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Al di là della torre d'avorio
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Al di là della torre d'avorio
E-book185 pagine2 ore

Al di là della torre d'avorio

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Info su questo ebook

Se c’è una cosa in cui crede la professoressa Anna Lazarev è proprio il valore dell’istruzione superiore. Perciò quando sua sorella minore le dice che vuole abbandonare l’università, Anna non può fare a meno di incolpare l’uomo che ha ispirato la ribellione della sorella.

Il capitalista Ethan Talbot afferma che il sistema accademico americano è un fallimento. La sua soluzione? Pagare gli studenti migliori per convincerli a “rinunciare” e inseguire i propri sogni imprenditoriali senza perdere tempo e denaro per conseguire la laurea.

Nel corso di una battaglia appassionata per i cuori e le menti di una nuova generazione, Anna farà tutto il possibile per dimostrare quanto Ethan si sbagli. Ma quando le sue richieste si faranno molto più personali, lei sarà disposta a sacrificare i suoi principi per uscirne vittoriosa?

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita6 dic 2019
ISBN9781071524602
Al di là della torre d'avorio
Autore

Jill Blake

Jill Blake loves chocolate, leisurely walks where she doesn't break a sweat, and books with a guaranteed happy ending. A native of Philadelphia, Jill now lives in southern California with her husband and three children. During the day, she works as a physician in a busy medical practice. At night, she pens steamy romances.

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    Anteprima del libro

    Al di là della torre d'avorio - Jill Blake

    CAPITOLO UNO

    ––––––––

    Ethan ignorò le prime e-mail e lo stesso avvenne alla lettera ricevuta per fax, ai messaggi sulle telefonate ricevute e alla lettera ricevuta per raccomandata.

    Da quando Margaret, la sua assistente, se n'era andata in malattia, si era ritrovato ad avere a che fare con una sfilza di apprendisti che non avevano né la capacità né la voglia di badare al suo studio privato. Quello di cui aveva davvero bisogno era qualcuno che sapesse organizzare il suo schedario e scrivere le lettere che lui avrebbe dettato, ma anche schermarlo e proteggerlo dal rumore del mondo esterno. C'erano fin troppe persone là fuori che chiedevano denaro o cercavano lavoro o speravano di avere un colloquio o una frase a effetto oppure disposte ad avere la possibilità di stare gomito a gomito con l'uomo del momento.

    Era stanco di quella situazione. Ma fin quando Margaret non si fosse fatta sostituire l'anca, era improbabile che potesse rilassarsi un po'.

    Forse dopo l’incontro al vertice di quel fine settimana si sarebbe preso una pausa, sarebbe andato in Belize a fare un po' di immersioni. Oppure sarebbe potuto andare dai suoi genitori nello stato di New York. Non li vedeva da Natale e persino in quell'occasione aveva passato la maggior parte del tempo a fare riunioni via Skype e revisionare riassunti di piani di lavoro esecutivi, proiezioni finanziarie e tavole di capitalizzazione.

    Quando era stata l’ultima volta che aveva fatto una vacanza vera  e propria? Che era partito e si era lasciato alle spalle le continue richieste di denaro e attenzione, il continuo ronzio del suo telefono e le continue chiacchiere di centinaia di voci diverse, l’infinito flusso di richieste e offerte, la maggior parte delle quali lo convincevano quanto una terapia canalare senza anestesia?

    Sospirando, distolse lo sguardo dal panorama di San Francisco, dove le alte torri del distretto finanziario erano costellate dal sole del tardo pomeriggio. Doveva fare un altro passo avanti nella sua presentazione in PowerPoint per il suo discorso di apertura del giorno dopo.

    Aveva già controllato metà delle diapositive quando la porta si spalancò e si ritrovò davanti un'interruzione che non poteva ignorare.

    Era alta un metro e settanta, a voler essere generosi, ma quella era l'unica cosa normale che c'era in lei. Si precipitò nella stanza con falcate rapide e arrabbiate, talmente accigliata che le sue sopracciglia si univano quasi insieme sui suoi occhi a mandorla e le narici dilatate.

    La più recente assistente di Ethan... Tina? Trisha? un nome con la T... entrò dopo di lei. «Dottoressa Lazarev... »

    La donna si tolse di dosso la sua mano e continuò ad avanzare.

    «Signora, la prego...» L’assistente lanciò un’occhiata nervosa a Ethan. «Sono sicura di poterle fissare un appuntamento. Se vuole venire con me...»

    Ethan spinse la sua sedia ergonomica all’indietro. La donna vacillò e si fermò di botto quando lui si alzò in tutta la sua possanza. Poi raddrizzò le spalle e sollevò il mento.

    L’assistente le aleggiava attorno, torcendosi le mani. «Mi dispiace, signor Talbot. Ho cercato di fermarla...»

    La scacciò con la mano senza togliere lo sguardo dalla sua ospite inattesa. «Va tutto bene, Tina».

    «Trisha» sussurrò l’assistente.

    «Come?»

    «Mi chiamò Trisha» ripeté. «Devo chiamare la sicurezza?»

