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Una seconda possibilità
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E-book219 pagine2 ore

Una seconda possibilità

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Info su questo ebook

Ragazza di città…

Quando la carriera di Samantha Winters come medico in una grande città la porta all’esaurimento, accetta un lavoro come medico temporaneo in una clinica di campagna. Ben presto scopre che nella città di Oakridge lei è fuori posto come i tacchi alti in un pascolo. L’unica cosa che la trattiene dal tornare subito a casa? Un’attrazione inattesa che potrebbe diventare amore.

 …incontra ragazzo di campagna

Alex Kane è il ragazzo del posto che ha fatto fortuna. Ha passato anni a trasformare la sua startup informatica in una fonte di lavoro per la città. Oltre a questo, si occupa dei figli orfani di sua sorella e ha bisogno di una pausa. Vuole solo darci un taglio e divertirsi un po’. Peccato che alla nuova dottoressa non interessi… Oppure sì?

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita4 giu 2021
ISBN9781667403199
Una seconda possibilità
Autore

Jill Blake

Jill Blake loves chocolate, leisurely walks where she doesn't break a sweat, and books with a guaranteed happy ending. A native of Philadelphia, Jill now lives in southern California with her husband and three children. During the day, she works as a physician in a busy medical practice. At night, she pens steamy romances.

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    Anteprima del libro

    Una seconda possibilità - Jill Blake

    Capitolo 1

    Samantha spense il motore e rimase in silenzio all’improvviso, con le mani strette sul volante. Una brezza leggera entrava dal finestrino aperto, giocando con alcune ciocche di capelli biondo cenere che erano sfuggite dallo stretto chignon.

    Chiuse gli occhi per un attimo e fece un respiro profondo; il profumo delle azalee in fiore le riempì le narici. Per un attimo si chiese se dovesse rimettere in moto l’auto, solo per chiudere il finestrino. Ma quando si guardò attorno per un attimo scacciò via quel pensiero: erano le undici di mattina e in giro non c’era un’anima.

    Se non ci fosse stato un cartello che diceva Pronto Soccorso di Oakridge, avrebbe pensato di essere nel posto sbagliato. Come tutto quello che aveva visto da quando era entrata in città, la clinica sembrava deserta: le persiane erano chiuse sulle finestre e dalla cassetta della posta accanto alla porta d’ingresso sbucavano alcune buste e diversi volantini.

    Era metà della settimana e di solito Samantha correva da una sala visita all’altra nel corso della sua specializzazione di medico di base a Philadelphia, sommersa di appuntamenti, cartelle e chiamate di pazienti, ospedali, case di riposo e farmacie. O almeno questo è quello che faceva fino a dieci giorni prima, quando la capace, efficiente e resistente dottoressa Samantha Winters era crollata.

    «In questo modo avrai un po’ di spazio per respirare» le aveva detto la sua amica Jane quando le aveva proposto quell’idea per la prima volta nel fine settimana.

    «Pensavo che fosse quello che accade a chi si prende una vacanza» disse Sam.

    «No, stai annaspando, sprofondando lentamente nella depressione, isolandoti dal resto del mondo. Quando è stata l’ultima volta che hai indossato qualcosa che non fossero tute?»

    Sam guardò la maglietta sbiadita e i pantaloni della tuta strappati, con il logo Bryn Mawr College a malapena leggibile. «Non sono depressa» le disse.

    «Beh, forse non in termini medici» concesse Jane. «Ma se non fai qualcosa per allontanarti per un po’ da questa situazione, è così che finirai».

    «È il suo parere medico, dottoressa?»

    «Puoi scommetterci. Perciò fammi un favore, ok? Almeno vai a dare un’occhiata, Ross mi ha detto che è un posto tranquillo, una piccola città, e le persone sono gentili».

    «Se è così allettante, perché non hanno già dato il lavoro a qualcuno?»

    Il sospiro di Jane risuonò chiaramente, nonostante la pessima connessione wireless. «Devo parlarti delle crisi degli specializzandi in Pennsylvania? Dell’esodo di massa dei medici verso gli stati confinanti? Del fatto che le città costiere sono sature mentre l’America rurale sta affrontando la sua prima crisi di carenza di medici di base?»

    Essendo uno dei medici che aveva trovato un posto allettante in uno studio famoso al centro della città appena finita la specializzazione, Sam non aveva bisogno che qualcuno le illustrasse i fatti come stavano, né che qualcuno le ricordasse lo stato litigioso della medicina americana, l’aveva sperimentato già a sufficienza in prima persona, grazie tante.

