Socc'mel... che sfiga!
Di Autori Vari
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Nonostante il termine, per noi il termine “sfortuna” non sta a indicare qualcosa di maligno che ci perseguita e da combattere a suon di amuleti e sale sciolto. No, per noi “sfiga” è la nostrana legge di Murphy, l’imponderabile spirito del contrario che si nasconde dietro ogni nostro progetto od ogni nostra azione. 34 RACCONTI "SFIGATI"
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Socc'mel... che sfiga! - Autori Vari
Autori Vari
SÓCC’MEL… CHE SFIGA!
Prima Edizione Ebook 2022 © Edizioni del Loggione
ISBN: 9788893472128
Edizioni del Loggione srl
Via Piave n. 60
41121 Modena – Italy
loggione@loggione.it
http://www.loggione.it
img1.jpgSÓCC’MEL… CHE SFIGA!
INDICE
LA MALEDIZIONE DEL GATTO
Michele Attanasio
POLDO, ON AD BOLOGNA
Chiara Baruffaldi
NONNA SLICK
Mauro Bernini
SAN SILVESTRO
Simonetta Borghi
SFIGA NELLA TERRA DELLE FIABE
Roberta Brintazzoli
ARIANNA - TROPPO RICCA, TROPPO GRASSA
Silvana Busillo
SFIGATI SI NASCE, SFIGATI SI RINASCE
Luciano Calzolari
AD ADALBERTO
Carmine Caputo
UNA BELLA GIORNATA STORTA
Palma Carboni
ACCIPICCHIA!
Angela Colapinto
IN VACANZA CON LA SFIGA
Elisa Debbi
UN AMORE SU DUE RUOTE E UN BLOCCASTERZO DI TROPPO
Salvatore Di Sante
MOSSA DEL CAVALLO DI TROIA ALL’INVERSO
Gianluca Di Stefano
GRANDI PROGETTI PER LUIGINO
Silvia Favaretto
CURRICULUM SFIGAE
Manuela Fiorini
SI VINCE E SI PERDE!
Paolo Forni
TRIBUTO
Adriano Frazzoni
UNA GIORNATA INASPETTATA
Marco Fusi
SONO LORO CHE HANNO BISOGNO DI ME
Roberto Giacometti
POTEVA ANCHE NON DISTURBARSI
Stefano Giulidori
SCRITTO CON IL GESSETTO
Cristina Giuntini
PRIMO APRILE – ISTRUZIONI PER L’USO
Lisa Francesca Gobbi
DOMANI SI SPOSA LA ZITELLA
Daniela Gregorini
CURPA RO CAURU
Lucia Guida
(B)LOCKDOWN
Alessandro Lupi
NON TUTTE LE SFIGHE VENGONO PER NUOCERE
Lorena Lusetti
MICETTO, BEL MICETTO...
Savina Marchesini
UN FINE SETTIMANA MOVIMENTATO
Gianluca Melis
SFIGA NON VOLESSE – E INVECE VUOLE
Sandra Morara
L’ULTIMO GIORNO DI SCUOLA
Valentino Poppi
MALEDETTO GIANNI
Daniele Rondinelli
SOCC’MEL… CHE SFIGA!
Rosella Soranzo
UNA GRAND(in)E GOLF
Roberto Valentini
GLI ELFI INVISIBILI
Antonio Zifaro
Note biografiche autori
Della stessa collana
Catalogo Edizioni del Loggione
LA MALEDIZIONE DEL GATTO
Michele Attanasio
Era una bella giornata di sole. Le due macchine entrarono nel parcheggio e si fermarono affiancate. Dalla prima uscirono il Vecchio e il Cinno, dalla seconda il Capitano e Paolino.
Il Cinno fece una telefonata.
«Ciao Gatto, siamo sotto, dai scendi che non abbiamo fatto neppure colazione.» Dopo qualche minuto, la pancia prominente del Gatto si mostrò in tutta la sua fierezza.
«Ragazzi io non vengo. Non me la sento. Ho una strana sensazione, ho mal di testa e credo di avere anche un po’ di febbre, non vorrei attaccarvi l’influenza durante il viaggio, metti che succeda qualcosa, se sto male? Vi rovino il weekend.»
