Un seduttore in corsia: Harmony Bianca
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Il chirurgo Jenna Weston ha passato tutta la vita a essere ignorata. Per questo quando trova uno straniero sexy e misterioso sulla soglia di casa crede che abbia sbagliato indirizzo. Invece il dottor Adam Sinclair è lì proprio per lei. È il nuovo chirurgo plastico e Jenna è la sua padrona di casa.
Adam non credeva di poter ancora provare emozioni così forti per qualcuno. Tantomeno per una donna semplice e dolce come Jenna. Tuttavia l'innato sex appeal lo ha conquistato e adesso si trova a dover combattere la battaglia più dura di tutte. Quella contro se stesso.
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Anteprima del libro
Un seduttore in corsia - Annie Claydon
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Doctor On Her Doorstep
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2012 Annie Claydon
Traduzione di Loredana Volpe
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-053-7
1
Jenna fermò l’auto davanti alla sua bella casa in stile vittoriano, e spense il motore. Doccia, una buona pizza, e TV. Solita serata rilassante, attesa con ansia dopo ore di frenetico lavoro nel Pronto Soccorso.
Ma forse doveva rimandare quel programma. Un uomo seduto all’ombra del portico, i gomiti sulle ginocchia, sembrava attendere con pazienza chiunque dovesse rientrare. Sarà uno dei numerosi flirt di Janice, pensò Jenna. La sua amica e inquilina aveva lasciato l’appartamento al pianterreno da tre settimane, senza comunicare all’ex il suo nuovo indirizzo. Io non posso dirglielo, è ovvio. Basterà un numero di cellulare, un minimo di cortesia, e andrà via subito.
In fondo, quell’uomo dall’aria tranquilla aveva un aspetto simpatico. Jenna prese le due pesanti borse della spesa dal portabagagli e varcò il cancello; poi lo spinse con un piede, lasciando che si richiudesse più rumorosamente del dovuto.
Abbagliata dal sole del tramonto, si avvicinò all’ingresso, osservando meglio lo sconosciuto.
Sembrava un cantante rock. Giacca di pelle sgualcita, jeans, stivali. Capelli castano chiaro, con qualche sottile ciocca bionda, e abbastanza lunghi da poterli passare dietro le orecchie. Sfoggiava un’abbronzatura notevole, sicuro effetto di lunghe vacanze ai tropici. Gli occhiali da sole gli celavano lo sguardo, ma Jenna comprese che anche lui la osservava, attento. Si avvicinò, posando le borse della spesa sul gradino accanto ai suoi piedi.
«Salve, posso aiutarla?»
«Cerco il dottor Weston.»
«Sono io» rispose Jenna, provando uno strano formicolio lungo la schiena. Un insetto nella camicia, pensò subito. Strano, però: nello stesso momento le formicolavano anche le dita.
«Adam Sinclair. Il dottor Greene, amico e collega, deve averti parlato di me.» Stretto accento inglese, mitigato dalla leggera e gradevole cadenza strascicata, tipica della costa atlantica degli Stati Uniti, dove quel tipo aveva evidentemente soggiornato a lungo.
Jenna fissò il proprio riflesso nelle lenti scure di Sinclair. «Più o meno...» cominciò, senza citare la mail in cui Rob Greene le annunciava l’arrivo di un ospite, non per oggi, ma nel prossimo fine settimana.
Sinclair si tolse gli occhiali scuri, li agganciò alla camicia aperta sul collo. «Sono arrivato dall’America questa mattina; vado subito a Exeter, per pochi giorni. Ma prima volevo passare a questo indirizzo.»
Anche i suoi occhi castani hanno catturato lo stesso sole che gli ha schiarito i capelli, pensò Jenna, turbata.
«Qualcosa più di una digressione» replicò, senza guardarlo. «Exeter non è esattamente sulla strada per arrivare fin qui dall’aeroporto di Heathrow.»
Sinclair alzò le spalle; forse guidare per venti miglia nel traffico intenso non gli pesava. «Infatti ho dovuto cambiare direzione. C’è qualche problema?»
«No.» Nessun problema, pensò Jenna, senza muoversi, ancora incerta davanti all’ospite a sorpresa, comparso dal nulla alla porta di casa.
Forse Sinclair scambiò la sua esitazione per sospetto. «I miei documenti» disse infatti, porgendole il portafogli aperto. Carte di credito, la patente rilasciata in Florida, la foto di una donna. Jenna richiuse il portafogli, glielo riconsegnò.
