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Quasi cinquemila litri
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E-book790 pagine11 ore

Quasi cinquemila litri

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Info su questo ebook

Margherita è alle prese con un lavoro diventato all'improvviso precario, come è diventata la sua stessa esistenza dopo la ferita che ha subito e che non riesce a curare. E da studentessa modello, da giovane donna in carriera, si ritrova a doversi barcamenare tra ristrettezze economiche sempre più soffocanti e le sue manie, un tempo innocue, che lente ma inesorabili la stanno sopraffacendo.

La sua sorte aziendale, e personale, sarebbe segnata, ma una singolare coincidenza la proietta al centro degli eventi, sostenuta solo dalle poche forze che le restano, e da una specie di angelo custode.

E quando inizia ad intravedersi la meta all'orizzonte, un micidiale incastro di malintesi e sfortuna la travolge, scaraventandola in un vortice di conseguenze impazzite.

Anche ai giorni nostri esistono le fiabe, ma l'ironia deve sottomettersi alla realtà e il lieto fine dipende solo dal punto di vista. Ciò che per Ettore è l'ultima trionfale vittoria, per Margherita sarà la dissoluzione di un miraggio.
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2023
ISBN9791221448818
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    Anteprima del libro

    Quasi cinquemila litri - Americo Asia

    ** I **

    CALCOLI

    «…dunque…»

    Bolletta dell’elettricità. Quarantotto e sessanta.

    «Ma no! Ancora troppo!».

    Eppure Margherita davvero non avrebbe saputo come inventarsi altri risparmi.

    Anzi, aveva già da tempo la sgradevole sensazione di aver oltrepassato fin troppo la soglia della ragionevolezza, e soprattutto della dignità.

    Gli elettrodomestici erano un regalo del papà, per festeggiare il suo trasferimento in quella casa. Anche se da festeggiare davvero non c’era stato proprio nulla.

    La lavastoviglie aveva smesso di usarla da un pezzo. Massimo mangiava il pranzo all’asilo, e lei lo aveva fatto in azienda fino a quando tutto si era fermato. Ed ostinandosi a credere che il blocco fosse solo provvisorio, risolveva la faccenda con le barrette mono pasto e semi dietetiche, per continuare a trattarlo da evento momentaneo, solo di qualche giorno, e non invece come il buco temporale di mesi lunghi ed inutili che erano già trascorsi, e del quale non si intravedeva la fine.

    Così doveva gestire a casa solo la colazione e la cena, e quindi lavava le stoviglie a mano alla sera, e con il tempo aveva affinato metodi sagaci per avere sempre meno pezzi da lavare, seguendo con scrupolosa diligenza i consigli strategici di Antonella, autoproclamata autorità assoluta in materia di economia domestica e gestione professionale della casa.

    La tazza per il latte della colazione del mattino recuperata alla sera come bicchiere per la cena, un unico piatto per il primo e per il secondo, con il solo cucchiaio che svolgeva anche le funzioni di forchetta, come da direttive di Antonella. Ed una sola pentola con la quale prima cucinare il secondo piatto e poi bollire l’acqua per il primo, almeno fino a quando non fosse riuscita a conseguire l’obiettivo della portata unica integrata, altro mirabile suggerimento dell’autorità.

    Anche la lavatrice era fuori servizio da secoli. Lavava le lenzuola nella minuscola vasca da bagno, con molta fatica e non poche contorsioni, e per evitare il più possibile entrambe aveva almeno totalmente abolito l’utilizzo della tovaglia, classificandola come non strettamente necessaria. I suoi vestiti li lavava in una bacinella, e quelli di Massimo in una altra. Oltre al detersivo, ‘poco, anche perché troppo rovina pure le fibre’, sempre come da disposizioni dell’autorità, nella sua aggiungeva il Sanez battericida nella dose prescritta, mentre invece in quella di Massimo abbondava decisamente. La sua mania per l’igiene, innocua, o almeno così sperava, si era piuttosto intensificata negli ultimi tempi.

    Prima non era così, non così tanto almeno.