A quella frase, le mani del Vecchio si posizionarono istintivamente nella zona del corpo umano meno esposta al sole.
«Soccia Gatto cosa fai, porti sfiga? Dai prendi una tachipirina e vedrai che dopo una bella dormita in macchina sarai fresco come una rosa.»
Il Gatto dopo molte insistenze si fece convincere, in pochi minuti preparò uno zaino e si aggregò ai suoi compagni di viaggio. La prima tappa fu per la colazione, i cinque saccheggiarono il bar per la felicità della barista intenta a preparare caffè. Subito dopo partirono direzione Brennero. Nelle due macchine erano stoccate in totale circa centocinquanta bottiglie vuote, che ogni anno venivano rese e sostituite con bottiglie piene della migliore birra tedesca. Era ormai diventato un rito il weekend all’OktoberFest di Monaco. Stesso albergo, stessi luoghi, dedicando qualche giorno alla loro passione, la birra. Una volta in autostrada si resero conto di quanto fosse stato inutile il gesto onomatopeico del Vecchio. La maledizione del Gatto avrebbe colpito il gruppo in maniera chirurgica.
Tutto cominciò con una foratura alla macchina del Cinno nei pressi di Carpi. Il Gatto subì le occhiate inviperite dei suoi compagni di viaggio con grande serenità. Restò impassibile alle imprecazioni anche nei pressi di Bolzano, quando dovettero stare in coda per sei chilometri a causa di un incidente. Per il resto della durata del viaggio non ci furono altri problemi, tutti avevano voglia di arrivare il prima possibile per passare un po’ di tempo in giro per le birrerie di Monaco. Quei ragazzi giocavano insieme a calcio da circa dieci anni; quella che era nata come una squadra sgangherata di calcio a sette era diventato con il passare del tempo un gruppo di amici che cercava di passare più tempo possibile insieme coinvolgendo anche le famiglie. Tra di loro si chiamavano Celtici con chiaro riferimento al pub irlandese Celtic Druid che fin dall’inizio era stato lo sponsor finanziatore grazie al quale, ogni anno, veniva pagata la tassa d’iscrizione al campionato. All’inizio erano solo partite, poi si erano aggiunte cene, vacanze e weekend come quello a Monaco, dove arrivarono appena prima di cena. Depositati i bagagli, si ritrovarono nella hall dell’albergo per iniziare la ricerca del ristorante presso il quale avrebbero iniziato il weekend. La scelta ricadde sull’HB, forse il locale più noto della città. Presero posto in una delle grandi sale. I soffitti affrescati con soggetti bavaresi facevano da cassa armonica a causa della loro forma a cupola e questo rendeva quasi impossibile parlare con un tono di voce normale. I grandi tavoli di legno con le panche invitavano alla condivisione degli spazi. Scelsero tutti il classico menù: stinco, patate e birra. I camerieri si muovevano veloci attraverso i tavoli mentre le voci dei clienti chiedevano con insistenza di poter ordinare. Piatti e birre da un litro atterravano sui tavoli senza soluzione di continuità. Tutto sembrava andare per il meglio fino a che il Gatto non decise di proporre un brindisi, si alzò in piedi e sollevò il boccale.
«Vorrei brindare alla nostra amicizia che ogni anno ci porta in questo posto speciale.» Gli altri celtici alzarono a loro volta i boccali, ma in quell’istante il Gatto decise di coinvolgere nel brindisi anche dei ragazzi americani che alloggiavano nel loro stesso albergo, il movimento fu fulmineo, la rotazione del braccio velocissima in direzione del tavolo posto di fronte a loro. Una giovane cameriera con il cestino pieno di bretzel si trovò nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non riuscì a reagire in tempo. Il boccale la colpì in pieno viso facendola cadere schiena a terra ricoperta di birra e briciole di pane. Bastarono pochi secondi per rendersi conto che la serata avrebbe preso una piega poco piacevole. I colleghi della ragazza non presero bene l’accaduto, i celtici furono invitati con modi abbastanza rudi a lasciare il locale tra gli sguardi di disapprovazione degli altri clienti. Si ritrovarono in strada cercando un altro posto dove continuare la serata.
