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I primi orientamenti di politica estera del fascismo: saggio
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E-book106 pagine1 ora

I primi orientamenti di politica estera del fascismo: saggio

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Il libro “I primi orientamenti di politica estera del fascismo” è un’accurata indagine sugli approcci preliminari della politica italiana agli albori del fascismo. Il testo non solo scandaglia storicamente gli orientamenti dell’iniziale politica estera del movimento fascista, ma ne analizza anche la nascita e l’avvento al potere con la marcia su Roma. 
Tania Valentino docente di ruolo di lingua e letteratura italiana e latina presso il Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci” di Vairano Patenora Scalo (CE). Laureata in Lettere e Filosofia, ha conseguito varie specializzazioni e Master di secondo livello, corsi di perfezionamento e di formazione di primo e secondo livello. È stata coordinatrice del dipartimento di lettere nonché funzione strumentale PTOF, INVALSI e referente INTERCULTURA presso il medesimo Istituto. Autrice di numerosi articoli di storia pubblicati su riviste scolastiche e scientifiche dedicate alla formazione culturale e professionale dei docenti come Nuova Secondaria/Ricerca, Gruppo Editoriale Studium. Specializzata presso l’Accademia Vivarium Novum di Frascati nell’insegnamento del latino secondo il “metodo Ørberg”. Ha partecipato a numerose manifestazioni storico-letterarie e convegni di rilevanza sociale.  Ha seguito corsi di formazione presso l’Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli ed è referente di progetti e concorsi di argomento storico e letterario. Docente esperta in Pon FSE in ambito storico, letterario e scrittura creativa
 secondo le nuove metodologie didattiche digitali. Possiede cinque abilitazioni all’insegnamento ed ha, tra l’altro, pubblicato: Aggressività e ruolo della scuola, Ripostes, Roma 1996
Aggressività e mass media, Ripostes, Roma 1997
LinguaItaliano
Data di uscita13 gen 2023
ISBN9791222046426
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    Anteprima del libro

    I primi orientamenti di politica estera del fascismo - Tania Valentino

    Le radici del movimento fascista

    Il libro I primi orientamenti di politica estera del fascismo è un’accurata indagine sugli approcci preliminari della politica italiana agli albori del fascismo. L’autrice, Tania Valentino, non solo scandaglia storicamente gli orientamenti dell’iniziale politica estera del movimento fascista, ma ne analizza anche la nascita e l’avvento al potere con la marcia su Roma. Nell’introdurre il lavoro, cercherò, per ampliare il panorama storico, di esplorare le radici economiche, politiche, filosofiche e culturali che hanno facilitato la nascita e l’affermazione del fascismo. In realtà, bisogna considerare che il risultato più politicamente sconvolgente, alla fine della Prima guerra mondiale, è che, innanzitutto, le diverse forme di imperialismo (Russo, Tedesco, Austro-Ungarico e Ottomano) vengono smantellate, e, poi, i Trattati di Pace si svolgono con molta approssimazione. Infatti, il Trattato di Versailles (7 maggio 1919) impone alla Germania forti misure punitive a livello territoriale, militare ed economico; i l Trattato di Saint Germain-en-Laye (10 settembre 1919), pur smantellando l’impero austro-ungarico, delude, a sua volta, l’Italia, perché rispetto al Patto di Londra (26 aprile 2015) non concede la Dalmazia.

    Il movimento fascista (Fasci italiani di combat-timento), fondato a Milano il 23 marzo 1919, viene, così, sicuramente favorito dal disordine e dallo smarrimento in cui si trova l’Italia nel dopoguerra. I primi orientamenti di politica estera del movimento si fanno risalire al clima delle tensioni e della mobilitazione sul tema vittoria mutilata, che, dopo la Prima guerra mondiale, hanno immediate implicazioni nazionalistiche e imperialistiche.

    Tuttavia, il dato più indicativo nell’atteggiamento sia dei sostenitori del fascismo sia dei semplici simpatizzanti è quello che, a circa un anno da Vittorio Veneto, l’insofferenza e il sentimento di rivolta nei confronti degli alleati, i quali, nei trattati di Pace, hanno assunto un’ambigua funzione di arbitri, sono palpabili e sentiti nella maggior parte della popolazione italiana.

    Il movimento fascista rifiuta, così, in maniera perentoria, il costituirsi di quella forma di comitato di affari internazionali e imperialistici, emerso e rappresentato dalle altre potenze vincitrici (Stati Uniti, Inghilterra e Francia).

    A maggio del 1920 cade, intanto, il governo, presieduto da Nitti, perché sommerso dalle difficoltà economiche e dalle polemiche sorte per l’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio, lasciando il posto, mentre si moltiplicano le manifestazioni di insubordinazione sociale, al vecchio Giolitti. Questi si trova ad affrontare energicamente la spinta insurrezionale provocata da D’Annunzio e a smussare la spinta rivoluzionaria delle masse operaie. Di fronte a tali problemi Mussolini non ha ancora assunto posizioni precise. Anche se condanna le occupazioni delle fabbriche, tuttavia non rompe i rapporti con i sindacati degli operai e non è favorevole alle avventure progettate da D’Annunzio, pur esaltando l’impresa di Fiume.

