L'anima e il sublime
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Florinda Cambria
Docente di Antropologia filosofica e di Filosofia ed Epistemologia nella Scuola di Psicoterapia Comparata (Genova). A Milano dirige il centro di formazione transdisciplinare «Mechrí/Laboratorio di filosofia e cultura». Al centro delle sue ricerche il legame fra azione rappresentativa, corpo, prassi e verità. Principali pubblicazioni: Corpi all’opera (Jaca Book, 2001); Far danzare l’anatomia (2007); La materia della storia (2009); La sapienza del teatro, il canto del mondo (2014); Leggere L’universale singolare di Sartre (2017). Presso Jaca Book cura la pubblicazione delle Opere di Carlo Sini e la collana «Mappe del pensiero».
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L'anima e il sublime - Florinda Cambria
SAFFO
Sperimentazioni Artistiche Filosofiche Fuori Orbita
SAFFO
Qual è l’origine dell’opera d’arte?, 2020
© 2021
Editoriale Jaca Book Srl, Milano
tutti i diritti riservati
Prima edizione Jaca Book
novembre 2021
Redazione Jaca Book
Impaginazione Elisabetta Gioanola
Stampa e confezione
Galli & C., Gavirate (Va)
novembre 2021
ISBN 978-88-16-80329-9
Editoriale Jaca Book
via Frua 11, 20146 Milano
tel. 02 48561520, 342 5084046
libreria@jacabook.it; www.jacabook.it
Ebook www.jacabook.org
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INDICE
Introduzione
LA PASSIONE PER L’INFINITO
Irina Casali
IL SUBLIME: DALLA RETORICA ANTICA AL POSTMODERNO
Elio Franzini
DESERTI SUBLIMI. VARÈSE E LE FORME RIFLESSE
Carlo Serra
L’INFINITAMENTE GRANDE E L’INFINITAMENTE PICCOLO. RIFLESSIONI SULLA NATURA DI DUE FORME IMMAGINATIVE
Paolo Spinicci
VISIONI SUBLIMI E NASCITA DELLA PSICHE. IL BELLO È SOLO L’INIZIO DEL TREMENDO
Giuseppe Civitarese
L’ANIMA E IL LAVORO DELL’INFINITO
Florinda Cambria
LA SOGLIA DELL’ANIMA. L’ALTROVE DEL BELLO E DEL VERO
Carlo Sini
«MA MISI ME PER L’ALTO MARE APERTO». ULISSE E NOI
Roberta De Monticelli
L’ILLIMITATO, L’ANIMA, LE COSE
Franco Rella
Testi consigliati dai relatori
A Marisa Marini, Signora del labirinto, con gratitudine e amore, per avermi aperto la porta.
Non ho potuto mai darti le lettere clandestine scritte durante gli anni di apprendistato.
Possano queste parole giungere dall’altra parte.
«Miele per la signora del labirinto
, si scrive a Creta millenni fa. Miele è l’immortalità incorrotta»¹
In principio l’Eden. È il regno di lei, che lo fa conoscere a lui.
Per questo viene cacciata: perché comprende le forme della natura.
Cacciata, è pur sempre «Signora» del giardino, «Signora» delle fiere, delle spighe delle piante che curano, dei succhi che uccidono.
La potenza.
Ora. Assuefatta a un’idea di labilità, malata di obbedienza, si misura con le sue simili fino a usare parole maschili che la declassano e la umiliano. Eva futura.
Solo se volesse, potrebbe rientrare nel suo antico dominio: ne possiede le chiavi anche se ha dimenticato come usarle, Lei che dà la vita e sa della morte.
Bruciata in mille fuochi, si esalta nel gioco del tragico.
Addentrandosi nella foresta diventa Ester della Lettera scarlatta o Babette che raccoglie erbe alte sul mare nordico per una cena in cui si mangia «dio».
