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Un erede per il milionario: Harmony Jolly
Un erede per il milionario: Harmony Jolly
Un erede per il milionario: Harmony Jolly
E-book317 pagine5 ore

Un erede per il milionario: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

2 ROMANZI IN 1 - UN EREDE PER IL MILIONARIO di L. Gordon. Luca Montese è un uomo d'affari ricchissimo e spregiudicato, temuto dai nemici, conteso dalle donne. Desidera un figlio, un erede per il suo impero e pensa che l'unica donna che possa soddisfarlo in tal senso sia il suo primo, unico amore, Rebecca Solway. La rivuole tra le sue braccia e non solo ed è disposto a tutto pur di raggiungere il suo scopo. UNA FIDANZATA AL BACIO di A. Leigh. Volevo solo un bacio! Bobbie Fairchild ancora non ci crede. Il suo unico obiettivo era quello di liberarsi di un corteggiatore poco gradito e adesso si ritrova fidanzata con l'uomo più affascinante e conturbante che abbia mai conosciuto, Gabriel Gannon. Lui, infatti, in cambio del bacio le ha chiesto di diventare la sua fidanzata così da poter ottenere l'affidamento dei suoi due figli. Bobbie ha accettato ma forse non solo per riconoscenza.

LinguaItaliano
Data di uscita15 dic 2011
ISBN9788858900215
Un erede per il milionario: Harmony Jolly
Autore

Lucy Gordon

Lucy Gordon cut her writing teeth on magazine journalism, interviewing many of the world's most interesting men, including Warren Beatty and Roger Moore. Several years ago, while staying Venice, she met a Venetian who proposed in two days. They have been married ever since. Naturally this has affected her writing, where romantic Italian men tend to feature strongly. Two of her books have won a Romance Writers of America RITA® Award. You can visit her website at www.lucy-gordon.com.

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    Anteprima del libro

    Un erede per il milionario - Lucy Gordon

    Un erede per il milionario

    Prologo

    Lei aveva diciassette anni ed era bella e inerte come una bambola. Seduta di fronte alla finestra fissava senza vederlo il panorama della campagna italiana.

    Non si voltò nemmeno quando la porta si aprì ed entrò l’infermiera. Dietro di lei un uomo di mezza età dall’aria gioviale che stonava con lo sguardo gelido. «Come sta la mia ragazza preferita?»

    La bambola non rispose e restò immobile.

    «C’è una persona qui che vuole salutarti, tesoro.» Si rivolse a un giovanotto rimasto sulla soglia. «Fai in fretta» gli disse sbrigativo.

    Lui aveva vent’anni e i capelli spettinati. Non si radeva da giorni e i suoi occhi bruciavano di rabbia e dolore. Si buttò in ginocchio e le parlò con voce implorante.

    «Becky, piccola mia, sono io, Luca. Guardami, ti prego. Dicono che la nostra bambina è morta e che è solo colpa mia, ma io non ho mai avuto intenzione di farti del male, mi senti?» Lei girò la testa ma nelle pupille spente non comparve alcun segno di riconoscimento. «Ascoltami» la supplicò il ragazzo. «Mi spiace, piccola. Dio, mi spiace così tanto. Becky, ti scongiuro, rispondimi.»

    La bambola rimase in silenzio.

    Lui alzò una mano per scostarle dal viso una ciocca di capelli castano chiaro. Lei non si mosse.

    «Non ho potuto vedere nostra figlia» mormorò lui con la voce spezzata. «Era bella come te? L’hai potuta tenere in braccio? Parlami. Dimmi che sai chi sono e che mi ami ancora. Io ti amerò per tutto il resto della mia vita. Perdonami per tutto il male che ti ho causato. Volevo soltanto renderti felice. Per l’amor del cielo, Becky, rispondimi.

    Ma lei non disse nulla, si limitò a guardare fuori dalla finestra.

    Lui allora le posò la testa in grembo e l’unico suono che si udì nella stanza furono i suoi singhiozzi.

    1

    Le parole risaltavano sul foglio bianco.

    Un maschio. Nato ieri. Tre chili e novecento grammi.

    Un messaggio semplice, che avrebbe dovuto portare gioia. Ma per Luca Montese significava soltanto che sua moglie aveva dato un figlio a un altro uomo. E nessuno a lui. Il mondo intero avrebbe saputo della sua umiliazione. Si maledisse per essere stato così cieco, il viso contratto in una maschera crudele e spaventosa.

