Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Amore a vita
Amore a vita
Amore a vita
E-book313 pagine4 ore

Amore a vita

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Amore a Vita è una storia autobiografica dura e realistica, ambientata nella periferia italiana degli anni '90.

Siamo in un bar popolato da personaggi bordeline, spacciatori, drogati e giocatori. Sara, adolescente di buona famiglia, conosce Claudio, criminale anaffettivo con una vita segnata da traumi familiari e personali molto profondi. Da questo incontro scaturisce un amore lontano dai clichè del sentimento tradizionale che, trascinandosi dolorosamente per tutta la vita, legherà i due protagonisti in un rapporto pericoloso e disfunzionale.

A casa di Claudio, protetti dal buio della notte, i due amanti si mettono a nudo, raccontando la loro parte più profonda e vera, mentre disperazione e cocaina, si alternano a sesso crudo, privo di slanci sentimentali.

Il lettore ascolterà i monologhi di Claudio sul carcere, crudi e schietti fino a diventare penosi, i racconti della madre suicida e la bruttura di quella vita mala, che ormai non può e non vuole abbandonare.

Amore a Vita è un memoriale privo di artifici narrativi e scene chiave che conquista il lettore per le tematiche affrontate e resta impresso e pesante come un pugno sullo stomaco. Interessante il tema della detenzione e il parallelo tra la dipendenza amorosa e quella dalle droghe.

Attraverso l'uso di dialoghi davvero realistici e grazie ad una prosa misurata e funzionale, l'opera non cade mai nelle trappole del romanzo di genere ed è capace di raccontare in maniera autentica una storia disperata di un amore nero, scomodo e impossibile.

"Lecito e illecito, legale ed illegale. La danza di due individui che si toccano per poi fuggire. Un libro intenso dove amore, dolore e speranza si susseguono fino alla fine."

Lucrezia Emme (pseudonimo) nasce nel 1978, si occupa di comunicazione e web marketing. Scrive racconti per bambini e sceneggiature teatrali.

Le sue opere hanno conseguito importanti riconoscimenti e premi per la drammaturgia.
LinguaItaliano
Data di uscita26 feb 2021
ISBN9791220326216
Amore a vita

Correlato a Amore a vita

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Amore a vita

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Amore a vita - Lucrezia Emme

    633/1941.

    Prologo

    Ci conosciamo da sempre, ci siamo visti crescere, maturare e iniziare a invecchiare, e ora è come se non ci fosse trepidazione, in questo nuovo incontro. Non c’è la paura del corpo, l’incertezza della pelle, la sorpresa straordinaria della scoperta di un profumo.

    È per questo che non temo di non piacergli, né subisco le ansie tipiche del primo appuntamento. Non c’è quel senso di vertigine, quella combinazione di delirio e inadeguatezza, il guizzo di qualcosa che nasce, ma solo l’esultanza di avere un’altra chance. Il nostro, oggi, non è l’entusiasmo di un primo incontro, ma la speranza di una nuova occasione. E in una mattina d’inizio autunno, in cui un sole svogliato splende dimesso, torno da Claudio.

    Sono trascorsi sei anni dalla nostra ultima separazione. Su di me sono passati un matrimonio, una figlia, la routine di piccole grandi crisi, piccole e grandi tragedie, schegge appuntite di felicità e momenti di serenità apparente, lisci e tondi come sassi di fiume.

    Indugio per strada, la mia attenzione è rapita da vetrine già viste, facciate di chiese che conosco a memoria. Cammino respirando l’odore solito della città, senza percepire alcuna meraviglia. Dov’è lo stupore luminoso che regalano i momenti di gioia o la loro attesa? Lo cerco, e il mio tentennare non è che il desiderio di dilatare gli istanti che mi dividono da Claudio, che possano diventare lunghi come il tempo in cui non ci siamo visti e alimentare aspettative già consumate, ingigantire sentimenti già nutriti, estendere nel tempo, e ancor di più, un amore che sta di nuovo per farsi reale.

