Passione celata
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Info su questo ebook
Quando Alex Sabre riconosce Sanchia Stevens, anche la ragazza intuisce d'aver già conosciuto l'attraente avvocato. Purtroppo, però, l'amnesia che la tormenta ha celato dietro un velo nero ogni suo ricordo più recente. Sanchia sa che l'unico modo per abbattere quel muro è passare più tempo possibile con il misterioso Alex, che per qualche strano motivo sembra non volerle svelare tutto ciò che sa su di lei. Pur standole accanto, infatti, Alex ha deciso di resistere all'evidente attrazione fra loro. Cos'è stato lui per lei? Che cosa le sta nascondendo? E, soprattutto, cosa accadrà quando Sanchia scoprirà la verità sull'uomo di cui si è innamorata... di nuovo?
Elizabeth Power
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Anteprima del libro
Passione celata - Elizabeth Power
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Ruthless Reunion
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2006 Elizabeth Power
Traduzione di Matilde Lorenzi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-565-9
1
Era il viso nascosto dietro la macchina fotografica che incuriosiva Alex, come mai gli era capitato in nessuno dei tanti soggiorni lì alle Bermuda.
Quella breve vacanza di primavera, intrapresa per lasciarsi alle spalle i problemi finanziari di famiglia e la recentissima morte di Luke, non lo stava distraendo affatto, almeno fino a quell’istante.
La giovane donna era assorta a fissare nell’obiettivo lo splendore del cigno scolpito nel ghiaccio, esposto in una teca di vetro in fondo al salone da ballo dell’hotel, e lui ne approfittò per ammirarla impudentemente.
Alta, snella, poco più che ventenne, era una delle poche donne presenti alla festa che non vestisse di nero, cosa che per Alex significava uno spirito libero e indipendente. La massa luminosa di capelli corvini, scuri quanto quelli di Alex, creava un contrasto marcato con l’abito di raso color crema che le fasciava morbidamente i fianchi snelli. La scollatura era abbastanza profonda da lasciar intravedere il solco tra i seni generosi e Alex avvertì un’ondata di puro desiderio fisico, violento come non gli capitava da anni.
Era l’immagine di una donna sicura di sé, controllata, che non temeva di essere notata, anzi, pensò lui con la mente allenata alla ricerca di cavilli legali e non, una donna che desiderava l’ammirazione altrui forse per un inconfessato bisogno di conferme esterne.
In quel momento l’obiettivo si spostò su di lui e un lampo improvviso catturò il suo viso pensoso. La vide aprire la bocca, sorpresa dalla sua stessa audacia, e abbassare lentamente l’apparecchio mostrandogli finalmente il volto.
Alex rimase letteralmente senza fiato. Era il viso di un angelo o di una sirena! La pelle liscia e chiara come la porcellana risaltava contro i capelli scurissimi, la bocca tumida e rossa invitava a impadronirsene... ma gli occhi! Gli occhi erano liquide pozze scure, lievemente a mandorla, in cui le luci della sala si riflettevano e si rincorrevano, tra pagliuzze color dell’ambra.
Immobili, come ipnotizzati, rimasero a fissarsi per un’eternità, senza un sorriso né una parola. E all’improvviso Alex riconobbe in quello sguardo un dolore infinito, devastante.
Avrebbe voluto abbandonare le persone con cui era venuto per occuparsi solo della creatura misteriosa, ma una ragazza si avvicinò alla sconosciuta per mormorarle qualcosa e lei la seguì fuori dal salone.
Dopo le ultime, traumatiche, cinque settimane, Sanchia Stevens avrebbe fatto volentieri a meno di partecipare alla festa per celebrare la nuova ala dell’hotel, ma la giovane coppia che aveva conosciuto in quei giorni aveva tanto insistito, assicurando che le avrebbe fatto bene distrarsi un po’.
Poco prima Francine l’aveva raggiunta, perché lei e Rick volevano tornare al piccolo albergo dove alloggiavano tutti e tre. Lei però aveva deciso di restare ancora, anche se non a causa nel pallido giovanotto americano che le si era appiccicato all’inizio della serata, come credevano i suoi nuovi amici.