    Era stata proprio la paura a spingere Drusilla a scappare, appena saputo di essere incinta, sei mesi prima, lasciandogli soltanto un biglietto. Per comunicargli che c’era un altro uomo. Che aspettava un bambino. Che era inutile cercarla.

    Si era portata via tutti i regali però, fino all’ultimo diamante, all’ultimo vestito d’alta moda. Lui l’aveva inseguita come una furia vendicatrice, non di persona ma tramite una batteria di costosi avvocati, inchiodandola a un accordo di divorzio che non le lasciava niente altro se non quello che già si era presa.

    Era un peccato che quel tizio fosse così povero e insignificante. Fosse stato un ricco imprenditore, sarebbe stato un piacere rovinarlo. Ma un parrucchiere! Quello era stato l’ultimo insulto.

    Ora però lui e Drusilla avevano un bel bambino, sano e forte. Il potentissimo Luca Montese invece era senza figli e a quel punto tutti avrebbero capito di chi era la colpa se la loro unione era rimasta sterile.

    Avrebbero riso di lui. Quel pensiero lo fece quasi impazzire.

    Il suo prestigioso quartier generale di Roma si trovava nel cuore del potere, un mondo che aveva conquistato con astuzia, abilità e colpi di mano. I dipendenti lo ammiravano, i rivali lo temevano. Era così che gli piaceva. Ma ora si sarebbero presi gioco di lui.

    Rigirò il foglio tra le dita. Le sue mani erano forti e grandi, le mani di un muratore, non di un uomo d’affari internazionale.

    Anche il viso possedeva una bellezza rude più che raffinata, con i lineamenti marcati, accentuati da uno sguardo intenso negli occhi scuri. Tutto ciò, insieme a un fisico alto e muscoloso, dalle spalle possenti, attraeva il classico tipo di donna - e ce n’erano tante - che gravitava intorno al potere. Dalla rottura del suo matrimonio non gli era certo mancata la compagnia.

    Le trattava bene, era generoso di regali ma non di parole o sentimenti, poi però le liquidava senza troppi complimenti quando realizzava che non avevano quello che lui stava cercando.

    Cosa fosse, non sapeva spiegarlo. Sapeva soltanto che l’aveva trovato, una volta sola e tanto tempo prima, con una ragazza che aveva gli occhi luminosi e il cuore grande.

    A stento riusciva a ricordare il giovane uomo che era stato allora, pieno di idee poco realistiche sull’amore eterno. Non ancora cinico, per niente calcolatore, credeva davvero che la vita fosse bella. Una follia che era stata duramente punita.

    Si costrinse a tornare al presente. Crogiolarsi nella felicità perduta era una debolezza da stroncare con la stessa spietatezza con cui faceva tutto il resto. Lasciò l’ufficio e scese nel parcheggio sotterraneo, dove lo aspettava la Ferrari nera ultimo modello.

    Aveva un autista ma gli piaceva guidarla personalmente. Un trofeo da esibire, la prova di quanto fossero ormai lontani i giorni in cui girava con un vecchio macinino che cascava a pezzi. Si rompeva sempre nei momenti più impensati e lei allora rideva passandogli la chiave inglese. A volte si infilava sotto l’auto con lui.

    Sporchi di grasso, si baciavano.

    Forse la loro era stata davvero una forma di pazzia, pensò, mentre si dirigeva verso la villa immersa nel verde, appena fuori città. Folli e incoscienti, perché quella felicità che bloccava il cuore non poteva durare. E infatti non aveva resistito.

    Già una volta aveva allontanato il pensiero di lei, ma adesso, mentre guidava nel buio, sentiva la sua presenza che sembrava volerlo tormentare con il ricordo struggente della bellezza dolce, dell’incantevole gentilezza, di quel suo donarsi senza limiti. Lui aveva vent’anni e lei diciassette, si amavano ed erano convinti che sarebbe stato per sempre.

    E forse sarebbe stato possibile se...

    Scacciò via anche quell’insopportabile se.

    Ma il fantasma di Becky non voleva andarsene.

    Gli sussurrava triste che quel loro breve amore era stato perfetto, anche se era finito spezzandogli il cuore. Gli ricordava di quando si rannicchiava tra le sue braccia, sussurrandogli dolci parole d’amore e di passione.

    «Sono tua, sempre, sempre... Non amerò mai nessun altro...»

    «Non ho niente da offrirti...»

    «Dammi il tuo amore, è tutto ciò che ti chiedo.»