    Dieci passi alla sua porta, dieci secondi lunghi sei anni e l’attesa che corre tra il suono del campanello e la sua fronte che fa capolino dalla persiana, lo spazio tra due fotogrammi. Un battito di cuore e ho i suoi occhi addosso, l’intervallo di un respiro ed ecco il suo odore, il passo che varca la sua soglia mi porta dentro il suo corpo, stretta in un abbraccio che come un terremoto prima scuote, poi smuove in profondità e fa salire un’onda.

    Io e Claudio siamo un’onda: avanti e indietro a ripetere un amore che non ha posa.

    ***

    Quella con Claudio non era una storia d’amore. Di una storia ha avuto l’idea, momenti sparsi che insieme mi sembrano ora una confezione vuota e stropicciata. La tensione del bisogno, la scossa dell’attrazione, lo squallore di quando non si è liberi.

    Io e Claudio ci siamo amati di nascosto, abbiamo vissuto una passione in sordina, creduto e saputo che la nostra relazione non meritasse la dignità e il riconoscimento di una storia d’amore. E non c’è un perché, o non ce n’è soltanto uno. In fondo, a quello che ci lega abbiamo scelto di negare ogni possibilità.

    Claudio, perché?

    No, non c’è un perché.

    ***

    Tutte le case in cui Claudio ha vissuto si somigliano. Sceglie sempre appartamenti nel cuore della città, gli piacciono i vicoli del centro storico dove gli spazi sono stretti, panorami di tetti da scrutare alla finestra. Mai nessun giardino, si accontenta dei fiori dei vicini sui davanzali o dei piccoli fazzoletti di terra pieni di erbe aromatiche e piante basse dei cortili interni. Trova abitazioni in cui il sole non batte direttamente, se non per poche ore, case protette dal vento, dagli occhi, dal clamore.

    A lui piace vivere nella penombra, ha sempre le persiane delle finestre chiuse, stanze e ambienti angusti, scale e soppalchi. Dappertutto, un denso odore di fumo e di lui.

    Intorno, un disordine che è ancora più suo sparge cose ovunque. Appende camicie al corrimano delle scale, lascia scarpe e calzoni negli angoli, i tavoli e i piani, sono sempre pieni di scontrini, pacchetti di sigarette vuoti, bottiglie di plastica, fazzoletti, cartacce e qualunque abbia accumulato in tasca durante il giorno. I portacenere traboccano. Anche le scodelle e qualsiasi altro contenitore tracimano di mozziconi.

    Tutte le case in cui Claudio ha vissuto si somigliano perché tradiscono immediatamente il desiderio di avere qualcuno che si prenda cura di lui. Non sono tante le persone che accoglie in casa sua, così non sono in molti a scoprire che detesta a tal puntola sua condizione di uomo solo da smettere anche di prendersi la pena di renderla accettabile, vivibile, umana.

    E pensare che lui ha una risposta per tutto, e l’intransigenza di quegli uomini che accettano le cose solo come le concepiscono nella loro testa, che non cambiano mai idea, gusti, vita.

    Ama i pantaloni che gli cadono perfetti, camice bianche e stirate, ha una passione per le giacche. Si fa la barba in maniera meticolosa, usa ancora la schiuma e il pennello e appena vede crescere i capelli chiari che gli restano, prende il rasoio e li toglie via.Odia il brutto e le brutture, non tollera la sciatteria nelle persone, tutto quello che usa e che gli serve è perfetto e funzionante, non ammette le dimenticanze, le cose fatte a metà, la stupidità.

    Ha pensieri lineari, esprime concetti che, come si dice, non fanno una grinza, non scende a compromessi con nessuno, non cerca l’eccesso, si circonda solo dell’essenziale, non ha bisogno di troppe cose, oggetti e persone.

    Claudio è un uomo rigido e ordinato che vive nel disordine, e quando entro a casa sua, dopo anni, le stanze a soqquadro invase dalle macerie di quella quotidianità sofferta mi feriscono come una lama.

    ***

    Claudio chiude la porta dietro di me, sono ancora nelle sue braccia, mi guida lungo l’ingresso di quel nuovo appartamento in cui non sono mai stata.

