Gli imperi del Medioevo
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Da Carlo Magno alla caduta di Costantinopoli
Nel 476 d.C. cadde l’impero romano d’occidente ed ebbe così termine l’estrema fase della vita imperiale contraddistinta dalla presenza di sovrani che rivestirono di aspetti cristiani l’intima struttura dello stato pagano.
Fra il VI e l’VIII secolo, però, la tradizione dell’antico Impero si mantenne viva e rappresentò con la Chiesa uno dei princìpi universali che guidarono Roma e l’Occidente. Con l’800 l’Impero rinacque poi con Carlo Magno e i successori e, sotto contenuti politici differenziati e dinastie diverse – Ottoni, casa di Franconia, Svevi, casato di Lussemburgo e di Boemia –, giunse fino a Massimiliano d’Asburgo, il cui nipote Carlo V ebbe in sorte il premio di ravvivare, nel XVI secolo, la fiaccola imperiale. La stessa idea risultò scolpita alla base dell’Impero d’Oriente rimasto in vita per un millennio, sino al 1453, fondando a Costantinopoli la “seconda Roma”. Anche quella bulgara fu, a suo modo, una formazione imperiale. L’autore si domanda, quindi, quale sia stato lo spirito che animò questa istituzione, quali le condizioni ideali della sua nascita, che tipo di ordinamenti abbiano preso corpo, come sia stata fondata e a quali progressive trasformazioni sia risultata sottoposta.
Gli argomenti di questo libro:
Il concetto di impero
L’impero d’occidente
• la realizzazione del nuovo soggetto politico: l’impero di Carlo Magno
• il sacro romano impero della nazione germanica e gli ottoni
• l’impero della casata salica
• l’impero della casata sveva
• il tramonto della potenza sveva e dell’impero
• l’impero dalla seconda metà del trecento alla fine del medioevo
L’impero bizantino
• l’impero d’oriente e il suo periodo “romano”
• Giustiniano imperatore (527-565)
• l’impero d’oriente nel periodo “arabo”
• Bisanzio dalla conquista latina alla restaurazione greca (1204-1264)
• l’impero bizantino nel trecento
• l’assalto turco all’occidente
• la caduta di Costantinopoli: la fine del millenario impero
Gli imperi bulgari
Ludovico Gatto
professore emerito di Storia medievale presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Roma la Sapienza, è autore, fra l’altro, di L’atelier del medievista, Viaggio intorno al concetto di Medioevo. Con la Newton Compton ha pubblicato: La grande storia del Medioevo, Le grandi donne del Medioevo, Storia di Roma nel Medioevo e Gli imperi del Medioevo.
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Anteprima del libro
Gli imperi del Medioevo - Ludovico Gatto
398
Prima edizione ebook: aprile 2016
© 2003 Newton & Compton editori s.r.l.
© 2016 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-9451-9
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Corpotre, Roma
Ludovico Gatto
Gli imperi del Medioevo
Da Carlo Magno alla caduta di Costantinopoli
ominoNewton Compton editori
Il concetto di Impero
È stato più volte messo in evidenza come nell’età di mezzo la nazione divenga una componente strutturale comune della fisionomia politica e culturale dell’Occidente, una formazione sconosciuta nel mondo romano ove invece si affermò l’Impero. Imperator – è noto – indicò la persona insignita di una auctoritas volta al comando, il vincitore di una difficile pugna, colui che riusciva ad aver ragione di un possente nemico, il comandante. Si pensi a Publio Cornelio Scipione l’Africano cui fu conferito – ce lo ricorda Livio – un eccezionale modello di imperium in occasione delle sue vittorie in Spagna e, ancora, a Giulio Cesare, condottiero supremo e invitto.
Fu però da Ottaviano in poi, fra il 43 e il 40 a.C. che il titolo di Imperator fu considerato ereditario e stette a significare la più sintetica designazione del capo dello Stato romano, inteso nella sua ormai enorme composizione territoriale. Da allora in poi il concetto di Impero divenne sempre più difforme da quello di Repubblica, si trasformò e si ampliò da un monarca all’altro, assumendo via via sempre più estesi e precisi poteri politici, economici, sociali, amministrativi e soprattutto militari; inoltre costituì un processo di lunga durata, in qualche modo destinato a sfidare i secoli mediante la successione volta a conservare lo scettro nelle mani di una stessa dinastia. Ma v’è di più: da Cesare in poi si affermò il culto della personalità del capo dello Stato, considerato a tutti gli effetti divus – divino – e al quale fu tributata in taluni casi la adoratio. Inoltre egli venne di volta in volta denominato Caesar – ovvero gli si conferì il cognomen del capostipite della Giulia gente
– Augustus, pontifex maximus, censor perpetuus.
