Orbene: come poteva Salomone familiarizzare con la Tetraktys quattro secoli prima di Pitagora?
L’assimilazione del Tempio di Salomone alla Tetraktys pitagorica sdogana il neologismo ‘Tempio-Tetraktys’ nell’accezione sincretistica ‘pagano-giudaica’. Esemplare il caso dell’imperatore Costantino I - pare convertitosi al Cristianesimo articulo mortis! - che ordinò alle sue milizie di apporre sugli scudi il simbolo del Chrismon (χΡ) nella duplice valenza di monogramma di Cristo e di quintessenza geometrica della Tetraktys. Assurto a leggendario talismano della vittoria di Costantino su Massenzio (battaglia di Ponte Milvio - 28 ottobre 312), il Chrismon rientra, più realisticamente parlando, nell’ampio progetto di conciliazione tra religione cristiana e mondo classico.
Il processo di cristianizzazione della Tetraktys proseguirà infatti nel Basso Medioevo con gli imperatori svevi del Sacro Romano Impero. I simboli araldici della casata Hohenstaufen fanno però riferimento alle colonne Jachin e Boaz del Tempio salomonico, criptate nel ‘Codice VV’. In altri termini, ciascuna colonna viene assimilata al rapporto 2/3, indicativo, da un lato dell’intervallo musicale pitagorico di quinta - da cui il ‘Codice VV’-, dall’altro della posizione dall’estremità più lontana della base del ‘Tempio-Tetraktys’.
È in questo modo che gli imperatori svevi contrastavano simbolicamente l’atteggiamento della Chiesa, inamovibile su questioni giuridicamente sensibili, come i divieti imposti all’imperatore d’investitura dei vescovi e di partecipazione all’elezione del pontefice, per non dire della prerogativa papale di deporre l’imperatore mediante scomunica. Di contro, la politica cesaropapista degli Hohenstaufen rivendica il principio dell’elezione divina dell’imperatore, da cui discende una sorta di sacerdozio veterotestamentario risalente nientemeno che ai re di Gerusalemme Davide e Salomone.
A due secoli dalla capitolazione degli Hohenstaufen, la damnatio memoriae che li perseguitò non ebbe tuttavia la meglio sullo spirito ghibellino della casata sveva che, anzi, troverà nuova linfa vitale nell’impegno politico del cardinale niceno Bessarione, giunto in Italia in occasione del Concilio di Ferrara e Firenze (1438-39) per la riunificazione delle chiese greca e latina. Esponente di spicco della scuola filosofica platonica greca di Mistrà, fondata da Gemisto/Pletone, pose in atto una strategia diplomatica velata d’ambiguità: di là dalle finalità ecumeniche del concilio fiorentino, Bessarione mirava invero al salvataggio dell’impero bizantino dai turchi con l’appoggio degli occidentali, per poi, a cose fatte, rivendicare a Costantinopoli la titolarità del Sacro Romano Impero.
Né la strategia bessarionea tralascia l’aspetto culturale. In sintonia con gli amici filosofi Cusano e Ficino, trapiantò in Italia il platonismo e il sincretismo dell’accademia di Mistrà, mimetizzandoli abilmente nella dottrina cristiana: il sospetto, rincara la storica Silvia Ronchey, è che Bessarione fosse a capo di «una sorta di Grande Oriente filobi-zantino di cui Sigismondo Malatesta era uno dei principali esponenti». Non è un caso che, a fine concilio, accademie simili a quella di Mistrà sorsero a Rimini, Firenze, Urbino, Napoli, Vicenza, Venezia e ovviamente a Roma, sede dell’A-cademia cardinalis Bessarionis.
Tra gli adepti bessarionei figurano insigni artisti e intellettuali, tra i quali di sicuro Leon Battista Alberti e Piero della Francesca, non a caso coinvolti da Sigismondo Malatesta nel progetto di riconversione della Chiesa di San Francesco di Rimini in tempio dinastico. Il fatto che Sigismondo fosse cugino di Cleopa Malatesta, moglie di Teodoro II Paleologo, designato alla successione sul trono di Bisanzio, conferma lo status d’avamposto filobizantino della corte riminese, avallato dalla presenza nei più noti dipinti pierfrancescani del ‘Codice VV’, vero leitmotiv del celebre affresco nella Cella delle Reliquie del Tempio Malatestiano, ritraente Sigismondo in preghiera davanti a san Sigismondo.
L’ermetismo pittorico di Piero troverà a sua volta terreno fertile nelle generazioni successive, sia nel genio artistico di Leonardo da Vinci, che seppe magistralmente esprimerlo nel Cenacolo (Milano, Refettorio di Santa Maria delle Grazie), sia - e forse soprattutto - nella ritrattistica giorgionesca con i suoi espliciti richiami al ‘Codice VV’, rivelatori di una committenza verosimilmente appartenente a circoli esoterici: non è forse a Venezia che Bessarione donò una parte considerevole della propria preziosa collezione privata di manoscritti in lingua greca e latina, destinata a costituire il nucleo umanistico della Biblioteca Marciana?