    A metà corridoio c’è uno specchio. È attaccato direttamente al muro, ha i bordi a taglio vivo, senza nessuna cornice, e l’angolo in basso a destra è sbeccato e tagliente.

    Claudio smette di spingermi in avanti col suo corpo e in quello specchio triste si stagliano i nostri due volti.

    È dietro di me, col suo braccio che mi passa davanti al collo. La sua testa è leggermente reclinata sulla mia spalla, la sua bocca è nascosta nell’incavo della mia nuca. Lo guardo negli occhi fissandone il riflesso nello specchio. Dalla mia spalla sinistra, sale lento e denso il fumo della sigaretta che lui stringe tra le dita.

    Restiamo lì, stretti e immobili a osservarci rinviati da uno specchio, avvolti in una penombra fumosa e calda, e scrutiamo specchiarsi il tempo che ci è passato in faccia, l’amore e la voglia di ricominciare tutto da capo.

    Ci amiamo crogiolandoci nella nostra complicità che tanto ci piace. Quell’intimità sicura e appagante da coppia collaudata. Riscopriamo i nostri corpi e il piacere che hanno a stare l’uno su quello dell’altra, le nostre carezze, l’abitudine di un sapore, la soddisfazione di desideri conosciuti, ma in lui si leva qualcosa in più.

    Forse anche da me arriva una nota appena dissonante.

    Si insinuano, nei nostri gesti usuali, nuove carezze, nuovi stimoli, nuovi tocchi. A tratti ritmi diversi, altre piccole voglie si fanno largo nel nostro letto.

    Sono i resti di quelli che abbiamo amato nei sei anni in cui siamo stati lontani, i fantasmi degli amanti passati, gli avanzi dei corpi degli altri amori.

    E mentre lo amo, mi fermo con la mente a chiedermi se questo stratificarsi di nuovi piaceri siano su di lui la somma di tante amanti o i detriti di una sola donna, che ha contato così tanto da modificare il suo modo di dare e ricevere piacere.

    Io, che nel suo letto ho sempre trovato una piena soddisfazione, avverto un’inedita sensazione di fastidio: fitte calde di gelosia che mi disturbano fino a farmi sottrarre. Di chi è questa carezza? Claudio, chi sfioravi così?,mi domando accusatoria.

    Ma i nostri corpi hanno di nuovo il sopravvento su tutto, la mente che va per conto suo e le ombre degli amanti guardoni del passato,finché il piacere di esserci ritrovati non ci lascia stanchi e con il cuore ancora in gola, ognuno nella propria parte di letto.

    Claudio si accende una sigaretta e si volta verso di me con espressione interrogativa.

    Non fumo più, ho smesso, gli dico.

    Quando eri incinta? Hai smesso per tua figlia?.

    No, ho smesso prima.

    Ah, brava.

    Ho un brivido a sentirla di nuovo, la parola brava, pronunciata dalla sua bocca. Sorrido e penso che non è cambiato niente, sono ancora la sua brava ragazza. A Claudio invece torna sul viso quella sua aria serafica e imperscrutabile, si mette quella maschera di severità, che lo fa apparire distante.

    Io e lui dopo il sesso non siamo mai rimasti troppo vicini, e anche adesso lui non fa una mossa. Fuma per conto suo e guarda in aria. Poi si alza e il rumore dei suoi passi sulla scala di legno che porta giù in cucina somiglia ai battiti del mio cuore che tornano regolari.

    La camera si trova nella parte di casa soppalcata, sopra il letto, il soffitto ha l’altezza giusta che gli permette di stare in piedi. Claudio è alto, e anche se non teme di sbattere la testa sul soffitto, quando cammina per tornare sotto le lenzuola con me, lo fa leggermente curvo.

    Sopra al letto, proprio al centro, c’è un lucernario grande abbastanza da squarciare una porzione di cielo tutta per noi. Entra una quantità accettabile di luce, almeno di mattina, ed è la prima volta, davvero, che facciamo l’amore sotto tanto chiarore.

