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Parte indispensabile: I gialli giudiziari di Sasha McCandless, #4
Parte indispensabile: I gialli giudiziari di Sasha McCandless, #4
Parte indispensabile: I gialli giudiziari di Sasha McCandless, #4
E-book345 pagine4 ore

Parte indispensabile: I gialli giudiziari di Sasha McCandless, #4

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Info su questo ebook

Sasha e Leo ritornano!

 

Nel nome della scienza, una squadra di ricercatori internazionale crea un virus letale che potrebbe uccidere milioni di persone. Mentre il governo statunitense fa segretamente scorta di vaccini, un gruppo militarista che si prepara alla fine del mondo comincia a mobilitarsi in risposta a quello che considera un collasso economico imminente.

 

Sasha McCandless si è lasciata alle spalle pericolo e intrigo per concentrarsi sul suo beato studio legale specializzato in controversie aziendali e non potrebbe essere più lontana dalla tensione crescente. O meglio, così vanno le cose fino a quando il suo ragazzo, Leo Connelly, nuovo responsabile della sicurezza del produttore del vaccino, scopre che qualcuno ha intaccato le scorte.

 

Poi il Virus del Giudizio viene rubato e un ricercatore viene assassinato. Sasha e Leo hanno solo tre giorni per scongiurare la diffusione dell'arma biochimica definitiva. Sasha ha salvato non poche vite innocenti in passato. Ma questa volta sarà in grado di salvare il mondo?

 

LinguaItaliano
Data di uscita5 giu 2022
ISBN9781940759852
Parte indispensabile: I gialli giudiziari di Sasha McCandless, #4

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    Anteprima del libro

    Parte indispensabile - Melissa F. Miller

    1

    Per La Pubblicazione Immediata

    Contatto: Ufficio comunicazione, CDC

    L’INFLUENZA KILLER ESISTE, DICHIARANO GLI SCIENZIATI


    Il virus H17N10 modificato si trasmette in maniera efficiente fra gli esseri umani.

    Il CDC ¹, Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie ha annunciato in giornata che una squadra internazionale di ricercatori è riuscita a mutare con successo il letale Virus del Giudizio, la cosiddetta influenza killer, in modo da rendere possibile e probabile il contagio interpersonale. Il virus dell’influenza mutato è ora noto come H17N10.

    Il CDC ha dichiarato che il virus, esistente in natura, è il risultato della combinazione di tre varianti fortemente virulente che, fino a questo momento, non costituivano un rischio significativo per gli esseri umani. Il ricercatore capo Jacques Bouchard, virologo presso l’Istituto Pasteur di Lyon, ha confermato che lo studio finanziato dall’Istituto Nazionale di Sanità, comprendente squadre di ricercatori francesi e americani, aveva come obiettivo la determinazione della possibilità che il Virus del Giudizio fosse geneticamente modificabile in modo da consentire la trasmissione per via aerea.

    Non solo la mutazione risultante si è dimostrata fortemente trasmissibile, ma le modifiche hanno portato a un aumento della virulenza. Si stima che una pandemia globale di H17N10 potrebbe infettare fino al 50% della popolazione mondiale, ossia circa 3,5 miliardi di persone, con una mortalità potenziale del 20%, che si tradurrebbe in circa settecento milioni di morti fra i contagiati, ha dichiarato il signor Bouchard.

    In una mossa inusuale, il Comitato Consultivo Nazionale per la Biosicurezza degli Stati Uniti ha proibito ai ricercatori la pubblicazione dei risultati dello studio, per motivi di sicurezza nazionale. Non sono stati diffusi ulteriori dettagli.

    IL GOVERNO ACCUMULA SCORTE DEL VACCINO PER L’INFLUENZA KILLER


    Washington, D.C. (Newswire) – Il governo ha reso pubblico il piano di accumulare oltre venticinque milioni di dosi di un vaccino sperimentale contro il Virus del Giudizio, nel tentativo di prepararsi alla possibilità di una pandemia letale. La pandemia, se si verificasse, potrebbe annientare più del venti per cento della popolazione mondiale.

