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La Sibilla e la Massoneria
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E-book173 pagine4 ore

La Sibilla e la Massoneria

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Info su questo ebook

È pur vero che «Le cose di questo mondo sono complesse e determinate da vari fattori. Un problema va esaminato sotto i suoi differenti aspetti e non sotto uno solo.»  (Cit. Mao-Tse-Tung) . 
Di opere sulla Sibilla non è certamente priva la saggistica, cui questo lavoro aggiunge una lettura inconsueta dalla comune produzione storico-letteraria. 
Lo scritto nasce dall’esame della Sibilla, considerata nesso e mediazione di simboli e di metafore che appartenevano all’antica mitologia, patrimonio comune per tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo. 
La Sibilla pensata quale astrazione matematica dal mondo greco, utilizzata quale rapporto geodetico dai Romani e sopravvissuta all’aura di magia attribuitale nel Medioevo, riapparve nel periodo rinascimentale emblema e anelito alla libertà della persona. 
È stata la determinazione delle Accademie, assegnando all’immagine della Sibilla l’inconfondibile e la chiara fisionomia volta al conseguimento della libertà e dell’unità politica della Penisola, a portare avanti il “linguaggio” al cui lessico la Massoneria italiana ha attinto le sue caratteristiche intellettuali coinvolgendo altri popoli e altre Nazioni. 
La Sibilla fu il principale riferimento per le associazioni, per le vicende e per le persone che hanno “fatto” il Risorgimento nelle Marche. 
LinguaItaliano
Data di uscita9 dic 2022
ISBN9791280990198
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    Anteprima del libro

    La Sibilla e la Massoneria - Emanuela Properzi

    Premessa

    Questo libretto, non è stato scritto per chi crede nella magia e nemmeno per chi ricerca il mistero nei dubbi proposti dalla Storia.

    Lo scopo è più modesto ma allo stesso tempo più ambizioso, ossia quello di fornire una lettura riguardo alla natura della Sibilla o delle Sibille.

    La narrativa, attingendo ai racconti della mitologia e ai testi della letteratura greca e romana, ha consegnato la convinzione, poco persuasiva, che le Sibille fossero donne presenti nei templi la cui esperienza e conoscenza fossero volte esclusivamente alla divinazione.

    All’approfondimento delle conoscenze del mondo classico fu certamente fatale la crisi irreversibile del paganesimo, ma non venne per niente dimenticato il patrimonio riguardo alle abilità acquisite dalle Sibille. A qualche persona del Cristianesimo di grande cultura (san Gregorio Magno), non sono mancate, idee chiare in merito al sibillinismo.

    Nel corso del tempo, lo spiraglio per accedere alla consapevolezza riguardo alla vera natura della Sibilla si era avuto nel periodo delle crociate nei contatti con il mondo orientale sia da parte dei Templari sia dalle ricerche condotte da colti ecclesiastici inviati a vario titolo in Oriente.

    Ma la soluzione del sibillinismo era (ed è) in quel singolare documento di pietra graffito sulla parete di roccia di Palazzo Borghese nell’Appennino centrale.

    Cecco d’Ascoli, che qualcuno aveva avvicinato a Mago Merlino, era riuscito a individuare la rappresentazione che avrebbe portato parecchi chiarimenti in merito alla vera natura delle Sibille. L’Ascolano, figlio del suo tempo, interpretò la figura in chiave religiosa accostandola ai segni demoniaci presenti nel Libro di Enoch. Un secolo dopo la tragica morte del Poeta ascolano, con la consapevolezza che nelle parvenze magiche delle Sibille vi potessero essere sviluppi differenti e più profondi, le Accademie s’incamminarono per il difficile percorso di ricostruzione dell’antico pensiero che aveva portato alla nascita del sibillinismo.

    La cultura delle Accademie si rivolse inizialmente allo studio della linguistica, alla lezione legislativa pervenuta dalla romanità e lesse, nel simbolismo connesso alle Sibille, l’umano desiderio di libertà. In Italia, la Massoneria continuò l’originale percorso delle Accademie nella considerazione delle Sibille e ne acquisì caratteri e contenuti intellettuali propri, rielaborò le metafore quali espressioni grafiche del sibillinismo e pertanto indicò autonomamente « le linee dell’edificio cui avrebbero lavorato i Liberi Muratori…» [1] .