«Ragazzi scusate, ma io proprio non l’ho vista lei là, è apparsa dal nulla e secondo me ha fatto anche un po’ di scena.» Paolino fu il primo che iniziò a ridere pensando a quello che era appena accaduto.
«Be’, Gatto, se lo dici tu, a me sembra che abbia preso una discreta pacca, io l’ho vista bene, ha fatto un salto all’indietro mica da poco. Avrà fatto anche un po’ di scena, ma vedrai che se lo ricorderà per un bel pezzo il boccale che le sta arrivando in piena faccia.»
Dopo un giro per il centro cittadino terminarono la serata in un altro locale prima di fare ritorno in albergo.
Il giorno dopo lo passarono negli stand della festa della birra più famosa del mondo. Le giunoniche cameriere con la forza di tagliatori di alberi si districavano con eleganza tra gli avventori con il loro carico di dieci boccali. I celtici non si risparmiarono nel consumo del delizioso risultato della lavorazione del malto. La sera, dopo una cena a base di salsicce e crauti, i ragazzi stavano rientrando verso l’albergo; non avevano fatto i conti con i nefasti accadimenti di quel weekend, che si manifestarono nelle fattezze dell’agente scelto Ruslan Deck e del suo collega Marcus Lind, che appostati dopo una curva li fermarono per controllare il loro livello alcolemico. Il Cinno e il Capitano risultarono entro i limiti, ma l’eccesso di velocità garantì a entrambi un viaggio nel vicino commissariato per la firma dei verbali e il relativo pagamento delle multe che con grande soddisfazione da parte degli agenti fu di cinquecento euro. Il Gatto era ormai diventato il bersaglio degli improperi dei suoi compagni di viaggio, che vedevano in lui il capro espiatorio.
Il giorno dopo lasciarono la Germania per fare rientro a Bologna. Durante il ritorno tutto fu tranquillo, arrivarono nel parcheggio nei pressi della casa del Cinno nel tardo pomeriggio e il Vecchio riassunse il pensiero del gruppo mentre si apprestavano a scaricare i trolley:
«Gatto preparati, perché con la sfiga che hai portato in questo weekend ti tocca pagare la pizza a tutti, sei peggio di Tutankhamon.»
«Ragazzi, io non c’entro nulla. Ma figuratevi se volevo portarvi sfiga. Dai non prendetevela, abbiamo la macchina piena di birre, facciamo una bevuta insieme.»
Fu in quel preciso istante che dal vialetto apparve Cinzia, professione studentessa universitaria, neopatentata. Era diretta dalla sua amica Stefania per festeggiare insieme il loro compleanno. Alla guida della sua Renault Clio grigia sembrava tranquilla, ma un attimo dopo aver svoltato nel vialetto perse il controllo dell’auto con la quale tamponò a una velocità siderale la macchina del Cinno. Subito si sentì il boato, appena dopo la pioggia di vetri e di schiuma densa e bianca ricoprì l’asfalto. Il silenzio irreale dovuto all’incredulità e allo spavento fu rotto da Romano Bonetti, ex ferroviere in pensione affacciato al suo balcone del primo piano:
«Socc’mel che busso!!!» esclamò. «Nina chiama ben il 118 che la figlia della Teresa ha fatto un gran danno.»
Dopo circa due ore il vialetto era sgombro dai detriti. Nessuno si era fatto male tra i celtici, anche Cinzia nonostante l’impatto era uscita indenne a parte qualche escoriazione. Il Gatto cercò di scusarsi, ma ormai per i suoi amici era marchiato a fuoco.
Dopo alcuni rinvii finalmente dopo quattro settimane si ritrovarono per mangiare una pizza insieme. Quel mese era servito per sopire l’amarezza degli eventi del weekend bavarese. Restava il fatto che l’amicizia tra di loro era molto solida e in grado di sopportare qualche scossone derivante da episodi come quelli di Monaco. Il Gatto per farsi perdonare aveva deciso di organizzare un weekend nella zona di Montalcino, per risarcire non solo moralmente i suoi amici, comunicò a tutti che si sarebbe fatto carico del costo delle camere in albergo. Distribuì alcune cartine della zona dove erano evidenziate le migliori cantine da visitare. Sarebbero stati due giorni passati tra le vigne e i borghi meravigliosi della Toscana, degustando alcuni tra i vini rossi famosi in tutto il mondo, e questo avrebbe rinsaldato il gruppo. Il Gatto sollevò il boccale di birra e invitò i suoi amici a brindare.