    Giolitti, poi, non interviene contro l’occupazione delle fabbriche, ma reprime l’occupazione della città di Fiume con le armi. Anche Mussolini protesta vivacemente contro il bombardamento di Fiume e, così, le squadre fasciste entrano in azione, tollerate visibilmente dalle autorità militari. In Emilia e in Toscana lo squadrismo opera con maggior determinazione. Contro gli avversari socialisti e cattolici vengono impiegate tutte le intimidazioni possibili, dal manganello all’olio di ricino, dall’occupazione dei municipi all’incendio delle cooperative e delle camere del lavoro. Nella pianura padana, in Toscana ed in Puglia, il fascismo assume un carattere tipicamente agrario, sostenuto e finanziato dai numerosi proprietari terrieri, per combattere le leghe dei mezzadri e dei braccianti, socialiste e cattoliche.

    I ras, capi delle squadre provinciali fasciste sono ormai già divenuti subito personaggi influenti in tutta l’Italia. Alle elezioni del 1921, poi, Mussolini entra nei blocchi nazionali, ideati e predisposti da Giolitti, per sconfiggere le sinistre, ma i risultati sono deludenti, tanto che le forze liberal-democratiche ottengono appena 159 seggi contro i 179 del 1919 e i 310 del 1913; i socialisti ottengono, invece, come risultato, 122 seggi contro i 156 del 1919 e i 52 del 1913, senza considerare il gruppo comunista che ottiene 16 seggi. I popolari di Sturzo hanno, come risultato, 107 seggi contro i 100 del 1919. I fascisti ottengono 35 seggi.

    Alla fine di giugno Giolitti è costretto alle dimissioni e al suo posto viene nominato Bonomi. Questi con l’arbitrato del presidente della Camera, Enrico De Nicola, fa, così, firmare il 2 agosto 1921 tra socialisti e fascisti il cosiddetto patto di pacificazione, una specie di tregua tra i due partiti, ma i ras non sono disposti a smobilitare le squadre d’azione e tale patto non viene rispettato.

    Nello stesso anno, al congresso di Roma, il movimento fascista trova l’unità e si organizza in partito, sancendo i seguenti comandamenti:

    il partito fascista è sempre una milizia;

    la milizia fascista è al servizio di Dio e della patria italiana;

    la veste soldatesca di tale milizia intende donare all’Italia una nuova virilità maschia;

    il milite fascista deve servire l’Italia in purità con lo spirito pervaso da un profondo misticismo, sorretto da una fede incrollabile e dominato da una volontà inflessibile;

    il milite fascista conosce soltanto doveri e l’unico diritto è di compiere il dovere e di gioirne;

    il comandante o il gregario deve ubbidire in umiltà e comandare in forza;

    l’ubbidienza deve essere cieca, assoluta e rispettosa.

    Il fascismo, così, dopo aver teorizzato la sua ideologia, si organizza, negli anni precedenti alla marcia su Roma, attendendo il momento più favorevole.

    In sostanza, per il movimento fascista, come scrive Mussolini su Il popolo d’Italia il 25 maggio 1920, il mar Adriatico non può essere militarmente che un lago italiano e commercialmente italo-jugoslavo, in cui le due nazioni limitrofe devono approfondire e rinsaldare i rapporti amichevoli.

    Ciò sarebbe per l’Italia, secondo Mussolini, una soluzione ottimale, perché assicurerebbe il dominio sulle vie marittime e terrebbe la porta aperta sui Balcani.

    In Italia l’ideologia del movimento fascista ha sicuramente, come già summenzionato, fondamenti economici, politici, filosofici e culturali. L’Ottocento ha, anzi, consegnato al mondo occidentale e, in particolare, all’Europa, gli strumenti culturali per costruire un Novecento, scrive lo storico Eric Hobsbawm nel libro Il secolo breve, come il secolo del capitalismo totalitario e della catastrofe occidentale. Il secolo ventesimo ha per di più partorito uomini inetti (La coscienza di Zeno, opera di Italo Svevo) e senza qualità (L’uomo senza qualità, opera di Roberto Musil). In tal modo i poteri forti hanno avuto libero gioco per devastare una millenaria civiltà, quella cristiana.

    Gli strumenti che il capitalismo ha impiegato, per affermarsi e diventare totalitario, sono:

    la teoria di Karl Marx sulla caduta tendenziale del saggio di profitto;

    l’affermazione di Friedrich Nietzsche della morte di Dio e, di conseguenza, dell’annullamento di tutti valori, rintracciabile nel libro Gaia scienza;

    l’affermazione della borghesia e della scienza con il positivismo.

    Quest’ultimo movimento (il positivismo) è stimato dalla storiografia come l’ideologia della società borghese in fase di stabilizzazione. Uno dei più prestigiosi studiosi italiani di tale periodo, Ludovico Geymonat, ha, infatti, sostenuto che ciò è servito a privilegiare altre correnti filosofiche come l’idealismo che sfuggirebbe a questa caratterizzazione. In ultima analisi, anche l’idealismo liberale del Croce e l’attualismo del Gentile altro non sono che progettazioni ideologiche della borghesia.

    Agli inizi del Novecento, emergono, intanto, nuove forze imperialistiche e l’Europa non è più il centro politico e civile del mondo capitalistico. Anche, in Italia, nel contempo, all’inizio del secolo, si accelera lo sviluppo industriale, che si cerca di preservarlo con una politica doganale protezionistica. Nello stesso periodo, il

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