    Un portavoce del DHHS ², il Dipartimento della Salute e i Servizi alla Persona ha dichiarato che il governo ha già firmato un contratto con la Serumceutical International, Inc., una ditta farmaceutica, perché produca e consegni il vaccino forse persino entro la fine del mese. E, con la stagione dell’influenza già in corso, il governo ha chiesto al Congresso di approvare celermente una legge che stanzi un fondo per l’acquisto di dosi aggiuntive.

    Con la popolazione statunitense che supera i 300 milioni di individui, una pandemia di influenza killer soffocherebbe l’economia, costringendo centinaia di milioni di persone non vaccinate a una quarantena che potrebbe arrivare a durare fra i due e i tre mesi.

    Nelle prove di laboratorio, il vaccino, che secondo alcune indiscrezioni conterrebbe una piccola quantità di virus attivo, ma indebolito, simile all’H17N10, ha portato all’immunizzazione molto più rapidamente dei tradizionali vaccini antiinfluenzali. I documenti diffusi dalla Serumceutical suggeriscono che l’immunità completa può essere raggiunta nel giro di settantadue ore, piuttosto che di due settimane.

    In risposta alle domande riguardo all’esistenza di un antivirale efficace, gli scienziati hanno dichiarato che, sebbene la ricerca sia in corso, a oggi nessun farmaco antivirale si è rivelato efficiente contro il Virus del Giudizio, anche se la ViraGene Corp. ha previsto la pubblicazione dei risultati delle prove del suo antivirale sperimentale AviEx entro la fine del mese.

    Le azioni della ViraGene crescono del 38% in seguito a voci di approvazione dell’antivirale.


    BETHESDA, MD (AP) – Le azioni della ViraGene Corp. (VGN) hanno visto un forte aumento di valore in risposta a indiscrezioni secondo cui il farmaco antivirale AviEx sarebbe stato preso in considerazione per l’iter di approvazione accelerata in seguito a risultati positivi dei test clinici. L’azienda ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni, citando il segreto industriale e questioni di difesa nazionale, ma l’amministratore delegato Colton Maxwell ha inviato un’e-mail interna ai funzionari e dirigenti della compagnia, congratulandosi con la sua squadra per questa vittoria sul fronte della lotta al concreto spettro di una pandemia dell’influenza killer.

    A oggi, il governo federale non ha preso impegni pubblici per l’acquisto di AviEx e continua con il progetto di accumulare milioni di dosi di un nuovo vaccino prodotto dalla Serumceutical International, Inc. (SRM).

    2

    Venerdì sera

    Le mani di Celia Gerig tremavano. La donna tolse le chiavi dall’accensione e respirò lentamente e profondamente. Guardò la neve che cadeva e si appiccicava al parabrezza della Civic sporca.

    Una volta che il suo cuore ebbe rallentato il battito, Celia rimise le chiavi nell’accensione e riprovò ad avviare l’auto. La prima volta, il motore aveva annaspato, tossicchiato, ed era morto. Questa volta, non accadde nulla.

    Celia sferrò un pugno al volante e trattenne calde lacrime di frustrazione. Non poteva succedere. Non adesso. Passò lo sguardo nel parcheggio, alla ricerca di chiunque, di uno dei suoi colleghi con la testa china contro il vento che si affrettava a raggiungere l’auto per correre al bar di Chili’s prima della fine dell’happy hour. Non vide nessuno.

    Era un venerdì dopo le cinque. Tutti se n’erano andati da tempo, come da programma. Celia si era trattenuta dopo la fine del turno, prendendosela comoda nello spogliatoio per evitare domande – riguardo al fine settimana, al contenuto della sua borsa, a tutto. Perché, qualunque altra cosa lei fosse, Celia sapeva di essere una bugiarda terribile.