In realtà non voleva rientrare in albergo per non trovarsi di nuovo sola a pensare. I suoi amici non potevano immaginare che quella avrebbe dovuto essere la sua luna di miele, quindi l’avevano tranquillamente lasciata lì, a fotografare il cigno di ghiaccio e uno sconosciuto dall’aria affascinante.
L’uomo portava i capelli nerissimi un po’ lunghi, pettinati all’indietro, impeccabili come tutto il resto di lui, anche se l’elegante abito scuro, la camicia bianca e la cravatta potevano far poco per nascondere un corpo scolpito da lunghe sedute di palestra, forte, asciutto e incredibilmente virile.
Seduta su uno degli sgabelli del bar, Sanchia riusciva a scorgerlo in mezzo alle persone con cui aveva parlato tutta la sera, gente dall’aria importante tra cui riconobbe il proprietario dell’hotel, che aveva visto in una foto celebrativa appesa nella hall.
Lo sconosciuto spiccava tra gli altri non solo per la prestanza fisica, ma anche per l’alone di potere e sicurezza che lo circondava. Sotto l’abbronzatura bronzea da ricco in vacanza emergevano lineamenti enigmatici, severi e aristocratici.
Un brivido inspiegabile di eccitazione le corse lungo la schiena, seguito da un sussulto di aspettativa, quando lo vide accomiatarsi dai suoi ospiti e dirigersi verso di lei.
«Salve» la salutò lui con una voce profonda e avvolgente, tendendole la mano e fissandola con gli occhi grigi. «Voglio offrirle un drink. Posso?»
La stretta dell’uomo era in linea con il resto, pensò lei cercando di abbreviarla e recuperare la propria mano prima che il tremito che l’agitava fosse percepibile anche a lui.
«Forse. Ma immagino siano ben poche le cose che lei voglia fare e non possa» sottolineò con sottile ironia, facendo di lui l’ignaro bersaglio dell’amarezza che covava verso ogni rappresentante del sesso maschile. E anche per nascondere, a lui come a se stessa, la corrente spaventosamente potente che sentiva tra loro.
«Allora riformulo la frase. Potrei offrirle un drink?» Non era americano. Il suo accento perfetto lo denunciava senza ombra di dubbio come inglese, mentre il tono lievemente impaziente lo indicava come abituato al comando e all’ubbidienza immediata.
«Così è meglio. Ma la risposta è comunque no, grazie» replicò lei.
«Troppo complicato?»
«Decisamente troppo complicato» confermò lei e si rese conto che entrambi sapevano a cosa stavano alludendo. «Sposato?» aggiunse, senza chiedersi nemmeno perché la cosa la interessasse.
Era troppo pericoloso per lei!
«Sposato?» ripeté lui come fosse un’offesa. «No, non lo sono.»
In effetti, un sesto senso le diceva che non era il tipo d’uomo che se ne sarebbe andato in giro ad abbordare donne al bar se avesse avuto una moglie, per quanto strana sembrasse la cosa, dato il suo fascino.
«Come ti chiami?» le chiese lui, passando naturalmente al tu.
«È un prerequisito?»
«Scusa? Prerequisito per cosa?»
L’assurda attrazione che c’era tra loro la rendeva audace e quasi scortese, ma voleva in ogni modo lottare contro la forza di quel magnetismo. E aveva bevuto un po’ più del nulla cui era abituata, perciò riprese la schermaglia.
«Per il gioco.»
«Gioco?»
«Mi saluti. Mi offri da bere. Mi chiedi come mi chiamo. E finiamo a letto insieme. Non è così che funziona di solito?»
«Sei molto diretta!»
Anche tu saresti molto diretto, gridò una voce dentro di lei, se il tuo fidanzato si fosse appena ammazzato insieme alla donna con cui ti tradiva allegramente.
«Ci sono altri modi di essere?» Abbassò le lunghe ciglia per celare la sua sofferenza. «Perché nascondersi dietro a inutili pretese di buone maniere?»
«Giusto, perché?»
Ma non lo pensava davvero, capì lei, era solo un po’ colpito dalla sua spregiudicatezza.
«Sei sempre stata così cinica?» le chiese lui con un sorriso sexy che gli incurvava gli angoli delle labbra morbide.
