L'ora della nascita: Psicoanalisi del sublime e arte contemporanea
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Giuseppe Civitarese
Psichiatra e psicoanalista, vive e lavora a Pavia.
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Anteprima del libro
L'ora della nascita - Giuseppe Civitarese
Capitolo 1
L’IMMINENZA DELL’OGGETTO
L’ipotesi che sviluppo in questo libro è che l’estetica del sublime «racconti» la nascita psichica; che in sostanza essa non sia che un’allegoria del processo di istituzione di uno spazio di pensiero attraverso la progressiva differenziazione del soggetto dall’oggetto¹. Del resto, nella pittura del sublime, non altro ma analogo significato di apertura dell’occhio della mente riveste il tema ricorrente della luce o della finestra. In secondo luogo, le domande che formulo sono: qual è l’essenza del sublime? Il sublime è diverso dal bello? Cosa ne è del sublime nell’arte contemporanea? Per provare a rispondere, leggo l’estetica del sublime con la nozione psicoanalitica di sublimazione. L’idea di fondo è che intrecciare l’una all’altra arricchisca la nostra comprensione di entrambe. Dopo i concetti di perturbante di Freud e di abiezione di Julia Kristeva, l’idea è di forgiare un altro attrezzo concettuale per intrecciare teoria psicoanalitica ed estetica.
Un quadro di Turner del 1837 alla National Gallery di Londra (fig. 1) si presta bene a riassumere lo schema interpretativo di base che utilizzo. L’opera, ispirata al mito di Ero e Leandro, si chiama Il congedo di Ero e Leandro. Del mito sappiamo qualcosa grazie a due lettere di Ovidio e al racconto che ne fa Museo, entrambi a loro volta hanno per fonte un testo a noi ignoto, probabilmente di un poeta del primo alessandrinismo anteriore a Virgilio.
Fig. 1 – Joseph Mallord William Turner, Il congedo di Ero e Leandro (1837), olio su tela, 146 × 236 cm, © The National Gallery, Londra 2020.
Durante una festa a Sesto in onore di Afrodite i due giovani si innamorano a prima vista e si sposano in segreto. Ma appartengono a comunità diverse e straniere. Ero, sacerdotessa della dea, vive in un tempio a Sesto e Leandro ad Abido, sull’altra riva dell’Ellesponto. Per incontrarsi, ogni notte Leandro attraversa lo stretto guidato dalla lampada che Ero accende su una torre. Una notte però la lampada si spegne e Leandro annega. Il giorno dopo, il mare restituisce alla terra il suo cadavere. Alla vista, Era si butta dalla torre e muore.
Prima di Turner, il mito ricorre sei volte nella pittura parietale a Pompei. Tra le varianti, particolarmente interessante è la raffigurazione che si trova nella casa conosciuta appunto come Casa di Ero e Leandro, riprodotta in un disegno del 1841 di Giuseppe Abbate (fig. 2). Al centro della scena Leandro nuota verso Ero, che si trova alla sinistra, mentre al lato opposto c’è un’altra donna in atteggiamento pensoso, anch’essa col capo coperto e una lanterna nella mano². L’immagine si potrebbe leggere come un’illustrazione perfetta della difficile ricerca di una distanza³ ottimale dal primo oggetto d’amore e della necessità di investirne di nuovi. Che l’attraversamento notturno del mare segni l’acme della storia non è senza significato. Vuol dire che trovare la propria strada nel nero del reale si può fare solo se qualcuno che ama fa luce, e che volgere le spalle all’oggetto delle cure primarie non è senza rischi mortali.
Curiosamente, nella pittura di Pompei la donna che tiene il lume è quella da cui Leandro si allontana. Il dettaglio autorizza un’interpretazione supplementare. Avremmo non più l’attraversamento come figura del processo di soggettivazione (la ricerca di nuovi oggetti in sostituzione di quello materno), ma piuttosto l’attraversamento come figura del processo inverso del ritorno alla madre-terra ed espressione della pulsione di morte di cui parla Freud. Potrebbe essere poi un modo di ribadire, come Freud scrive icasticamente, che «Il rinvenimento dell’oggetto è propriamente una riscoperta»⁴. Infine, il dettaglio ci ricorda la madre come quella che «dà alla luce», ossia dà la luce all’infante. Al riguardo si veda come nel sonetto Su una gemma raffigurante Leandro datami da Miss Reynolds, amica cara, scritto nel 1817, Keats⁵ interpreta brillantemente il motivo del lume o lucerna (λύχνον⁶), quando descrive lo «splendore [beauty bright]» delle fanciulle, che «tra le bianche palpebre» trattengono «una luce ben nascosta [with a chasten’d light, / Hid in the fringes of your eyelids white]», e che non possono assistere insensibili (could not see, / Untouched) alla tragedia di Leandro che «annega nella notte [night] del suo spirito […] in fondo al mare oscuro [dreadry sea]», così come, un istante prima di annegare, lo scintillio di «braccia e spalle [arms and shoulders gleam awhile. / He’s gone]». In tutto il componimento si assiste a una drammatica lotta tra le due serie di termini che rinviano alla luce (bianche, luce, scintillano) o alle tenebre (nascosta, notte, oscuro), provvisoriamente annodate dal negativo al lavoro nel not see, due parole che in questo contesto arrivano a significare qualcosa solo stando assieme.
Fig. 2 – Pompei, casa di Ero e Leandro, ambiente z, parete est: Ero e Leandro, disegno a china di Giuseppe Abbate, 1841, Archivio Disegni della Soprintendenza, Napoli.