L’uomo impone il suo ordine al mondo e progetta il giardino che reagisce come trappola metafisica in cui la donna si muove come Arianna «Signora del labirinto». Teseo non uscirebbe dal labirinto senza l’aiuto di Arianna.
La natura costretta nel disegno del giardino si fa mistero viscerale in cui germoglia la presenza aliena. Il femminile lo sa.
Riconosce e teme le forme degli esseri che là nascono².
¹Queste parole di Marisa Marini, insegnante di greco, Maestra di vita, sono tratte dal Catalogo della mostra a cura di Anna Fraschetti Avvenirismo 3535. Making Life in Art, open-air contemporary art exibition Botanical Gardens of Brera, Silvana Editoriale, Milano 2007, p. 42. Il volume mi è giunto in dono da Anna, compagna di classe agli anni del liceo, che ho rivisto dopo trentadue anni. Le parole di Marisa, vive come il suo esempio, sono volate tra le mie mani al momento di consegnare le bozze di questo libro, poco dopo la notizia della sua scomparsa. Il dolore della perdita è grande come la certezza del legame. Forse non è un caso esserci ritrovate, ora, se forte come la morte è l’amore. Ringrazio Giacomo Valtolina per il ricordo di Marisa uscito sul Corriere della sera, il 9 Aprile 2021: «Sperava di abbandonare la vita terrena in un incidente aereo nel cuore della Foresta Amazzonica o in preda alle correnti dello Stretto di Magellano, dove la sua minuta figura era stata capace di sfidare il mare con un semplice kayak. E invece a quasti 86 anni se l’è portata via una polmonite fulminante. Marisa Marini da Novi Ligure a Milano, via Genova e la Patagonia, ha insegnato greco e latino, per oltre 30 anni al Parini, e al tempo della pensione accettò di restare in cattedra solo perché gli alunni fecero un‘intera ora di silenzio, in piedi, per convincerla. Credeva nei grandi gesti, e questo rigore morale ha saputo insegnare oltre le frustrazioni del sistema. Restiamo inquiete
l’hanno citata le sue alunne. Curiosa, dolcissima, e discreta, ma anche severa, sprezzante e austera. Ci vuole nobiltà d’animo per insegnare queste materie
ha centrato il parrocodi san Marco. Fu capace di far vivere il mito, con teatralità ditirambica, intrisa di mistero. L’enigma, uno dei suoi temi, come il labirinto, il circo, lo zoo. Trovava nel cinema, e negli stadi, le forme di ritualità dell’oggi, suggeriva pellicole, da Picnic at Hanging Rock a Rambo, da capire come il reduce, l’outcast, l’ostracizzato. Era affascinata dai luoghi di frontiera, dai popoli fieri e dallo spazio: tra le ultime passioni, Interstellar (in quel film c’è tutto
diceva). Nei tanti messaggi giunti al Corriere si legge la sua impronta, i suoi infiniti spunti. Tracce indelebili sul cammino dei suoi studenti, oggi cittadini
».
²Ibid., p. 88. Ringrazio l’editore Silvana Editoriale per l’autorizzazione alla riproduzione dei testi di Marisa Marini.
Introduzione
LA PASSIONE PER L’INFINITO
Irina Casali
La bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l’altro di angoscia, e taglia in due il cuore.
Virginia Woolf
Chi non comincia dall’amore non saprà mai cos’è la filosofia
Alain Badiou
I versi di Saffo Ode alla gelosia¹ commentati da Longino nel suo trattato Il Sublime introducevano i lavori del nostro primo seminario indicando una direzione di ricerca che oltrepassasse la dicotomia tra sensibilità e ragione, aprendosi un varco nel cuore stesso della carne verso l’ulteriorità².
Il sublime è un evento che testimonia l’oltranza nell’assoluta immanenza. Quest’esperienza paradossale del limite e del suo scavalcamento dice di che pasta siamo fatti noi umani.