    Rischiarati da quel bagliore nuovo, cerchiamo di raccontarci quei sei anni in cui ci siamo insopportabilmente mancati.

    ***

    Rivedo Claudio una mattina di fine settembre in cui sono uscita col mio ex marito e nostra figlia. Dobbiamo far stampare una fotografia che serviva alle maestre di Nina per appenderla all’albero disegnato sul muro dell’asilo.

    In città si prepara un evento gastronomico, tutt’intorno gente e stand da montare. Passeggiamo in centro come una famiglia vera e Nina inizia la solita litania capricciosa, scorgendo già da lontano il venditore ambulante di palloncini. Chiede a me il palloncino con la forma di principessa, implora il padre per quello a forma di coccinella, poi dice di volere il cavallino e sì, forse anche l’ape.

    Più ci avviciniamo a quel mazzo volante di palloncini colorati, più Nina è veloce nel cambiare idea. Alla fine, legato al polso si ritrova un aereo rosa, che però da subito sembra essere un po’ sgonfio.

    Il tempo di qualche metro ancora per raggiungere il fotografo, e quell’aereo ha già un’ala svuotata e vola a mezz’aria, lasciando lasco il filo attaccato al braccio di Nina.

    Mentre io resto dal fotografo ad aspettare il mio turno per la stampa della foto, Nina e suo padre tornano indietro, vogliono farsi sostituire il palloncino bucato.

    Vedo Claudio, fuori dal negozio, proprio davanti alla vetrina, mentre per ingannare l’attesa cerco cornici dai colori che si abbinino a quelli della cameretta di mia figlia.

    Sta parlando con un amico, ha un cappello di pile che non gli sta per niente bene e pantaloni mimetici da cacciatore che, seppur larghi, lasciano intuire le sue gambe forti. Ha un che di trasandato, un aspetto fosco, non riesco a capire se è perché è invecchiato o solo perché si è trascurato un po’.

    Guardarlo dall’interno del negozio mi fa sentire come se lo stessi spiando e stupida come una bambina che origlia dietro una porta. Faccio un passo indietro, perché temo di essere scoperta.

    Anche solo averlo davanti, separato da un vetro e a debita distanza, mi provoca una stranissima sensazione alle gambe, allo stomaco, e poi su su fino al petto e alla testa, come se fossi acqua frizzante in una bottiglia appena stappata.

    ***

    Dalla nascita di mia figlia non ho visto Claudio troppo spesso. Prima capitava di incontrarci casualmente in centro o in qualche bar, ma da quando è nata Nina io sono uscita poco, frequentato di rado le conoscenze che abbiamo in comune, preferito i parchi gioco al centro.

    Diciamo che mi sono defilata, più o meno volontariamente e per tante ragioni. È stato un periodo difficile: ho vissuto la fatica di essere madre e moglie in un momento economicamente complicato e ho cercato di tenere a bada una latente depressione.

    Claudio spuntava nei miei pensieri, a volte come un ricordo, altre come un desiderio. Non ho mai smesso di pensare a lui, di chiedermi dove fosse, cosa facesse, ma credevo davvero che stavolta tra noi fosse finita sul serio.

    Restava un uomo importante, un amore intenso, un fuoco spento. La mia storia da rimpiangere, l’uomo perfetto e l’amore impossibile. Pensavo a lui con la stessa rassegnazione con cui vivevo la mia vita.

    Riempivo le mie giornate di cose che volevo fossero più importanti. Priorità, le chiamavo, contingenze da gestire come il fallimento del mio matrimonio, il rimorso e il timore di crescere una bambina tutta da sola, un lavoro in proprio, impegnativo, al quale mi dedicavo anima e corpo, nella speranza di un riscatto almeno economico.

    Tolta la gioia, a essere completamente sincera anche un po’ smorzata, di veder crescere mia figlia, procedevo senza desideri, senza bisogni, tenendo bene in mente cosa aveva mangiato Nina e senza scordare nemmeno uno dei problemi dei miei clienti. Il mio telefono, la linea del lavoro, squillava a ogni ora del giorno, persino in tarda serata; tanto, messa a letto Nina, non avevo niente di meglio da fare.