Con Diocleziano e soprattutto con Costantino si verificò poi una successiva trasformazione che fece dell’Impero una monarchia assoluta di tipo quasi orientale, ritenuta una forma statale superiore e differente da ogni altra che trasformò la sua guida in una sorta di Dio in terra, il figlio di Giove: tanto è vero che l’ostacolo più grande all’accettazione del cristianesimo da parte dei successori di Augusto fu essenzialmente rappresentato dal fatto che i credenti in quella nuova fede si rifiutavano nel modo più categorico di riconoscere la forma divina
dei vertici dell’organizzazione politica romana, essendo convinti assertori del più rigoroso monoteismo. Di qui la condanna dei seguaci di Cristo e le persecuzioni ripetutesi dall’età di Nerone a quella di Diocleziano.
Il sovrano cui spettò poi il merito di comprendere che i sostenitori del nuovo credo erano ormai divenuti una parte integrante della compagine romana e che conveniva non ostacolarne lo sviluppo, mentre bisognava ricercarne l’assimilazione per renderli meno pericolosi, ammesso che realmente lo fossero, fu Costantino il quale nel 313 d.C. concesse loro la libertà di culto. Dal 313 al 476, data della deposizione di Romolo Augustolo, si ebbe quindi l’estrema fase della vita imperiale occidentale, contraddistinta dalla presenza di sovrani che rivestirono di aspetti cristiani l’intima struttura di uno Stato tuttora pagano, indissero e presiedettero i concili, a cominciare da quello di Nicea (325), prendendo posizione sulla determinazione e l’applicazione dei dogmi nonché sulle prime controversie religiose tese a minacciare pericolosamente l’unità della Chiesa di recente affermatasi, unità raggiunta dopo secoli di stenti e di persecuzioni e quindi da preservare come il bene più caro.
Con ciò si deve allora mettere in luce che dal vi secolo all’viii la tradizione dell’antico Impero si mantenne viva e rappresentò, per esempio, con la Chiesa e il papato, uno dei princìpi universali su cui si fondò la città di Roma. In più modi rifulse allora pure in molteplici zone dell’Occidente la tradizione della gloria romana volta, come s’è detto, a costituire una sorta di grande corso d’acqua in cui confluirono le correnti ideali della nuova civiltà. Tuttavia al di sopra dell’Impero augusteo spaziò la rappresentazione della concezione ecclesiastico-religiosa in cui più forte della transeunte potenza imperiale prevalse la nuova, imperitura gloria della Roma cristiana, della città di Pietro e di Paolo, dei martiri della nuova fede e dei primi pontefici, a far tempo da Silvestro i, colui che avrebbe conferito il battesimo a Costantino.
E dunque della forma Imperii, pur se rimase in voga il suo nome, non prevalse nell’alto Medioevo il ricordo secondo la concezione di Cesare, di Augusto e dei suoi successori da Adriano a Traiano, bensì l’immagine dell’Impero cristiano degli ultimi centocinquant’anni, dal 313 al 476, ravvivato dalla fascinosa leggenda del Costituto di Costantino, il famoso falso predisposto dagli ambienti ecclesiastici romani nella seconda metà dell’viii secolo, con tutta probabilità di poco precedente alla grande incoronazione di Carlo Magno, incoronato imperatore per mano di papa Leone iii nell’800. Lo stesso Costituto restò indelebilmente rappresentato nel celebrato mosaico del triclinio papale in San Giovanni in Laterano che simbolicamente esaltò i concetti posti alla base della suddetta fonte, ossia il raccordo del nuovo Impero con quello romano-cristiano di Costantino: da un lato di quell’opera d’arte infatti, si rappresenta Cristo che consegna i simboli del potere spirituale e temporale a Silvestro i e a Costantino, dall’altro San Pietro che concede a Leone iii il pallium e a Carlo il vessillo, ovvero il segno del supremo potere esercitato sulla città di Dio peregrinante in terris
verso la suprema conquista della Jerusalem celeste
.
Il ricordo di Roma imperiale si colloca quindi nel iv-v secolo e tuttavia è innegabile che, pur mediata e trasformata, l’idea di Roma e della gloria augustea rimasta scolpita nei suoi grandi monumenti ancora integri a testimonianza di un glorioso passato, si congiunge in qualche modo all’incoronazione carolingia e alla nascita dell’Impero medievale d’Occidente che, sotto dinastie e contenuti politici diversi, rimase in vita lungo tutta l’età di mezzo sino a Massimiliano d’Asburgo il cui nipote, Carlo v, ebbe in sorte il premio di ravvivare la fiaccola imperiale consegnatagli all’inizio dell’evo moderno. La stessa idea restò poi scolpita alla base dell’Impero d’Oriente, per un millennio ancora rimasto in vita quale rappresentante diretto dell’invitta gloria della città eterna, trasferita in Costantinopoli, denominata altera Roma.