    All’Emporio, della gamma Sanez, oltre all’additivo per il bucato trovava il detersivo per i pavimenti, quello per il bagno e quello per i piatti. Niente di paragonabile alla rinomatissima linea Defender, che si vendeva solo al Supermercato, e che prevedeva addirittura anche uno spettacolare sterilizzante da aggiungere all’acqua di lavaggio della frutta e della verdura, e la cui mancanza regolarmente le provocava giganteschi sensi di colpa, come se stesse commettendo una imprudenza colossale. Ma almeno anche i prodotti Sanez riportavano su tutte le confezioni la croce rossa e la magica scritta ‘presidio medico sanitario’, alla quale non sapeva assolutamente resistere.

    Accendeva e spegneva le luci di casa con metodicità maniacale, mentre l’antidiluviano condizionatore d’aria che era installato nel minuscolo soggiorno non lo aveva mai avviato, ammesso che potesse ancora funzionare. Utilizzava invece la televisione, alla sera e appena per una mezzora, durante appunto il lavaggio delle stoviglie e solo per ascoltare, più che per guardare, il notiziario di Rete Indipendente, che le sembrava un pochino meno falso ed inutile di quello del Canale Nazionale. Terminato l’orario del notiziario spegneva subito, anche per non incappare nei sedicenti programmi di approfondimento proposti da tutti i canali, e predisposti con la logica dei ristoranti di infima categoria, quelli che propongono un immaginifico piatto del giorno che in realtà è confezionato rimestando gli avanzi del giorno prima.

    Non aveva l’asciugacapelli, e neppure il forno a microonde, che comunque non avrebbe mai usato perché da sempre lo classificava come insalubre, non fidandosi che le radiazioni restassero davvero dentro il forno, tutte. Per quel motivo aveva preferito accontentarsi di un classico fornetto elettrico a incandescenza che il venditore offriva in omaggio con l’acquisto della lavatrice e della lavastoviglie e che, anche per il completo inutilizzo, era stato degradato a deposito aggiuntivo per le pentole.

    Anche il ferro da stiro era vietatissimo. «Pensa che ci sono dei perdigiorno che stirano le lenzuola, persino le mutande!» le aveva spiegato indignata Antonella. Lei le aveva timidamente domandato come comportarsi allora con i vari capi di abbigliamento, ed Antonella le aveva risposto che, ‘se composto del tessuto giusto’, bastava stendere l’indumento ben tirato e fermato per ritrovarselo perfetto quando poi si fosse asciugato. Non aveva avuto il coraggio di chiedere da cosa si potesse capire che il tessuto fosse giusto, sospettando che l’informazione dovesse essere banale, scontata, e che l’unica al mondo che non la conoscesse fosse lei. Però il papà, a differenza del forno a microonde, aveva insistito a volerlo comperare, ritenendo che una casa senza ferro da stiro fosse al di sotto della soglia minima di autosufficienza. Lei però il giorno dopo lo aveva riportato nella scatola originale al negozio, e lo aveva scambiato con un telefono di fascia infima e di sottomarca orientale. Adesso quindi lo ricaricava soltanto più nelle visite quindicinali in ufficio, oppure se si trovava dai clienti, fingendo di accorgersi per caso che era quasi scarico. E quando se ne dimenticava restava con l’apparecchio spento, per punizione.

    Non esistevano altre fonti di consumo elettrico.

    Anzi no, e lo sapeva bene.

    Restava il frigorifero, ultimo regalo, sempre del papà.

    «Per cosa mi serve, di preciso?» pensò. «A niente di davvero irrinunciabile. Tranne gli yogurt».

    Ufficialmente gli yogurt erano per Massimo, che però non lo appassionavano più di tanto, preferendo invece le merendine preconfezionate.

    «Fanno male le merendine, sono zeppe di ogni sorta di schifezze!» gli rispondeva sempre, tutte le volte che il bimbo le chiedeva il motivo per cui i suoi compagni dell’asilo le avevano sempre, e se le mangiavano di gusto, e lui invece no. «E costano pure uno sproposito!» pensava.

