Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Fiabe e leggende della Malesia
Fiabe e leggende della Malesia
Fiabe e leggende della Malesia
E-book265 pagine3 ore

Fiabe e leggende della Malesia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Frutto di migrazioni etniche succedutesi nel tempo - prima gli indonesiani, poi i cinesi, poi gli indiani – e religiose – buddisti, taoisti, maomettani – la popolazione malese che abita il Borneo e gli stati di Sarawak e di Sabah ha in sé i germi di varie culture.
Se l’aquilone che vola spesso nei cieli non è solo un giocattolo, ma un appello lanciato alla divinità perché mandi soprattutto la pioggia secondo un credo indonesiano, il pescatore che sacrifica agnelli a un dato luogo perché lo considera animato da una forza vitale o il fantasma che si dimostra più ingenuo dei bambini si rifanno a una tradizione indigena, mentre le storie di sultani e di eroi appartengono a quella islamica.
Nessuna traccia, però, in Malesia, di rivalità etnica. Il messaggio di queste popolazioni è pacifico. Organizzate in piccole comunità multifamiliari, sono legati sì dal lavoro e dagli interessi ma anche da una consuetudine di rispetto reciproco, per cui la lettura di queste fiabe risulta particolarmente rasserenante.
INDICE
Ringraziamenti 
Introduzione
ESSERI INVISIBILI E BOMOH
Come Keling trovò Kumang
Il fantasma del pozzo
Itam e la principessa dei Bunian
Fatima e i fantasmi
ALBERI PARLANTI E ANIMALI STRAORDINARI
Come il daino ingannò i coccodrilli 
La tigre e l’uomo gentile 
Minah e la volpe 
Pong Kapong, l’uccellino 
Il cannone di Tamelan 
Il cervo, la capra e il mosco 
L’inaspettata fortuna di Hassan 
L’albero di Siburan 
Il sultano e il fringuello
IL GIUSTO AGIRE
Il re dei pesci 
L’anello magico 
Le due sorelle 
Il tumulo del bugiardo
Bujang Terboyoi o le sette colline 
La bella e la brutta 
Il discepolo migliore 
Leela e Manya
Il piccolo uomo verde
La magica borsa di riso 
Il flauto parlante 
Il colombo d’oro 
Il principe Chang Kurop
La monetina
L’INGANNO DELLA MORALE
Lo sciocco del villaggio 
La lunga attesa 
La tela maledetta 
Il topo dai denti taglienti
IL MITO E LA STORIA
La città del leone 
Il ventaglio della principessa 
Wau Bulan 
Come Dalat prese il suo nome 
L’albero del sangue 
Il riso magico 
Il posto del vero amore 
I sette villaggi di Rirong Saong 
La grotta di Krokong 
Batu Burung
STORIE DI EROI E DI SULTANI
Il drago e la perla 
I pirati di Riu 
L’arrotino 
Sihodoh 
L’insolita esperienza di Raja Sultan 
Il sultano Husain di Haru 
Hang Tuah
Bibliografia 
Fonti delle fiabe
LinguaItaliano
Data di uscita29 gen 2021
ISBN9788874132812
Fiabe e leggende della Malesia

Correlato a Fiabe e leggende della Malesia

Titoli di questa serie (9)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Fiabe e leggende della Malesia

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Fiabe e leggende della Malesia - Cristina Del Mare

    Fiabe e leggende

    della Malesia

    A cura di

    Cristina Del Mare

    Franco Muzzio Editore

    I edizione cartacea in questa nuova collana Febbraio 2021

    I edizione digitale Febbraio 2021

    © 2021 Franco Muzzio editore – Roma

    di Gruppo Editoriale Italiano srl – Roma

    Traduzione dal malese di Cristina Del Mare

    L’autore dell’immagine di copertina è © Michael Grieco

    ISBN 97888-7413-281-2

    www.francomuzzioeditore.com

    Tutti i diritti sono riservati

    È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno o didattico,con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata.

    Ebook della Collana Parola di Fiaba

    • Abbiati S., Fiabe di Praga magica. (2020)

    • Carrara L., Elfi e streghe di Scozia. (2019)

    • Carrara L., Fiabe inglesi di spettri e magie. (2019)

    • Carrara L., De Marco C., Saghe e leggende irlandesi. (2019)

    • Del Mare C., Fiabe e leggende della Malesia. (2021)

    • Meli F., Miti e leggende degli indiani d'America. (2020)

    • Meza O., Leggende Maya e Azteche. (2020)

    • Riotto M., Fiabe e storie coreane. (2021)

    Fiabe e leggende della Malesia

    Questo libro è dedicato

    a Lucia e Ugo e a tutte le persone

    che amano raccontare storie

    Ringraziamenti

    Voglio ringraziare tutte le persone che nello Stato del Terengganu, di Sarawak e Sabah mi hanno assistito nella raccolta e nella traduzione delle fiabe dal Bahasa Malaysia.

