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Venerdì 17
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E-book256 pagine3 ore

Venerdì 17

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Romance - romanzo (183 pagine) - Si può incontrare l’uomo dei sogni di venerdì 17? Francesca, giovane, bella e intelligente, incontra Pietro, uomo cinico e scontroso, a un colloquio di lavoro, e se ne innamora. Riuscirà a conquistarlo e farlo capitolare?


Chi ha detto che l'amore perfetto esiste solo nei libri? A ventiquattro anni Francesca, giovane neolaureata in filosofia, ha lo sguardo puntato sul futuro e una manciata di sogni nel cassetto: trovare un nuovo lavoro, andare a vivere da sola e – soprattutto – fare l'insegnante. L'unica cosa che non le riesce proprio di sognare – sarà per via della separazione dei genitori – è il lieto fine in amore. Nonostante ciò, è una giovane ragazza molto esuberante, allegra ed estroversa, e non avendo un'occupazione stabile è costretta a convivere insieme alla madre e al fratellino di sei anni, Marco. È proprio in occasione del suo primo colloquio di lavoro, che avviene venerdì 17, che incontra Pietro, con cui inizialmente avrà diversi scontri e confronti anche a volte violenti, ma poi scoprirà che è veramente l’uomo di cui si è follemente innamorata.


Gina Cambareri, madre di cinque figli, è nata a Vibo Valentia il 24 maggio del 1974, e ha vissuto i primi anni della propria vita a Gioia Tauro. All’età di sette anni si è trasferita con i propri familiari a vivere nella ridente cittadina di Soverato, noto centro balneare della riviera Ionica, dove ha frequentato le elementari, le medie e il liceo linguistico. Nel 1995 si è iscritta all’Università degli studi di Messina laureandosi in filosofia, nel 1999. Nel 2003 si è trasferita a vivere a Verona, città nella quale lei e il marito hanno stabilmente fissato la residenza familiare, dove lei ha proseguito la carriera d'insegnante di materie letterarie. Da sempre appassionata alla scrittura, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo, Charlotte e il mistero del giardino, con la casa editrice Gilgamesh e il romanzo Domani mi sposo con Delos Digital.

LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2021
ISBN9788825416282
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    Anteprima del libro

    Venerdì 17 - Gina Cambareri

    9788825414325

    Capitolo primo

    Si aprirono le tende e, così come avviene in teatro quando si alza il sipario e i proiettori, dall’alto, illuminano gli attori, pronti in scena a recitare la loro parte, allo stesso modo i raggi del sole colpirono il viso di Francesca, che stava dormendo nel proprio letto.

    La musica iniziò, ma non era quella dell’orchestra che faceva da sottofondo allo spettacolo, si trattava della sveglia che lei, semi addormentata, spense con un colpo della mano.

    Sopraggiunse anche un coro, che non era quello delle coriste, ma delle grida di sua madre.

    – Sveglia, Francesca! È tardi! Non avevi il tuo primo appuntamento di lavoro? Sei già in ritardo. Sono quasi le nove!

    Lei guardò la sveglia. Erano le otto e mezzo, era tardissimo, doveva essere al colloquio di lavoro entro un’ora. Prese la sveglia in mano e, in tono di rimprovero, l’apostrofò: – Maledetta! Perché non mi hai svegliato? Adesso non ho tempo per prendermela con te, è troppo tardi. Devo correre…

    Balzò giù dal letto ma, avendo il lenzuolo attorcigliato alla caviglia, cadde a terra come una pera matura.

    La madre, che era appena uscita dalla stanza, sentito il forte tonfo, tornò indietro per vedere cosa fosse successo. Sbirciò nella camera, ma non vide la figlia.

    – Ahia! Che dolore!

    Si avvicinò al letto e trovò Francesca a terra.

    – Cosa ti è successo?

    – Mamma, sono in ritardo! Sai che odio fare le cose di corsa. Non ho ancora deciso cosa indossare.

    – Potresti mettere quel tailleur marrone che ti ho regalato per il tuo compleanno.

    – Mamma, siamo in primavera! Secondo te posso mettere un vestito invernale? Se non lo ricordi, oggi è il 17 maggio, venerdì.

    – Hai proprio ragione. È molto tardi anche per me, devo essere al lavoro alle nove, scusami cara, vado. – E uscì dalla stanza.