    Era a lei invece che gli yogurt piacevano tantissimo, ed erano l’ultimo minimo vizio che si concedeva in materia alimentare. Aveva dovuto abbandonare la marca nazionale di altissima qualità che adorava fin da quando era bambina, quella con l’immagine della mucca che brucava felice in mezzo ad un prato e che pareva sorridere, quella che con orgoglio dichiarava sull’etichetta ‘solo da latte di mucche nutrite con fieno fresco’. Era passato così tanto tempo che non ne ricordava neppure più il nome. E comunque si vendeva solo al Supermercato, che tanto non frequentava più. Si era dovuta adattare al marchio sconosciuto che trovava all’Emporio, quello con la sola scritta ‘yogurt’, null’altro sul barattolo bianchiccio e sbilenco, e che riportava nella lista degli ingredienti la dicitura ‘latte di provenienza varia’. Chissà da dove veniva quel latte, chissà cosa mangiavano le mucche che lo producevano. Meglio non farsi troppe domande.

    Ma rinunciare del tutto agli yogurt avrebbe significato poter spegnere anche il frigorifero ed in più risparmiare almeno trenta centesimi al giorno, se non quarantacinque, per due. «Più di venti al mese, solo di yogurt. Una enormità!» pensò.

    Sia lei che Massimo, al posto di questi benedetti yogurt, avrebbero potuto mangiare per colazione qualche biscotto in più, ad un costo trascurabile dato che all’Emporio li trovava a pacchi da un chilo ad uno e ventinove. A Massimo piacevano molto, ed abbastanza anche a Lei, sempre a patto di sorvolare sulla lista degli ingredienti e sulla provenienza degli stessi.

    Si, niente yogurt, e quindi niente frigorifero, sarebbe stato un risparmio veramente notevole.

    Le girava in testa da un po’ ma non riusciva a decidersi, ed a fare il grande passo.

    Eppure presto avrebbe dovuto. Il salutismo era uno stile di vita che al momento non poteva più permettersi.

    Bolletta gas e acqua trentotto e venti.

    «Non male. Ma devo scendere verso i trenta», si ordinò subito.

    Dei trentotto e venti, diciassette e cinquanta erano per il gas. E pensò che se fosse riuscita a raggiungere per la cena la perfezione della portata unica integrata, ne avrebbe consumato ancora di meno, anche se la maggior parte del gas serviva per l’acqua calda della doccia.

    E se davvero avesse spento il frigorifero non avrebbe più potuto conservare il latte per la colazione, che di conseguenza a quel punto avrebbe dovuto essere abolito per forza. Niente da scaldare, una accensione del fornello in meno.

    «Però sostituire il latte con cosa?» si domandò. «Anche lui con i biscotti del sole dell’Emporio?!».

    Forse avrebbe potuto sopprimere il latte e basta. Lei ne avrebbe semplicemente fatto senza, e Massimo faceva già un pranzo ben equilibrato all’asilo.

    Restavano quindi venti e settanta per l’acqua, ma lavastoviglie e lavatrice, paralizzate, erano innocenti.

    E lei nei lavaggi manuali stava attentissima a utilizzarne il minimo indispensabile sia per le stoviglie che per gli indumenti.

    Quindi in sostanza la gran parte del consumo di acqua non poteva che essere colpa della doccia.

    «Già. La doccia».

    Per quanto cercasse di limitarsi, era un piccolissimo piacere a cui veramente le costava rinunciare. Ma il peso sulla bolletta di gas ed acqua era pesante.

    Doveva inventarsi in fretta qualche sistema per contingentare i tempi e soprattutto per limitare gli eventi.

    «Una doccia al giorno è un lusso, adesso» pensò.

    E immediatamente si spaventò di averlo pensato.

    Comunque restavano almeno le due bollette, ottantasei e ottanta, da pagare entro fine mese, e per sicurezza decise che era meglio verificare con il telefono l’estratto conto della banca, anche se aveva già chiaro in mente quale fosse lo striminzito saldo.