    Ma, e adesso? Non poteva esattamente chiamare e dire che non sarebbe riuscita a recarsi all’incontro. Non avrebbe fatto altro che farsi urlare addosso che bisognava essere preparati alle emergenze, che la responsabilità era una cosa seria e una lunga serie di ulteriori rimproveri che lei sapeva di meritare. Lasciò ricadere la testa sul volante e rimase immobile, spenta e impotente.

    Un brusco bussare sul finestrino del conducente la fece sussultare. Fuori, il volto abbronzato di Ben Davenport colmava il vetro. Gli occhi verdi dell’uomo erano spalancati per la preoccupazione sotto il berretto di lana che si era infilato per coprire un principio di calvizie.

    Tutto bene? mimò con le labbra Ben.

    Ti pareva. L’unica persona ancora presente era il capo. L’ultimo individuo che lei avrebbe voluto si avvicinasse alla sua auto. Ma aveva bisogno di aiuto. La consegna era prevista per le otto in punto. Anche se fosse partita subito, avrebbe dovuto violare il limite di velocità per almeno una parte del tragitto per arrivare in tempo.

    Abbassò il finestrino.

    L’auto non parte.

    Salti giù e ci do un’occhiata.

    Sarebbe fantastico.

    L’uomo si fece da parte in modo che lei potesse aprire la portiera. Mentre scendeva, il suo sguardo si spostò sulla grossa borsa sul sedile del passeggero, per controllare che fosse ancora chiusa. Lo era.

    Ben si mise al volante e appoggiò la valigetta accanto alla borsa di Celia. L’uomo ruotò la chiave nell’accensione, ma l’unico suono fu il click click della chiave in sé. Ben si allungò per accendere la luce interna. Nulla.

    La batteria è scarica, disse l’uomo attraverso il finestrino aperto. Si allungò a prendere la valigetta e fece cadere sul pavimento la borsa di Celia.

    Oops.

    Ben si chinò a raccogliere la borsa e Celia sentì il panico risalirle in gola.

    No! Lasci stare!

    L’uomo si voltò e la guardò, un’espressione incuriosita e confusa sul viso.

    Ehm, volevo dire, va bene sul pavimento, disse lei. Nonostante fosse fuori sotto la neve, aveva la fronte imperlata di sudore.

    Come preferisce.

    Ben scese dall’auto e disse: Posso ricaricarla io. Ha i cavi?

    No, non ho nulla nel portabagagli, si affrettò a dire Celia. Sussultò. Stupida. Perché aveva detto spontaneamente che il portabagagli era vuoto? Lui non glielo aveva chiesto.

    L’uomo strizzò gli occhi, perplesso.

    Sicura che vada tutto bene?

    Celia era sicura del contrario. Era spaventata, in ansia e nervosa. Ma deglutì e rispose: Sto bene. È solo che sono in ritardo. Ma non ho i cavi. Cosa posso fare?

    Ben le rivolse uno sguardo gentile e le diede un colpetto sul braccio. Era un vecchio tanto amichevole che Celia avvertì una fitta di rimorso per quello che aveva fatto, per quello che stava per fare. Poi ricordò qual era la posta in gioco e la fitta svanì.

    Non si preoccupi. Dovrei averli io. Vado a controllare e torno subito.

    L’uomo attraversò il parcheggio e girò attorno al palazzo. Qualche istante dopo, tornò alla guida della sua Buick con la targa della Florida, prudente come un vecchietto, come uno zigolo delle nevi. Fermò l’auto accanto a quella di Celia. Aprì il bagagliaio e fece il giro per prendere i cavi. Poi alzò il cofano e fece cenno a Celia di fare lo stesso.

    Lei trafficò con l’asticella che teneva sollevato il cofano mentre l’uomo scioglieva i cavi arrotolati con cura e agganciava il morsetto rosso al polo positivo della batteria di Celia. Ben tese il cavo fra i due posti auto e strinse l’altro morsetto sulla sua batteria. Poi collegò il morsetto nero al suo polo negativo e l’altro a un bullone del motore della Civic. Fece un passo indietro e si sfregò le mani, soddisfatto.