    Sarebbe stata la cosa migliore da fare. Di solito, non avrebbe esitato a farlo, ma c’era qualcosa in quella donna che lo fermava. Non era una minaccia fisicamente, era più alto di lei di almeno una spanna e pesava almeno una trentina di chili più di lei. Ovviamente poteva avere un’arma in serbo. Studiò la sua sagoma snella: non aveva borsa, né bozzi rivelatori. Il suo sguardo si fermò per un attimo sulla scritta che aveva sul seno: I decimali vogliono la virgola. Doveva essersi accorta che la stava guardando, perché incrociò le braccia sul petto. Unghie non curate e senza smalto; nessun anello. Sorrise; avrebbe corso il rischio.

    «Ci penso io, Trisha». Girò attorno alla scrivania. «Ti spiacerebbe chiudere la porta quando esci?»

    «Sono le cinque passate, signor Talbot, stavo per andare a casa. A meno che lei abbia bisogno che resti...»

    «No». Si fermò davanti alla scrivania e si poggiò sul bordo, afferrando con i palmi il legno color mogano lucido. «Sei libera di andare, Trisha. Buona serata».

    La porta si chiuse. Cadde il silenzio.

    Ethan si schiarì la voce. «Dottoressa Lazarev, giusto?»

    «Sì». Si guardò attorno, come se fosse improvvisamente a disagio nel trovarsi da sola con lui.

    «Mi chiamo Ethan Talbot. Ma immagino che lo sappia già».

    I suoi occhi incrociarono quelli di lui, che si fermò a guardarli: erano color muschio, con una sfumatura di verde più scuro, circondati da uno spesso anello di ciglia.

    Per un attimo Ethan aveva dimenticato di respirare. Poi le ciglia si abbassarono e sentì il flusso di ossigeno e sangue tornare nei suoi polmoni e nel suo cervello.

    «Sì, signor Talbot» gli disse. «Nelle ultime due settimane ho provato a contattarla più volte».

    Indicò la sedia degli ospiti davanti alla sua scrivania. «Perché non si siede e non mi racconta che cosa sta succedendo?»

    Lasciò che le braccia le scendessero lungo i fianchi e Ethan si costrinse a non abbassare lo sguardo. Conosceva bene l’anatomia femminile ed era abituato a vedere molta pelle esposta, che fosse sotto un tailleur o un vestito da sera o un set di lenzuola. Ma non riusciva comunque a ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva provato un’attrazione così immediata e irresistibile, soprattutto per una donna che non aveva alcuna intenzione di sedurlo: non indossava gioielli, non era truccata e indossava vestiti che doveva aver acquistato di seconda mano almeno una ventina di anni prima.

    Invece di sedersi, poggiò una mano sulla spalliera di una delle poltrone. «Signor Talbot...»

    «Ethan, la prego».

    Ignorò quel commento di proposito. «Sono qui per mia sorella, Klara Lazarev».

    Quel nome non gli diceva nulla. Avrebbe dovuto? Oppure stava per incastrarlo? Quanto voleva che Margaret fosse già tornata, lei avrebbe saputo cosa fare e si sarebbe occupata lei di quella donna. O comunque avrebbe esaminato la dottoressa Lazarev prima di farle oltrepassare quella soglia.

    Si chiese quale storia lacrimevole stava per propinargli quella donna. Oppure stava pensando di estorcergli qualcosa? Non era la prima volta che qualcuno si presentava da lui minacciando una denuncia per molestie sessuali o comunque per un qualche tipo di accusa altrettanto ignominiosa. Aveva forse importanza di cosa si trattava in effetti? Alla fine si riduceva tutto sempre al denaro.

    Bene, sarebbe stato al gioco. «Temo di non conoscere nessuno con quel nome».

    «Klara è uno dei venti partecipanti della Fondazione Talbot di quest’anno».

    Ci volle un attimo prima che il suo cervello processasse quelle parole: non si trattava di un’estorsione. Sentì la tensione svanire. «Congratulazioni. Dev’essere molto fiera di lei».

    Adesso capiva perché non aveva riconosciuto quel nome. Anche se la Fondazione Talbot era stata una sua idea, ultimamente se ne occupava esclusivamente versando i contributi agli sponsor, facendo il discorso di apertura all’incontro di apertura estivo e occupandosi delle pubbliche relazioni di tanto in tanto. Non aveva alcuna parte nella selezione dei beneficiari della borsa di studio Talbot, né si occupava dell’amministrazione del programma.

    La donna s’incupì improvvisamente. «Sarebbe meglio se Klara restasse a scuola» disse.

    Oh-oh. Forse il suo sollievo era arrivato un po’ troppo in anticipo. Era arrivato il momento di controllare i danni. «Capisco che possa pensarla a questo modo» disse. «Ma la borsa di studio è un’opportunità unica per gli studenti migliori e più di talento di inseguire i propri sogni in maniera non tradizionale».