    In particolare voglio ricordare la disponibilità e il prezioso supporto di Lisa e Wan Yazid, appassionato sostenitore delle tradizioni del popolo malese e autore del disegno dell’aquilone Wau Bulan pubblicato sul frontespizio.

    Un ringraziamento speciale va a Piero Paltrinieri, che con pazienza e attenzione ha letto il manoscritto e suggerito indicazioni per la migliore versione stilistica in lingua italiana.

    Sono profondamente grata, infine, a tutti i malesi che continuano a raccontare fiabe e leggende, conservando, così, una parte insostituibile del loro patrimonio culturale.

    Introduzione

    Questa raccolta di fiabe malesi, tradotta e pubblicata per la prima volta in italiano, è una selezione del ricco patrimonio favolistico delle popolazioni che vivono nella penisola malese e negli Stati di Sarawak e di Sabah nel Borneo.

    La cultura malese è il risultato di un processo di relazioni e sintesi tra le diverse tradizioni appartenenti alle comunità autoctone e le influenze portate dalle civiltà islamica, cinese. e indiana, giunte in territorio malese nel corso della storia. L’eterogenea popolazione malese è costituita da tre gruppi maggiori: malay, cinesi e indiani, e da numerose etnie autoctone, che rappresentano solo il 10% dei 17 milioni della popolazione totale.

    I malay, il 55% degli abitanti, emigrarono dall’arcipelago indonesiano nel II secolo avanti Cristo. Parlano il bahasa malaysia, una lingua che contiene elementi di antiche lingue proto-malesi, tracce di arabo e persiano e che ha profonde similitudini con l’indonesiano. Di religione musulmana, i malay hanno una tradizione legata alle attività agricole e di pesca e sono stanziati principalmente nelle zone rurali e lungo le coste. La comunità cinese, che conta cinque milioni di persone, è rappresentata da discendenti degli emigrati delle province meridionali della Cina, arrivati nella penisola malese all’inizio del XIX secolo per soddisfare la richiesta inglese di manodopera nelle piantagioni di gomma e nelle miniere di stagno. Questo gruppo ha conservato lingua, abitudini e religioni (confucianesimo, taoismo e buddhismo) della loro terra d’origine.

    Il terzo gruppo per importanza numerica, circa un milione e mezzo di persone, è costituito da indiani anch’essi emigrati in Malesia dall’India meridionale e dalle coste del Bengala per lavorare come braccianti o minatori nelle proprietà inglesi. Tamili, bengali e keraliti conservano tradizioni indù che, secoli prima di loro, erano giunte in Malesia attraverso gli scambi commerciali.

    All’inizio del primo millennio dopo Cristo, infatti, i mercanti che commerciavano sulla rotta dei venti monsonici, tra il continente indiano e le isole del sud-est asiatico, importarono le strutture del modello indù nella penisola malese. Nei secoli successivi arrivarono in Malesia anche elementi del credo buddhista. Il viaggiatore cinese I Tsing riporta nelle sue cronache del VII secolo d.C.:

    «Si trovano [in Malesia, n.d.c.] più di mille monaci buddhisti che studiano ogni aspetto esistente in quella cultura». Dall’India fu introdotto il sanscrito, di cui rimangono molti vocaboli nella lingua malese moderna, oltre al sistema di misurazione e divisione dei mesi dell’anno.

    Nel XV secolo, anche l’Islam arrivò in Malesia passando per l’India. Il filtro indiano fece sì che il contatto con l’Islam fosse graduale e non traumatico e che la pratica musulmana malese non manifestasse quegli aspetti di ortodossia e di fondamentalismo tipici dei paesi arabi.

    La religione musulmana non tentò di sopprimere le credenze animiste e induiste preesistenti nel territorio malese, né cercò di modificare i vecchi stili di vita radicati nella sua cultura, anzi in molti casi ristabilì un compromesso, una forma di sincretismo che diede origine a una cultura completamente nuova, la stessa che oggi rappresenta la pluralità della società malese.

    Tuttavia l’impatto con l’Islam produsse considerevoli effetti sulla struttura sociale malese, ad esempio l’instaurarsi del sistema politico-religioso dei Sultanati, che assorbì alcuni degli ordinamenti politici malesi precedenti.

