Le ombre del passato
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Le ombre del passato - Stefania Milano
Stefania Milano
LE OMBRE DEL PASSATO
Elison Publishing
© 2021 Elison Publishing
Tutti i diritti sono riservati
www.elisonpublishing.com
ISBN 978-88-6963-259-4
Indice
PROLOGO
2
Il termostato segnava trenta gradi.
3
4
Non attirare l’attenzione.
5
6
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8
9
10
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EPILOGO
L’AUTRICE
PROLOGO
La paura l’aveva accompagnata per tutta la vita, ma quel giorno Clara La Rosa sentiva la sua presenza ancora di più. L’orologio segnava le tre del pomeriggio. Seduta dietro la sua grande scrivania in ciliegio, Clara aveva appena concluso una riunione di lavoro e il tempo sembrava di colpo essersi fermato mentre dalla strada giungevano i rumori di sirene e clacson del centro di Bologna. Si massaggiò le tempie con le dita, chiuse gli occhi quasi assopita, poi li riaprì lentamente. Il suo sguardo si posò sulla parete di fronte a lei dove vi erano appese una moltitudine di foto che la ritraevano in compagnia di molte celebrità. Per Clara era tutta apparenza, nessuna di quelle foto le regalava un’emozione sincera. Ripercorse con la mente i suoi quarant’anni di vita. Una vita costellata di successi.
Clara era diventata amministratrice unica di una grande azienda d’abbigliamento e questo le aveva permesso di vivere nella ricchezza, era riuscita a scalare la piramide del successo, ma da lassù non provava più emozioni come se queste le fossero state precluse da un’esistenza, prima della scalata al successo, priva di colori e di amore. I soli colori che le tenevano compagnia erano quelli del trucco che usava per coprire le imperfezioni del viso. Ma nessun trucco sarebbe bastato per nascondere ciò che esprimevano i suoi occhi: paura e dolore. Bussarono alla porta.
«Posso?» chiese Stefania, la sua collaboratrice.
«Sì. Come va con i russi?»
«Bene. Sono qui perché mi serve il documento che devono firmare.»
Clara cercò i fogli nel cassetto della scrivania.
«Ma dove cavolo …?»
«Che succede? Non lo trovi?»
«No, no … tutto ok, l’ho trovato. Tieni.»
Clara si alzò, consegnò il documento alla sua collaboratrice e, rimasta sola, tornò a guardare dentro il cassetto. Mancava una foto che teneva nascosta e che la ritraeva con la sua migliore amica Roberta in un momento in cui entrambe ridevano. La teneva dentro il cassetto perché quella semplice foto la riportava indietro con la mente nel suo passato, un salto indietro che procurava dolore. In quel cassetto la foto non c’era più. Perlustrò tutta la stanza e poi la vide, proprio lì, di fronte ai suoi occhi, sulla parete insieme alle altre foto. Cosa ci faceva lì? Non riusciva a guardarla, la strappò dal muro per riporla nel cassetto, qualcuno aveva appeso quella foto lì di proposito, ma per quale motivo? Nell’attimo in cui prese la foto dalla parete, questa le scivolò dalla mano cadendo per terra. Dietro la foto notò una frase scritta in rosso.
La verità si trova dietro la sua stessa ombra
La calligrafia era di Roberta. Cosa aveva voluto dire la sua amica con quella frase? Perché parlava di verità? Quale verità? Se lo chiese per tutto il pomeriggio non riuscendo però a trovare una risposta plausibile. Alle diciotto uscì dall’ufficio. Piero, il suo autista, aprì la portiera posteriore della sua Mercedes classe S, e accese il motore in direzione del palazzo di cui Clara era comproprietaria, situato nella zona più elegante della città. Il palazzo distava solo quindici minuti dall’ufficio, ma quel giorno il breve percorso le sembrò interminabile, si sentiva ferire gli occhi dalle luci dei fanali posteriori delle auto che osservava, la tonalità di rosso la costrinse, malgrado fosse quasi sera, a prendere dalla borsa gli occhiali da sole. Arrivati a destinazione, Piero accostò l’auto e le aprì lo sportello per farla scendere.
Clara salutò l’uomo e si avviò nel lussuoso atrio del palazzo. Seduta nella portineria, c’era una signora anziana, corpulenta, con un seno importante. Indossava un abito nero sotto un cardigan azzurro e teneva i capelli raccolti in una treccia bianca che le scendeva giù fino al petto. Non l’aveva mai vista prima e intuì che forse si trattava della nuova portinaia. La donna la salutò con un sorriso che Clara ricambiò. Avrebbe voluto chiederle qualcosa, prendere delle informazioni, ma quel giorno era stanca e preferì rinviare la conversazione puntando dritta verso l’ascensore. La portinaia la seguì e premette sul tasto rotondo. Quando le porte si aprirono, la donna fece un cenno a Clara invitandola ad entrare e con tono gentile le chiese se poteva salire insieme a lei.