«Il nostro essere ci è dato come una trascendenza in seno all’immanenza
: come un esser oltre
il dato presente»³. La vita prende senso nelle forme di oltrepassamento del mero esserci che si schiudono in esperienze di risveglio al sacro⁴. L’amore è una di queste forme iniziatiche donatrici di senso.
Là dove smarrisce le tracce della trascendenza, l’esistenza si autonega, ricade su di sé, cosa tra le cose, senza rinvio, senza ulteriorità. Ma chi può aprire la via alla trascendenza se non l’amore? E come può farlo se non proprio dove il suo eccesso espressivo cerca un’eccedenza, un’ulteriorità di senso, al di là di ogni nostra collaudata misura⁵.
Nella follia d’amore⁶ opposte passioni si stringono in unità illuminando una sapienza pato/logica che conosce la gioia attraverso il dolore, che sa solo ciò che patisce e patisce ciò che desidera. Un sapere da sempre ferito e ricomposto.
L’iniziazione amorosa sfalda ogni identità chiusa in sé stessa.
Una sorta di rottura di sé perché l’altro lo attraversi. Questo è l’amore. Non una ricerca di sé, ma dell’altro, che sia in grado, naturalmente a nostro rischio, di spezzare la nostra identità squilibrandola nelle sue difese. L’altro, infatti […] mi altera. E senza questa alterazione che mi spezza, mi incrina, mi espone, come posso essere attraversato dall’altro, che è poi il solo che può consentirmi di essere, oltre che me stesso, altro da me⁷?
Il desiderio fisico si manifesta nel corpo ma è impastato di stelle (de-sider), evoca l’aspirazione dell’uomo a riunirsi col cosmo: enigma in cui «L’amore vede in Dio il suo raggio di trascendenza e Dio vede nell’amore la sua natura, altrimenti a lui stesso ignota»⁸. Si tratta di un intreccio che «i mistici, a differenza dei metafisici, hanno saputo catturare nei rapimenti dell’anima»⁹. Il sublime pulsa nel centro di una creatura mista, che guarda il cielo mentre si radica nella terra; unione di due mondi, stringe l’alto con il basso ed è, in senso proprio, un-pensiero-che-sente (o un-sentimento-che-sa)¹⁰.
I tragici greci hanno mostrato come il sapere passi dal dolore (tòn páthei máethos¹¹) e non vi sia conoscenza spirituale che non s’incida nella carne; similmente, all’origine del sapere filosofico Platone dichiarò esserci il pathos (dolore) del thaumàzein (stupore). Tuttavia, col tramonto dell’epoca tragica, la metafisica ha rimosso progressivamente il trauma della conoscenza insieme allo stupore¹². Il pathos è divenuto ostacolo al logos. La passione, da motore del processo conoscitivo, si è ritirata dall’agone filosofico lasciando sul campo un sapere esangue. Sgravata di densità carnale e protetta da ogni eccedenza vitale, la filosofia si è ridotta a puro esercizio teoretico. Beato tra i propri discorsi, come in uno specchio, privo di contatto con l’alterit๳ e la conflittualità della singolarità vivente, il filosofo «riflette» anestetizzato al dolore del mondo¹⁴.
L’esperienza del sublime, invece, resiste, viaggia in senso opposto all’astrazione del concetto; s’impone in qualità di «fenomeno saturo»¹⁵, traboccante, capace di riaffermare la centralità del sentire a fondamento di ogni atto conoscitivo e di recuperare l’origine tragica della conoscenza. Lo stupore è una passione, non una riflessione: qualcosa che «ci colpisce prima ancora di conoscere la cosa»¹⁶. Quando assistiamo a un fenomeno saturo siamo travolti dalla sua impressione. Vi una «sintesi istantanea» che non è frutto del ragionamento perché «il fenomeno saturo eccede ogni sommatoria delle proprie parti – che d’altra parte, il più delle volte non possono nemmeno essere quantificate»¹⁷. Siamo di fronte a qualcosa che «ci si impone con una potenza tale che veniamo sommersi da ciò che si mostra, talvolta fino ad esserne completamente presi e affascinati»¹⁸. «Ogni fenomeno che produce lo stupore s’impone allo sguardo nella misura (più esattamente nella dismisura) in cui non risulta da nessuna somma delle qualità parziali prevedibile»¹⁹. La sorpresa che folgora è una rivelazione: in un lampo qualcosa si fa visibile e udibile con una certezza che è «semplice evidenza di fatto»²⁰.
