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Dalla prima comunità cristiana al Patrimonium beati Petri
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E-book184 pagine1 ora

Dalla prima comunità cristiana al Patrimonium beati Petri

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Info su questo ebook

Una sintetica analisi critica sull'affermazione del cristianesimo e sulla sua diffusione fino al XV secolo non è stata ancora fatta.
Non vi sono neppure trattati brevi sui difficili rapporti fra Papato e Impero fino a quel periodo né vi è un compendio sulla formazione del Patrimonium Beati Petri, sugli ostacoli alla visione moderna
dello Stato da parte della Chiesa e sul particolare ordinamento giuridico che avrebbe potuto difendere e realizzare la libertas ecclesiae.
L'autore ha sintetizzato questi temi in due agili volumi, limitandosi ad accennare i fatti, assumendo che siano già noti al lettore, resistendo alla tentazione di soffermarsi su una varietà di temi che
avrebbero minato l'unità del lavoro negandogli il vantaggio di presentare uno sviluppo teorico e la concatenazione degli argomenti. Solo alcune volte ha voluto confutare vecchi paradigmi
interpretativi su realtà complesse, indocili a filosofie o facili generalizzazioni, vagliando e confrontando le fonti mediante un loro poderoso filtraggio.
Il titolo del II volume: Dal Patrimonium beati Petri allo Stato della Chiesa.
LinguaItaliano
Data di uscita9 set 2023
ISBN9791281053113
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    Anteprima del libro

    Dalla prima comunità cristiana al Patrimonium beati Petri - Felice Massaro

    Premessa

    Una sintetica analisi critica sull'affermazione del cristianesimo e sulla sua diffusione fino al XV secolo non è stata ancora fatta.

    Non vi sono neppure trattati brevi sui difficili rapporti fra Papato e Impero fino a quel periodo né vi è un compendio sulla formazione del Patrimonium Beati Petri, sugli ostacoli alla visione moderna dello Stato da parte della Chiesa e sul particolare ordinamento giuridico che avrebbe potuto difendere e realizzare la libertas ecclesiae.

    Ho sintetizzato questi temi in due agili volumi, limitandomi ad accennare i fatti, assumendo che siano già noti al lettore.

    Ho evidenziato in grassetto i nomi dei protagonisti, dei luoghi, dei documenti sui quali, per ognuno, non si contano le opere pubblicate, resistendo alla tentazione di soffermarmi su una varietà di temi che avrebbero minato l'unità del lavoro negandomi il vantaggio di presentare uno sviluppo teorico e la concatenazione degli argomenti. Solo alcune volte ho voluto confutare vecchi paradigmi interpretativi su realtà complesse, indocili a filosofie o facili generalizzazioni.

    Per l'accurata collocazione delle prime vicende del cristianesimo nell'ambiente religioso e culturale dell'Impero romano, testimoniate soprattutto da intellettuali convertiti al cristianesimo, ho dovuto vagliare e confrontare le fonti, mediante un loro poderoso filtraggio, al fine di offrire una narrazione il più possibile oggettiva, libera da alcuni luoghi comuni tramandati e inconsapevolmente accettati.

    Introduzione

    I cristiani, come tutti, avrebbero potuto professare la propria religione e non sarebbero stati perseguitati se non avessero rappresentato una minaccia alla pax deorum quando si rendevano necessari il pieno riconoscimento dell'autorità imperiale e l'unità dell'Impero.

    Sotto l'Impero romano, nessuna religione aveva uno status giuridico di religio licita o illicita né vi sono testi riferiti a tali categorie. La locuzione religio licita non appare neppure una volta nel diritto romano, nelle fonti o nelle iscrizioni ma fece la sua prima apparizione solo intorno al 200, in Apologetica di Tertulliano che la usò proprio contro i giudici pagani, iniqui e parziali verso i cristiani,  rivendicando giustizia ed equità, fondamenti dello stesso diritto romano.

    Nei primi due secoli, i cristiani furono perseguitati solo in pochi casi, alcune volte per motivi strettamente contingenti, altre volte come capri espiatori. Pur tra stenti e privazioni, grazie alla guida esperta dei pastori, il cristianesimo riuscì a diffondersi fino a imporsi, adesso sì, quale unica religio licita sottraendo al potere dell'imperatore l'autorità sulle questioni religiose e sull'organizzazione della Chiesa.