Di tale istituzione imperiale allora, dei momenti che ne contraddistinsero lo sviluppo e l’esistenza in Occidente e in Oriente, delineeremo qui una concisa rappresentazione che dia modo d’intendere, oltre alla successione degli avvenimenti, lo spirito che li animò e la concezione che ne costituì il sostrato: in altri termini, nelle pagine che seguono intendiamo domandarci quali furono le condizioni ideali della nascita della suddetta istituzione, che tipo di ordinamento prese corpo, come e grazie a chi esso fu fondato ed ebbe progressivamente a modificarsi.
I. L’Impero d’Occidente
111. La nascita
Onde far luce su questo punto essenziale, bisogna anzitutto rifarsi alla divisione di Roma da Bisanzio, premessa fondamentale per la nascita del nuovo Impero. Per prima cosa si deve ricordare subito l’eccessivo fiscalismo bizantino esercitato con tal decisione sulla penisola italiana che i Longobardi nelle regioni del centro-nord e gli Arabi in Sicilia furono guardati quasi con simpatia e con qualche speranza dalle popolazioni locali, le quali immaginarono che i nuovi invasori portassero lavoro per i più umili e diminuissero il peso della tassazione, diventato insopportabile per opera della pressione romano-bizantina. In pari tempo profonde discrasie di carattere ecclesiologico e divergenze notevoli sul primato dei pontefici romani e per concorso sulla posizione e la funzione dei patriarchi costantinopolitani generarono una progressiva divaricazione fra Roma e Costantinopoli. Vero è – e va sottolineato – che la tendenza a separare i due tronconi dell’Impero romano ebbe inizio con il trasferimento della capitale a Bisanzio, nonostante i successori di Costantino si sforzassero di non ingigantire i motivi che avevano indotto gli imperatori a esercitare una generale politica di segno orientale e nonostante i tentativi giustinianei di reductio ad unum giovassero in certa misura allo Stato.
Ma su tutto prevalsero le ragioni di divisione in campo religioso: sappiamo infatti che dopo la condanna di Ario le dispute teologiche si riaccesero se non sul rapporto tra Padre e Figlio, sulla natura del Cristo – umana e divina – per cui al figlio di Dio fu riconosciuta in un limitato periodo la sola natura umana. Teodosio ii nel 431 indisse il concilio di Efeso per sottolineare la natura «anche umana» del Cristo, riaffermando però quella divina. In seguito Nestorio, patriarca costantinopolitano, fautore della corrente che privilegiava l’«umanità» del Cristo fu deposto e condannato. Più tardi in Egitto e Siria si diffuse il monofisismo a opera del patriarca alessandrino Dioscoro che riconobbe in Cristo la sola divinità. Con il concilio di Calcedonia del 451 l’imperatore condannò il monofisismo e approvò la formula di papa Leone i rivolta ad attribuire al Cristo la doppia natura umana e divina. La partecipazione dell’Augusto ai lavori conciliari riaffermò tuttavia la competenza imperiale in materia ecclesiastica, accrescendo in tal modo le divisioni con la Chiesa romana.
I contrasti si approfondirono poi con Zenone il quale nel 482 pubblicò l’Henoticòn con cui compose il conflitto fra ortodossi e monofisiti, tentando di introdurre talune prerogative per il vescovo di Roma. A sua volta però Giustiniano cercò di risolvere il delicato problema con l’Editto dei Tre Capitoli con cui si lanciarono censure contro gli scritti di alcuni vescovi troppo ligi alle conclusioni calcedoniesi. La lotta fra Roma e Bisanzio divenne perciò inevitabile e le divisioni con l’Impero d’Oriente si aggravarono quando Giustiniano invitò a Costantinopoli (537-554), per indurlo ad accettare l’Editto, papa Vigilio il quale fu convinto solo con la violenza.
I sovrani si avvidero di aver passato il segno ma sbagliarono ancora: Costante ii (611-668) venuto a Roma (663) in piena campagna militare di espansione araba, per rivolgere a papa Vitaliano un appello all’unità dei cristiani contro gli infedeli, non trovò nulla di meglio da fare che saccheggiare l’Urbe di oggetti d’oro e di opere d’arte per quindi ripartire carico di ricchezze sottratte ai legittimi proprietari, ben più isolato di quanto non fosse all’arrivo, poiché al suo invito d’alleanza tardivo e insincero non risposero né il pontefice, né i Franchi né, tanto meno, i Longobardi. Si riaccesero in seguito ancor più le polemiche imperiali con Roma in ragione del monotelismo sino a che l’imperatore non decise di far condurre con la forza a Costantinopoli papa Martino i, processato, orrendamente mutilato e lasciato morire in esilio nel 665. Costantinopoli comprese allora di essere stata troppo intransigente con Roma: si tenne perciò a Bisanzio il vi concilio con cui l’Oriente cristiano in funzione antiaraba sancì la dottrina della compresenza in Cristo di due attività
e volontà distinte, una divina e una umana, la seconda sottoposta alla prima (680-681). Tuttavia dopo dieci anni Giustiniano ii indisse il concilio Quinisestio o Trullano in cui si proclamò la superiorità del patriarca costantinopolitano anche su Roma e si assunsero canoni contrari alle usanze occidentali, quali la negazione del celibato ecclesiastico. In tal modo apparvero vanificati i tentativi di coinvolgimento occidentale nella politica dell’Impero e della Chiesa orientale. Su questa già precaria situazione si sovrappose la lotta iconoclastica
inauguratasi nel 726 con un decreto di Leone iii l’Isaurico, inteso a proibire il culto delle immagini sacre di cui fu imposta la distruzione.
