La busta misteriosa: Harmony Collezione
Di Kathryn Ross
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Kathryn Ross
Americana, viene giustamente considerata uno dei nuovi "talenti" della narrativa rosa targata Harlequin.
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La busta misteriosa - Kathryn Ross
successivo.
1
Era stata lei a proporgli di sposarla, per cui Elizabeth non poteva esimersi dall'addossarsi una parte della responsabilità di quanto era accaduto.
Si considerava colpevole solo in minima misura, però, perché naturalmente le responsabilità più pesanti le imputava a lui. Sua era la colpa di non averla amata, e di aver comunque accettato di sposarla per una serie di motivi sbagliati, motivi che non avevano nulla a che fare con l'amore.
Ogni qual volta i colleghi le chiedevano quanto era durato il suo matrimonio e lei rispondeva sei mesi, la guardavano e scuotevano il capo. Lei, allora, si affrettava ad aggiungere che era stato tutto un gigantesco errore con un tono così perentorio che scoraggiava qualsiasi domanda o commento.
Negli ultimi giorni, però, tutte le volte che apriva il primo cassetto della sua scrivania e vedeva il plico legale ancora chiuso che riposava sul fondo, non poteva arrestare l'ondata di pensieri e di ricordi. Aveva l'impressione che quell'oggetto inanimato la guardasse con aria di rimprovero. Che cosa stupida! Era solo una grossa busta marrone. Eppure le comunicava una sensazione sgradevole e per liberarsene richiudeva con foga il cassetto senza nemmeno sfiorarla.
Quando era arrivata con un corriere, una decina di giorni prima, Elizabeth l'aveva ritirata senza nemmeno guardarla, credendo contenesse qualche comunicazione relativa al suo lavoro. Solo in un secondo tempo, prendendo la busta per vedere di cosa si trattava, aveva notato il francobollo giamaicano e la calligrafia che ben conosceva.
Era stato lui a inviargliela, e lei era terrorizzata alla sola idea di aprirla. Intuiva, infatti, che quel plico conteneva i documenti per il divorzio.
Elizabeth Hammond, giovane donna in carriera, che si vantava di non aver paura di niente e di nessuno, tremava di fronte a una semplice busta. Era veramente ridicolo!, si rimproverò. Doveva decidersi ad aprirla al più presto. Sì, lo avrebbe fatto quella sera stessa, nel suo appartamento, armata di coraggio e di un buon bicchiere di vino.
«Elizabeth, ti va un drink dopo il lavoro?» le chiese Robert mentre passava davanti alla sua scrivania.
«Non posso, Rob, mi dispiace.» Lo guardò a malapena. «Ho una montagna di pratiche da sbrigare.»
«Facciamo domani, allora.»
Il telefono squillò e lei prese la cornetta, sbirciando nel contempo l'orologio. Aveva una riunione importante una decina di minuti più tardi. «Richmond Pubblicità, sono Elizabeth Hammond. Come posso aiutarla?»
«Puoi aiutarmi firmando i documenti che ti ho spedito» disse una voce familiare con l'inconfondibile accento americano.
L'ufficio pieno di confusione parve scomparire all'improvviso. Il rumore delle stampanti e gli squilli continui dei telefoni, il chiacchiericcio dei colleghi e il traffico di Londra fuori dalle finestre, tutto tacque per magia e rimase solo la voce di Jay all'altro capo del filo.
«Elizabeth, non azzardarti a riattaccare» riprese lui, interpretando il suo silenzio come un rifiuto.
Lei non ci aveva neppure pensato finché lui non aveva menzionato quella possibilità, e adesso era fortemente tentata.
Inspirò profondamente. «Sono occupata, Jay.» Era contenta del tono composto che era riuscita a conferire alla propria voce, come se non fossero trascorsi dodici mesi dall'ultima volta che si erano parlati.
«Sì, anch'io. Perché non hai firmato i documenti?»
«Non li ho ancora letti con attenzione.» Non era proprio una bugia, rifletté scoccando una rapida occhiata al cassetto dove li aveva confinati.
«Stai cercando deliberatamente di mettermi i bastoni tra le ruote?»
«No!»
«Chi mi dice che tu non mi stia prendendo in giro?»
«Nessuno può farsi beffe di te, Jay. Sei infallibile, ricordi?»
Ci fu un istante di silenzio e lei desiderò per qualche perverso motivo di non aver mai pronunciato quelle parole. A che cosa serviva litigare? Non poteva vincere contro Jay... non ne era mai stata capace.
