Giardino italiano: Harmony Collezione
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Dante Costello, avvocato italiano di grido con la reputazione di uomo senza scrupoli, assume Matilda Hamilton per creare un giardino magico a casa sua, nella speranza che questo possa essere d'aiuto alla sua bambina. La natura delicata dell'incarico affidatole costringe Matilda a trasferirsi temporaneamente da lui, e tra i due nasce senza che se ne accorgano un'incredibile feeling. Dante, però, si rende conto che quello che credeva essere semplicemente desiderio in realtà si rivela qualcosa di più profondo, qualcosa che deve riuscire a mettere a tacere a ogni costo.
Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Anteprima del libro
Giardino italiano - Carol Marinelli
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Wanted: Mistress And Mother
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2006 The SAL Marinelli Family Trust
Traduzione di Anna Vassalli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-340-2
1
Fuori luogo.
Fu la prima definizione che le balzò alla mente quando un paio di occhi scuri, palesemente irritati, la scrutarono sfrontatamente, rendendola consapevole del trucco, una volta tanto sapiente. Il rossetto rosa carico, che l’estetista aveva voluto metterle per ravvivare il colore biondo cenere dei capelli e la tonalità chiara della pelle, parve all’improvviso paralizzarle la bocca quando l’uomo al quale aveva chiesto un’informazione, invece di aiutarla, le lanciò un’occhiata adirata e si allontanò in tutta fretta.
Fuori luogo, perché quando si chiede un’informazione a qualcuno, soprattutto in un ospedale, ci si aspetta che la persona si fermi e rivolga un cenno, o meglio un sorriso, invece di andarsene così.
Subito dopo però l’uomo si girò a guardarla.
«Dove?» chiese.
Quell’unica parola fu sufficiente a Matilda per dedurre che l’individuo non era inglese. L’irritazione si attenuò un poco. Forse era in ospedale per far visita a un parente malato grave, forse era appena arrivato in Australia per...
Velocemente, cercò di dargli una collocazione: l’aspetto era mediterraneo, forse spagnolo o greco, o...
«Dove deve andare?» abbaiò lui, degnandosi di rallentare per una frazione di secondo, e quell’aggiunta permise a Matilda di identificarne l’accento straniero. Doveva essere italiano.
«Volevo sapere dov’è la sala delle cerimonie» disse lentamente, ripetendo la domanda, imprecando contro la malasorte perché l’unica persona presente in quell’ala dell’ospedale era uno straniero e non celava l’insofferenza. «Devo andare all’inaugurazione del giardino pensile dell’ospedale. La cerimonia inizia a...» Controllò l’orologio e si lasciò sfuggire un sospiro esasperato. «È iniziata cinque minuti fa.»
«Merda!» imprecò l’uomo, dopo avere a sua volta controllato l’orologio.
A quel punto Matilda lo squadrò freddamente e girò sui tacchi, decisa a trovare la strada da sola. Le aveva già dimostrato di ritenere importuna la richiesta d’informazioni, ma ora aveva passato il limite. Non si sarebbe fermata ad ascoltare altre imprecazioni! Avrebbe cercato da sola quella stramaledetta sala.
«Mi dispiace.» Lui l’aveva raggiunta con due falcate, ma Matilda proseguì decisa.
Quel cumulo di testosterone era proprio l’ultima cosa che le ci voleva quella mattina.
«No, sono io che mi scuso per averla importunata» ribatté senza voltarsi, accingendosi a premere un pulsante dell’ascensore, uno qualsiasi, augurandosi di allontanarsi al più presto da quel maleducato. «Evidentemente lei è molto occupato.»
«Imprecavo tra me, non certo per lei.» Un’ombra di sorriso sul volto, alzò le spalle in un gesto che voleva essere di scusa, e Matilda fece un’ammenda mentale. Il suo inglese era perfetto, solo l’accento era molto marcato e... incredibilmente sensuale. «Anch’io devo partecipare a quell’inaugurazione, ma me n’ero completamente dimenticato. La mia segretaria è in permesso per maternità.»
«Molto irriverente da parte sua!» borbottò Matilda un attimo prima di entrare in ascensore.
«Scusi? Non ho capito cos’ha detto...»