    «Sono un ragazzo povero.»

    «Non saremo mai poveri finché io avrò te e tu avrai me...» aveva riso lei a quelle parole, una risata fresca e giovane che gli aveva riempito l’anima

    E poi invece era finita.

    All’improvviso uno stridere di gomme. Il volante gli schizzò tra le mani. Luca non capì nemmeno cosa fosse successo, tranne che l’auto si era fermata e che lui stava tremando.

    Scese per schiarirsi le idee, controllando la strada alberata in entrambe le direzioni. Deserta.

    Come la sua vita, rifletté. Che usciva dal buio e ritornava nel buio. Da quindici anni.

    L’Allingham era l’hotel più nuovo e lussuoso nell’esclusivo quartiere di Mayfair, a Londra. Il meglio del meglio, al prezzo più alto.

    Rebecca Hanley era stata scelta come responsabile delle pubbliche relazioni perché era in gamba. Ma anche perché - così si era espresso il presidente del consiglio di amministrazione: «Sembra cresciuta tra montagne di soldi e che non gliene importi nulla, il che è utile quando stai cercando di indurre la gente a sperperare un sacco di soldi senza badarci».

    Acuto da parte sua, perché indubbiamente il padre di Rebecca era stato un uomo molto ricco.

    E in quel momento a lei non importava niente di niente.

    Viveva all’Allingham, perché era più semplice che avere una casa propria. Frequentava il salone di bellezza e la palestra dell’hotel, e il risultato era una figura snella senza nemmeno un etto di troppo e un viso che era l’immagine della perfezione.

    Quella sera stava giusto dando gli ultimi ritocchi al trucco quando suonò il telefono. Era Danvers Jordan, banchiere e suo ultimo accompagnatore.

    Dovevano presenziare al party di fidanzamento del fratello minore di Danvers, che si teneva lì all’Allingham. Come sua compagna e rappresentante dell’albergo, sarebbe stata doppiamente in servizio. Perciò doveva apparire impeccabile, in ogni dettaglio.

    Mentre si controllava allo specchio, Rebecca sapeva già che nessuno avrebbe potuto criticare il suo aspetto. Con quel corpo sottile ed elegante poteva sfoggiare senza timori lo stretto vestito nero. Le gambe lunghe e affusolate erano valorizzate dall’orlo, ben sopra il ginocchio. La scollatura era profonda ma entro i limiti del decoro. Al collo un solo, grosso diamante.

    I capelli lisci e lunghi alle spalle, all’origine castano chiaro, adesso erano più chiari per delle meche di un biondo miele che faceva risaltare gli occhi verdi.

    Alle otto in punto sentì bussare alla porta.

    «Sei un incanto» disse Danvers. «Sarò l’uomo più invidiato, stasera.»

    Il più invidiato. Non il più felice.

    La festa si teneva nel salone principale, decorato con tende di seta candida e rose bianche. I due fidanzati erano poco più che ragazzini, Rory aveva ventiquattro anni, Elspeth diciotto. Suo padre era il presidente della banca d’affari per cui lavorava Danvers e che faceva parte della cordata che aveva finanziato l’Allingham.

    «Non credevo che le persone credessero ancora al ti amerò per sempre» sussurrò a Danvers quando la serata era ormai avviata.

    «Suppongo di sì, quando sei abbastanza giovane e sciocco» rispose lui con ironia. «Gli adulti sanno che la vita può andare per il verso sbagliato.»

    «Questo è vero» ammise lei.

    Elspeth arrivò correndo e le gettò le braccia al collo. «Oh, sono così felice. E voi due, Becky? È ora di compiere il grande passo. Perché non facciamo l’annuncio adesso?»

    «No, no» si affrettò a dire Rebecca. Poi, temendo di essere stata troppo categorica, cercò di rimediare. «Questa è la tua sera, se ti rubassi la scena mi metterei nei guai con il mio capo.»

    «Al mio matrimonio però ti lancerò il bouquet.»

    Se ne andò e Rebecca sospirò di segreto sollievo.

    «Perché ti ha chiamato Becky?» chiese Danvers.

    «È il diminutivo di Rebecca.»

    «Rebecca ti si addice di più, è sofisticato. Non sei un tipo da Becky.»

    «E com’è un tipo da Becky, Danvers?»

    «Be’, il genere goffo e maldestro. Una ragazzina che non conosce molto del mondo.»

    A Rebecca tremò la mano e fu costretta a posare il bicchiere. Non che lui se ne fosse accorto.