    L’antiquato dispositivo ci mise una eternità a collegarsi, e mentre aspettava le venne in mente il ricordo del mirabolante modello della lussuosa marca di oltre oceano, anche esso costruito in oriente ma con materiali e metodi completamente diversi, che aveva lasciato nel suo nido d’amore. Quello si sarebbe collegato in un battito di ciglia, ed avrebbe anche provveduto ad autenticarsi automaticamente interfacciandosi con i sistemi della banca tramite i dispositivi di connessione esclusivi del costruttore del telefono. Chissà adesso, dopo gli anni che erano trascorsi, quali altre meraviglie erano disponibili per i telefoni intelligenti di alta gamma. Non lo poteva più sapere.

    Forse la lentezza della connessione dipendeva anche dal suo piano tariffario ‘facile’, che lei traduceva con misero, offerto dal suo scalcinato operatore telefonico il quale aveva come obiettivo di mercato proprio gli appartenenti a quella fascia di clienti che di più non poteva permettersi. Solo cento minuti al mese di chiamate, solo cinquanta messaggi ed appena tre pacchetti dati di traffico di rete. Ma quel piano costava appena tre e novantanove al mese, l’offerta più a buon mercato fra tutte, e lei se lo faceva bastare.

    E probabilmente contribuiva alla lentezza del collegamento anche il sistema informativo di EcoBanca. La divisione digitale di Prima Banca, principale e vetusto istituto bancario della Nazione, dalla solidità controversa, ma sempre temuto e riverito, che onnipresente forniva servizi di credito e di investimento alle aziende ed ai privati.

    Finalmente apparve l’alberello dalle foglioline multicolori, logo dell’istituto. Il prefisso ‘Eco’ del nome avrebbe dovuto infatti significare ecologica dato che la divisione si vantava di consentire la stipula del contratto di conto corrente interamente tramite procedura informatica, senza necessità di stampare e inviare nulla di cartaceo. Però questa pratica era comune anche per tutti gli altri concorrenti, ed in definitiva quindi ‘Eco’ significava solo economica, ed era in realtà l’unico tratto distintivo della divisione dalla concorrenza. Infatti superato il logo e l’autenticazione il sito era proprio spoglio e poco funzionale, e le operazioni consentite erano davvero solo quelle basiche.

    Proseguì nell’area dedicata ai movimenti ed al saldo e, come ricordava benissimo già da sola il saldo a suo credito ammontava a centonovantacinque e ottanta centesimi.

    Fra due giorni sarebbero stati addebitati gli ottantasei e ottanta delle bollette ed anche il canone mensile dell’operatore telefonico, per un totale di novanta e settantanove.

    Sarebbero quindi restati sul conto corrente centocinque ed un solitario centesimo.

    Più i trentadue rotondi che aveva nel portafogli, composti da una banconota da dieci, quattro da cinque ed una moneta da due, come ricordava altrettanto bene.

    Totale centotrentasette ed il solitario centesimo.

    Che sarebbero dovuti bastare per la spesa di quasi due settimane, fino all’arrivo il dieci del mese successivo dello stipendio che adesso, essendo quasi totalmente sostituito dalla erogazione dell’Ammortizzatore Sociale Straordinario, arrivava a malapena a novecento al mese, comprensivi anche delle provvidenze che le spettavano per Massimo, e che erano poi quelle che facevano la differenza tra il riuscire a sopravvivere ed il soccombere.

    Dei novecento, trecento sparivano subito per l’affitto di casa.

    Il contratto di locazione prevedeva il pagamento il cinque del mese, cinque giorni prima dell’accredito dello stipendio, e Margherita non aveva più da tempo una riserva liquida che le consentisse di gestire questa sfasatura, ma il proprietario era una persona ragionevole ed informalmente le aveva fatto capire che era disposto ad accettare qualche giorno di ritardo.

    Comunque di andare oltre Margherita non voleva rischiare. Temeva che un futuro erede, disinteressato, prima o poi avrebbe spiegato al proprietario che l’appartamento valeva il cinquanta per cento della cifra che lui si immaginava, e lo avrebbe convinto a vendere prima che i prezzi scendessero ancora.