«Non ho detto niente» mentì lei, augurandosi che il pavimento si aprisse per inghiottirla o, almeno, che quel maledetto ascensore si muovesse. C’era qualcosa di scoraggiante in lui, qualcosa di incredibilmente polemico nei suoi modi, nella voce, nello sguardo, qualcosa di veramente fuori luogo.
Ecco di nuovo quel termine, ma questa volta non aveva niente a che fare con la risposta sgarbata: riguardava piuttosto lei, che osservava quella mano abbronzata che premeva il pulsante dell’ascensore, rivelando uno scorcio di un costoso orologio d’oro sotto il polsino della camicia bianca. L’aroma aspro e penetrante del suo dopobarba le arrivava a ondate nello spazio ristretto dell’abitacolo. Si azzardò a guardarlo con la coda dell’occhio, e finalmente ebbe un quadro completo delle fattezze che fino a quel momento aveva solo intravisto.
Era incredibilmente attraente.
La considerazione la turbò: dopo la rottura con Edward non aveva più guardato un uomo, o meglio non in quel modo. Da quando la loro relazione si era conclusa, i suoi ormoni erano stati spazzati via. Be’, forse non proprio spazzati via, ma sicuramente erano andati a riposo.
Fino a quel momento.
Non aveva mai visto un maschio tanto perfetto, dai capelli color ebano alla punta delle scarpe di morbida pelle. Le pareva vagamente familiare... e cercò di collocare quel viso affascinante. Di certo doveva averlo visto alla televisione, perché se l’avesse incontrato prima in carne e ossa non lo avrebbe dimenticato.
Dio, che caldo!
Giocherellando con la scollatura della camicetta, distolse lo sguardo, e quando l’ascensore, grazie a Dio, si fermò, si rese conto di aver trattenuto il respiro. Con un gesto sorprendentemente educato, l’uomo si fece da parte per lasciarla passare. Ma Matilda avrebbe preferito che anche al quarto piano fosse scortese come lo era stato al piano terreno; avrebbe voluto, in precario equilibrio com’era sui tacchi a spillo che non le erano familiari, essere dietro di lui e non davanti, esposta a quegli occhi che, ne era più che sicura, la osservavano da un punto di vista prettamente maschile. Percepiva addirittura il calore di quello sguardo sulle spalle e poi più giù. E sentiva persino pizzicare le gambe, sottoposte a quello sguardo sfrontato.
«Oh!» Matilda si fermò e lesse l’avviso affisso alla porta. «L’inaugurazione è stata spostata sul terrazzo.» Poi rabbrividì quando l’uomo si sporse oltre la sua spalla per leggere a sua volta.
«Ha più senso» commentò lui con voce strascicata, arcuando le sopracciglia, prima di avviarsi nella direzione indicata dalla freccia. «È il giardino pensile sul terrazzo che deve essere inaugurato, e non la sala delle cerimonie.»
«Sì, ma...» Inghiottendo le parole, Matilda lo seguì lungo il corridoio. Il fatto che lei avesse discusso a lungo perché l’inaugurazione si tenesse sul terrazzo e non in un’anonima sala cerimonie non aveva niente a che fare con quell’uomo. Admin aveva deciso che il rinfresco avrebbe avuto luogo in una sala, poi tutti si sarebbero trasferiti sul tetto dove Hugh Keller, il presidente dell’ospedale, avrebbe tagliato il nastro.
L’illogicità di trasferire più di un centinaio di persone tramite due ascensori pareva non aver preoccupato nessuno, salvo lei, fino a quel momento.
Ma l’irritazione ebbe vita breve, scalzata subito da un’agitazione nervosa mentre guardava le porte dell’ascensore che si spalancavano.
Non voleva entrare.
Non voleva essere assalita di nuovo da quell’inquietante senso di claustrofobia. Per poco non corse via, la mente alla frenetica ricerca di una scusa... una telefonata urgente, un appuntamento dimenticato... Ma un piede batteva impaziente sul pavimento, le dita premevano già il pulsante e, poiché era dannatamente in ritardo, Matilda non ebbe scelta.
Fuori luogo.
Mentre, esitante, la donna entrava in ascensore, quella definizione gli balenò nella mente.
Fuori luogo provare una sensazione del genere, pensare in quel modo.
Dante poteva quasi percepire l’eccitazione nell’aria mentre le porte si chiudevano e l’ascensore si metteva in moto. Ma non era soltanto la sua fragranza femminile... era più la sua presenza, la sua... Si arrovellò per etichettare le sensazioni che provava per quella deliziosa estranea, ma anche con due lingue a disposizione non gli riuscì di riassumere l’emozione in un solo termine.