«Grazie. Sarà meglio entrare.» Si chinò per riprendere le borse, ma Sinclair si alzò subito in piedi, sollevandole prima di lei.
La seguì in silenzio lungo le scale, aspettando che aprisse la porta, poi la raggiunse in cucina posandole sul piano del mobile.
Jenna mise via le chiavi, si tolse la giacca, rimboccandosi le maniche della camicia bianca. «Sistemo subito la spesa, poi ti mostro l’appartamento. Gradisci una tazza di tè?»
«Sì, grazie.» Era rimasto sulla soglia della cucina, per non intralciarla nei movimenti. «Sai, ho l’impressione di non essere la persona che aspettavi.»
Puoi dirlo forte. «Ecco, veramente, dalla mail di Rob avevo capito che avrei ospitato una donna. Ma non fa nessuna differenza.»
Niente di più falso. Nessun dottore avrebbe il diritto di possedere un sorriso così, su un volto perfetto, senza contare le possibili conseguenze causate dall’uso un simile fascino.
«Mi dispiace. Se vuoi, rinuncio a...»
«Non importa. Rob scrive in modo frettoloso, talvolta incomprensibile.» In realtà, i suoi messaggi, fin troppo sintetici, spesso creavano qualche perplessità nei destinatari. Single, non ama gli alberghi, ha bisogno di tranquillità e sicurezza, ne parliamo al mio ritorno dalle vacanze. Notizie scarne. Rob ancora in ferie per giorni. Jenna aveva creduto che il dottor Sinclair fosse una donna, temporaneamente nel Regno Unito per tenere delle conferenze.
«È vero» commentò lui. «Quando è nata Ellie mi ha spedito una foto di Cassie con la neonata, e queste parole: Tutto bene, sette libbre. Gli ho chiesto di chiarirmi i dettagli, ha risposto femmina, e basta.»
Jenna rise. «Grande onore, ricevere una foto. A noi, suoi colleghi, solo la parola nata!. Quindi conosci Rob da un po’, Ellie ha quasi cinque anni.»
«Siamo amici dai tempi dell’università. Da quando vivo all’estero, è Cassie, con lettere e foto, a mantenere i contatti. Ho perfino un disegno di Ellie e della piccola Daisy» le confidò, con un sorriso rassicurante, visto che Jenna era sola, in casa.
Il riferimento al disegno era un’ottima credenziale. «L’ho eseguito io» affermò Jenna. «Cassie me ne aveva chiesto una copia da mandare a un amico che viveva in America.» E che stava passando un momento molto difficile.
«Davvero? È notevole, l’ho appeso alla parete nel mio studio, l’immagine di quelle due bambine mi fa sorridere ogni volta che la guardo.»
Era solo un disegno a matita, ben riuscito, pensò lei, ma niente di speciale. «Dicono che la Florida sia bellissima. Cosa fai laggiù?» si affrettò a domandare, riponendo le provviste nel frigo, prima che l’ospite approfondisse l’argomento artistico.
«Sono chirurgo plastico.»
Capisco, pensò lei. Nasi nuovi e liposuzioni per ricchi. Forse Adam ne ricava un bel mucchio di soldi. Scommetto che molte donne accetterebbero le pene dell’inferno, e anestesie totali, pur di vedere il dottor Sinclair soddisfatto del suo lavoro. Lo sportello del frigo, aperto, le servì a celare la propria espressione sprezzante. «Parlerai di questo alle tue conferenze?»
«Sì. Volevo restare un po’ in Inghilterra, e ho accettato subito l’offerta di tenerne alcune qui a Londra, nell’arco di un mese. Stasera andrò a trovare la mia famiglia, ma sarò di ritorno tra una settimana. La prima conferenza è per domenica prossima.»
«Domenica? Quindi aperta al pubblico.» Non che Jenna ne fosse vagamente interessata.
«Certo. Tre del pomeriggio, Teatro Fleming.»
Non l’aveva invitata. Non importa. Sorridendo, si rialzò. «Preparo il tè, e scendiamo a vedere l’appartamento» promise. Forse l’ho giudicato male, pensava intanto. E va bene, non era una donna, ma di questo non poteva fargliene una colpa. E se aveva deciso di impegnare studi costosi e capacità professionali per eseguire interventi inutili, doveva vedersela solo con la sua coscienza.