    Però a Margherita l’appartamento piaceva. Si trovava al terzo piano di un trascurato palazzone, che forse all’epoca della costruzione doveva essere piuttosto classe media, anche se era senza ascensori, ma con il passare del tempo, e stante il fatto che avrebbe avuto necessità di diversi lavori di restauro, appariva piuttosto in decadenza, con la facciata annerita dallo smog e gli spazi comuni con visibili crepe negli intonaci e molte macchie di umidità.

    Ricordava bene l’inserzione sul sito della agenzia immobiliare recitare ‘in contesto condominiale tranquillo e signorile’, che tradotto dal gergo degli agenti immobiliari significava ‘non c’è troppa delinquenza in giro, almeno per ora’.

    Era proprio ‘compatto e funzionale’, sempre come da inserzione, nel senso letterale dei termini.

    Un salottino, una stanzetta, cucina e bagno. Tutti locali che si affacciavano su un disimpegno così piccolo che riusciva ad ospitare con difficoltà un mobilino d’appoggio e l’attaccapanni.

    Anche il terzo piano senza ascensore era un punto negativo non da poco, ma per il momento poteva permettersi di ignorarlo anche se invece per Massimo ed il suo enorme zainetto la circostanza non era affatto indifferente.

    In compenso era soleggiato e luminoso, abbastanza lontano dal piano strada per non essere disturbati dal rumore del traffico, non per niente era ‘contesto condominiale tranquillo e signorile’, anche se non è che ci potesse aspettare chissà quale viavai da quelle parti. E poi era anche protetto da altre unità immobiliari sia a lati che sopra, perciò restava caldo di inverno e fresco in estate.

    Era chiaramente adatto ad una persona sola, ma Margherita doveva viverci con Massimo, e poiché nella stanza poteva entrare solo un letto ad una piazza, lei aveva messo un lettino di fianco, ed era restato spazio ancora per un piccolo armadio. Il salottino era stato saturato da una poltroncina ed un tavolinetto, mentre la cucina oltre alla dispensa, alla lavastoviglie ed al frigorifero poteva ospitare solo un piccolo tavolo e due sgabelli. E nel bagno la presenza della lavatrice obbligava a contorsionismi quotidiani per poter entrare ed uscire. «I proprietari nel loro al primo piano ci vivono in due, e la pianta dell’appartamento è identica» si diceva sempre, per convincersi di una spaziosità di fatto inesistente.

    Gli impianti idraulici ed elettrici, oltre agli intonaci dei muri ed agli infissi, erano ancora quelli della costruzione originale, ed avevano almeno una cinquantina di anni. Però tutto sembrava reggere, almeno per il momento.

    Certo non era proprio possibile svolgere tra quelle mura alcun tipo di vita sociale che andasse oltre le esigenze vitali minime ma ciò, nella sua situazione, le appariva quasi come un pregio.

    Dato che dal nido d’amore si era ben guardata dal portare via qualsiasi cosa, oltre agli elettrodomestici regalati dal papà era presente solo quel poco mobilio minimo indispensabile, qualche suppellettile e qualche quadretto, tutto acquistato da lei esaurendo i risparmi disponibili. L’arredamento era davvero proprio spoglio, ma si consolava pensando che gli agenti immobiliari lo avrebbero definito ‘sobrio e funzionale’.

    In definitiva il vero vantaggio strategico di quella abitazione era la posizione.

    Seppure molto lontano dal centro della Cittadina, che comunque aveva veramente ben poco da offrire, si trovava esattamente a metà strada tra il complesso scolastico dove si trovava l’asilo di Massimo, e poi quando sarebbe stato il momento anche la scuola primaria e secondaria, e la fermata degli autobus.

    Ciò le consentiva al mattino di lasciare il figlio all’asilo appena apriva, alle sette, e poi di precipitarsi a prendere il mezzo messo a disposizione dalla NovaGlobal, in modo che già alle sette e mezzo riusciva a segnare l’ingresso. Alla sera, alle cinque e mezzo, sempre con il mezzo offerto dalla NovaGlobal rientrava a casa, ed alle sei recuperava il figlio, e confidava di organizzare più o meno allo stesso modo anche con il tempo pieno quando il figlio avesse iniziato la scuola primaria.