«Ai Celtici, che nonostante tutto resteranno sempre amici. E inoltre vorrei brindare anche al Cinno, che proprio ieri ha ritirato la sua auto nuova.» Un momento di silenzio si materializzò intorno al tavolo, il Cinno istintivamente brindò con i suoi gioielli di famiglia.
Il Gatto mise in mostra il suo sorriso migliore: «Dai ragazzi, ancora con questa cosa della sfortuna? Non mi direte che persone adulte come voi possano realmente associare una persona alla sfiga.» Il Cinno fu il primo a parlare: «Gatto, non si può mai sapere, dopo quello che è successo a Monaco io prendo tutte le precauzioni, così, per sicurezza.» Non riuscì a terminare la frase che fu interrotto da una delle cameriere.
«Scusate ragazzi, è vostra una Golf grigio scuro parcheggiata a fianco del cancello?»
Il Cinno cercò di mantenere una certa calma, ma dal tono della sua voce si percepì tutto il suo nervosismo. «Sì è mia, cosa è successo?»
«Se per favore puoi venire con me perché il camion dell’Hera stava svuotando i bidoni ma ha avuto un problema, c’è l’autista che ti sta aspettando.»
I Celtici si alzarono praticamente all’unisono.
«Gatto, se è successo qualcosa alla mia macchina nuova giuro che ti ammazzo con le mie mani» disse il Cinno dirigendosi verso l’uscita.
Fuori dal locale si era formata una piccola folla di curiosi, alcuni dei quali erano di passaggio con i loro cani per il consueto giro serale.
Di fatto il camion aveva sollevato il cassonetto per scaricarne il contenuto, ma un problema tecnico aveva fatto sì che invece di ribaltarlo verso il camion lo aveva lanciato contro l’auto del Cinno. La scena che videro i cinque ragazzi era surreale: il bidone aveva completamente schiacciato la Golf che, oltre a essere ridotta a un ammasso informe di metallo, era completamente contornata da sacchi di plastica colorati che fino a pochi minuti prima erano il contenuto del cassonetto. Il Cinno si avvicinò alla sua auto per poi voltarsi con l’espressione incredula di chi non si è ancora reso conto di quello che realmente è successo.
Circa una ventina di ragazzini appena fuori dal parcheggio riprendevano con i cellulari la scena che avevano davanti. Qualcuno passava tenendo al guinzaglio un cane, tra cui anche Romano Bonetti, impegnato nel suo solito giro serale con Lilla, una piccola bastardina color nocciola. Incuriosito si avvicinò.
«Cosa è successo Pedrazzi?» chiese all’uomo al suo fianco.
«Un gran malippo. Il camion del rusco ha sbagliato a scaricare e ha ribaltato il bidone sopra la macchina dentro il parcheggio della pizzeria.»
Bonetti diede un’occhiata cercando di mettere a fuoco la scena, la sua vista non era più quella di una volta, ma nella confusione riuscì a riconoscere lo stesso ragazzo al quale, il mese prima, la figlia della Teresa aveva distrutto l’auto. Restò ancora per qualche minuto poi, sollecitato dalla Lilla, riprese la strada di casa.
«Ci vediamo domani Pedrazzi.» Camminava sul marciapiede a passo lento pensando a quanto aveva visto, incrociò le mani dietro la schiena e sentenziò parlando a se stesso: Socc’mel che sfiga
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POLDO, ON AD BOLOGNA
Chiara Baruffaldi
Per raccontarvi questa storia innanzitutto devo dirvi da dove provengo. La mia è una famiglia del bolognese, mi chiamo Marco, per gli amici Poldo.
Non sono mai stato un adone, non sono bruttissimo ma niente di eccezionale, dal 2015 frequento il liceo e ho la faccia piena di brufoli.
«Troppi ormoni» ha tagliato corto il dottore della mutua. «È inutile spendere i soldi nel topexan, non serve a niente.»
Per chi non lo conoscesse il topexan sta agli adolescenti come i tortellini stanno alla sera di Natale.