    Io e mio marito facevamo i separati in casa già da qualche mese e ora che lui aveva trovato un lavoro fuori provincia, tornava solo nel fine settimana. Non era una situazione chiara quella della nostra separazione, e poco chiaramente sarebbe andata avanti ancora per un po’.

    La separazione non ancora formalizzata generava una situazione curiosa. Probabilmente, chi ci osservava era incerto se considerarci una coppia nel classico periodo di riflessione oppure quei coniugi la cui crisi dura da sempre, tanto da diventare ben presto la propria condizione normale, che mai porterà a una vera rottura. D’altronde,nei weekend in cui lui tornava a casa, vivevamo, uscivamo e facevano le cose insieme, come se fossimo una famiglia vera.

    La messa in scena era un’idea mia, mia l’imposizione, e lui era d’accordo.

    Dicevamo di farlo per Nina, e certo, era anche per lei che lo facevamo, ma la verità è che non accettavo l’ufficialità del fallimento, né per me né per mia figlia.

    Non ero riuscita a tenermi un uomo, ad avere un marito, un padre e una famiglia in cui rifugiarmi e trovare pace. Avevo sbagliato tutto e in quelle passeggiate appena sopportabili custodivo gelosamente l’illusione che potevamo ancora farcela, o che io potevo continuare a fingere.

    Claudio e il mio ex marito si conoscevano, potevano dirsi più che semplici conoscenti ma meno di amici. Coetanei, cresciuti e vissuti nella stessa piccola città, frequentando gli stessi posti e le stesse persone. Inoltre hanno in comune, per motivazioni diverse, uno stile di vita deprecabile.

    ***

    Sono rimasta a guardare fuori dalla vetrina. Poi colta da un’ansia incontrollabile, ho iniziato a sperare che la foto uscisse più velocemente possibile dalla stampante. Non ho idea di quanti minuti siano passati, quello che so è che sono stati interminabili.

    Claudio è sempre lì fuori che parla, che ride, che si guarda intorno mentre io, incapace perfino dei soliti discorsi di cortesia col fotografo, cerco di decidere se uscire e pararmi davanti a lui, oppure aspettare, nascosta nel negozio, il ritorno di mia figlia e di suo padre.

    Claudio in presenza del mio ex praticamente non mi rivolge la parola, ci scambiamo solo un saluto di convenienza, fingiamo di non essere più che conoscenti.

    Siamo bravi, ormai. In mezzo alla gente,ci trasformiamo subito in due estranei.

    Il fotografo mi consegna le foto, Claudio non è più davanti alla vetrina e in me si alternano sollievo e rimpianto. Sono decisamente sollevata di non dover essere io a decidere se incontrarlo o no, e sono disperata per aver perso l’occasione di rivederlo da vicino.

    Non ho fatto in tempo, Claudio, peccato. Così dico a me stessa, convinta di averlo perso ancora una volta.

    Esco dal negozio ma lui è lì fuori. Si è spostato di qualche metro rispetto a dove si trovava prima. Adesso è solo,e sembra felicemente sorpreso di vedermi. Non so se ci diciamo ciao o cos’altro, io credo di volare, di non saper più parlare, di respirare un’aria che all’improvviso mi fa stare benissimo, di guardare finalmente quello che desideravo vedere.

    Il suo sguardo fruga su di me, poi oltre la mia spalla, la gente che passa, occhi estranei che ci sfiorano distratti, chiede se sono sola, io annuisco, e lui non perde tempo. Non possiamo stare troppo a parlare, va subito al dunque. È ancora un tipo concreto e pragmatico.

    Ho sentito tuo marito dire che siete separati. È vero? Sembrava convinto, ma vi ho visti in giro insieme.

    Ci stiamo separando, confermo.