Con la sua dottrina del sublime Kant ci offre esempi di fenomeni saturi²¹: eventi che eccedono le «categorie e i principi dell’intelletto»²². La metafisica kantiana ha riconosciuto l’esistenza di fenomeni che oltrepassano il dicibile e l’esprimibile dal concetto, però li ha posti ai confini della filosofia²³, considerandoli un limite invalicabile per l’insufficienza stessa del giudizio: «l’idea della ragione non può divenire conoscenza, perché contiene in concetto (del sovra-sensibile), al quale non si può mai dare un’intuizione adeguata»²⁴.
Al contrario, miti, tragedie, poesie e componimenti mistici hanno continuamente riproposto questi fenomeni, insistendo per esprimere l’inesprimibile e la coincidenza dei contrari attraverso un linguaggio simbolico denso di ossimori, che ricolloca il sapere nella sua origine di dolente stupore, passionale e drammatica. Il simbolo, a differenza del concetto, è un «linguaggio radicale originario» che testimonia una «Presenza» fondante-fondata della «realt໲⁵. L’esperienza mistica si riferisce infatti al simbolo come a «un mezzo linguistico che permette alla realtà di manifestarsi nella realt໲⁶. Il simbolo crea un «punto di incontro del materiale col metafisico, del suono col significato, del senso con la realt໲⁷.
L’amore, emblema del fenomeno saturo, sopravanza sempre la possibilità della sua traduzione linguistica e agisce in noi «come la fede, per la quale amiamo Dio senza capirlo»²⁸. L’esperienza amorosa è sempre un «dramma interiore» vissuto, non solo pensato. Volendo testimoniare ciò che sfugge alla ragione e sopravanza ogni capacità di riduzione concettuale, i simboli nascono
"… dallo slancio vitale, senza la mediazione di nessuna elaborazione.
Ci sarebbe [in essi] una fusione tanto intima delle immagini e dell’esperienza che non si potrebbe assolutamente parlare di uno sforzo per dare forma plastica a un dramma interiore. Il simbolismo ci rivelerebbe, forse direttamente, un fatto che nessun’altra forma di pensiero ci avrebbe permesso di afferrare. E, pertanto, non si potrebbe parlare di traduzione di un’esperienza in un simbolo, bensì, nel significato stretto del termine, di esperienza simbolica"²⁹.
Il simbolo è dunque un fatto drammatico, agito e patito, e il sublime, in quanto evento saturo, è un’esperienza simbolica dove «fatto» e «significato» sono tessuti insieme in una veste senza cuciture.
Col desiderio di approfondire la natura di un sapere che unisce eros e pathos e il ruolo che tale legame svolge nella creazione dell’opera d’arte – intimamente connessa alla testimonianza di fenomeni saturi – come avvio per i lavori de L’anima e il sublime³⁰ ho proposto ai relatori un passo da Il Sublime di Longino³¹:
La natura non valutò noi, l’uomo, come un animale di poco conto e ignobile, ma introducendoci nella vita e nell’ordine dell’universo come in una gran festa, per essere spettatori di tutto quello che lì avviene (…) subito infuse nei nostri animi un amore invincibile verso tutto ciò che è grande e, in un certo senso, più straordinario di noi. Per questo, all’impulso della speculazione umana neppure l’intero cosmo è sufficiente, ma i pensieri spesso sorpassano i confini che li avvolgono, e un uomo che contempli tutt’attorno la vita, in quale misura preponderante in ogni cosa abbia potere lo straordinario, il grande, il bello, subito capirà per cosa siamo nati³².