    «Non sono sempre stata sofisticata.»

    «È così che mi piaci, però.»

    Avrebbe finito per sposarlo, un giorno, non per amore, ma per stanchezza.

    Aveva trentadue anni e la deriva insensata che era la sua vita non poteva andare avanti all’infinito.

    Declinò il suo invito a cena, con la scusa di un’emicrania. Danvers la accompagnò alla suite facendo un ultimo tentativo di prolungare la serata, attirandola contro di sé per un bacio, ma lei si irrigidì.

    «Sono davvero esausta. Buonanotte, Danvers.»

    «D’accordo. Fai un bel sonno ristoratore, domani ti voglio perfetta.»

    «Domani?»

    «Ceneremo con il presidente della banca. Non puoi averlo dimenticato.»

    «Certo che no. Ci sarò, al meglio. Buonanotte.»

    Se non si levava dai piedi subito avrebbe gridato.

    Alla fine conquistò la tanto agognata solitudine. Al buio, dietro la finestra, osservò le luci di Londra. Tremolavano brillanti nell’oscurità e le ricordarono quale sarebbe stata la sua vita da allora in poi: una interminabile sequela di occasioni luccicanti, una cena con il presidente, un palco all’opera, qualche pranzo in ristoranti alla moda, ricevimenti in case lussuose, moglie e padrona di casa perfetta.

    Già prima ne era nauseata, ma qualcosa, quella sera, l’aveva turbata. Quei due ragazzi e la loro incondizionata fiducia nell’amore le avevano riportato alla mente troppe cose in cui non riusciva più a credere.

    Becky invece ci credeva, ma Becky era morta. In un vortice di dolore, tristezza e delusione.

    Eppure anche lei un giorno aveva avuto un cuore e lo aveva donato, senza chiedere niente in cambio, ad un ragazzo bello e un po’ selvaggio che la adorava.

    «Una ragazzina che non conosce quasi niente del mondo» era stato il verdetto di Danvers per Becky. E aveva colpito nel segno. Erano troppo giovani e ingenui, allora, lei e Luca, convinti che il loro amore fosse la risposta a tutti i problemi.

    Becky Solway si era innamorata dell’Italia a prima vista. Specialmente della Toscana, dove suo padre aveva ereditato la tenuta di Belleto dalla madre italiana.

    «Papà, qui è meraviglioso» disse quando la vide la prima volta. «Voglio restarci per sempre.»

    «Ogni tuo desiderio è un ordine, bimba.»

    Frank era così, sempre pronto ad accontentarla senza però dare importanza a quello che diceva una ragazzina. Meno che mai a cosa pensava o provava. Ma a quattordici anni lei era convinta di avere il papà più generoso del mondo.

    Erano rimasti loro due soli, da quando la madre di Becky era morta, due anni prima. Frank Solway, ricco industriale, ramo elettronico, e la sua bella figlia.

    Lui possedeva fabbriche in tutta Europa e spostava continuamente la produzione dovunque il lavoro costasse meno. Durante le vacanze scolastiche viaggiavano insieme, visitando le roccaforti del suo impero, o restavano a Belleto. Becky studiava in Inghilterra. A sedici anni annunciò che non voleva più proseguire.

    «Voglio vivere a Belleto, d’ora in poi, papà.»

    E, come sempre, lui le disse: «Va bene, tesoro, ogni tuo desiderio è un ordine».

    Le comprò un cavallo e lei trascorse giorni felici esplorando i vigneti e gli oliveti della tenuta. Aveva imparato l’italiano e pure il dialetto toscano.

    Becky sapeva che suo padre era un uomo d’affari di successo. Non sospettò l’esistenza di un suo lato oscuro finché un giorno non fu costretta a scoprirlo.

    Frank aveva appena chiuso la sua ultima fabbrica in Inghilterra, ne aveva aperta un’altra in Italia, poi era partito per la Spagna, a ispezionare dei terreni. Durante la sua assenza Becky uscì per una passeggiata a cavallo. Lungo il tragitto però fu bloccata da tre uomini dall’aspetto poco raccomandabile.

    «Tu sei la figlia di Solway» disse uno di loro, in inglese. «Frank Solway è tuo padre, ammettilo.»

    «E perché dovrei negarlo? Non mi vergogno certo di mio padre.»