    Ben tornò alla Buick e avviò il motore. Qualche istante dopo, alzò la testa e mostrò il pollice sollevato a Celia.

    D’accordo. Provi ad avviare, esclamò.

    Celia si mise al volante e pronunciò una preghiera silenziosa. Girò la chiave e il motore prese vita con un ruggito. Vide Ben sorridere.

    Celia disse: Grazie mille. Non sa quanto le sia grata.

    Non si preoccupi, disse Ben.

    La neve sul berretto di lana dell’uomo cominciava a sciogliersi e gli gocciolò lungo il viso quando lui si chinò a staccare i cavi dalle due batterie. Ben abbassò il cofano di Celia e poi il proprio, tenendo i cavi in una mano. Li avvolse in un rotolo ordinato e si incamminò verso il suo furgone, per poi fermarsi come se avesse avuto un ripensamento.

    Perché non li tiene fino a lunedì? È possibile che la sua batteria si scarichi di nuovo dopo che sarà arrivata a destinazione. In questo modo, non rimarrà bloccata prima di andare da un meccanico, disse.

    No, grazie. Me la caverò, insistette con fermezza lei. Più che altro perché non aveva intenzione di aprire il portabagagli. Era probabile che la batteria si sarebbe scaricata di nuovo, ma Celia non prevedeva di andare da nessuna parte per un po’. E poi, dopo quella sera, avrebbe dovuto comunque nascondersi.

    Ben la osservò in viso e disse: D’accordo, ma dovrebbe essere pronta a una simile eventualità.

    Celia non riuscì a trattenersi. Scoppiò in una risata nervosa. Serrò le labbra mentre Ben voltava le spalle al furgone e chiudeva il bagagliaio. L’uomo inclinò la testa.

    Scusi, disse lei. Non è divertente. È solo che… stavo pensando la stessa cosa, tutto qui. Celia fece un ampio sorriso.

    L’uomo la fissò per qualche istante, poi si strinse nelle spalle. D’accordo. Buon fine settimana. Ci vediamo lunedì.

    Arrivederci, Ben, disse Celia. Le sue parole contenevano un senso di finalità che lei non avrebbe voluto includere.

    Si affrettò a salire in auto e sbatté la portiera. Controllò l’ora e imprecò sottovoce. Poi inserì la retromarcia, uscì dal posto auto e corse fuori dal parcheggio, suonando il clacson a Ben in segno di ringraziamento mentre gli passava accanto. Nello specchietto retrovisore, vide l’uomo in piedi che la seguiva con lo sguardo mentre si allontanava.

    Se si fosse guardata alle spalle una volta raggiunto il fondo del viale, avrebbe visto l’uomo raggiungere a piedi la Buick, spegnere il motore e far scattare la serratura, per poi rientrare nell’edificio con un’espressione pensierosa e preoccupata.

    Michel Joubert trattenne il fiato mentre passava il tesserino per avere accesso al laboratorio. Non si poteva mai sapere quando avrebbe potuto incontrare uno dei suoi colleghi. Dopotutto, ciò che facevano era in parte scienza e in parte arte. Quando l’ispirazione li colpiva durante la cena, i ricercatori erano noti per mettere a letto i bambini e tornare al lavoro. Per non parlare del fatto che alcuni esperimenti richiedevano ore di tempo. Alcune persone lasciavano gli esperimenti senza supervisione o assegnavano uno studente alla loro sorveglianza, ma altre preferivano gravitare attorno alle loro opere come genitori ansiosi.

    Ma se c’era un momento per intrufolarsi non visti nel laboratorio era la mezzanotte e mezza di sabato. Per quanto i ricercatori amassero il loro lavoro, erano pur sempre francesi. Qualche bottiglia di vino e un pasto sontuoso erano la ricompensa che qualunque francese si concedeva alla fine di una lunga settimana. Michel era convinto che chiunque fosse ancora sveglio non era nelle condizioni di fare altro che starsene seduto di fronte a un fuoco ruggente e filosofeggiare a lume di candela. O almeno, così sperava.