    Ai Sultanati si ispira una forma di letteratura popolare: l’Hikayat, una combinazione di avventure e biografie di re ed eroi. Queste storie hanno la loro fonte in leggende arabe e persiane e nell’epica induista e di Giava, la favola di Hang Tuah è modellata su quell’epopea. In molte di queste storie la concezione politica islamica della concentrazione del potere temporale e del prestigio religioso in una sola persona, il capo dello Stato, si legava all’idea induista della sovranità.

    Nelle storie dove si ritrova l’impronta della morale islamica, chi agisce secondo la regola dell’onestà e della pietà, della prudenza e della ricerca del sapere, ottiene sempre, prima o poi, un premio al suo giusto operato.

    Nella fiaba di Leela e Manya i due protagonisti non perdono mai la fiducia nel sostegno e nella protezione che Allah concede alle persone pure e deboli; anche nei momenti più difficili continuano a comportarsi con generosità e correttezza e, alla fine, sono premiati per la loro incrollabile fede.

    Tutte le regole etiche, però, devono essere provate nella pratica quotidiana, solo così potranno sostenere la loro validità che non è astratta o assoluta, ma è in relazione alle diverse situazioni della vita: mentire o frodare, ad esempio, potrà essere ammesso in certe occasioni e deplorato in altre.

    L’esemplificazione di questo concetto è racchiusa nella fiaba del Sultano diventato ladro in cui il principio musulmano di giustizia è portato all’estremo paradosso: anche i ladri possono governare se agiscono in onestà di spirito, meglio avere come ministro un ladro onesto che un uomo disonesto. E ancora nella fiaba La lunga attesa, Tun Isak si comporta maleducatamente per dare una giusta lezione al Grande Ufficiale.

    Anche il messaggio di alcune fiabe, raccolte nella sezione intitolata Alberi parlanti e animali straordinari, rientra nella morale islamica. I personaggi di questi racconti sono spesso animali che, metaforicamente, esaltano i caratteri umani di sapienza, prudenza e intelligenza e condannano quelli di superficialità, vanità e ingenuità.

    Al contrario, gli animali protagonisti delle favole originarie dei gruppi tribali del Borneo, come gli Iban, i Bidayuh, i Melanau, non esprimono un insegnamento etico, bensì l’esigenza dell’uomo di trovare per ogni specie un posto all’interno dell’equilibrio della natura e del mondo. Il loro linguaggio è, sì, quello degli uomini, ma questo prodigio è il frutto del desiderio degli esseri umani di istituire una comunione con altre forme viventi.

    Tutte le popolazioni native del Borneo malese hanno in comune alcuni aspetti socio-culturali. Sono per lo più agricoltori nomadi che coltivano riso sulle pendici delle colline. Vivono in agglomerati multifamiliari, le longhouse, il cui nome identifica la comunità tutta. I fiumi, lungo cui sono costruite le longhouse, diventano sistema di comunicazione, fonte d’acqua e di pesce. Per tutti questi gruppi le risorse della terra, della foresta e dei fiumi diventano principio vitale, non solo perché sono fonte della loro sopravvivenza, ma perché danno loro una precisa identità culturale, una regola di vita che i tribali chiamano adat.

    Questo sistema di regole è osservato da tutte le comunità e insegna loro a convivere nella longhouse, ad avere rispetto e utilizzare al meglio le risorse della natura e a considerare le ricchezze come proprietà comune.

    In tutti i racconti tribali si incontra un elemento fondamentale del culto indigeno: il semangat, cioè la forza vitale che esiste negli uomini e nelle cose. Questa concezione è diversa dal culto dell’anima, perché tale essenza non è solo prerogativa dell’uomo, ma può esistere nei luoghi e nelle cose. Molti sono i keramat, località considerate sacre perché animate dal semangat, a cui vengono fatte offerte: i pescatori, ad esempio, sacrificano un agnello o un pollo ai quattro grandi spiriti del mare e i contadini fanno lo stesso per propiziarsi lo spirito della terra.

    Questa concezione ha influenzato il folklore malese dando vita a storie di fantasmi e di Hantu, spiriti buoni e cattivi che vivono in un fiume, in una montagna, in una pianta. Gli spiriti degli alberi nella fiaba Il cannone di Tamelan soffrono e chiedono rispetto come fossero esseri umani e, come loro, possono agire sugli eventi e sulla storia.

    Nei kampung, i villaggi rurali abitati da popolazione malay, nascono le leggende legate al mare, le feste rituali per il raccolto, durante le quali i veri protagonisti sono gli aquiloni, che i malesi chiamano Wau e rappresentano molto più di un gioco da bambini. Sono il mezzo diretto per instaurare un rapporto tra l’uomo e gli Spiriti del Cielo, per ingraziarsi la loro benevolenza e ricevere abbondante pioggia e clima propizio. Una pratica non esattamente in linea con gli insegnamenti coranici, ma tollerata come parte delle radici animistiche della cultura malese.