    Il successo si consolidò con la riforma dell'XI secolo grazie a papi energici e teologi dotti ma, come ha ben evidenziato  Antonio Padoa Schioppa, fu dovuto soprattutto al «sostegno che in più occasioni i fedeli diedero con la spinta verso una profonda rigenerazione religiosa e spirituale»1.

    Con il tempo si giunse a un'organizzazione verticistica, simile a quella monarchica, che trovò coronamento nella plenitudo potestatis, locuzione che Innocenzo III usava regolarmente per descrivere il potere papale la cui autorità trovava giustificazione nel diritto canonico. La sua azione veniva trasmessa da tutti i concili, legati e ordini e le controversie locali venivano risolte mediante appello a Roma.

    Tramite scomuniche e deposizioni, indebolì le strutture della società feudale. I prelati vennero considerati alla pari dei principi laici e non più come ufficiali del sovrano temporale. Il papa, considerato vicariato di Cristo, si rafforzava sempre di più. Unica e suprema guida del mondo cattolico, scalfiva l'autorità imperiale fino a farle perdere la connotazione di sacralità che ebbe come conseguenza la nascita di nuove forme politiche, il rafforzamento delle monarchie nazionali, la nascita dei comuni medievali in Italia settentrionale.

    Il Regno d'Inghilterra, il Regno del Portogallo, la Corona d'Aragona, il Regno di Napoli e il Regno d'Ungheria furono  vassalli del papa, al cui cospetto dovevano prostrarsi.

    Rimodulando decisioni e alleanze, la Sede Apostolica si presentava come populista nelle lotte fra Federico II e i Comuni italiani ma, quando questi si dimostravano insubordinati o  tentavano di erodere le giurisdizioni ecclesiastiche, sfruttava a proprio vantaggio le frammentazioni politiche locali che avevano portato alla progressiva definizione in due schieramenti unitari per contendersi il controllo del governo cittadino.

    Tuttavia, la Chiesa non ha mai assaporato una vittoria totale e definitiva. L'intento di Innocenzo III di riunificare la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli naufragò anche per le azioni scellerate compiute dai crociati.

    È sufficiente ricordare il sacco di Costantinopoli2, un saccheggio crudele con l'asportazione dalle case di qualsiasi oggetto di valore e con l'uccisione di tutti coloro che le abitavano. Un saccheggio persino sacrilego con l'asportazione di oro, vasi sacri,  immagini, candelabri  da tutte le chiese, compresa la Basilica di Santa Sofia.

    Fu forte il risentimento dei cristiani, provocato dalle uccisioni e devastazioni dei Catari che nel sud della Francia avevano fatto presa su gran parte della popolazione. Innocenzo, strenuo avversario delle idee ritenute eretiche che si diffondevano in Europa, aveva avviato una crociata non più contro musulmani e pagani ma contro quegli eretici.

    Nella lettera decretale Vergentis in senium, aveva equiparato l'eresia al reato di lesa maestà come concepito dal diritto romano3 e doveva essere punita «per il bene spirituale dell'individuo e per la conservazione della Chiesa». La Lex Iulia maiestatis o Lex Iulia de maiestate, emanata nell'8 a.C. da Augusto, prevedeva come pena l'uccisione a mezzo di bestie feroci (bestiis obici), in alternativa  il condannato veniva arso vivo (vivi crematio).

    Allo stesso modo, dopo gli interrogatori e le eventuali torture, gli eretici venivano condannati a morte e arsi vivi in modo che la loro colpa bruciasse senza che ne restasse traccia. Per coloro che si fossero pentiti, Augusto previde l'interdictio aqua et igni, ovvero la privazione della cittadinanza e la conseguente impossibilità di continuare a far parte della comunità romana; i tribunali dell'Inquisizione imponevano la sconfessione dei propri errori. 

    I feudatari del nord della Francia, autorizzati a conquistare le ricche contrade del sud del paese, con licenza di saccheggio, fecero circa 200.000 vittime4.  Fu particolarmente ripugnante il massacro di Béziers del 22 luglio 1209, con l'uccisione di 20.000 abitanti fra uomini, donne e bambini5:

    La città di Béziers fu presa e, poiché i nostri non guardarono a dignità, né a sesso, né a età, quasi ventimila uomini morirono di spada. Fatta così una grandissima strage di uomini, la città fu saccheggiata e bruciata: in questo modo la colpì il mirabile castigo divino (Arnaud Amaury, Patrologia Latina, volume CCXVI, 139C).