    – Grazie mamma, mi sei stata di enorme aiuto!

    Francesca ha ventiquattro anni, è alta, bruna, con gli occhi verdi. Ha un fisico snello, ma con un seno importante. Ha un carattere particolare, tiene molto all’esteriorità, infatti è sempre impeccabile nel vestirsi, nel pettinarsi, nel truccarsi, attenta ai minimi particolari del suo aspetto fisico, ma non solo al suo, anche a quello degli altri.

    Non cura, però, solo il suo aspetto esteriore, infatti, tiene molto anche alla sua interiorità e alla sua intelligenza. Sostiene di essere affamata di cultura, perciò si nutre di un’enorme quantità di libri.

    Si giudica un’esteta perché ama il bello, ma ha anche un grosso difetto: è una disordinata cronica e, per questo, non ci sono cure che la possano far guarire, neppure il suo perfettissimo fidanzato Alex, che è diametralmente il suo opposto, sia fisicamente, perché è alto, biondo e con gli occhi azzurri, che caratterialmente, perché per lui nulla dev’essere fuori posto. È un perfezionista, sia nel fisico – palestrato da far paura – sia nell'ambiente in cui vive: la sua casa è uno specchio.

    Alex, quando va a trovare Francesca, non manca mai di lamentarsi dicendo: – Come fai a vivere in questo caos?

    E lei, puntualmente, gli risponde: – Nel disordine si nasconde l'imprevisto, invece nell'ordine e nella perfezione c'è la prevedibilità.

    Lei si considera un tipo, il che a suo dire è uguale a essere figa.

    Francesca si è appena laureata in Filosofia a pieni voti, discutendo una tesi sulla critica della ragion pura di Kant.

    Il suo sogno era di insegnare filosofia in maniera innovativa, ma con un metodo tradizionale come quello socratico, cioè l’arte della maieutica, in altre parole riuscire a tirar fuori all’allievo pensieri assolutamente personali senza imporre le proprie vedute, com’era, invece, successo a lei nel corso dei suoi studi. Però, in un momento di crisi lavorativa che attanaglia i giovani, come quello attuale, ha dovuto abbandonare la sua aspirazione e cercare altro.

    Il suo primo appuntamento di lavoro riguarda, infatti, la selezione del personale in una società di servizi, un’opportunità che non poteva lasciarsi sfuggire. Ecco perché deve scegliere i vestiti, le scarpe e gli accessori giusti per essere assunta, però non ha più molto tempo per pensare.

    Aprì l’armadio, vi frugò dentro, tolse e gettò sul letto tutto quello che non le serviva, fino a quando non riuscì a individuare l’abito adatto.

    – Questo è quello giusto!

    Lo indossò, ma nell’abbassarsi per prendere le scarpe che erano sotto il letto dove, tra l’altro, c’era una sfilza di scarpe poste alla rinfusa, il vestito fece strap…

    – No, questo non ci voleva! Lo dicevo che non è il lavoro adatto a me. Forse è un segno del destino. Non devo andare a questo appuntamento.

    A quel punto, sentì una vocina proveniente dal letto accanto: – Ti ricordo, cara sorellina, che la disoccupazione oggi, in Italia, è al 20 per cento, e per i giovani dai 15 ai 30 anni supera il 35 per cento. Forse non dovresti rinunciare alla tua opportunità.

    A parlare era stato il fratellino, il cui linguaggio sembrava quello del telegiornale, tanto era forbito e dialetticamente impeccabile.

    – Mi domando, caro Marco, se hai otto anni o quaranta. Forse sei un nano travestito da bambino. Non dovresti essere a scuola? So bene che sei superiore ai tuoi compagni, ma purtroppo l’età anagrafica ti frega.

    – Devo segnalarti due cose molto importanti: la prima è che le mie maestre hanno partecipato a un’assemblea indetta dai sindacati, per discutere dei problemi delle pensioni, del precariato e dei salari…

    – Non farla lunga, non essere… – In quel momento non le veniva il termine giusto, era troppo nervosa per il ritardo e continuava a rovistare sul letto, dove aveva appoggiato, o meglio lanciato, in maniera disordinata, i suoi vestiti, per trovare qualcos’altro da indossare.

    – Sorellina, vorresti dire ripetitivo, logorroico, prolisso?