    Come afferma Tolkien¹, «le fiabe hanno tre facce, la Mistica rivolta al Soprannaturale, la Magica volta alla Natura e lo Specchio dello Scherno e della Pietà che riflette la condizione umana». In certe storie tribali, la capacità degli animali di parlare e la loro magia si coniugano con i poteri soprannaturali degli uomini e con le regole di comportamento sociale dettate dalla dottrina islamica.

    Ne sono un esempio le storie di La monetina e Il principe Chang Kurop. Nella prima, Awang e Sekepit seguono sia i princìpi del Corano, sono cioè sinceri e lavoratori, sia i consigli di un albero e di un uccellino d’oro, che li istruiscono sul da farsi. Nella seconda il principe, pur essendo stato educato da un saggio maestro musulmano, agisce come se avesse poteri soprannaturali e vola nel cielo per riuscire a coronare i suoi propositi.

    Alcuni di questi racconti potrebbero apparire confusi, irrazionali e ingenui e potrebbero provocare il nostro rifiuto intellettuale. Come scrive il grande critico indiano Ananda Coomaraswamy²: «Per comprendere la stupefacente uniformità dei motivi folkloristici dobbiamo accostarci a quei misteri con la fiducia dei bambini, ma non con la sicurezza infantile di quelli che credono che la sapienza sia nata con loro».

    Conoscere meglio il patrimonio antropologico di un popolo aiuta a capire meglio gli apologhi di quella società e, d’altra parte, comprendere i significati delle favole popolari amplia la conoscenza delle culture a cui i racconti appartengono. L’analisi meramente morfologica della fiaba è sterile, quindi, se non la si integra con i dati dell’etnografia.

    Alcuni aspetti della narrazione che possono sembrare insignificanti e ininfluenti ai fini della morale della storia, si scoprono, invece, delle tracce rivelatrici di una logica di pensiero insolita per i nostri parametri, un meccanismo che risponde a un sistema culturale diverso dal nostro.

    Seguendo queste tracce, si possono cogliere nei racconti un maggior numero di valori e assaporare i sottili messaggi espressi dall’originale linguaggio e dagli elementi simbolici.

    Nella storia La grotta di Krokong i fantasmi che abitano la caverna sono tratteggiati come caratteri sciocchi e fragili, su cui l’intelligenza dei bambini protagonisti ha la meglio. L’apparente forza degli spiriti si dissolve in un bicchiere di vino di riso, rivelando le loro debolezze, più umane che ultraterrene. Deus ex machina è invece la rondine che incarna il potere della natura che modifica le situazioni e crea occasioni fortunate, trasformando l’intera vita dei personaggi e dei loro figli.

    Prima del contatto con l’Occidente la popolazione malese si riferiva a due metodi per curare ogni genere di male: l’utilizzo delle erbe e la propiziazione degli spiriti cattivi. Si pensava che la malattia fosse causata da entità negative che prendevano possesso del corpo. Se il disturbo era grave il malato doveva essere esorcizzato. A quel punto era necessario l’intervento di un guaritore-esorcista: il bomoh, o pawang, che intercedeva presso gli spiriti e li evocava. Ancora oggi, le persone anziane, ma non solo loro, si rivolgono a lui per risolvere problemi fisici.

    Attraverso un rituale sacro, che si esprime nella trance, il bomoh si svuota di se stesso e permette al suo protettore ultraterreno di insediarsi in lui, diventando strumento del potere soprannaturale che gli consente di elargire ricompense, promettere punizioni, liberare gli uomini dal male e di guarirli dalle malattie. Il bomoh si fa vicario del Bene che lotta contro il Male, diventa il tramite tra il mondo degli uomini e quello degli spiriti.

    In una limitata serie di racconti si ritrova, infine, la struttura delle fiabe conosciute in Occidente. Nella storia Le due sorelle si scoprono molte affinità con la nostra Coda d’asino, e Il sultano e il fringuello ricalca L’usignolo d’oro che, a sua volta, sembra aver avuto origine in Cina.

    Queste affinità potrebbero suggerire una teoria, forse non del tutto azzardata, secondo cui alcune fiabe a noi familiari hanno un’origine lontana dalla nostra cultura. Potrebbero essere state importate in Occidente, insieme ai broccati e alle spezie, dai mercanti e viaggiatori che percorrevano le rotte tra l’Asia e il bacino del Mediterraneo. Con le merci sicuramente circolavano racconti di luoghi, personaggi e costumi delle terre non conosciute. Come sostiene Claude LéviStrauss³: «certe idee esistono nella mente di uomini di civiltà e di terre diverse».