Sanchia si chiese che effetto le avrebbe fatto sentirle sulle proprie.
«Cinica? Mi spiace. Non volevo.»
«Sicura?» Stava usando lo sguardo d’acciaio per tenerla stretta, come la accarezzasse in una sorta di audace preliminare.
E funzionava, si accorse con orrore lei. Ondate di desiderio fisico passavano tra loro da quando si erano visti vicino al cigno, e Sanchia si chiedeva come poteva essere così eccitata e disperata allo stesso tempo. La sua vita era in pezzi, eppure il suo corpo la spingeva assurdamente verso lo sconosciuto, nell’incontrollabile bisogno di riempire un vuoto troppo grande dentro di sé.
«Allora preferisci l’anonimato?» La voce bassa la fece sussultare. «Molto eccitante.»
«Perché no? Tanto non ci rivedremo più.»
«Ah, no?» La sicurezza affiorante in quella semplice esclamazione le suscitò la voglia di sfidarlo per frantumare ogni sua certezza, ma non trovò le parole. «Bene, ora che lo abbiamo stabilito, lascia che ti dica cosa...»
Lei non si accorse nemmeno di aver sollevato un dito e di averglielo posato sulla bocca per zittirlo. Rimase a fissarlo, colpita dalla sua stessa sfrontatezza. Poi in un lampo afferrò la macchina fotografica dal bancone e scivolò giù dallo sgabello per dirigersi verso il sicuro rifugio di un ascensore spalancato in attesa, senza sapere neppure dove stava andando.
Rimase ansante con la macchina fotografica a tracolla ad aspettare che le porte si chiudessero inghiottendola, quando una manica in abito da sera si infilò prepotente all’interno e il suo inseguitore entrò nella cabina.
Le porte si serrarono sibilando e loro si guardarono come due combattenti prima dello scontro.
Non avrebbe saputo dire chi dei due aveva fatto il primo passo, ma l’attimo dopo la bocca di lui si impossessò, avida e affamata, della sua, altrettanto vogliosa e appassionata.
L’ascensore di fermò nell’attico, al piano delle suite, e l’uomo si staccò da lei. La precedette fuori e attese, dandole implicitamente il tempo di ripensarci... e anche di fuggire, se era quello che desiderava.
Ma lei aveva già oltrepassato il punto di non ritorno e lo seguì mentre apriva una porta con la carta magnetica. Lui la strinse tra le braccia appena dentro la stanza, e lei sentì che non avrebbe potuto impedire quello che stava per accadere nemmeno se lo avesse voluto. Le loro bocche si unirono nel preliminare di quello che sarebbe poi avvenuto tra i loro corpi.
Alex si rese conto di stare usando quella stupenda donna per placare i suoi demoni, per cacciare le ombre che popolavano i suoi pensieri e sfogare su di lei la violenza che lo stava divorando da tempo. Avvertiva però che anche lei stava facendo qualcosa di molto simile. Che il cielo avesse pietà di loro, pensò mentre le faceva scivolare giù dalle spalle il sottile abito di raso. Poi il profumo della sua pelle morbida, la curva del seno pieno e turgido, i capezzoli eretti sotto le dita gli tolsero ogni altro pensiero.
Lo voglio! Lo voglio!, pensava Sanchia fremendo per i baci e le carezze sempre più intime.
La camera era nella penombra e solo un filo di luce proveniente dai lampioni del giardino filtrava attraverso le imposte.
Il grande letto matrimoniale cigolò lievemente mentre vi cadevano sopra avvinghiati, le mani curiose di conoscersi, le bocche affamate.
Quando le tolse anche l’ultima barriera del tanga di pizzo color carne, non ci furono più ostacoli per le sue dita abili e la sua lingua impudente.
Sanchia emise un gemito strozzato e si affrettò a slacciargli i pantaloni sotto ai quali l’evidenza del suo desiderio era tangibile, per poterlo accarezzare.
Non era più in grado di controllarsi, capì Alex frastornato da qualcosa che non aveva previsto e che non gli era mai capitata. Aveva trentasei anni, era un avvocato di successo, con una sfilza di donne adoranti ai suoi ordini, e ora saltava addosso a una sconosciuta senza nemmeno preoccuparsi