    Chiuse silenziosamente la porta e si incamminò in punta di piedi lungo il corridoio buio. I mocassini in cuoio dalla suola di gomma non emettevano praticamente alcun suono sulle mattonelle. Ciò lo rincuorava, perché l’opzione più sicura sarebbe stata indossare scarpe da ginnastica, ma lui aveva scelto di non farlo. Le sue opinioni riguardo all’abbigliamento appropriato al laboratorio erano note a tutti: se avesse incrociato qualcuno, le scarpe da ginnastica avrebbero annunciato che qualcosa era diverso dal solito.

    Arrivò in fondo al corridoio e premette il pollice contro il lettore. Mentre la macchina scansionava la sua impronta digitale, lui fissò il cartello di rischio biologico che aveva già visto cento volte senza guardarlo davvero e si ripeté mentalmente la sequenza: entrare; prendere quello di cui aveva bisogno; uscire. Sarebbe stato incredibilmente semplice.

    Probabilmente, agli occhi del pubblico, la designazione di struttura di biosicurezza di quarto livello – l’istituto era il primo in Europa a vedersi attribuito il livello massimo – evocava immagini di livelli multipli di sicurezza impenetrabile, progettati per prevenire proprio quello che lui stava per fare. Naturalmente, si trattava di pura fantasia. I rigidi standard e precauzioni in vigore in una struttura di quarto livello erano progettati per scongiurare la diffusione accidentale di un agente biologico pericoloso e per contenerla nel caso dovesse verificarsi. Era come se coloro che avevano steso quelle rigorose linee guida non avessero mai nemmeno immaginato che qualcuno potesse voler uscire dalla porta con dell’ebola o un pizzico di vaiolo in tasca.

    La macchina finì di digerire le sue spirali ed emise un suono di approvazione. Michel oltrepassò le doppie porte ed entrò nello spogliatoio esterno. Lì, esitò. La procedura consueta prima di entrare nel laboratorio dove gli agenti biologici non erano in sicurezza sarebbe stata di spogliarsi completamente e indossare mutande, camicia, pantaloni, scarpe, guanti e tuta pressurizzata protettiva, per poi entrare passando per le docce. La sequenza per uscire sarebbe stata invertita: togliersi gli abiti da laboratorio; fare la doccia; indossare gli abiti civili e uscire dal laboratorio.

    Ma lui non aveva tutto quel tempo. E al momento, il virus era in sicurezza e il laboratorio era stato decontaminato. Se avesse incrociato qualcuno, avrebbe giustificato il suo abbigliamento dicendo che aveva bisogno di controllare la sua postazione perché credeva di aver dimenticato qualcosa. E poi, pensò, che differenza avrebbe fatto? Entro breve, avrebbe portato in giro il virus H17N10 in una borsa termica, santo cielo.

    Fece spallucce e uscì dalla stanza, optando per l’ingresso in laboratorio attraverso la camera stagna sigillata invece che la camera di decontaminazione con le docce. Premette il pannello sulla parete per aprire la prima porta a tenuta stagna del passaggio. Una volta entrato, premette un pannello identico per chiudere la porta. Sentì l’aria smossa dai filtri HEPA, cosa che non notava mai quando era vestito di tutto punto. Oltrepassò la seconda porta. Dopo che la prima si fu sigillata alle sue spalle, Michel premette il pannello per aprire la porta che dava sul laboratorio.

    Una volta entrato, infranse il protocollo lasciando la porta aperta. Poi attraversò di corsa il pavimento di lucide mattonelle bianche fino alla cabina di sicurezza che conteneva le fiale. All’interno della cabina, un pesante contenitore in acciaio inossidabile dalla forma di un thermos era posato da solo su uno scaffale. Michel si protese verso di esso, con il respiro affannoso, e ruotò la sommità fino a rompere il sigillo.