L’amore per lo smisurato è inscritto nell’anima e, dice Longino, la capacità di corrispondere a questo afflato sta all’origine dell’arte³³. Rispondendo a questo impulso comprendiamo il senso della vita come partecipazione a «una gran festa», ma solo testimoniando tutto ciò che ci oltrepassa accediamo al fuoco della creazione artistica³⁴. Il ponte verso l’infinito cui l’opera d’arte aspira richiede quest’atto di testimonianza. L’azione di testimoniare il fuoco che arde internamente accomuna il mistico e l’artista.
Se tutti siamo tesi verso l’infinito grazie all’amore verso ciò che è straordinario³⁵, aderire a questa vocazione è proprio di individui capaci di grandezza. Il sublime non è una questione tecnica o di stile, al contrario, si tratta di temperamento³⁶. I maestri di grandezza sono individui magnanimi³⁷ capaci di ispirare negli altri gli stessi sentimenti³⁸. Un’anima elevata può infondersi completamente in un’opera d’arte (l’opera è «eco di un grande animo»)³⁹ e questa, a sua volta, può modellare altre anime. Le opere sublimi, così come le azioni nobili, aiutano l’anima di coloro che vi si avvicinano e ne sono toccati a dilatarsi verso quelle ampiezze che la natura ha riposto in loro⁴⁰.
Autore e fruitore del sublime sono legati in un rapporto di affinità emotiva, si tratta di un riconoscimento empatico che avviene ad «alte temperature», per trasmissione energetica. L’affettività è un principio più antico della ragione intellettuale, è il substrato di qualsiasi azione e sta all’origine della coscienza stessa: «La coscienza intellettuale, lontana dal poter pretendere un’autonomia di principio, si basa sulla coscienza affettiva come sua condizione di possibilità»⁴¹.
Se al fondo di ogni atto possiamo scorgere la motivazione del cuore che la sostiene, il sublime dichiara espressamente non essere frutto del ragionamento ma del sentimento⁴²: è un dato passionale, non teoretico⁴³. L’innesco avviene per contagio. Il tocco di una grande anima⁴⁴ propaga il fuoco spingendo l’intelletto a saltare i muri del proprio regno: «i pensieri sorpassano i confini che li avvolgono» – cui nemmeno il cosmo è sufficiente a contenere –, poiché il desiderio di corrispondere all’infinito non può risolversi in alcuna forma stabile.
Se comunemente viviamo nel congelamento o nella rimozione del sacro, ad una certa temperatura emotiva ci ricordiamo «a cosa siamo destinati» e torniamo a sentire l’unità con tutte le cose⁴⁵. Il sublime apre all’incontro con l’essenza più profonda dell’anima e del mondo. Terra e cielo, limite e illimitato, umano e divino, non sono termini opposti e inconciliabili, ma elementi intrecciati nella relazione costitutiva dell’essere: l’apparente lotta dei contrari è in verità intima unione.
"Non vedi, o amico, come – squarciata la terra dalle sue fondamenta, scoperchiato il Tartaro stesso, sconvolto e frantumato l’intero cosmo – tutto in intima unione – cielo, inferi, le cose mortali, quelle immortali – partecipino assieme alla lotta e ai pericoli di quell’antica battaglia? […] A me sembra che raccontando le ferite, le contese, le vendette, le lacrime, le prigionie e le passioni d’ogni genere degli dèi Omero abbia divinizzato – per quanto gli era possibile - gli uomini della guerra troiana e umanizzato al tempo stesso le divinità⁴⁶.
La capacità spirituale di percepire l’illimitato dell’anima e il vincolo con la natura risiede nel sentimento⁴⁷. Si deve abbandonare l’orizzonte dell’intelletto per accedere all’infinito. Il divino non può in alcun modo essere pensato. Il fenomeno saturo dell’amore schiude un altro territorio dove non valgono la logica né il principio di non contraddizione⁴⁸. In questo luogo regna una forza dai mille nomi e senza volto, che sfida i confini della rappresentazione celandosi nelle inesauribili maschere della divinità.