    Tuttavia, se da un lato Innocenzo III istituiva il tribunale dell'Inquisizione contro le eresie, dall'altro legittimò gli Ordini mendicanti dando un primo assenso orale all'Ordine francescano e ai Guglielmiti.

    Riconoscendo gli ordini mendicanti, secondo alcuni storici, la Chiesa si riconosceva bisognosa di continua purificazione e di impegno più intenso per l'evangelizzazione. 

    Per altri storici, più concretamente, la legittimazione dei predicatori popolari era finalizzata a contrastare la diffusione di movimenti ereticali nei ceti più umili che erano facile preda dei predicatori e costituivano la maggioranza della popolazione.

    Alla fine di queste lotte, protrattesi per circa duecento anni,  la costituzione delle forti monarchie nazionali e la crisi del Sacro Romano Impero portarono ad un drastico indebolimento di entrambe le parti.

    Il papato non riuscì mai a imporre il suo dominium mundi  e l'imperatore dovette rinunciare al progetto universalistico imperiale, antistorico fin da allora. Ne fece le spese Carlo V d'Asburgo sul cui impero «non tramontava mai il sole»: quando tentò di riprendere il progetto universalistico degli imperatori medievali, fu ostacolato dall'accanita opposizione del Regno di Francia, il più potente dei nuovi stati nazionali, e dal pluralismo religioso6. Riunire l'Europa in una monarchia universale era ormai un sogno irrealizzabile.

    Contemporaneamente, all'interno della Chiesa si ricominciò a commettere errori ed abusi. Si diffusero discrepanze rispetto all'ideale cristiano al punto che nuovi movimenti religiosi di protesta misero in discussione la supremazia papale. L'avversione non veniva più dalla parte imperiale ma proprio dall'interno della Chiesa che, nel frattempo, grazie ad alcune importanti innovazioni giuridiche, sulle quali mi soffermo in un altro volume7, aveva trasformato in  'Stato della Chiesa' il Patrimonium Beati Petri, il cui carattere primitivo era ben evidenziato dal concetto di Stato patrimoniale-feudale basato sullo jus e sulla proprietas spettanti alla Santa Sede e al papa.

    La necessità di uno Stato della Chiesa per l'esistenza della libertas ecclesiae (misconosciuta e alcune volte repressa ove ci sono sovrani laici) era stata ravvisata da Innocenzo III «nusquam melius ecclesiasticae consulitur libertati quam ubi Ecclesia Romana tam in temporalibus quam spiritualibus plenam obtinet potestatem8».

    Alla mancanza dell'unità globale sino ad allora si era sopperito con la strada dell'ordinamento regionale.

    La visione moderna dello Stato era ostacolata dalla primitiva concezione, ben radicata nella Curia, del Patrimonium Beati Petri e ben evidenziata, come appena detto, dal concetto di Stato patrimoniale-feudale basato sullo jus e sulla proprietas spettanti alla Santa Sede e al Papa.

    Un ulteriore ostacolo era rappresentato da un'altra enunciazione secondo la quale il potere temporale della Chiesa, concretizzabile tramite il suo ordinamento gerarchico, era voluto dalla Provvidenza poiché era necessario per il bene della Chiesa e per il bene spirituale di tutta la comunità dei fedeli.

    Il processo storico della formazione dello Stato della Chiesa sarebbe riconducibile a una serie di miracoli, sarebbe opera della Provvidenza che imporrebbe alla Chiesa di difendere tale potere temporale dandosi un particolare ordinamento giuridico.

    Il concetto di Stato moderno si fonda sulla sovranità, sulla popolazione, sul territorio. Nello Stato della Chiesa, invece, la sovranità, assoluta, all'esterno, veniva esercitata non su un territorio ma su Terrae diverse e frammentate, unite solo dal vincolo maiestatico della sovranità pontificia intesa però solo come proprietas.La popolazione non era un populus ma era formata da tanti populi. Il populus, come era inteso nel Trecento, è quello che può darsi  statuta e dunque quello delle singole città e centri intermedi.

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