    Insieme ai soldi per l’affitto, subito sparivano anche quelli per le spese condominiali.

    Erano circa cento mensili, da pagare all’amministratore il dodici di ogni mese. Era molto per il tipo di appartamento, ed il motivo stava nel fatto che le spese condominiali erano esagerate, principalmente per l’impianto di riscaldamento centralizzato, inefficace e obsoleto.

    Quindi, di fatto l’affitto a Margherita costava quattrocento al mese.

    Razionalmente, era consapevole che invece di arrabattarsi a risparmiare qualche unità sulle bollette, o peggio sul cibo, avrebbe dovuto cercare una sistemazione diversa.

    Avrebbe così potuto risparmiare complessivamente almeno cento al mese, ma avrebbe dovuto rassegnarsi alla inevitabile conseguenza di doversi allontanare verso la periferia estrema.

    Si sarebbe quindi perduta la collocazione strategica rispetto alle scuole ed agli autobus.

    E occorreva rinunciare anche al contesto condominiale tranquillo e signorile, con le conseguenze del caso.

    C’era poi un ultimo ma fondamentale motivo per rimandare la ricerca di un altro appartamento.

    Spostarsi avrebbe significato ammettere che l’equidistanza dal complesso scolastico e dalla fermata degli autobus non era più strategica, prendendo quindi coscienza che la situazione lavorativa non era transitoria, e che non sarebbe più ritornata quella di prima.

    Dando per già esauriti, quando fosse arrivato l’accredito dello stipendio fra due settimane, i centotrentasette ed il solitario centesimo che aveva nel complesso disponibili, tolte le spese di affitto sarebbero rimasti circa cinquecento. E di questi, cento dovevano essere spesi per pagare la mensa di Massimo.

    Alla fine dei calcoli, che ripeteva tutte le settimane, e che come sempre conducevano allo stesso risultato, di denaro disponibile per vivere, o sopravvivere, con un bambino piccolo, le restavano quattrocento. Contando cinquanta alla settimana per la spesa all’Emporio, nella quale doveva rientrare tutto, dal cibo ai detersivi alla biancheria, restavano ancora circa duecento al mese, dai quali sottrarre le famigerate bollette di elettricità e acqua, che essendo bimestrali incidevano per circa cinquanta al mese.

    Non aveva più una automobile, che non si poteva permettere, e rimpiangeva tantissimo la vetturetta compatta e frivola che possedeva un tempo, immagine plastica di un’altra esistenza, e che aveva anch’essa abbandonato parcheggiata di fronte al nido d’amore.

    Non poteva più permettersi alcun tipo di svago, né qualsiasi forma anche minima di vacanza. Il massimo concesso era scaricare libri digitali dal Mega Sito, operazione che richiedeva tempi infiniti a causa della pochezza tecnologica del suo telefono. E comunque solo purché si trattasse di titoli in offerta rigorosamente, al massimo, a quarantanove centesimi.

    Margherita lo sapeva bene.

    Con tutto il tempo lasciato libero a causa del ricorso all’Ammortizzatore Sociale Straordinario, avrebbe dovuto darsi da fare per arrotondare, così come facevano molti suoi colleghi.

    Ma a differenza delle maestranze di produzione, che avevano periodi di fermata continuativi e programmati, lei che lavorava in amministrazione doveva essere disponibile per esigenze varie, di conseguenza era più complesso cercare un arrotondamento che fosse strutturale.

    O almeno questa era la risposta ufficiale che si dava tutte le volte che rifletteva sull’argomento.

    In realtà qualche ora al giorno di arrotondamento, da qualche parte, la avrebbe potuta trovare senza grandi difficoltà. La depressione economica della zona era forte, anche perché molto gravitava ancora intorno alla NovaGlobal, ma quello che non si trovava era principalmente il lavoro regolare, mentre dell’altro ce ne era eccome.

    Ma lei era come papà, che si definiva un onesto incurabile.

    In fondo non se la sentiva proprio di fare qualcosa che fosse meno che legale. «Almeno fino a quando posso» si diceva.