    Le idee politiche e socio-economiche portate avanti fin dal secolo XVIII dai Liberi Muratori italiani sopravvissero alla stagnazione scientifica del secolo successivo e fecero in modo che la figura della Sibilla fosse allontanata dal mondo del magico dal quale sembrava essere venuta e si riappropriasse della sua vera natura.


    Introduzione

    Non avevo assolutamente intenzione di prendere in mano, di studiare ulteriormente e di aggiungere nuova argomentazione a una problematica difficile e abbondantemente trattata in tanti modi e fin troppo spesso piegata ad argomentazioni diverse com’è lo studio sulla natura della Sibilla.

    La storia stessa del sibillinismo costituisce un intrigo di difficile soluzione e forse, si mostra necessario, all’occorrenza comprendere fino in fondo alcune fonti classiche talvolta distanti tra loro e non sempre assoggettabili a una completa fusione.

    Nel tempo, ho però potuto costatare quanto la figura della Sibilla continua a essere viva e a parlare alla fantasia degli uomini. «… Quo magia attendere coepi, veterum testimonia colligare, collecta inter se componere. Sic natum huius libelli scribendi consilium…. [1] »

    A farmi non è stato solo il mio innamoramento per la storia romana ma l’idea di quanto il pensiero scientifico sia debitore alla magia intesa quale volontà di indagare le leggi della natura. La magia fu dunque, per dirla con Frazer, la sorella maggiore e bastarda della scienza.

    A spingermi alla trattazione presente è stato inoltre il desiderio di chiarire quanto ho affermato in fine a un mio precedente lavoro ( I Templari, le Marche e il Santo Graal, ed. Nisroch, Recanati 2021). Il mio antecedente scritto mostra mancanze di un dovuto approfondimento riguardo alle conoscenze che gli Ordini cavallereschi e pure i Templari acquisirono nella vicinanza con i popoli mediorientali. Le esperienze che riportarono in Europa dal Medio Oriente, dalla fine del XIII secolo, sembravano allora giustificare le accuse d’incomprensibili pratiche esoteriche da decretare l’interessamento della Chiesa fino a determinare la fine degli stessi Ordini cavallereschi. Sviluppare l’argomentazione in tal senso in un lavoro già abbondantemente complesso sarebbe stato apportarvi un ingiustificato appesantimento e le spiegazioni a riguardo ne avrebbero sicuramente sofferto.

    Altra ragione è che, con il presente, posso cogliere l’opportunità di rendere omaggio a mio marito, Giovanni Rocchi, che ha portato alla luce testimonianze e, con esperto occhio critico, ha saputo interpretare e vagliare documenti complessi, non tralasciandone alcuno riguardo alla Sibilla Appenninica. Sua è stata la lettura e l’intuizione della complessità del disegno sistemato sopra il lago della Sibilla o come comunemente è chiamato lago di Pilato.

    Con immensa e certosina pazienza egli ha cercato di ricostruire il pensiero di tempi tanto lontani, all’origine stessa della Storia. Sistemando il sibillinismo in un ambiente filosofico e religioso nato e sviluppato, a suo giudizio, per gran parte nell’area picena ne ha offerta una lettura quantomeno originale.

    Attraverso la volontà di dare all’impostazione dei suoi scritti, soluzione di valenza scientifica e attraverso la competente, personale e valida interpretazione dei segni grafici piceno-etruschi e della comprensione della lingua picena ed etrusca è giunto a conclusioni inattese ma nel contempo e, a rigor di logica, inaspettatamente e inconfutabilmente veritiere.

    Giovanni Rocchi ha certamente aperto una strada per chi intende studiare non solo la questione del sibillinismo ma la problematica archeologia centro-italica salvaguardandone i contenuti nella ricerca di nuove e concrete soluzioni.