    «Dovresti, invece» gridò un altro. «Noi abbiamo bisogno di lavorare e invece lui ha chiuso la fabbrica dall’oggi al domani perché qui la manodopera costa meno. Senza indennizzo, senza liquidazione. Se n’è andato e basta. Dov’è ora?»

    «Mio padre è all’estero, in questo momento. Ora lasciatemi passare, per favore.»

    Uno degli uomini afferrò le briglie. «Prima dicci dove si trova» le intimò. «Non abbiamo fatto tutta questa strada per essere congedati così.»

    Becky si agitò.

    «Tornerà la prossima settimana. Gli dirò di voi. Sono sicura che sarà disposto a parlarvi e...»

    Fu interrotta da risate sguaiate.

    «Noi siamo le ultime persone con cui lui vorrebbe parlare... ci sta evitando, si nasconde... non risponde nemmeno alle lettere.»

    «Ma che posso farci io?»

    «Puoi restare con noi finché non ti viene a cercare» sibilò il più sgradevole dei tre.

    «Non credo proprio» disse una voce minacciosa.

    Apparteneva a un giovane uomo apparso tra gli alberi all’improvviso. Stava immobile, come per accertarsi che gli aggressori avessero registrato la sua presenza. Impressionante, non solo per l’altezza e la prestanza fisica, quanto per l’espressione feroce sul viso.

    «State indietro» ordinò, facendosi avanti.

    «Levati di mezzo» inveì l’uomo che teneva le redini.

    Lo sconosciuto non sprecò altre parole. E lo colpì con un movimento talmente veloce che un istante dopo il brutto ceffo era steso a terra.

    «Ehi tu» protestò uno dei compari.

    Ma le parole gli morirono in gola quando il gigante gli rivolse un’occhiata torva.

    «Andatevene via di qui, subito» ringhiò. «E non tornate mai più.»

    I due rimasti in piedi si affrettarono ad aiutare ad alzarsi l’amico che perdeva sangue dal naso. Questi lanciò uno sguardo di odio al suo assalitore ma fu abbastanza saggio da tacere e si lasciò portare via. All’ultimo momento però si voltò per fissare Becky con astio, il che indusse lo sconosciuto a farsi avanti minaccioso. E quelli corsero via senza più fermarsi.

    «Grazie» disse Becky con tutto il cuore.

    «Stai bene?» le domandò lui.

    «Sì, per merito tuo.»

    Smontò di sella e all’improvviso realizzò quanto era alto. Quegli occhi intensi la stavano fissando e la traccia della rabbia gelida era ancora visibile sul suo viso olivastro. D’un tratto Becky dubitò di essere più al sicuro di prima.

    «Sono andati via» la tranquillizzò lui. «E non torneranno.»

    Era una certezza. Nessuno avrebbe scelto di affrontarlo una seconda volta.

    «Grazie» ripeté lei, parlandogli in inglese, come aveva fatto lui, ma più lentamente. «Non sono mai stata così contenta di vedere qualcuno» confessò a bassa voce.

    «Non c’è bisogno che parli piano» sottolineò lui con orgoglio. «Conosco l’inglese.»

    «Mi spiace, non intendevo essere sgarbata. Da dove sei spuntato?»

    «Vivo proprio dietro quella radura. Faresti meglio a venire con me, ti preparo del tè.»

    «Volentieri.»

    «Conosco tutti qui intorno, ma quelli non li avevo mai visti prima» le disse mentre camminavano.

    «Vengono dall’Inghilterra. Cercavano mio padre, ma lui è via e questo li ha fatti infuriare.»

    «Non saresti dovuta uscire da sola a cavallo.»

    «Perché mai non dovrei andare dove mi pare sulla terra di mio padre?»

    «Ah sì, quell’inglese di cui parlano tutti. Però questa terra non è sua. Appartiene a me. È solo un piccolo appezzamento, ma c’è la mia casa, e non ho intenzione di vendere.»

    «Papà mi ha detto...»

    «Ti ha detto che aveva comprato tutte le proprietà qui intorno. Deve essersi dimenticato di questo fazzoletto di terra, succede.»

    Giunsero di fronte a un piccolo casale in pietra, ai piedi di una collina, all’ombra dei cipressi. Becky lo trovò subito grazioso e accogliente

    «Dentro non è proprio ben messo» la avvertì lo sconosciuto.

    E aveva detto la verità. L’interno era disordinato e spoglio, con un pavimento a lastroni di pietra un po’ sconnessi e una stufa a legna per cucinare. C’erano attrezzi da lavoro ovunque e assi di legno.