    Nell’universo delle fiabe popolari, le malesi sembrano collocarsi tra la filosofia che regge la narrativa fantastica occidentale e quella su cui si fonda la letteratura orientale.

    Cristina Del Mare


    ¹ J.R.R. Tolkien, Albero e foglia, Rusconi Editore, Milano, 1976, p. 34.

    ² A.K. Coomaraswamy, Il grande brivido, Adelphi, Milano 1987, p. 313.

    ³ Claude Lévi-Strauss, La struttura e la forma, riflessioni su un’opera di V.J. Propp, Einaudi, Torino 1988.

    Esseri invisibili e Bomoh

    Come Keling trovò Kumang

    In una terra al di sopra delle nuvole vi era un paese di nome Panggau Libau dove gli uomini non morivano mai. In questo paese viveva Keling, il più coraggioso dei guerrieri Iban.

    Keling non si decideva a prendere moglie. Osservava tutte le ragazze di Panggau Libau ma nessuna di esse soddisfaceva i suoi sogni.

    "Non so per quale motivo non mi piacciono le ragazze della mia longhouse¹" ripeteva ai suoi cugini Pungga e Bunga Nuing.

    Voglio andare sulla terra per vedere come sono le ragazze che vivono laggiù. Forse riuscirò a trovare una buona moglie.

    Così Keling decise di partire alla volta della terra degli uomini, accompagnato dai suoi due cugini.

    Indossò i vestiti più belli, cinse i fianchi con una cintura d’argento, a cui fissò un lungo coltello, e prese con sé anche una piccola scatola di bambù che conteneva un acciarino di ferro e delle noci di betel.

    Per raggiungere la loro meta, i tre giovani dovevano discendere lungo il tronco di un’interminabile pianta che aveva le radici nella terra degli uomini. Cominciarono la scalata a ritroso e, dopo molto tempo, toccarono il suolo da dove nasceva la pianta.

    Tutt’attorno erano grandi alberi che con le loro foglie impedivano alla luce del sole di passare. Radici, erbe e sterpaglie si intrecciavano tra loro creando un fitto groviglio.

    Stiamo vicini disse Keling ai compagni. È facile perdersi in questa intricata foresta.

    Iniziarono a camminare in fila, seguendo l’unico sentiero che riuscivano a intravedere tra il verde. Cercavano di non perdersi di vista, ma dopo qualche ora Pungga scomparve.

    Keling e Bunga Nuing tornarono indietro in cerca dell’amico aprendosi una strada con il coltello tra la fittissima vegetazione.

    Keling procedeva lento e a fatica. Dopo poco si voltò indietro alla ricerca di Bunga Nuing, ma non lo vide più. Cominciò a chiamare per nome i due cugini, ma non ebbe risposta. Un gruppo di scimmie gli fece il verso e l’hornbill, dal becco gibbuto, rise sonoramente. La foresta parlava, ma non si sentivano voci umane.

    Improvvisamente Keling udì un frastuono provenire da una radura poco distante. Si avvicinò e scoprì una furiosa lotta tra giganteschi fantasmi. Da entrambe le parti non si risparmiava violenza: chi tagliava in due l’avversario con un sol colpo di spada, chi sbudellava il nemico con un bastone appuntito.

    Quando i fantasmi si accorsero che Keling li stava osservando, si fermarono di botto.

    Ehi tu, sciocco d’un uomo, gli urlarono con voce cavernosa esci dalla foresta e battiti con noi. Abbiamo voglia di uccidere qualcun altro.

    Sono subito da voi rispose fiero Keling. Qualcuno sarà ucciso, ma quel qualcuno non sarò certo io.

    In un batter d’occhio fu nella lotta. Con un fendente tagliò la testa a due giganti che caddero come ciocchi di legno. Con un affondo infilzò la grande pancia di un fantasma che sembrò sgonfiarsi come un palloncino.

    I fantasmi sopravvissuti smisero di battersi, impietriti dal coraggio di Keling.

    "Se prometti di non ucciderci ti regaleremo un pengarol²" proposero a Keling.

    I fantasmi della giungla regalarono a Keling una piccola pietra rotonda, dicendogli:

    Se terrai in mano questa pietra potrai capire il linguaggio delle mosche e delle formiche.

    Keling ringraziò i fantasmi e riprese la ricerca dei compagni scomparsi. Camminò a lungo nella foresta buia e intricata e ad un certo punto sentì un acre odore di bruciato.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1