Non appena aveva visto quella busta e aveva capito che si trattava dei documenti per il divorzio, aveva deciso di non aprirla. Ma aveva sbagliato. Avrebbe dovuto firmarli, invece, e liberarsi di suo marito una volta per sempre. Dopotutto erano separati da un anno. Perché indugiare ancora?
«Ascolta, Jay...»
Lui le troncò la frase a metà, incurante del suo tono conciliatorio. «A che ora finisci di lavorare?»
«Come?» Aggrottò le sopracciglia perplessa. Che cosa importava il suo orario d'ufficio dal momento che lui si trovava in Giamaica e lei era a Londra? Forse doveva inviarle un fax, si disse. «Be'... alle cinque e mezzo.»
«Vengo a prenderti. Non fare tardi.»
«Jay, io...» Il suono intermittente le disse che lui aveva riagganciato e un'ondata di panico l'assalì. Jay si trovava a Londra!
No, non poteva vederlo! Avrebbe detto a tutti che stava male e si sarebbe nascosta nel proprio appartamento, con la porta ben chiusa e il telefono staccato.
«Ti senti bene?» Una voce parve raggiungerla da profondità lontane. «Elizabeth! Sveglia!» continuò l'uomo con tono sarcastico. «Abbiamo una riunione con il principale tra cinque minuti. Pensi di farcela?»
Lei alzò lo sguardo su Colin Watson. Il collega aveva circa trentacinque anni, era alto e di aspetto gradevole... se non fosse stato per l'espressione presuntuosa che gli alterava il viso.
Elizabeth non lo poteva soffrire. Watson aveva fatto di tutto per soffiarle il posto negli ultimi tre mesi e non perdeva occasione per metterla in cattiva luce. Sarebbe stato ben lieto che lei andasse a casa e gli lasciasse campo libero alla riunione.
Poteva immaginare che cosa avrebbe raccontato al principale. La Hammond ha problemi di natura... femminile. Lascia che mi occupi io di questo cliente. Possiamo discutere della campagna pubblicitaria durante una bella partita di golf il prossimo weekend. Che ne pensi?
Elizabeth guardò Colin e desiderò imprecare, ma non era nel suo stile abbandonarsi al turpiloquio. Non avrebbe permesso che quell'odioso sciovinista registrasse un punto a proprio favore.
«Sto benissimo, Colin!» esclamò con entusiasmo raccogliendo gli appunti sul tavolo. «È tutto sotto controllo.»
La riunione sarebbe dovuta durare un'ora, ma si trascinò per tre. Le proposte di Elizabeth per la campagna pubblicitaria di un sapone da bucato erano state esaminate in ogni dettaglio, tuttavia lei non aveva mai guardato l'orologio una sola volta. Infatti, se l'avesse colta sul fatto mentre sbirciava l'ora, Sam avrebbe pensato che non le importasse nulla della discussione in corso, il che per il principale era il peggiore crimine che si potesse commettere.
Solo quando tutti i particolari furono sistemati osò guardare che ore erano. Le cinque. Se si affrettava poteva andarsene in anticipo ed evitare di incontrare Jay. Era troppo stanca per affrontarlo. E poi doveva leggere quei documenti prima di parlargli.
Sistemò il computer portatile nella ventiquattrore insieme ad alcune carte e al telefono cellulare. «Vado a casa, Sam. Voglio studiare i dettagli nella pace del mio appartamento.»
«Bene. Ci vediamo alle otto e mezzo domattina. A proposito, pensi di potermi consegnare le bozze per la campagna della Menda domani?»
Elizabeth recepì quelle parole come un ordine e non una richiesta. Conosceva bene il suo capo e sapeva che si aspettava di trovare il prospetto sulla propria scrivania il mattino dopo.
«Nessun problema.» Mentre si allontanava sorrise a Colin, che non riusciva a mascherare il proprio disappunto. Lei, invece, era soddisfatta della presentazione fatta, e di aver rintuzzato i tentativi più o meno scoperti del collega di far bocciare le sue idee per la campagna del sapone da bucato.
Prese la busta marrone dal cassetto e la ripose nella borsa. L'aspettava proprio una bella serata: non solo avrebbe dovuto leggere quei maledetti documenti del divorzio, ma doveva preparare un nuovo progetto. E invece avrebbe preferito andare a dormire e nascondere la testa sotto le coperte.