Per l’esponente di punta della muratoria francese ottocentesca Jean-Marie Ragon (1781-1862), l’alto rango curiale di Bessarione garantì, finché visse, protezione tanto efficace quanto occulta ai suoi affiliati. Fu solo dopo la sua morte che, sottoposti a pressanti persecuzioni da parte della Chiesa, gli accademici bessarionei ripiegheranno in Inghilterra. Ed è a Londra, circa due secoli più tardi - precisamente il 24 giugno 1717, giorno della ricorrenza di san Giovanni Battista - che viene ufficializzata la ‘Grand Lodge of London’: la prima loggia massonica europea ad accettare come unica religione «quella in cui tutti gli uomini concorrono, tenendo per sé le loro particolari convinzioni». In altri termini, un vero e proprio rigurgito dell’atavico sincretismo religioso cesaropapista, che riaffiora sotto le mentite spoglie del deismo, la ‘religione naturale’ illuminista, che fa della Ragione il giusto strumento di affratellamento tra gli uomini.
E sarà proprio l’assimilazione del principio di ragione al principio di coincidentia oppositorum, implicito nel simbolo del ‘Tempio-Tetraktys’, che ispirerà l’ex gesuita Adam Weishaupt (1748-1830), fondatore del famigerato Ordine degli Illuminati di Baviera. L’ipotesi è che egli sia riuscito a risalire alla matrice pagana del Tempio di Salomone, la cui valenza universalista contraddice il particolarismo dottrinale delle religioni rivelate (l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam), esponendole pericolosamente sul piano esegetico. È sintomatico che una volta giunto all’apice dalla notorietà, verso il 1784 l’Ordine bavarese fosse accusato di fomentare l’odio contro la Chiesa cattolica e, qualche anno più tardi, addirittura di complicità nello scoppio della Rivoluzione francese.
La messa al bando degli Illuminati sortirà per contraccolpo il formarsi di un alone di mistero intorno all’Ordine tedesco, destinato a esercitare una forte influenza soprattutto negli Sati Uniti. È così che l’originario biblico ‘Tempio-Tetraktys’, trasformato nel leggendario Chrismon costantiniano, tradotto poi in ‘Codice VV’ dagli imperatori svevi, successivamente recuperato dal cardinale niceno Bessarione, che lo tramandò ai potenti signori rinascimentali italiani, infine fatto proprio dagli Illuminati bavaresi, che lo trasmisero ai Padri fondatori statunitensi, sopravvive ancora oggi nei simboli della banconota americana da un dollaro: The one dollar bill rappresenta per certi versi il manifesto politico-massonico di quella che lo storico Emilio Gentile definisce efficacemente la «religione civile americana», o anche la «democrazia di Dio», di quel Dio ‘ragionevole’, teorizzato al tempo dei ‘lumi’, di cui rimane traccia nel motto al centro della banconota: ‘IN GOD WE TRUST’ (‘In Dio noi confidiamo’)!
Luigi Pentasuglia
I
IL TEMPIO DI CARTA DI RE SALOMONE
Il ‘Tempio - Tetraktys’
Il Primo Libro dei Re (Bibbia) riporta le seguenti misure del Tempio di Salomone. Ai lati della facciata centrale di 20 cubiti di larghezza per 30 cubiti di altezza, si ergono le due ali del magazzino, disposte su tre piani a riseghe, di larghezza pari a: pianterreno 5 cubiti, piano centrale 6 cubiti, piano superiore 7 cubiti. Sommando quindi i 5 + 5 cubiti di larghezza dei magazzini a pianterreno ai 20 cubiti di larghezza del corpo centrale dell’edificio, la larghezza complessiva della base della facciata raggiunge 30 cubiti [A]¹.
All’interno dell’edificio, sul fondo della navata profonda 60 cubiti, si trova la cella cubica di 20 cubiti di lato, detta Sancta Sanctorum, destinata a ospitare l’Arca dell’alleanza. In essa sono presenti due cherubini di legno d’ulivo alti 10 cubiti con le ali spiegate ciascuna lunga 5 cubiti: da un’estremità all’altra di ogni coppia d’ali si contano dunque 10 cubiti; considerando che l’altezza di ciascun cherubino ha la stessa misura delle rispettive aperture alari, si ha che i due cherubini, visti frontalmente, delimitano due spazi quadrati contigui, di dimensioni 10 x 10 cubiti ciascuno, all’interno di un quadrato di dimensioni doppie (20 x 20 cubiti), rappresentante la sezione del Sancta Sanctorum [B].
Sorprende, tuttavia, che - a fronte delle minuziose informazioni sul posizionamento dei cherubini - il sacro testo nulla riferisca riguardo alla collocazione delle ben più celebrate colonne Jachin e Boaz, che Salomone fece disporre ai lati dell’ingresso nel vestibolo dell’edificio: dunque, un’omissione escogitata ad hoc, per eludere la soluzione di un qualche enigma?² Una chance risolutiva è assegnare alle colonne la stessa ubicazione dei cherubini. Grazie a questa ipotesi, possiamo rappresentare le colonne mediante due segmenti verticali, con estremo inferiore corrispondente al punto base di ciascun cherubino e con estremo superiore l’altezza delle colonne di 18 cubiti: siamo allora in grado di realizzare un triangolo equilatero - pressoché perfetto! - semplicemente tracciando dalle estremità inferiori della base della facciata due rette oblique passanti per i punti apicali delle colonne stesse [C].
E non finisce qui! Disegnando