    «Ascolti, signor Talbot, non sono venuta qui per discutere, né per illustrarle tutti i motivi per i quali il suo programma è una pessima idea». Le sue nocche sbiancarono mentre stringeva le dita sul retro della poltrona. «L’unico motivo per il quale sono qui è che l’amministratrice delle borse di studio mi ha mandato da lei. Mi ha detto che il suo ufficio non ha mai dovuto gestire una situazione del genere e che non era a suo agio nel prendere una decisione se la direttiva non fosse venuta da lei».

    «Mi spiace, dottoressa Lazarev, non sapevo nemmeno che ci fosse una situazione».

    «Beh, è così. Mia sorella ha appena compiuto diciannove anni, quindi tecnicamente è un’adulta, ma è comunque compito mio occuparmi dei suoi interessi. E posso garantirle che abbandonare l’università per inseguire un’utopia della Fondazione Talbot non è sicuramente nei suoi interessi».

    «Capisco». Si passò una mano sul retro del collo, cercando di allentare la tensione dei muscoli. «Quello che non capisco è perché lo sta dicendo a me. Non dovrebbe parlarne direttamente con sua sorella?»

    «Mi creda, se potessi convincerla a essere ragionevole, non sarei qui adesso». Fece un respiro profondo. «Ascolti, signor Talbot, sono qui a chiedere il suo aiuto. A dire il vero, sono anche disposta a pagarla per questo».

    La sua mano si fermò improvvisamente. Beh, questa era la prima volta che sentiva una cosa del genere, qualcuno che si offriva di pagarlo. Stava parlando di denaro o di qualche altro tipo di pagamento? Il suo sguardo ispezionò le sue curve femminili e sentì l’impazienza crescergli nelle viscere... e qualcosa si irrigidiva più in basso.

    Quando i loro sguardi s’incrociarono nuovamente, lei era arrossita. Gli aveva forse letto nel pensiero? Stava forse immaginando come sarebbe stato togliersi di dosso i vestiti uno per volta, fin quando sarebbero stati entrambi nudi e...

    «Sono sicura che la Borsa di studio Talbot ha una sfilza di richiedenti» disse, schiacciando del tutto la sua fantasia peggio di quanto avrebbe fatto un rapporto negativo a una riunione di agenti di borsa. «Molti dei richiedenti che erano molto qualificati probabilmente non hanno ricevuto una sovvenzione. Forse c’è persino una lista d’attesa...»

    Ethan poggiò nuovamente la mano sulla scrivania, mantenendo un’espressione neutrale. Riusciva a capire dove volesse andare a parare e non era sicuro di come dovesse sentirsi, se divertito o sconcertato dai suoi sforzi maldestri per manipolare la sorella.

    «Ad ogni modo» continuò quando fu chiaro che non le avrebbe risposto «sono sicura che riuscirebbe a trovare almeno una decina di ragazzi che sarebbero elettrizzati al pensiero di ottenere un posto per la borsa di studio se se ne liberasse uno all’improvviso. Se, per esempio, uno dei partecipanti fosse squalificato per un vizio di forma».

    Scosse la testa. «Mi dispiace deluderla, dottoressa, ma ho due parole per lei. Non succederà».

    Si morse il labbro. Era strano, ma fino a quel momento non aveva mai notato quanto potessero essere sexy le labbra senza trucco. Si chiese che sapore potessero avere, che sensazione gli avrebbero dato sulla pelle nuda.

    «E se uno dei partecipanti non dovesse rispondere alle aspettative?» disse. «Ogni contratto che ho visto in vita mia aveva degli obiettivi da raggiungere o delle deroghe e il pagamento è sottomesso a essi. Sono sicura che i vostri ragazzi devono fare degli esami in continuazione per dimostrare quali progressi stanno facendo, giusto? E dopo tre o quattro mesi, se non se la stanno cavando bene, forse la sovvenzione può... prosciugarsi».

    Una cosa doveva concedergliela, comunque, era decisamente insistente, ma non l’avrebbe comunque convinto ad ascoltarla. Guardò l’orologio. «Ascolti, dottoressa...»

    «Puoi chiamarmi Anna e diamoci del tu».

    Si allontanò dalla sua scrivania e rimase sorpreso nel vedere che aveva allentato la sua presa mortale sulla poltrona e che aveva fatto un passo indietro.

    «Anna» disse. «È stato un piacere. Ma temo che si sia fatto tardi...»

    «...e tu hai già dei programmi» finì lei al posto suo. «Certo. Mi dispiace, non volevo rubarti così tanto tempo. Hai qualche minuto libero questo fine settimana? Potremmo definire i dettagli per telefono».

    «A dire il vero...» guardò il portatile ancora aperto sulla sua scrivania. Fanculo, aveva fatto praticamente lo stesso discorso tre anni di seguito, da quando c’era stato il primo incontro delle sovvenzioni Talbot. E la pila di carte che sembrava non diminuire mai sarebbe stata ancora lì anche se si fosse concesso una serata libera. «Hai fame? C’è un pub in fondo alla strada che serve degli ottimi hamburger. Possiamo continuare questa conversazione a cena».

    CAPITOLO DUE

    Il pub era rumoroso, pieno di gente che faceva l’happy hour dopo il lavoro. Ethan riuscì a infilarsi in un tavolo all’angolo.

    «Allora, qual è la

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