Era... divina.
Questo era un inizio, se non altro... I capelli biondo chiaro che mettevano in evidenza un viso delicato, vivaci occhi verdi orlati da ciglia fitte e quelle labbra rosse e piene, ora ben visibili sotto il rossetto che stava sbiadendo, labbra forse troppo importanti per il suo viso minuto. Un viso talmente perfetto che si ritrovò a domandarsi se non fosse stato sottoposto all’abile mano di qualche chirurgo per alcuni ritocchi. Era indubbiamente una donna che aveva cura di sé. Gli occhi erano truccati, i capelli sapientemente acconciati... sì, era quel tipo di donna che trascorre molto tempo nei centri di bellezza. Probabilmente il collagene aveva ispessito quelle labbra, forse il botox aveva spianato la fronte, rifletté Dante studiando attentamente quel viso come non gli succedeva da tempo.
Da molto tempo.
Sapeva che era scorretto fissare una persona con tanta insistenza, che era fuori luogo provare quel desiderio per una donna che non conosceva, una donna di cui non sapeva neppure il nome.
L’ascensore ebbe un sobbalzo e lui notò che lei corrugava la fronte, mentre i denti bianchissimi mordicchiavano le labbra... e la sua teoria del botox volò via!
«Siamo bloccati!» Occhi inquieti, spalancati si rivolsero a lui, mentre dita nervose cercavano di raggiungere la pulsantiera, ma Dante fu più veloce, e chiuse la mano sulla sua, impedendole di premere il pulsante d’allarme.
Lei ebbe l’impressione di essere marchiata a fuoco, i sensi, che aveva tenuto a stento sotto controllo da quando l’aveva visto, che entravano in iperattività, il panico che l’afferrava sotto quel contatto che la mandava in orbita.
«Non siamo bloccati. Questo ascensore si ferma spesso a questo punto... Visto!» Tolse la mano dalla sua mentre la cabina riprendeva la corsa, e per la prima volta Matilda notò la fede che lui aveva all’anulare, che la rassicurò e, al tempo stesso, la deluse. Quel semplice anello la avvertiva che quell’eccesso di testosterone e di virilità era proprietà privata, e all’improvviso si sentì sciocca, non tanto per la reazione patetica al blocco dell’ascensore, quanto per le emozioni così intense che l’uomo era riuscito a risvegliarle.
«Mi scusi. Sono nervosa per il ritardo.»
«Mi sembra tesa.»
«Lo sono» ammise Matilda. La consapevolezza che lui fosse sposato le permetteva di abbassare un poco la guardia, di convincersi di avere frainteso la situazione, di attribuire il proprio nervosismo alla cerimonia dell’inaugurazione. «Detesto questo genere di cose...» cominciò, ma lui la interruppe, annuendo.
«Anch’io» affermò. «Avrei dovuto essere in mille luoghi diversi questa mattina, e invece dovrò starmene in uno stupido giardino sul tetto di un ospedale, a fingere di essere felice di partecipare...»
«Stupido?» Matilda strizzò gli occhi, la collera che montava per il fatto che lui deridesse i mesi di estenuante lavoro che le aveva richiesto quel giardino. «Lei pensa che il giardino sia stupido?» Infuriata si voltò ad affrontarlo, pur rendendosi conto che lui non sapeva che fosse lei l’artefice del progetto. Ma non era quello il punto... Lui non aveva idea con chi stesse parlando, aveva sputato la sua arrogante sentenza senza preoccuparsi di chi l’avrebbe ascoltato.
Per sua fortuna, Dante fu salvato dall’apertura delle porte dell’ascensore. «Non si preoccupi. Non ci vorrà molto, e se Dio vuole ce ne andremo velocemente» le disse alzando gli occhi al cielo, e affrettando il passo una volta che furono usciti, come se considerasse concluso il loro occasionale incontro.
Matilda però gli corse appresso e gli batté sulla spalla con la mano, troppo offesa per lasciar perdere.
«Ha un’idea della quantità di lavoro che richiede un giardino del genere?»
«No» rispose lui secco, «ma so quanto è costato fino all’ultimo centesimo e, francamente, ritengo che il denaro avrebbe potuto essere speso meglio.»