    In origine, aveva progettato di prendere con sé tutto il contenitore, ma l’acquirente era interessato ad acquistare solo una piccola quantità di virus. E aveva detto esplicitamente a Michel di abbandonare il contenitore, perché così facendo il furto sarebbe stato notato più tardi. A meno che e fino a quando qualcuno non avesse avuto motivi di ricerca per aprire il contenitore, nessuno si sarebbe accorto che il virus era scomparso. Quella era l’ipotesi del compratore, comunque.

    Michel sapeva che il compratore si sbagliava. Lunedì, quando lui non sarebbe tornato al lavoro, ci sarebbero state delle preoccupazioni. Entro martedì mattina – se non prima – i supervisori avrebbero controllato i sistemi di sorveglianza e constatato che lui aveva passato il tesserino a mezzanotte e ventotto; aveva premuto il pollice sul lettore di impronte a mezzanotte e trentaquattro; e che era entrato nella camera stagna a mezzanotte e quarantacinque. Dopodiché, si sarebbero chiesti su cosa stesse lavorando. Avrebbero aperto la cabina di sicurezza e constatato che mancava un campione del virus H17N10. Ma, come dicevano gli americani, il cliente aveva sempre ragione, per cui Michel rimosse con cautela un campione e rimise a posto il thermos.

    Il tubetto era notevolmente leggero, considerato il peso incredibile del suo contenuto. In mano, Michel aveva un’arma più potente di qualunque altra fosse mai stata realizzata. Una goccia o due spruzzate in un mercato avrebbero potuto generare una reazione a catena di sofferenza, malessere e morte che si sarebbero diffuse in tutto il globo. Una visione di bambini gementi e moribondi gli colmò la vista e lui la scacciò.

    Il compratore aveva promesso che non avrebbe diffuso il virus; aveva detto di averne semplicemente bisogno come strumento di negoziazione. Se l’uomo si fosse limitato a offrirgli del denaro, Michel avrebbe chiesto più dettagli, rassicurazioni migliori. Ma non gli aveva offerto solo denaro – anche se ce n’era in ballo parecchio. Soprattutto, l’americano gli aveva offerto un’informazione dal valore inestimabile: l’indirizzo del luogo in cui quella barbona di Angeline aveva portato la sua Malia. Quattro anni, una zazzera di riccioli biondi, tutta gomiti e ginocchia, che cantava le sue canzoncine buffe a un oceano di distanza dal suo papa.

    Michel si rese conto di aver accentuato la presa sulla provetta e trasse un lungo respiro profondo per farsi forza. Presto, Malia. Presto il tuo papà verrà a prenderti. Si infilò la fiala fredda nella tasca destra dei pantaloni e corse verso la camera stagna.

    Tornò sui suoi passi e uscì dal laboratorio. L’ansia cominciò a farsi da parte a ogni passo verso l’uscita. Il leggero picchiettare della provetta contro la coscia a ogni falcata rapida era come un battito cardiaco. Ce l’aveva fatta. Ce l’aveva fatta!

    La parte difficile era quasi finita. Presto sarebbe salito a bordo della sua Smart immacolata, con la borsa termica sul sedile accanto, e avrebbe attraversato prudentemente la campagna fino al luogo stabilito per lo scambio. Avrebbe diviso il campione fra le tre fiale più piccole fornite dall’americano e avrebbe abbandonato la borsa. Dopodiché, avrebbe dato inizio al suo viaggio per riprendersi sua figlia e cominciare una nuova vita.

    3

    Il cellulare di Leo prese vita nella sua tasca e lui arrossì per il fastidio. Sapeva, dalla suoneria, che a chiamarlo era Grace Roberts, la sua vice. Quando aveva lasciato l’ufficio all’ora di pranzo per cominciare il fine settimana in anticipo, aveva lasciato istruzioni a Grace di non disturbarlo per nulla che non fosse una catastrofe.