Non essere patetica, Elizabeth, si disse, adirata con se stessa. Il tuo matrimonio era finito prima ancora delle nozze. Questi documenti ne sono solo la logica conclusione. E poi, se la tua vita sentimentale è un disastro, non dimenticare che stai facendo una luminosa carriera.
Ma allora perché sentiva un macigno che le gravava sul cuore? Perché aveva l'impressione che la busta nella sua borsa pesasse un quintale? Forse dipendeva dal fatto che il giorno dopo era il suo trentesimo compleanno e quello le dava la sensazione di invecchiare. Se poi aggiungeva anche il divorzio, be', era normale che fosse un po' depressa...
Quando una storia finiva era sempre doloroso, eppure non poteva ostinarsi a pensare a Jay. Doveva troncare definitivamente con lui e trovare qualcuno che le volesse bene. Considerando le cose sotto un'altra prospettiva, il compleanno e la separazione potevano essere un nuovo inizio.
Indossò il lungo cappotto grigio e corse all'ascensore. Era in anticipo di venti minuti rispetto all'appuntamento con Jay, così sarebbe riuscita a evitarlo e a sgusciare in metropolitana. Se poi fosse andato a cercarla nel suo appartamento non gli avrebbe aperto, anche se avesse suonato il campanello tutta la notte.
La porta scorrevole dell'ascensore si aprì e lei si ritrovò nell'atrio lucido di marmo e vetro. E lì, come una sentinella, davanti all'ingresso di Oxford Street c'era lui.
In un primo momento Elizabeth rimase scioccata. Poi, quando i loro occhi s'incontrarono, si sentì intontita. Rabbia e dolore scomparvero per un breve istante mentre considerava quanto Jay fosse attraente, al punto tale che il suo cuore cominciò a battere all'impazzata proprio come un tempo.
Aveva i capelli neri, era alto circa un metro e novanta e aveva un fisico atletico accentuato in qualche modo dal cappotto nero che indossava sul completo elegante. La pelle abbronzata era in netto contrasto con la grigia giornata di febbraio. Gli occhi neri e penetranti la fecero impallidire.
Elizabeth si chiese se fosse possibile fingere di non averlo visto e si diresse con passo deciso verso la porta laterale. Una volta che fosse uscita in Oxford Street si sarebbe confusa tra la folla e lui non sarebbe più riuscito a prenderla.
«Signora Hammond, c'è un ospite per lei» la chiamò la ragazza della reception, riportandola alla realtà. «Stavo giusto per chiamarla in ufficio.»
«Okay, grazie.» Elizabeth sorrise alla donna e andò incontro a suo marito con le gambe che le tremavano.
«Ciao, Beth» le disse lui dolcemente.
«Ciao.»
Ci fu un momento di silenzio e a lei parve di sentire il battito violento del proprio cuore che sovrastava ogni altro rumore. Non poteva permettere che quell'uomo la facesse sentire ancora come un'adolescente impacciata.
«Bene, possiamo andare?» le chiese Jay, con una occhiata interrogativa.
«Andare dove?»
«Pensavo che avremmo potuto cenare insieme e discutere in modo civile.»
Chiacchierare mentre cenavano? Elizabeth avrebbe voluto ridere. Era così consapevole della sua vicinanza che a malapena riusciva a respirare, figuriamoci a mangiare.
«Che ci fai qui, Jay?»
«Sai perché sono qui.»
La prese per un braccio e, con un sorriso educato alla ragazza della reception che seguiva la scena con avida curiosità, la condusse all'aperto.
Il freddo invernale era particolarmente intenso. Elizabeth si strinse nel cappotto e cercò di divincolarsi, ma lui non mollò la presa.
«Vuoi lasciarmi andare?» bisbigliò furiosa.
«Ora andiamo a cena» replicò lui con decisione mentre la conduceva verso un'auto parcheggiata lì davanti in sosta vietata.
«Ti sbagli. Non vado da nessuna parte con te!»
«Invece verrai.» Le aprì la portiera e le fece cenno di accomodarsi.
«Hai proprio una bella faccia tosta a presentarti qui e a pretendere che io ti segua come un cagnolino obbediente. Mi dispiace, ma ho cose più importanti da fare che starmene in un ristorante con te.»
«Ne sono certo, ma io ho attraversato mezzo mondo per parlarti.»
«Be', è un problema tuo. Allora, che ne dici di lasciarmi