    È stata di certo una sua felice intuizione quella di titolare, a esplicitare le sue competenze in materia di civiltà picena e di sibillinismo, uno dei suoi numerosi e complessi lavori in merito, con: Sibilla = Disegno di Dio (ed. Com. Fermo 1996). Concetto non molto distante dalla definizione offerta da sant’Isidoro da Siviglia, che, nel suo Etymologiae, spiegava il termine di Sibilla interpretandolo la mente di Dio.

    Il mio scritto che, per gran parte si avvale e si avvantaggia di quello del consorte, intende fin dall’inizio avviare un’insolita e originale impostazione per giungere a un risultato che, per quanto possa sembrare diverso, difforme lo è solo in parte.

    Ho elaborato l’indagine nella quasi persuasione che le tematiche proposte e compendiate dal sibillinismo, sono da considerarsi il punto di partenza per il pensiero scientifico occidentale. Esse, in un certo modo, vennero a costituire un elemento preponderante nell’esperienza della religione primitiva di tutti i popoli che si affacciavano sulle sponde del Mediterraneo che Fernand Braudel definì «il mare che unisce e non che divide».

    Nel corso del tempo, il difficile inizio della scienza moderna determinò la nascita, in Europa, di movimenti filosofici volti a spigare le difficoltà che si erano evidenziate nell’evoluzione del lungo percorso scientifico.

    La filosofia positivistica portò avanti, tra la fine del secolo XIX e l’inizio del successivo, con un discreto successo, la tesi del mancato contributo dell’antichità [2] allo straordinario e progressivo avanzamento della scienza e fece credere che, nell’antichità fosse inesistente il progresso tecnologico coniugato alla scienza e all’economia.

    Solo negli ultimi anni, si sono riscoperte e ampiamente valorizzate le indagini scientifiche dell’antichità particolarmente dal II secolo a. C., da quando avvenne la divisione tra la filosofia e la scienza.

    Possiamo pertanto avanzare l’ipotesi che alla Sibilla e non ad altre divinità fosse assegnata la facoltà di leggere il libro dell’universo e che era lei a conoscere la «lingua matematica e i caratteri che sono i triangoli, cerchi ed altre figure geometriche senza i quali è impossibile intendere umanamente parola.» [3].


    La conoscenza geografica nell'antichità

    L’ereditiera

    La mancata chiarezza riguardo all’immagine della Sibilla, in cui alcune volte prevalsero le divinità legate al Regno dell’Oltretomba, a volte i caratteri di solitaria donna dall’indole perversa, a volte la pizia che divinava nell’oscurità della grotta, pare derivare dall’interpretazione fornita, nel corso della storia, dalla favolistica di popoli diversi per condizioni di vita e sensibilità religiosa. Nonostante ciò, in tutte le visioni della Sibilla vi fu sempre, denominatore comune, il possesso dei termini temporali e geografici. L’estensione delle terre e dei mari, la visione del cielo e la configurazione delle stelle e delle costellazioni avevano dato agli uomini l’idea dello Spazio, ugualmente l’osservazione del susseguirsi dei cicli stagionali e lunari [1] avevano consegnato loro l’esperienza del Tempo.

    Il primo calendario basato su fattori astronomici fu egizio in cui il primo giorno dell’anno corrispondeva a quello in cui all’alba era visibile la stella Sirio [2]. La stella fu accostata alla raffigurazione di Iside (Aset) che tracciava, per gli Egizi, lo scorrere del Tempo, ma la Dea descriveva l’estensione del cielo e delle terre perché a lungo aveva vagato per ritrovare e ricomporre il corpo di Osiride, suo amato sposo.

    Era dunque la Dea a mostrare la vastità delle terre e della volta celeste, la durata del tempo, l’avvicendarsi dei giorni, i periodi delle nascite attraverso le fasi della Luna, il susseguirsi delle stagioni e il riproporsi dei fenomeni cosmici. Per aver ricostituito e sottratto alla corruzione il corpo smembrato di Osiride e per averlo protetto, era Iside a stabilire il confine tra la vita e la morte e fu raffigurata con le ali e il suo culto fu associato alla magia.