    Ma passare sei mesi sperduta in mezzo al nulla?

    L’unica volta che era stata a contatto con l’America rurale era stato quando era andata in gita nella contea di Lancaster in quinta elementare. Avevano visto il mercato di una fattoria amish e avevano accarezzato le capre. Ricordava ancora l’odore del letame e la dolcezza nauseante delle frittelle appena fritte.

    Perciò che cosa ci faceva, parcheggiata accanto a una pittoresca casa vittoriana su una strada senza sbocco nel bel mezzo della contea rurale di York, in Pennsylvania? La mancanza della città la rendeva già nervosa. E non aveva visto un solo Starbucks sulla strada principale: come sarebbe dovuta sopravvivere senza la sua infusione quotidiana di cappuccino?

    Chiuse gli occhi e cercò di fare dei respiri lenti e profondi. Il viaggio era durato due ore e mezza, meno di quanto si era aspettata grazie al poco traffico, quindi aveva un’ora a disposizione prima del suo colloquio, abbastanza per stirarsi le gambe e dare un’occhiata in giro. Poi sarebbe andata da Mona’s Kitchen, la tavola calda del posto dove doveva incontrare l’uomo che avrebbe dovuto assumerla.

    Era solo un incontro, senza promesse. Se l’offerta non le fosse piaciuta, era libera di tagliare la corda e tornare nel suo comodo appartamento a Rittenhouse Square e rintanarsi per qualche altra settimana o mese o tutto il tempo che le sarebbe servito per venire fuori da quella voragine emotiva.

    Afferrò la borsa, uscì dall’auto e si avvicinò alle assicelle giallo pallido; c’erano due scalini che conducevano dal sentiero principale al portico avvolgente, mentre un’ampia rampa di scale con ringhiere basse dava libero accesso dal parcheggio rannicchiato su un lato dell’edificio.

    Un cartello scritto a mano sulla finestra della porta d’ingresso recitava Aperto il martedì, dalle otto alle quattro. In caso di emergenza medica, chiamate il 911.

    Un solo giorno di assistenza medica alla settimana? Non c’era da stupirsi se cercavano disperatamente un medico da assumere. Che cosa faceva la gente il resto della settimana se si ammalava o si faceva male? Sicuramente c’erano delle città nelle vicinanze che avevano un dottore che poteva occuparsi degli abitanti di Oakridge, ma dov’era l’ospedale più vicino, comunque?

    Per un attimo rimpianse la sua mancanza di preparazione; si vantava di fare sempre le cose con diligenza, qualunque fosse la situazione. Questa volta non aveva programmato di fare nulla che non fosse placare la preoccupazione della sua amica; un impegno di mezza giornata al massimo, aveva pensato, e un bell’ambiente che l’avrebbe distratta temporaneamente dai brutti pensieri che continuavano a girarle in testa come inesorabili avvoltoi su un cadavere che era stato spolpato già da tempo.

    Non stava effettivamente pensando di assumere la posizione di medico provvisorio, non in una città sperduta dove c’erano tre semafori al massimo e neanche un caffè decente. Aveva una carriera avviata che la aspettava a casa: entrambi i colleghi le avevano assicurato che l’avrebbero accolta a braccia aperte quando avesse risolto i suoi problemi e fosse stata pronta a tornare.

    Seguì il portico lungo il fianco della casa verso il retro, dove c’era un’altra serie di scalini che davano su un ampio prato. Sollevò lo sguardo verso il secondo piano e pensò di aver visto un movimento dietro una delle finestre: c’era forse qualcuno che la stava osservando?

    Il rumore di passi e di una porta che sbatteva da qualche parte all’interno fece scatenare la sua fantasia: solo perché era pieno giorno e quel posto sembrava da favola questo non voleva dire che fosse immune ai crimini del ventunesimo secolo. I tossicodipendenti di solito s’intrufolavano nelle cliniche alla ricerca di qualunque sostanza riuscissero a trovare.

    Frugò nella borsa alla ricerca della sagoma rassicurante del suo iPhone e si voltò per battere in ritirata verso la sua auto... per andare a sbattere contro un solido muro di carne maschile.

    Il telefono le cadde a terra e, se non fosse stato per le mani forti che l’afferrarono per le braccia per fermarla, sarebbe caduta anche lei.

    «Tutto bene?» La voce profonda sembrava venire da qualche parte sopra di lei.

    Guardò perplessa, con i battiti accelerati e il respiro corto.