Dio, infatti, si riconosce in tutti i nomi che gli vengono assegnati, perché ama l’accadere libero della vita, che nulla vuole e nulla giudica, perché, come dicono i mistici, semplicemente ama⁴⁹.
«Che cos’è l’uomo? – chiede Pierre De Bérulle – Un nulla capace di Dio». Il divino nasce dal nulla dell’uomo come il desiderio dalla mancanza. Dio è figlio del ventre vuoto dell’umanità. Cavità gravida d’infinitudine, l’anima testimonia un’oltranza incastonata al centro del proprio abisso. Eccoci entrati nel labirinto, diretti al nucleo di un paradosso⁵⁰. É noto «che le descrizioni date dai mistici delle loro esperienze e del mondo divino sono piene di paradossi d’ogni specie e genere»⁵¹. Kierkegaard ravvede il pathos proprio nel cuore della ragione, un paradosso che allude alla prova iniziatica del labirinto⁵². Finitudine-infinita, identità-alterata: è in questo buio-luminoso che sorge il sentimento misto del sublime, segno della misteriosa asimmetria costitutiva di un essere che porta in grembo ciò che gli manca e al tempo stesso lo completa, lo attraversa, lo sovrasta⁵³. Le antitesi e gli ossimori di testi mistici⁵⁴ evocano l’esperienza di una coincidentia oppositorum, limite del dicibile da una dotta ignoranza. Similmente archetipi, miti e tragedie esprimono la convergenza degli opposti con un linguaggio simbolico⁵⁵.
Le nozze mistiche sono una rappresentazione di questa coincidenza che allude all’integrazione dei contrari. Il mito di Amore e Psiche racconta il percorso misterico iniziatico di una fanciulla mortale che si unisce a un dio. Al termine delle sue prove, Psiche «fallisce», muore, perché disposta a perdere la vita per amore, cosa impossibile per un dio⁵⁶. Ma è proprio la sofferenza umana di Psiche ad insegnare ad Eros una forma specifica di conoscenza fino ad allora sconosciuta agli dèi, basata sull’eros e non sul logos.
Questo percorso misterico non consiste solo di azioni e imprese, ma anche di conoscenza, di Gnosi. Ma qui esso si manifesta in una forma specifica diversa, quale consociamo soltanto nei misteri eleusini. Non è un mistero incentrato sul Logos, bensì sull’Eros. Conformemente a ciò il figlio dato alla luce da Psiche è una fanciulla⁵⁷.
Volupta, la figlia di un’unione im/possibile tra mortali e immortali, è una bambina capace di generare a sua volta nuova vita, segno che Psiche ha superato il ciclo vita-morte-rinascita⁵⁸. Dare la vita per amore non rientra in un calcolo razionale. È un mistero che non può essere spiegato⁵⁹. Nessun processo iniziatico afferisce alla ragione. L’amore è un’iniziazione.
C’è una profonda affinità tra il sacrificio e l’atto d’amore […] ma forse proprio per questo l’amore è sacro. […] L’amore è vicenda divina, dove l’umano eccede
, compie l’eccesso⁶⁰
Infatti
Il sacrificio che i primitivi praticavano per dischiudere l’orizzonte del sacro ha forse qui [nell’atto d’amore] le sue remote origini, che alludono alla totalità dell’essere che si rivela in occasione del sacrificio dell’individualità. La stessa totalità che, secondo Platone, Eros dischiude quando «colma l’immenso vuoto che separa i due mondi in modo che appaia il Tutto in sé connesso»⁶¹.
Le figure del mito e le contraddizioni sollevate da Eros sfuggono alla logica, che muove un passo dopo l’altro, in linea retta, freddamente. Nell’esperienza mistica c’è un salto nel fuoco. L’incontro col divino è un rituale iniziatico simbolizzato dal cerchio, dove vita e morte si saldano, centro e