    – Basta! Vuoi andare avanti con il discorso di prima?

    – Non ricordo dove mi ero soffermato, anzi per essere più preciso, dove mi hai interrotto. Dunque, come dicevo, cercherò d’essere sintetico…

    – Poiché, però, non hai il dono della sintesi, ti aiuterò io. Le tue maestre sono in assemblea e la scuola è chiusa, stop. Verrà la nonna per stare con te? Dimmi che è così!

    – Vedo che, come al solito, non hai prestato attenzione. Ieri, quando ho riferito alla mamma che sarei entrato a scuola alle dieci, lei ha risposto che non poteva accompagnarmi, e che avresti provveduto tu.

    – È vero! Ora ricordo.

    Francesca prese il cellulare e compose il numero della nonna. Dall’altro capo del telefono le rispose una voce straniera. Lei chiuse, dicendo:

    – Come mai dal cellulare della nonna risponde una voce straniera?

    – Sei sempre più sbadata. Hai la testa tra le nuvole. Da parecchi giorni, la nonna non faceva che ripetere che sarebbe andata a trovare la sorella a Buenos Aires. Dovresti almeno rammentare i sentimenti e le esternazioni della nonna sulla sua paura di volare.

    Francesca lo troncò.

    – Tante volte mi domando se sono io che ho la laurea o tu? Poi ti guardo e dico: no, sono io. Facciamola breve, ti do ragione, ma adesso dobbiamo trovare una soluzione. Io, devo andare all’appuntamento di lavoro, e tu, a scuola. Ho trovato, ti lascio per una mezz’oretta da solo in casa, fino a quando non verrà Giulia a fare le pulizie. Ti accompagnerà lei!

    Lui, guardandola di traverso:

    – Sai cos’è questo per la legge italiana: abbandono di minore. Potrei chiamare il Telefono Azzurro, conosco il numero a memoria, ma, per sicurezza, sappi che l’ho anche trascritto su questa agendina, che mi porto sempre dietro, nella quale ci sono tutti i numeri più importanti. Perché, se dovessi perdere la memoria, questa potrebbe essermi d’aiuto.

    – Ma, se non hai neppure il cellulare, come potresti chiamare?

    – Questa volta devo darti ragione, però sono già organizzato per quando avrò il telefonino, anche se tu sai quanto ne sia contrario. Ieri ho letto un articolo su internet dei danni che può provocare il cellulare sul cervello umano.

    Francesca a ogni parola del fratello sbuffava.

    – Tornando al discorso di prima, pur non avendolo, potrei chiedere aiuto a un passante, sempre dopo essermi accertato che non si tratti di un maniaco, rapinatore o pedofilo, chiedendogli di farmi chiamare, ma dovrei disinfettare, prima, il suo telefono perché tu non sai quanti germi possano esserci su un cellulare.

    – Basta, ho capito, so bene che tu sei un igienista, disinfettatore, disinfestatore, e chi più ne ha, più ne metta. Adesso, però, dobbiamo essere pratici.

    – Oppure, potresti usare un sinonimo più adatto, pragmatici.

    – Va bene, pragmatici, come dici tu. Facciamo così – ci pensò su e aggiunse – vestiti, nano, che ti accompagno a scuola.

    – Allontanati, sai che ho bisogno della mia privacy, della mia intimità.

    – Come? Tu hai seguito passo passo quel che facevo, e ora mi dici che hai bisogno di essere lasciato solo? Lo faccio, ma esclusivamente, perché è tardi.

    Marco rimase in camera a vestirsi, mentre e lei andò, prima in bagno a truccarsi, e poi, in cucina, dove, per svegliarsi, preparò un buon espresso.

    Poco dopo arrivò il fratello, prendendo posto sulla sedia accanto al tavolo, e lei:

    – Cosa fai? Dobbiamo andare!

    – Sai che la colazione è un pasto molto importante, che, come dicono tutti i nutrizionisti, non si può saltare.

    Francesca, per farlo star zitto, gli infilò un biscotto in bocca o lo trascinò con sé, fuori di casa.

    Capitolo secondo

    Chiusa la porta, Francesca frugò nella borsa, dove c’era di tutto: fazzolettini sporchi, scontrini inutili, biglietti dell’autobus scaduti, e tanto altro ciarpame, ma mancava la cosa più importante: le chiavi di casa.