Jenna tese a Adam la tazza di tè, prese la sua insieme alle chiavi dell’appartamento al pianterreno e a un pacchetto di biscotti al cioccolato. «L’ho rinfrescato da poco, lascerò le finestre aperte, per cancellare l’odore della tinta» avvertì, mentre scendevano le scale.
«Benissimo, cercavo solo un posto dove stare. Rob si era offerto di ospitarmi, ma con due bambine e un terzo figlio in arrivo, non ha molto spazio. Purtroppo gli alberghi non mi piacciono.»
Jenna entrò nel soggiorno, sedette sul divano ricoperto da un telo. «Lo so, Rob me l’aveva detto.»
«Davvero?» chiese Adam, sorpreso.
«Solo un breve accenno. Gli alberghi non piacciono neanche a me» aggiunse lei. In fondo non erano affari suoi. Aprì il pacchetto dei biscotti, ne offrì uno a Adam. «Perché non ti guardi un po’ intorno? L’arredamento è semplice, temo, c’è solo l’essenziale.»
«Mi piace proprio per questo.» Adam ignorò i biscotti, si avvicinò alle finestre, spalancandole. Il sole obliquo del tramonto inondò pareti e pavimento. «Quanta luce... Per me va benissimo, se sei d’accordo» aggiunse, girandosi a guardarla.
«Non vuoi vedere anche il resto?»
«Dovrei?» Ancora quello sguardo allusivo, quel sorriso speciale.
«È normale, di solito. Non ti accompagno, ti dispiace se aspetto qui?» In realtà era a disagio sotto il suo sguardo, a quel sorriso appena accennato agli angoli della bocca, mentre le guardava i capelli rosso scuro, tirati indietro e appuntati sulla nuca. Le sembrava che quegli occhi dorati, o forse l’istinto professionale, esprimessero un costante giudizio silenzioso su di lei.
«Non desideri sottolineare i raffinati aspetti della costruzione?»
«Preferisco rilassarmi, e bere il tè, mentre tu fai il giro delle stanze.»
«D’accordo» rise piano Adam. «Le domande a dopo.» Sparì nell’ingresso; Jenna seguì il rapido rumore dei suoi passi. Tornò da lei prima del secondo biscotto. «Una delle porte è chiusa a chiave.»
«È la seconda stanza da letto. La mia ultima inquilina è andata in Spagna per lavoro, vi ha lasciato alcune cose che dovrò spedirle non appena si sarà sistemata. Posso toglierle, se vuoi usare la stanza, ma prima guarda meglio quella principale» disse Jenna, attraversando l’ingresso per aprirne la porta.
Adam entrò, guardandosi intorno. «È grande» mormorò, sedendo sul letto. «Ottimo materasso.»
«Scelgo sempre il meglio. E giacché siamo qui, vorrei segnalarti la spaziosità degli armadi.»
«Quindi sono autorizzato a guardare nell’interno.»
«Ovviamente. E dimmi se vi trovi qualche scheletro. Non credo che Janice ne abbia lasciato qualcuno, anche se non ne sarei così sicura.»
Adam aprì gli sportelli, ispezionando l’interno del guardaroba. «Niente» disse, con un gran sorriso. «Probabilmente la tua inquilina li ha portati via.»
«Meglio così. Allora, che ne pensi?»
Adam si guardò intorno, perplesso. «Posso vedere anche l’altra stanza, quella chiusa, per favore?»
«Certo. È meno grande di questa, con armadi più piccoli. Io la preferisco, perché la portafinestra dà sul patio, e al mattino prende il primo sole.»
Adam le passò accanto; la sua giacca di pelle le sfiorò un braccio. «Piace molto anche a me. Va bene se trasferisco le cose di Janice nell’altra stanza e porto qui il letto?»
«Lo farò senz’altro, la settimana prossima.»
«No, ci penso io» replicò lui, con fermezza. Si avvicinò alla portafinestra, osservò il giardino. «Bello. Ci sono le piante che attirano le farfalle.»
Il mio adorato giardino, pensò Jenna, compiaciuta e un po’ imbarazzata, nello stesso tempo, dall’attenzione di Adam. «Io e mio nonno l’abbiamo creato quando ero piccola, scegliendo insieme erbe aromatiche e fiori; ora è alquanto trascurato.»
«Quindi questa è la tua casa di famiglia?»
«Era dei miei nonni. Io l’ho divisa in due appartamenti dopo la loro morte, per affittarne uno. Allora