Poi un bel giorno una tipa a scuola se ne viene fuori con quella storia: «Ho letto che la pipì messa sul foruncolo del brufolo ancora schiuso lo asciuga.»
Noi del gruppo di amici le abbiamo riso dietro, ma il giorno dopo sapevamo di piscio che non ci si stava vicino.
Ma la topten è stata quando ho chiesto alla Maria di uscire, una spilungona castana con l’apparecchio in bocca, ma con due bocce da sballo.
Così, alle sette di una sera di maggio, sono salito sulla cinquecento del nonno e sono andato a prenderla e per darmi un tono ho abbassato la cappotta.
Lei sta alla barca e io al borgo, la peggio periferia di Bologna.
Puntualissimo mi sono fermato sotto casa della Maria e ho dato un colpo di clacson. Una tipa coi bigodini in testa si è affacciata alla finestra e mi ha guardato.
Io ho aspettato senza fare nulla, ma la Maria non si vedeva. Ho dato un secondo colpo di clacson e la tipa alla finestra mi ha chiesto:
«C’sa vut?» (Cosa vuoi?)
«Ehmmm no, è che son venuto a prendere la Maria.»
«Anca te?» (Anche tu?)
«Come?»
«Vin dentar po’ mitiv d’acord.» (Vieni dentro e mettetevi d’accordo.)
Ho tolto la chiave dalla serratura della macchina e mi sono avviato sul marciapiede quando ho visto uscire la Maria con l’Adelmo, lo sfigato numero due del gruppo, detto Ade.
«Poldo eccoti» ha detto la Maria, «ho invitato anche Adelmo, spero non ti dispiaccia.»
"Gnes un cancar" (Ti venisse un canchero) ho pensato dentro di me e invece molto carinamente mi sono offerto di fare l’autista. Autista tassista per la verità, perchè i due si sono fiondati sul sedile posteriore e, mentre io guidavo, loro pomiciavano.
Il giorno dopo a scuola ho incontrato l’Ade sulle scale, lui mi ha messo il braccio sulla spalla e mi ha parlato fitto fitto:
«Oh Poldo, ieri sera seratona fantastica.»
Poi si mette la mano sul naso e tira su.
«Ma ti sei cosparso di urina di vacca?»
L’ho guardato perplesso.
«Perché tu non hai provato il piscio sui brufoli?»
«Ma dai Poldo non crederai mica a quella storia...»
«No» dico, «è che sono andato nel cesso e la bidella doveva ancora pulire.»
Avete mai preso due con uno? Due cantonate in una volta!
Lezione numero uno, non credere mai alle cagate che circolano al liceo.
Mia nonna diceva sempre "Impara l’arte e mettila da parte".
Ho imparato a soppesare le storie, ma soprattutto a soppesare le bocche da cui escono.
Perché una cosa è quando si fa i bulli insieme, allora ognuno tira a spararla più grossa, altra cosa è prenderli singolarmente i miei amici, uno per uno, e allora cambia tutto.
Comunque ho sempre fatto una fatica boia a fare colpo sulle ragazze, non solo per il mio aspetto, è che sono timido, da paura.
La seconda volta che la Maria mi ha invitato da lei, ho preso l’autobus. Mi son presentato sotto casa e ho suonato il campanello, ha aperto l’azdora, stavolta senza bigodini in testa. L’Ade era già in casa evidentemente, quando mi vede è tutto contento:
«Oh Poldo, hai il cinquino?»
Eh no, ho pensato, stavolta non mi fregate.
«Purtroppo l’ha preso il nonno, sono venuto in autobus.»
«Fa niente, stasera prendiamo la mia.»
La macchina dell’Ade è una vecchia Ford del 1990.
Sta a vedere che mi tocca spingere
ho pensato, ma intanto mi son messo dietro con la Maria.
Finalmente il mio turno!
Ho attaccato con i preliminari dandole qualche bacetto sul collo. Con gli occhi chiusi sono andato a tentoni sulla camicetta, ci siamo, ho pensato, ho trovato il primo bottone, ho cominciato a slacciare tutto preso e non mi sono accorto che il pirla al volante ha preso una buca: la Ford, fuori controllo, ha sbandato di brutto. L’Ade si gira in quel momento e io gli faccio