    – Accidenti, ho dimenticato le chiavi dentro casa. Ok! Non mi faccio prendere dal panico, vuol dire che la casa la chiuderà a chiave Giulia, quando andrà via.

    Chiamarono l’ascensore, che non arrivava. Si udiva, però, il suono della campanella dell’allarme, che rimbombava nel vano scale.

    – È rimasto qualcuno bloccato dentro – dissero, insieme.

    – Come al solito. Vorrei sapere quando lo sistemeranno quest’ascensore – aggiunse il bambino.

    – Non è possibile! Oggi va tutto storto.

    – Forse, è un segno del destino. Non dovrei andare a scuola.

    – Come? Mi hai fatto la morale prima, e adesso, per te, valgono i segni del destino?

    – Cara, non siamo tutti uguali, c’è chi è un gradino più in alto come me, e chi non lo è – ribatté, indicandola.

    – Adesso scendi dal pulpito e andiamo giù per le scale.

    – Vorresti dire che dobbiamo fare otto piani a piedi?

    – Forse hai un’altra soluzione, genio?

    Lui fece cenno di no con il capo, e iniziarono a scendere giù a piedi.

    Arrivati in strada, Francesca prese dalla borsa le chiavi dell’automobile, ma con un gesto maldestro finirono dentro la grata dello scarico delle acque piovane, posta accanto al marciapiede.

    – No! Questo è troppo.

    Cercò con vari sistemi di riprendere le chiavi, ma non ci riuscì. Decise, così, di rinunciare all’auto. Accortasi che, dall’altra parte della strada, stava passando, in compagnia della madre, un compagno di Marco, disse al fratello:

    – Quello non è Matteo, il tuo compagno?

    – Sì! Non mi è simpatico, perché mi prende sempre in giro per il mio parlare forbito.

    Francesca, non gli diede ascoltò, e chiamò la madre del ragazzo:

    – Signora!

    Il primo a girarsi fu Matteo, che fece una linguaccia a Marco, e, subito dopo, la madre:

    – Ciao Marco, stai andando anche tu a scuola?

    – Mi scusi signora, posso chiederle una cortesia, potrebbe accompagnare anche Marco?

    – Sì, volentieri. Tu sei la sorella? Me l’aveva detto Matteo che Marco ha una sorella più grande. – Stava per continuare, ma Francesca la interruppe, perché, con la coda dell’occhio, aveva visto arrivare l’autobus.

    – Mi scusi signora, se sono brusca, ma ho un improrogabile impegno di lavoro. C’è l’autobus, devo scappare. Grazie! – E corse via.

    Mentre stava per salire sull’autobus, Francesca si sentì cedere un piede, perché si era rotto il tacco della scarpa, e, proseguendo con la sfortuna, essendo il bus strapieno, fu spinta in avanti, ove, per fatalità, l’ampia gonna s’impigliò nello spigolo di un sedile, strappandosi.

    Ripeteva, tra sé, per convincersi: Francesca, non pensarci, devi stare tranquilla, si tratta solo di un’altra coincidenza negativa.

    A un tratto, un signore che si trovava accanto a lei, urlò:

    – Al ladro! Al ladro! Mi hanno rubato il portafoglio.

    L’autobus era, finalmente, arrivato alla sua fermata, Francesca si avviò per scendere, e, proprio mentre era sul gradino, le squillò il cellulare, ma, nel tirarlo fuori dalla borsa, venne giù un portafoglio di foggia maschile.

    Il derubato, che si trovava proprio dietro di lei, intento anch’egli a scendere, visto il portafoglio, gridò:

    – Ho trovato il ladro! Prendetela! È lei!

    – Ma, io non ho rubato nulla!

    – Allora, come mai ha il mio portafoglio nella sua borsa?

    Francesca, bloccata dai presenti, fu trascinata all’interno del commissariato che, si trovava a poche decine di metri dalla fermata dell’autobus. Appena arrivati, lei e il derubato, prese le loro generalità, furono fatti accomodare in sala d’attesa. Furono, così, costretti a sedere l’uno accanto all’altro, poiché tutti gli altri posti erano occupati. Sedettero dandosi le spalle, senza scambiarsi neppure una parola.