    La testa di Sasha era appoggiata al suo petto. La donna stava leggendo l’articolo di una rivista giuridica, qualcosa sui diritti di proprietà intellettuale nel cyberspazio. Leo cercò di ignorare il telefono che aveva in tasca e continuò ad accarezzare i capelli di Sasha. Il profumo caldo e speziato dello shampoo di lei si levò ad avvilupparlo come una nuvola.

    Leo guardò dalla finestra che dava sul lago mentre i fari esterni illuminavano i fiocchi di neve piatti e umidi che galleggiavano nell’oscurità. Era al massimo della soddisfazione – più felice di quanto non fosse da mesi – anche se non del tutto rilassato. La verità era che era sotto osservazione. La casa sul lago, che sorgeva a Deep Creek nel Maryland – una cittadina turistica a metà strada fra Washington, D.C., e Pittsburgh – era al tempo stesso un compromesso e un esperimento. Nei due mesi da che aveva lasciato Pittsburgh e il Dipartimento della Sicurezza Nazionale per accettare un incarico nel settore privato come responsabile della sicurezza della Serumceutical International, con sede alla periferia di D.C., la situazione con Sasha si era fatta delicata.

    Dal suo punto di vista, lui l’aveva lasciata con un invito aperto; ma dal punto di vista di lei, quello era stato un ultimatum. A Sasha, tuttavia, aveva andava riconosciuto il merito di aver preso il telefono e averlo chiamato.

    La donna aveva accettato di tentare una relazione a distanza con una certa ritrosia e lui non osava riprendere il discorso di un eventuale suo trasferimento a D.C. Come regalo di Natale anticipato, avevano preso in affitto quella casa vacanze sul lago per la stagione. La casa era un luogo dove trascorrere del tempo insieme in territorio neutrale mentre cercavano una soluzione a lungo termine. Leo sperava che, in primavera, Sasha sarebbe stata disposta a traslocare in via permanente. Ma quella donna era come un cervo, pronta a spaventarsi e correre via in qualunque momento.

    Il suo telefono squillò una seconda volta e lui sentì Sasha irrigidirsi. Fantastico.

    Le accarezzò il braccio e la spostò delicatamente sul divano, quindi tirò fuori il telefono dalla tasca e rispose al terzo squillo.

    Cosa c’è, Grace? disse Leo, mantenendo un tono di voce neutro nel caso la donna lo stesse chiamando per una vera e propria emergenza.

    Non al telefono, disse subito Grace. La sua voce era seria, ma pacata.

    Il tono di Grace suggeriva urgenza. E lei non si era scusata per averlo disturbato di venerdì sera, il che significava che la donna non dubitava che qualunque cosa stesse succedendo fosse abbastanza importante da richiedere il suo coinvolgimento.

    Leo si sentì addosso lo sguardo di Sasha. Sebbene fino a quel momento Grace avesse dimostrato grandi capacità di giudizio, lui decise di chiedere qualche dettaglio, sperando di trovare una scusa per lasciare che fosse lei ad affrontare il problema, quale che fosse, e tornare a spaparanzarsi sul divano con Sasha fra le braccia.

    Per sommi capi, allora, disse.

    Grace esalò, producendo un verso carico di frustrazione, e disse: Spionaggio industriale. È tutto quello che posso dire.

    Lo stomaco di Leo precipitò, ma lui annuì. Come al solito, l’istinto di Grace era indiscutibile: se il problema era lo spionaggio da parte di un rivale, non poteva parlarne al telefono, soprattutto non alla luce della natura sensibile del contratto con il governo.

    Leo avrebbe dovuto sapere che la donna non lo avrebbe chiamato se non fosse stato necessario. Grace era un’ex-analista dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale. Era incredibilmente intelligente. Ed era anche una scavezzacollo. Quando si era resa conto che il ruolo all’interno dell’NSA ¹ non ricordava i film di Jason Bourne, ma prevedeva una burocrazia pari a quella della motorizzazione, si era messa alla ricerca di un incarico più entusiasmante, per non dire remunerativo.

    L’amico di Leo Manny Ortiz, agente speciale della Divisione Indagini Penali dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, lo aveva chiamato riguardo

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