    Spinta dalla necessità era allora venuta a patti con la sua coscienza, e si era adattata a praticare il baratto, anche se non lo voleva ammettere esplicitamente neppure a sé stessa.

    Aveva iniziato con piccole ripetizioni, e come clienti aveva gli altri unici due bambini che abitavano nell’intero caseggiato.

    «Quattro scale, cinque piani, quattro appartamenti per piano. Sono ottanta famiglie! E ci sono solo altri due bambini oltre Massimo. Pazzesco!» si ripeteva tutte le volte che andava dal cliente per la lezione.

    Il primo era il figlio di una pettinatrice che abitava nella scala C. Anche lei prendeva l’autobus di Margherita, anche se poi proseguiva per il Capoluogo, dove si trovava quello che definiva pomposamente il salone di bellezza, e per il quale lavorava. Erano presto entrate in confidenza, e fra le chiacchiere la donna le aveva fatto capire che il ragazzo, undicenne, aveva trovato forti difficoltà nel passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria, in particolare con la matematica.

    Margherita, che invece in matematica non aveva difficoltà, si era offerta di dargli ripetizioni, neanche si ricordava bene come.

    ‘Senza assolutamente niente in cambio’, era stato il ferreo patto proclamato all’inizio.

    Però le lezioni avevano dato frutto ed i progressi si erano visti. La madre del ragazzo si era quindi presto trovata in imbarazzo, e dato che Margherita rifiutava categoricamente di accettare denaro, aveva proposto di sistemarle l’acconciatura almeno una volta al mese.

    «Ma i materiali e la tintura li fornisco io» aveva chiarito.

    Margherita, che in fondo sperava proprio in una offerta del genere, aveva subito accettato.

    Il secondo cliente era il figlio di una donna proveniente dall’Altro Continente che abitava invece nella scala D, e che faceva la cameriera nel Capoluogo in un locale di ristorazione veloce parte di una diffusissima catena. Il suo compagno lavorava per una impresa di pulizie, sempre del Capoluogo, che serviva anche il salone di bellezza che impiegava l’amica pettinatrice, che quindi era venuta a conoscenza dei problemi scolastici del ragazzo ed aveva messo la donna in contatto con Margherita.

    Tutta la famiglia era nella Cittadina da poco più di un anno e non potevano che parlare malissimo la lingua. Ed il figlio, di otto anni, si era trovato catapultato nella scuola primaria senza conoscerla per nulla.

    Anche in questo caso Margherita aveva accettato volentieri l’incarico di supplente.

    Però la madre del ragazzino era stata irremovibile. «Io vuole pagare. Io deve pagare».

    Alla fine di interminabili trattative erano arrivate al compromesso che i due coniugi avrebbero invitato Margherita e Massimo a cena da loro, una volta alla settimana, come ringraziamento.

    Ma non aveva funzionato.

    Il compagno esigeva che tutti i piatti, anche solo la variante esotica di pietanze nazionali, fossero sempre molto speziati. Ma ciò era in aperta collisione con il credo salutista di Margherita, oltre che totalmente inadatto all’alimentazione di Massimo.

    Per fortuna la donna aveva avuto un colpo di genio per aggirare l’ostacolo.

    «Mio uomo viene sempre tardi a cena» era la scusa che si era inventata per togliere entrambe dall’imbarazzo.

    «Allora io do a te cose che facevo per cena, e tu cucini a casa tua come vuoi» le aveva offerto.

    In pratica ogni volta che Margherita andava a dare le lezioni al figlio riceveva in cambio degli alimenti ancora inscatolati, a volte dei surgelati, che la donna doveva ricevere a prezzo scontatissimo dal suo datore di lavoro e che utilizzava come merce di scambio.

    Altro ramo della sua occupazione alternativa era l’assistenza agli anziani, in senso ampio. Ed in questo caso il parco clienti era sterminato.

    La prima era stata la moglie del proprietario di casa.