    Non so come spiegare in due parole la mia situazione, raccontare onestamente qualcosa di così ingarbugliato, proprio a lui che non sopportale mezze verità. Per fortuna mi interrompe incalzandomi:

    Se siete separati,allora ricominciamo a vederci. Volevo chiamarti appena l’ho saputo, ma non ho più il tuo numero.

    Per fare prima gli passo il mio biglietto da visita, in modo da non tirar fuori cellulari o, peggio, penne e agendine. Un attimo dopo vedo spuntare dall’angolo in fondo alla piazza un unicorno bianco a mezz’aria. Nina ha cambiato il suo aereo rosa con un cavallino magico e corre verso di me, chiedendomi se mi piace.

    Claudio saluta senza imbarazzo il padre di mia figlia. Poi, come se la conoscesse da sempre, prende in braccio Nina e la fa sedere sulla scalinata della chiesa dove si siede anche lui. Le chiede se va all’asilo, quanti ha, dove andrà questa mattina e se sa dire il suo nome per intero.

    Claudio ha sempre avuto una simpatia particolare per i bambini, appena ne ha l’occasione si ferma a giocare con loro, a parlare, a rubargli il pallone. Per i figli di quelli che per un periodo sono stati i nostri amici in comune era una specie di mito:per loro aveva sempre una di quelle domande senza risposta che ai bambini piacciono tanto, un indovinello, un nuovo scherzo o un nuovo dispetto.

    Claudio una volta mi ha chiesto di fare un bambino. Ma era tanto tempo fa, ora sembra un’altra vita.

    Claudio parla con Nina, parla del più e del meno col mio ex marito, non mi guarda.

    Claudio non mi rivolge più la parola.

    Il nostro gioco è già ricominciato e non abbiamo bisogno di gesti e di voce. Noi siamo abituati a nascondere tutto. A noi non serve niente di tutto questo.

    ***

    Ti piace questa casa? Da quanto vivi qui?.

    Da qualche mese.

    Ci guardi le stelle da questa finestra sul tetto?.

    Macché, quando torno a casa è perché sono stanco e dormo.

    Ma si vedono le stelle?.

    Non lo so, non ci ho mai fatto caso.

    E finisce così. Non siamo mai stati capaci di essere leggeri, di scherzare per più di qualche battuta. Quando sto con Claudio è come se tutte le cose del mondo vadano prese sul serio, di petto. Come se fosse già abbastanza scriteriato quello che siamo e facciamo insieme, da dover scontare questa sorta di amore con riflessioni coscienziose.

    Per Claudio, nonostante siano passati tanti anni, è ancora importante conservare il suo ruolo di guida e dispensatore di consigli.

    Ai suoi occhi sono ancora qualcosa di fragile, una piccola donna che si infila in situazione da evitare, che non è in grado di gestire. La verità è che lui, lui che sarebbe la situazione, si è sempre sentito in colpa per la nostra storia.

    Sarà rimasto sorpreso, forse perfino deluso per il suo errore di valutazione, perché ha sempre pensato che alla fine io avrei fatto le scelte più facili, secondo lui le migliori, quelle che tutto sommato si augurava per me: mi sarei scelta e tenuta ben stretta un marito con una posizione, mi sarei fatta amici negli ambienti giusti e alla fine avrei cresciuto i figli tra passeggiate domenicali in centro e messe in piega senza fare mai niente che potesse mettere a repentaglio questo bel quadretto.

    Forse è anche per questo, perché lui lo considerava un amore impossibile, che della nostra storia non abbiamo mai parlato davvero. Come se non esistesse. Solo frasi a mezza bocca, tanto eravamo bravi a ridurre tutto allo stretto necessario: telefonata, scopata, sigaretta e fuga.

    Mentre vivevamo le nostre vite diverse, avrà pensato chissà quante volte di rappresentare per me un divertimento, un’evasione esotica, per così dire, al pari di ciò che le donne straniere rappresentano per tanti uomini.

    Non credevo saresti finita in una situazione così. Da te non me lo sarei aspettato.

    Volevo crederci, ma l’amore che cambia le persone non esiste, è solo una stronzata, ora l’ho capito.