Ma torniamo a Turner. Sulla sinistra del quadro dominano architetture umane e in primo piano, tra varie altre figure dipinte come se fossero già abitanti del mondo delle ombre, e che fanno da contrappunto agli spiriti disposti invece al lato opposto, si scorgono Ero (o forse lei e un’ancella) che tiene alte due lucerne per guidare il percorso di Leandro. Sulla destra campeggia invece un paesaggio di natura in cui si fondono rocce mare cielo. Nel mezzo, il percorso di Leandro è rischiarato dalla luna, ma questo non basta a salvarlo. Le condizioni del mare in tempesta sono tali che i lumi che lo devono guidare si spengono ed egli va incontro al suo tragico destino.
Abbiamo dunque una spettatrice che, in doppio con lo spettatore esterno al quadro, osserva uno spettacolo drammatico e per lei massimamente coinvolgente. La mia chiave di lettura è che l’oggetto che suscita in lei l’esperienza passionale non sia tanto Leandro – ovviamente è così su un piano banalmente narrativo ed esplicito –, bensì la natura sterminata e crudele, ma anche resa bellissima dall’arte di Turner. A sua volta tale elemento di paesaggio rimanderebbe all’oggetto della relazione primaria. In altre parole, Ero e Leandro medierebbero la relazione tra spettatore e il fantasma dell’oggetto raffigurato come infinità. In un vertiginoso gioco di specchi si riflettono l’una nell’altra l’intensità emotiva di tale legame (primario rispetto alla nascita della psiche), della passione erotica dei due amanti e dell’esperienza estetica del sublime artistico.
Così la funzione del personaggio di Leandro, o meglio la passione che lo lega a Ero, sembra essere al tempo stesso di alzare al massimo la temperatura emotiva della scena, come segnalano gli accesi contrasti di colore e di linee⁷, ben al di là di quanto farebbe un elemento di natura, per quanto colto in un momento drammatico, che mancasse della presenza umana. Inoltre il suo sacrificio allude al taglio, alla separazione, alla faglia nell’io che accende la scintilla del pensiero e dunque il primo barlume di soggettività. Senza simbolo non avremmo nessun soggetto e nessun oggetto, ma solo un reale indifferenziato. Così, dove assistiamo a una morte, in realtà assistiamo anche a una nascita, all’ora della nascita.
Il buco nero che si trova al centro del gorgo che inghiotte Leandro (l’elemento, minaccioso, oscuro e allungato che si vede nella parte destra del quadro) è misteriosissimo e intrigante. Sembra un passaggio che porta alle viscere della terra. Forse anche più direttamente allude alla nascita fisica. In un commento a questo quadro anche Edoardo Albinati⁸ l’ha letto, tra le altre cose, come un’allegoria del trauma della nascita e ha richiamato un bellissimo passo di Lucrezio⁹ che paragona il bambino appena nato al naufrago che è scampato alla morte e giace ancora stremato a riva: «Ed ecco il fanciullo, come un naufrago buttato a riva / dalle onde infuriate, giace nudo sul suolo, incapace di parlare, / bisognoso d’ogni aiuto vitale appena la natura lo getta / sulle prode della vita, con doglie del grembo materno, / e riempie lo spazio d’un disperato vagire».
Il dettaglio si vede anche più distintamente nell’incisione di Bradshaw (fig. 3)¹⁰ che è una copia del quadro di Turner. Leandro che annega è una minuscola figura, e non si capisce se sta per essere espulsa oppure, appunto, risucchiata da un gigantesco vortice. È dunque impossibile non vedere nell’immagine un’efficacissima rappresentazione simbolica sia del parto sia della fine della vita. La si potrebbe accostare al quadro di Gustave Courbet del 1864 La Grotte de la Loue, ora alla National Gallery di Washington, dove si vede una minuscola figura umana nell’atto di penetrare entro un antro dall’ingresso gigantesco e oscurissimo (fig. 4).
Il quadro di Turner mostra anche quanto sia superficiale una lettura del tema classico del naufragio con spettatore come «voluttà maligna»¹¹. Lo stesso accade nella clinica psicoanalitica, per esempio quando dell’invidia o dell’arroganza non si veda che è indice di una mancanza. La relazione tra spettatore e naufrago è dialettica o speculare. Entrambi si salvano ed entrambi fanno «naufragio». Il naufragio non è che il negativo su cui poggia l’io. Difatti Lucrezio¹² dice che, alla vista di qualcuno in seria difficoltà, lo spettatore prova un «giocondo diletto» – non perché lo vede soffrire ma perché vede se stesso preservato da quella sofferenza. Se è piacere, è l’altra faccia del senso di sicurezza di chi sta sulla terraferma. Ma ovviamente spettatore e naufrago sono accomunati dal medesimo destino umano. Tanto più la vita prende senso quanto più si specchia nella prospettiva della sua fine. Finché c’è qualcuno che testimonia dell’orrore, vuol dire che c’è vita ovvero pensabilità. Lo spettatore, non solo di veri naufragi e di vere tempeste ma semplicemente delle loro raffigurazioni pittoriche, non è al sicuro, lo è solo relativamente e provvisoriamente. Il dipinto fissa solo un momento della storia. Leandro non è ancora annegato ed Ero non si è ancora suicidata; cosa che avviene quando il giorno dopo il mare le restituisce il cadavere dello sposo. Come la pittura pompeiana illustra quasi didascalicamente, la vita è una