    L’uomo la guardò dall’alto verso il basso, arrossendo leggermente quando si avvicinò. Lei si tirò indietro di scatto, ma le mani di lui la strinsero e le sopracciglia s’incupirono su quegli occhi azzurri.

    Non sembrava fatto di droga, anzi la stava esaminando, come se volesse scolpirsi i suoi lineamenti nella memoria nel caso in cui avesse dovuto fare un identikit in seguito, come se sospettasse di lei.

    «Signora?» Il tono roco della sua voce le fece venire la pelle d’oca.

    «Sì». Fece un passo indietro, sollevata e delusa allo stesso tempo quando lui la lasciò andare. «Sto bene, grazie».

    L’uomo annuì, poi si piegò per recuperare il cellulare di Sam, che vide uno scorcio di spalle ampie che si flettevano sotto una maglietta di cotone bianco e di possenti cosce muscolose contro il tessuto jeans sbiadito prima che lui si raddrizzasse.

    Bene, bene, pensò mentre osservava la mascella squadrata con un sottile velo di barba, l’ampia fronte coperta in parte da una cascata di capelli neri e gli occhi di ghiaccio che la stavano studiando dalla testa ai piedi; a quanto sembrava l’America delle piccole città aveva qualcosa da offrire dopo tutto.

    Sam si schiarì la voce e sollevò una mano speranzosa. «Il mio telefono?»

    Lo sguardo di lui cadde sul dispositivo che sembrava minuscolo nella sua mano. «Sembra intatto» le disse, senza intenzione di consegnarglielo.

    «Posso riaverlo?»

    Ignorò la domanda. «Lei non è di qui».

    «No». Sam abbassò la mano.

    «Se sta cercando il dottor Cohen, viene qui solo il martedì».

    Sam annuì. «Ho visto il cartello. Dov’è il resto della settimana?»

    «Shrewsbury». Quando lei lo guardò perplessa, fece un vago cenno con la mano libera: unghie pulite e nette, nessun anello. «A circa cinque miglia a sudest da qui, dove ha il suo studio. Le servono indicazioni? Sono sicuro che può visitarla, se sta male».

    «Non sto male». Sam deglutì e le guance divennero rosse a causa di un calore che non aveva nulla a che vedere con una malattia o con la temperatura dell’ambiente. Quanto tempo era passato da quando si era sentita anche solo lievemente attratta da qualcuno? Era passato un anno da quando Craig l’aveva lasciata e non aveva alcun desiderio di guardare un altro uomo in un modo che non fosse professionale, che si trattasse di un paziente o di una controparte in tribunale. Questo almeno fino a quel momento. «Chi viene qui quando il dottor Cohen è a Shrewsbury?»

    L’uomo strizzò gli occhi, come se cercasse di scovare un secondo scopo dietro quella domanda. «Che cosa ha detto che stava cercando?»

    Sam esitò, chiedendosi perché all’improvviso sembrasse sospettoso: lo aveva sottovalutato troppo presto come potenziale minaccia? Non si era nemmeno presentato, ma non lo aveva fatto nemmeno lei, il che li aveva portati in una specie di situazione di stallo.

    Tuttavia non si sentiva a suo agio a dargli altre informazioni fin quando non avesse saputo chi fosse o quantomeno cosa ci facesse lì. Forse non era un tossico alla ricerca di qualcosa, ma questo non voleva dire che avesse una ragione legittima per trovarsi dentro la clinica, quando era perfettamente chiaro che era chiusa.

    E adesso era abbastanza sicura che fosse lui la persona che aveva visto all’interno, non c’erano altre auto parcheggiate quando si era fermata lì. Un’occhiata veloce alle spalle dell’uomo le confermò che la strada era ancora vuota, perciò o lui abitava lì vicino ed era venuto a piedi, oppure aveva usato la precauzione di parcheggiare più lontano e in quel caso probabilmente non aveva buone intenzioni e lei era un’idiota a restare lì a parlare con lui.

    E se l’avesse sorpreso mentre stava rubando là dentro? Forse non c’erano altre auto nelle vicinanze perché il suo complice l’aveva lasciato lì a fare qualunque cosa dovesse fare e da un momento all’altro sarebbe tornato a prenderlo e Samantha si sarebbe trovata nei guai.

    Ripensandoci, non aveva molto senso: se stava facendo qualcosa di nascosto, probabilmente sarebbe rimasto dentro casa e avrebbe aspettato che lei se ne fosse andata, invece di uscire a parlare con lei.