Tale decreto, consono al carattere della religione orientale, urtò profondamente il sentimento dell’Occidente latino, incline a dare una rappresentazione materiale alle varie forme della vita dello Spirito, costituendo un atto di illecita ingerenza dell’imperatore in un campo riservato all’autorità ecclesiastica. Il pontefice Gregorio ii (715-731) si oppose al decreto esortando i fedeli a resistere alle ingiunzioni imperiali. A questo punto la lotta definita iconoclastica fu complicata dai Longobardi che strumentalmente vi si inserirono prendendo le parti di Roma, per poter avere il pretesto di assalire i territori italiani in mano a Costantinopoli: essenzialmente Ravenna e Roma. Gregorio ii tuttavia intuì la minaccia insita nell’utilitaristica posizione longobarda e vi si oppose recisamente. La reazione romana indusse Liutprando a donare al papa i castelli di Sutri e di Bieda, l’attuale Blera, ma la cessazione momentanea delle ostilità non trasse in inganno il pontefice che prese proprio allora contatti politici risolutivi con i Franchi, scegliendoli come alleati. Papa Zaccaria approvò la deposizione di Chilperico iii e sanzionò con la dichiarazione di ereditarietà della corona regia e la sacra unzione del nuovo re il colpo di Stato effettuato dai maestri di palazzo austrasiani contro i Merovingi.
Le relazioni fra il papato e i Carolingi si risolsero allora in importanti campagne militari contro i Longobardi; così i Franchi chiamati figli adottivi di Roma liberarono la Chiesa di Cristo e la sede dell’apostolo Pietro minacciata dagli «abominevoli Longobardi». Pertanto i papi della seconda metà del secolo viii da Stefano ii (752-757) ad Adriano i (772-795) stipularono una complessa serie di accordi con i Franchi, accordi grazie ai quali poté considerarsi conclusa la lunga dominazione longobarda in Italia (774). Carlo, re dei Franchi, assunse allora anche il titolo di rex Langobardorum, occupò le loro terre settentrionali e centrali e tenne una specie di protettorato sullo Stato della Chiesa che entrò in possesso, oltre che dell’antico Ducato Romano, dal fiume Marta al Garigliano, del ducato di Perugia, della Pentapoli e dell’Esarcato. Fuori dell’accordo restarono il ducato longobardo di Benevento, avamposto della dominazione germanica nell’Italia del Sud, che fu obbligato tuttavia al versamento di un tributo annuo a Roma, nonché i residui domini bizantini delle regioni meridionali (la Puglia, la Sicilia), la Sardegna e la costa veneta. La diversa situazione compose quindi un nuovo volto della penisola italiana suddivisa tra i Franchi preponderanti nel centro-nord, lo Stato della Chiesa al centro, il ducato longobardo beneventano e le zone costiere meridionali controllate da Bisanzio. Tutto ciò pertanto rese così irreversibilmente tesi i rapporti fra la Chiesa romana e Bisanzio da costituire una valida e forte premessa alla creazione di un nuovo Impero occidentale contrapposto al bizantino e volto alla difesa e al potenziamento della Chiesa e dei romani pontefici.
2. Le nuove istituzioni imperiali
Viste le condizioni che permisero la nascita del nuovo Impero d’Occidente, più tardi denominato Sacro Romano Impero, distinto e distante da quello bizantino, osserviamo ora il secondo interrogativo inizialmente propostoci, ossia a qual tipo di nuove istituzioni si dette vita. L’Impero carolingio, per la famiglia degli antichi maggiordomi austrasiani che ebbe a realizzarlo, rappresentò il compimento di un assai precedente disegno perseguito dai popoli germanici all’atto del loro avvicinamento e della loro fusione con Roma e con l’Occidente cristiano. A porlo in atto con un progetto già politicamente elaborato fu Teoderico, sospettato dall’imperatore costantinopolitano di chiedere per sé la corona, nell’intento di dare una nuova unità occidentale al vecchio Stato romano, ma in realtà proiettato con il suo piano a dar vita