    Lo spirito critico e logico greco, fin dall’inizio, fece la differenza tra le conoscenze astronomiche e geografiche e la matematica e la fisica sia egizie sia babilonesi abbondantemente giovandosi sia delle une sia delle altre. Fu nel IV secolo a. C., che la scuola di Alessandria [3] precisò, nell’equazione Spazio-Tempo [4], l’enunciato di Sibilla e, tralasciandone le potenziali ipotesi [5], mise a disposizione i risultati fruibili nell’immediato.

    I Greci avevano applicato termini matematici al concetto di Tempo e di Spazio e ne avevano raffigurati i limiti nel numero periodico Π [6] ma, raccolti in un’unica visione espressero la sommatoria nella lettera Σ e la Sibilla fu la variante.

    Per il fatto di avere la padronanza della misura sia dello Spazio e sia del Tempo, la greca Sibilla rappresentò la conoscenza di ogni limes compreso quello della vita degli uomini e di tutti i viventi e, come Iside, fu raffigurata valido tramite con il sotterraneo e quindi con l’Oltretomba.

    Nel mondo greco la figura della Sibilla fu compendiata nell’elaborata narrazione di Persefone (Proserpina). Il mito restrinse la spiegazione della ciclicità presente nella Natura e il vagare di Demetra (Cerere) rappresentò l’estensione della Terra. Le cerimonie in onore di Demetra (Cerere) terminavano a Eleusi nell’Attica, dove il lungo peregrinare aveva condotto la Dea [7] alla ricerca della figlia Persefone (Proserpina). Le festività eleusine [8] indicavano i tempi delle semine che, assieme a quelli del raccolto, erano i più importanti dell’anno.

    I Misteri eleusini prendevano inizio dalla narrazione di Proserpina (Persefone) che, rapita da Ade, era condotta nel regno degli Inferi. Alla giovane Sposa era stato offerto il frutto del melograno quale contenitore del seme e quindi della vita ma era anche espressione della morte perché il seme era chiuso nella sua tomba ossia nello stesso frutto.

    I Greci videro nel frutto del melograno la simbologia della nascita e della morte ma per la rotondità il frutto era la configurazione della Terra.

    La Fanciulla, avendo accettato di mangiare tre chicchi del frutto della pianta che cresceva nell’Oltretomba, non avrebbe potuto più lasciare il luogo dove Ade l’aveva condotta.

    La madre Cerere (Demetra) con il ricatto di non far più fruttificare ogni lembo di territorio non smise di chiedere con ostinazione a Giove il ritorno sulla Terra della sua Proserpina. Il Padre degli dei acconsentì, nonostante che la Giovane avesse mangiato il frutto simbolo del regno di Ade, che vivesse con la madre sei mesi l’anno. Erano i mesi della primavera e dell’estate in cui la Natura rifioriva e dava i suoi frutti.

    A nessuno, neppure alla Regina degli Inferi, era consentito lasciare il regno di Ade senza il consenso di Giove, nondimeno la mitologia classica indicava la Sibilla, considerata astrazione del Tempo e dello Spazio, l’unica in grado di trasgredire il precetto e di oltrepassarne i termini.

    La narrativa greca, pur conferendo alla Sibilla specifiche competenze spazio-temporali, non mancò di fornirle di un corpo fisico e di identificarla nelle tante pizie che, presso i templi di Apollo, profetizzavano comunicando oracoli poco comprensibili mettendo in comunicazione il regno dei viventi con l’Oltretomba.

    Attraverso i coloni greci giunti in Italia prima dell’VIII secolo a.C. [9], la Sibilla era entrata a far parte del patrimonio culturale del mondo italico quale sintesi di ogni forma di conoscenza e servì ai Romani per fruire dei risultati cui erano giunti popoli precedenti nei saperi tecnici e nelle conoscenze geografiche. Quando le competenze del sibillinismo furono raccolte, due secoli dopo e secondo le istruzioni di Pitagora, nei Libri sibillini, esse erano già state usate da Romolo, per tracciare il solco sacro e fondare Roma. Alle Sibille, che i popoli del mare avevano definito quali punti geodetici indicandoli nei tanti segnacoli disseminati nelle isole e sulle coste del Mediterraneo, in Italia furono attribuiti caratteri ancora più concreti che

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