    «Siediti pure» le disse indicando una sedia che sembrava scomoda ma che invece si rivelò confortevole.

    C’era una teiera sul fornello e lui preparò il tè.

    «Non so il tuo nome» disse Becky.

    «Mi chiamo Luca Montese.»

    «E io Rebecca Solway. Becky.»

    Lui osservò la piccola mano elegante e per la prima volta sembrò insicuro. Poi la strinse nella sua, ruvida e forte, segnata dal duro lavoro.

    Tutto il suo aspetto era rude. I capelli neri avevano bisogno di un taglio e scendevano disordinati sul collo. Indossava un paio di jeans e una maglietta senza maniche ed era alto quasi un metro e novanta, di costituzione massiccia e muscolosa.

    Ercole, pensò lei.

    La smorfia rabbiosa e crudele era scomparsa del tutto ora, e lo sguardo che posò su di lei era gentile, ma non sorrise. «Rebecca» ripeté.

    «No, Becky per i miei amici. E tu sei mio amico, visto che mi hai salvato la vita.»

    Per tutta la sua breve esistenza, fino ad allora, la sua bellezza e il suo charme avevano fatto facile presa sulle persone.

    Ma quel giovane appariva ancora incerto.

    «Sì» accettò infine, a disagio. «Sono tuo amico.»

    «E allora mi chiamerai Becky?»

    «Becky.»

    «Vivi da solo qui? O hai una famiglia?»

    «Non ho famiglia. Questa era la casa dei miei genitori, ma ora appartiene a me.»

    Il tono brusco con cui aveva pronunciato le ultime parole la punse sul vivo.

    «Ehi, guarda che non sto mica dicendo il contrario. È tua, è tua» ribadì.

    «Vorrei che anche tuo padre la pensasse così. Dov’è ora?»

    «In Spagna. Tornerà la prossima settimana.»

    «Fino ad allora sarà meglio che tu non esca a cavallo da sola.»

    Becky in cuor suo pensava la stessa cosa ma quel suo tono autoritario la infastidì.

    «Prego?»

    «Non c’è bisogno che tu mi preghi.»

    «Non è quello che volevo dire» replicò Rebecca, realizzando che il suo inglese non era poi così fluente come asseriva lui. «Prego sta per chi diavolo credi di essere per darmi degli ordini

    Luca si incupì.

    «E allora perché non dirlo direttamente?»

    «Perché...» Becky abbandonò l’inglese e gli si rivolse in italiano. «Comunque farò come mi pare.»

    «E che accadrà la prossima volta, quando magari non ci sarò io a venire in tuo soccorso?»

    «Se ne sono andati.»

    «E se ti sbagliassi?»

    «Oh, smettila di fare tanto il saggio.»

    «Molto bene, come vuoi» rispose lui con un sorriso divertito, riempiendole ancora la tazza.

    Lei ne bevve un sorso soddisfatta. «Sai fare del buon tè, sono sorpresa.»

    «Io lo sono per come parli bene l’italiano.»

    «Me l’ha insegnato mia nonna. Era di qui. La casa in cui stiamo era sua.»

    «Emilia Talese?»

    «Sì, era il suo nome da ragazza.»

    «Noi siamo carpentieri da generazioni. Mio nonno lavorava per la famiglia di tua nonna.»

    Questo fu il loro primo incontro. Luca la accompagnò a casa, entrò e diede istruzioni al personale perché si prendesse cura di lei, come se avesse comandato su quella gente da tutta la vita.

    «E tu? Se quei mascalzoni ti stessero aspettando?»

    Il suo sorriso spavaldo fu una risposta sufficiente.

    2

    Il giorno dopo Becky uscì di casa presto, salì a cavallo e andò a cercarlo. Si era messa a letto pensando a Luca, era rimasta sveglia a immaginarlo lì con lei, si era addormentata solo per sognarlo. E si era risvegliata con in testa ancora e solo lui.

    Il ricordo della sua bocca la tormentava. Desiderava baciarla e sentirla rispondere al bacio. E quelle braccia, potenti come sbarre d’acciaio, dovevano a ogni costo stringersi attorno a lei. Lo sapeva con la sicurezza assoluta di una ragazzina a cui non era mai stato negato niente che volesse davvero.

    Becky non aveva mai baciato un uomo prima. Ma adesso che aveva conosciuto Luca, lo desiderava completamente, senza remore. Era come se il suo corpo si fosse risvegliato in un istante, inviando un messaggio al suo

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