    Lei pensava, tra sé:

    Io che non ho mai avuto una multa, che ho sempre fatto le cose regolarmente, ora mi trovo a essere accusata di un reato che non ho commesso. Non può essere vero, starò sicuramente sognando.

    In quel mentre le squillò, nuovamente, il cellulare, e l’uomo che l’era accanto fece una battuta poco simpatica:

    – Presti attenzione che non le cada qualche altro portafoglio. – Fece una smorfia, e rispose al telefono:

    – Pronto!

    – La signorina Francesca Wolf?

    – Sì, sono io, mi dica.

    – Sono la maestra di suo fratello… – proprio in quel momento nella sala risuonò una voce:

    – La signorina Wolf e il Signor Maina vengano pure. Il commissario li aspetta.

    – Mi dispiace, ma devo chiudere, il commissario mi attende. – interruppe la chiamata e mise il cellulare in modalità silenzioso.

    – Signorina! Come…, il commissario… ma, io, devo parlarle…

    Entrarono nella stanza, dove seduto alla scrivania, un uomo stempiato con lunghi baffi, un po’ sovrappeso si presentò:

    – Sono il commissario De Andrei, prego, sedete.

    Entrambi lo fecero, e Francesca iniziò subito a parlare:

    – Sono stata accusata di aver rubato il portafoglio al signore, cosa, assolutamente, non vera.

    – Anzitutto favorisca i suoi documenti.

    Francesca cercò nella borsa, e, non riuscendo a trovarlo, la svuotò sulla scrivania. Sia l’uomo, che il commissario, la guardavano esterrefatti.

    – Scusatemi, ma non trovo il mio portafoglio. – e il signor Maina, in tono sarcastico:

    – Certo, se ruba i portafogli degli altri, cosa se ne fa del suo? Probabilmente è una straniera, senza permesso di soggiorno. Già dal cognome si capisce tutto.

    – Senta, io sono italiana a tutti gli effetti, sono nata in Italia e cresciuta qui, i miei genitori sono italiani, mio nonno paterno era inglese e apparteneva alla nobiltà londinese, è per questo motivo che porto un cognome straniero. Io, sono una persona perbene, ma cosa posso spiegare a lei che, oltre a essere ignorante, è anche razzista?

    – Non si deve permettere! Lei non sa chi ha davanti a sé.

    Il commissario cercò di placare gli animi, e troncare ogni discussione.

    – Adesso basta, mi sembra di stare davanti a due maleducati, non a persone perbene come dite di essere.

    – Cerca se la signorina ha precedenti penali – ordinò al poliziotto accanto a lui.

    – Io, sono un’onesta cittadina.

    – Basta parlare. Non comprometta ancora di più la sua posizione.

    Francesca zittì, mentre il poliziotto, a seguito della ricerca eseguita al computer:

    – Commissario, c’è un precedente.

    A queste parole, il derubato disse a bassa voce: Lo sapevo.

    Il poliziotto lesse:

    – È stata denunciata dal proprietario di un supermercato per il furto di alcuni generi alimentari.

    – Scusi – replicò Francesca – ma era una bravata da ragazzi. Guardi la data, è avvenuto più di dieci anni fa.

    Il commissario si avvicinò al computer e constatò:

    – Effettivamente, la data è di dieci anni fa, ma questo non vuol dire nulla, lei ha un precedente. Adesso vorrei sapere dal signor Maina come si sono svolti i fatti. Corsini, trascriva la denuncia, poi sentiremo la versione della signorina Wolf.

    Il Maina iniziò il suo racconto dicendo:

    – Questa mattina, purtroppo, la sveglia non ha suonato, sono sceso sotto casa e non ho trovato la mia automobile, probabilmente avevo dimenticato del lavaggio notturno delle strade, l’avrà portata via il carro attrezzi. Volevo chiamare l’autista della ditta presso la quale lavoro, ma il mio cellulare era scarico.

    Francesca se la rideva sotto i baffi.

    – Mi scusi, ma a me sembra che non ci sia nulla da ridere – disse il commissario, infastidito.

    – Capirà perché rido, quando sentirà cosa è successo a me.

    – Vada avanti signor Maina.

    Lui, prima di riprendere a parlare, lanciò uno sguardo di sfida verso la donna.

    – Ho deciso, quindi, di prendere l’autobus,

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