«Devo parlare con la signora Bernini del quinto piano», le spiegò. «Lei a che piano va?»
Clara le rispose che era diretta al quarto, ma la portinaia premette solo sul tasto cinque. Mentre l’ascensore saliva, Clara avvertì un forte senso di disagio causato dal silenzio imbarazzante, fece finta di guardare l’orologio per evitare qualunque tipo di conversazione inutile sul condominio o chissà su cos’altro. Poi diede le spalle alla portinaia.
Attraverso lo specchio dell’ascensore, notò che gli occhi della portinaia sembravano cambiare colore passando da un castano chiaro a un nero intenso. Distolse lo sguardo, poi tornò a guardare gli occhi della portinaia che adesso erano di nuovo castani. Forse la stanchezza le faceva avere visioni contorte del mondo che la circondava. Non era la prima volta che le accadeva. Si voltò poggiando la schiena alla parete e notò che la donna le stava osservando le dita, quello sguardo così curioso le procurò fastidio.
«I suoi anelli sono davvero belli, signora La Rosa. Le stanno bene.» «Grazie», rispose Clara abbozzando un sorriso. «Di solito non li indosso, li trovo sgradevoli e scomodi, ma ci sono occasioni in cui sono costretta a farlo. Oggi li ho indossati perché avevo un incontro con degli acquirenti russi e loro fanno molta attenzione a questi particolari.»
A quel punto Clara pensò che la conversazione fosse giunta al termine, per un attimo il silenzio tornò a governare quel piccolo spazio condiviso dalle due donne, ma improvvisamente un dubbio l’assalì. Come faceva la portinaia a conoscere il suo nome? In fondo non l’aveva mai vista prima.
«Le piace essere una donna di successo, vero?» le chiese la donna all’improvviso. La sua voce cambiò, assumendo un timbro maschile.
«Come ha detto?»
«Le piace sentire il controllo sulle persone più deboli come me?» Clara guardò attentamente la portinaia. È pazza.
, pensò tra sé, Completamente pazza
. La donna volse lo sguardo verso lo specchio e la sua espressione cambiò di colpo: «Sì che ti piace, lo so. Ti piace controllare ogni cosa.»
Clara tentò di controbattere, ma la sua bocca era come paralizzata dall’ansia. La portinaia era passata dal lei al tu in modo fulmineo, quasi minaccioso.
«Non è ancora finita, lo sai …», continuò la donna e Clara vide la sua faccia trasformarsi. «Pur avendo il controllo di questo palazzo, di questo regno che ti sei creata attorno, non potrai mai sfuggire al mio controllo.»
Clara restò basita al suono di quelle parole, in quel momento l’ascensore raggiunse il quinto piano, la portinaia uscì, ma appena fuori, si voltò verso Clara, e la fissò negli occhi ancora una volta. Fu in quel preciso istante che a Clara parve di riconoscere uno sguardo già visto in passato, ma non riusciva ad associarlo a nessun volto.
«Ricorda, non potrai scappare per sempre da ciò che sei. Hai un debito con me che devi riscattare insieme a tutti gli interessi accumulati in questi anni.»
Adesso Clara ne era certa: quella donna era davvero pazza. Oppure … «Non puoi sfuggire al tuo destino», continuò la portinaia. «Proprio come la cara Roberta.»
Clara cercò di formulare una frase, ma prima che riuscisse ad aprire bocca, la portinaia era già scomparsa. Uscì sul pianerottolo, guardò nella tromba delle scale, della donna non c’era più alcuna traccia. Quello che vide fu soltanto la sagoma di un uomo che scendeva di corsa le scale, tentò di fermarlo chiamandolo, ma l’uomo la ignorò.
Clara istintivamente lo seguì. Gli corse dietro e quando lo raggiunse gli afferrò il braccio, ma l’uomo si divincolò dalla presa. Giunti ormai al portone d’ingresso, l’uomo si voltò verso di lei e le disse di lasciarlo in pace. Clara riconobbe la voce della portinaia nelle parole dell’uomo, pensò a un’altra delle sue visioni, ma poi guardando l’uomo vide gli occhi neri e la cicatrice sul naso.