    A meno che volesse sbarazzarsi di ogni possibile testimone e contava sul fatto che quel posto fosse isolato per coprire le sue malefatte.

    Sam si spostò, valutando con lo sguardo la distanza dalla sua auto; sfortunatamente quell’uomo aveva ancora il suo cellulare e, peggio ancora, le bloccava la strada.

    Senza distogliere lo sguardo da lui, cercò le chiavi dell’auto nella borsa. Nel momento in cui le sue dita toccarono la forma familiare del telecomando, sentì che la calma tornava in un certo senso. Poggiò il pollice sul pulsante antipanico.

    L’uomo la stava guardando ansiosamente e Sam si rese conto di non aver risposto alla sua domanda: che cosa ci faceva lei lì? «Caffè» sbottò Sam. «Stavo cercando un posto dove bere un caffè. Per caso conosce un posto qui vicino?»

    L’uomo sollevò un sopracciglio. Sam riusciva praticamente a vedere che stava pensando: ha violato una proprietà privata alla ricerca di un caffè, come no. Certo. Sparala più grossa. Poi lo sguardo dell’uomo si spostò sui capelli di Sam e le sue labbra si curvarono in un mezzo sorriso. Oh, fantastico, adesso si stava facendo dei pregiudizi in base al colore dei suoi capelli. Oppure, peggio ancora, forse stava pensando che lei ci stava provando. Per amor del cielo, non era una stupida totale; forse sciocca abbastanza da farsi beccare con la guardia abbassata, ma rimorchiare un completo estraneo che poteva essere coinvolto in qualcosa di poco chiaro? Non esisteva proprio, per quanto lo sconosciuto potesse essere attraente.

    «Probabilmente da Mona’s Kitchen» le disse infine. «Ritorni verso Main Street e poi prosegua dritto. È un paio di isolati più avanti, non può sbagliarsi».

    «Grazie». Sam avrebbe benissimo potuto andarci; era un po’ presto per il suo colloquio, ma almeno si sarebbe trovata nel posto giusto. «Posso riavere il mio telefono?»

    Per un attimo Sam pensò che si sarebbe rifiutato di farlo, poi tese il dispositivo verso di lei. Le loro mani si toccarono per un attimo e Sam si tirò indietro dalla sensazione che le risaliva lungo il braccio. Afferrò l’iPhone. «Grazie».

    L’uomo si fece da parte e lei non perse tempo a girargli attorno, sentiva quasi i suoi occhi che la fulminavano mentre attraversava il portico, scendeva le scale e andava verso l’auto.

    ~

    Alex si voltò a guardare la figuretta esile della donna di spalle e le sue lunghe gambe mentre correva verso l’auto. Anche l’austero completo grigio con la gonna stretta e la giacca aderente non riuscirono ad attenuare l’improvvisa ondata di lussuria.

    Svoltò impeccabilmente e l’ultimo modello di Lexus si allontanò lungo la strada diretta a Main Street, sparendo dietro l’angolo.

    Alex si poggiò alla ringhiera del portico, aspettando che l’eccitazione scemasse. Nei dodici anni in cui era tornato a Oakridge non c’erano stati molti stranieri che fossero passati dalla città: il motociclista dallo stile duro che cercava la fabbrica della Harley-Davidson che si trovava a mezz’ora a nord da lì, la famiglia che stava andando a Hershey Park per fare una sosta e quell’appassionato di storia che aveva chiesto informazioni per andare a Gettysburg.

    Quella donna sembrava troppo tirata a lucido per essere una normalissima turista che si era fermata a fare benzina e usare il bagno. E non sembrava neanche una studentessa universitaria che attraversava il paese zaino in spalla. Ripensò al diamante a forma di lacrima che le pendeva al collo da una catenina dorata, al luccichio discreto dell’Omega che aveva al polso... no, non era decisamente una studentessa universitaria. Era forse una giornalista? La sua mascella s’irrigidì al solo pensiero.

    Dopo la frenesia mediatica che aveva subito nei quattro anni da quando la sua ditta era diventata di pubblico dominio, l’ultima cosa che voleva era un altro giornalista che scavava nel torbido e disturbava la sua pace. Aveva cercato di proteggere la propria privacy nel corso del tempo, limitando le interviste e i servizi fotografici al minimo. Aveva soprattutto cercato di proteggere i bambini dall’invadenza dei media. Dio solo sapeva se non avevano già sofferto abbastanza per la perdita della madre e il ritorno

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