    Sei stata una stupida, incalza lui.

    È vero.

    Stupida non è la parola giusta, quella che avrebbe dovuto usare è illusa, ma è fuori dal suo vocabolario: sogni e illusioni, Claudio non li contempla nemmeno. Non crede nel possibile, nella pietà del destino, né tanto meno che l’amore possa davvero migliorarci. È certo solo del fatto che da quelli come il mio ex marito non possa nascere niente di buono. Dai bugiardi si aspetta solo bugie, dagli ubriaconi mortificazioni e insolenze, da chi vive alla giornata solo facili scappatoie, e non certo matrimoni e responsabilità.

    Mi chiede preoccupato se il mio ex è mai arrivato alle mani, se gliel’ho permesso, riuscendo a giustificare perfino quello. Ma no, fortunatamente no. Crede che mia figlia avrà vita difficile con un genitore così, e gli dico quanto mi sento in colpa per aver deciso di lasciarla al padre.

    Lo sapevi chi era, tuo marito.

    Mi avevi avvertito, annuisco piano, senza ribellarmi. Mi avevi detto che non era proprio l’uomo per me. Non ti ho dato ascolto.

    Per un figlio sua madre è insostituibile, tronca definitivamente con quest’uomo e cresci Nina per bene. Hai una responsabilità importante, non puoi perderti, sperare, credere..., insiste, allargando le braccia. Non puoi sbagliare.

    Vorrei solo che lui capisse il senso di essere padre, si assumesse degli impegni. Spero voglia portare avanti un’idea di famiglia che va oltre il rapporto con me. Io mi aspetto uno sforzo da lui, se vuole può ancora essere un punto di riferimento, il capofamiglia, una presenza fissa e costante. Parlo con il tono dei bambini quando si lamentano.

    Cazzate, mi stronca Claudio. Sempre le tue solite cazzate, non hai ancora smesso di complicare le cose facili. È così evidente! Lui non ha un lavoro, non ha una casa. Il capofamiglia è quello che porta i soldi, che si preoccupa della moglie e dei figli. Lui di che cosa si preoccupa, tutto il giorno al bar? Da chi farsi pagare da bere, eccola la sua preoccupazione! Smettila di sprecare tempo. Sei da sola a crescere Nina, vedi di farlo come Dio comanda.

    Hai ragione, ma….

    Quale ma? Non c’è nessun ma, e lo so che ho ragione. Si gira di fianco dandomi la schiena. Adesso quanti hai?.

    Sono vicina al giro di boa. Trentasette anni, sto invecchiando.

    Quando io avevo trentasette anni ero già solo, mia mamma era già morta da tanto tempo.

    Ah….

    Poi, di colpo, come una folata di vento improvvisa, ecco che cambia. Non volevo alzare la voce, ma capisci…, dice piano, caldo, voltandosi di nuovo e fissandomi. Dovrei esserci abituata e invece mi stordisce ancora. Non parliamo di cose tristi. Dai, raccontami, il Bel Mondo lo frequenti ancora? Ci vai spesso? Chi c’è?.

    Il turbamento

    Avevo quindici anni quando ho conosciuto Claudio al bar Bel Mondo.

    Ero una ragazza di buona famiglia che voleva smettere di fare la brava.

    Frequentavo il liceo scientifico, scuola impegnativa all’epoca, piena di professori dal piglio antico, di libri di latino e di laboratori di fisica e scienze.

    Mio padre non approvava la scelta del liceo, sognava per me un diploma da perito meccanico e lo scotto per aver fatto di testa mia era la costante minaccia che, per pagarmi l’università, mi sarei dovuta prostituire.

    Era solo l’intimidazione di un uomo abituato a decidere tutto anche per gli altri. I soldi in realtà non ci mancavano, anzi, l’attività dei miei genitori garantiva alla nostra famiglia un tenore di vita superiore alla media. Ma mio padre è sempre stato così. Uno che è riuscito a realizzare tutti i suoi progetti, lottando con le unghie e con i denti, anche a costo di spezzarsi la schiena di fatica,è facile

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1