    Chiacchierando sul pianerottolo, per caso il discorso era caduto sullo stato di salute della signora, e sulla sua necessità di richiedere un esame clinico urgente. La donna aveva spiegato che avrebbe dovuto sobbarcarsi una fila di ore, proprio lei che come il marito aveva forti difficoltà a camminare. Infatti l’azienda sanitaria non prevedeva altre modalità per prenotarsi. Margherita allora si era offerta di provvedere lei all’incombenza, e poi anche al ritiro del referto, il che comportava di nuovo la medesima trafila burocratica e la medesima fila.

    Presto questo tipo di attività era esploso.

    Complice il passa parola, una miriade di anziani del palazzo le affidava le mansioni più varie. Oltre alle relazioni con gli uffici pubblici, sanitari ma non solo, anche piccole e grandi commissioni. Sempre per i medesimi clienti, Margherita provvedeva anche a ricercare e contattare artigiani che risolvessero i vari inconvenienti casalinghi e quindi gli idraulici, gli elettricisti, i falegnami. Vero punto di forza, ed abilità non comune che i clienti apprezzavano moltissimo, si era poi specializzata negli introvabili, come i riparatori di avvolgibili e infissi ed i disinfestatori.

    Anche da tutti questi clienti rifiutava denaro, e con ognuno valevano accordi non detti o appena accennati. C’era chi, in cambio di un impegno breve o leggero, le dava un ‘pacchetto di caramelle da portare al suo bel bimbo’, fino a chi si sdebitava regalandole un qualche oggetto per la casa o per la cucina, dal flacone di detersivo alla lattina di olio, fino al cestello di frutta. Per un intervento che aveva richiesto due intere mattine, per sbloccare la riattivazione di un contatore dell’elettricità, aveva avuto in regalo un servizio di piatti per tre, ‘mai usato’, con relativi bicchieri e posate.

    «È inutile ricontare, arrivo sempre alla solita conclusione, tutte le volte…» pensò Margherita, sconsolata.

    «…e quindi è come da risultato atteso!» aggiunse a voce alta, stentorea e professionale, facendosi beffe di sé stessa, e fingendo si rivolgersi ad una platea immaginaria di investitori ai quali illustrare i diagrammi di un complicato progetto aziendale. Fin da ragazza sfruttava l’autoironia per farsi coraggio, ma questa non era adatta proprio a tutte le situazioni, e comunque negli ultimi tempi il trucco funzionava sempre di meno.

    Centocinquanta, al massimo duecento, era l’unico margine di manovra che aveva. Troppo stretto per permettersi sbandate o lussi, anche se microscopici, di ogni tipo. Sarebbe stata sufficiente una visita medica specialistica o qualche vestitino indispensabile per Massimo, oppure un qualsiasi altra spesa imprevista, per portarla sullo zero.

    Pensò agli scarponcini bassi, rigorosamente in saldo, che aveva visto nella sezione affaroni del Mega Sito a quarantanove invece di centoventinove. Non era indicato in modo esplicito, ma si trattava di un modello vecchio di almeno un paio di anni, quello che un tempo sarebbe stato definito fondo di magazzino, mentre adesso erano appunto un affarone.

    L’acquisto era da rimandare, per l’ennesima volta.

    Margherita non voleva ammetterlo, ma ogni giorno che passava l’orlo dell’abisso si avvicinava.

    La vera differenza avrebbero potuto farla i trecento, mensili, che il Verme le doveva per legge ma, come aveva dovuto imparare sulla sua pelle, il Verme a versarglieli non ci pensava neanche per sbaglio.

    Non le restava che avvinghiarsi con tutte le sue forze alla speranza, al momento senza fondamento razionale, che presto le cose alla NovaGlobal sarebbero tornate alla normalità.

    Posò le bollette nel cassetto del mobilino in ingresso, andò in cucina e guardò dalla finestra. La giornata era radiosa.

    Domani sarebbe stato turno di presenza di azienda, ed iniziava già ad avvertire il disagio che provava ogni volta che si accingeva a questa striminzita attività quindicinale. Un antipatico miscuglio agrodolce tra la soddisfazione per un giorno di lavoro vero e l’amarezza di dover prendere atto di quanto questo impegno si fosse ridotto a pochissima cosa.

    Non aveva impegni lavorativi nel pomeriggio, e allora avrebbe portato Massimo nel parco a correre con il vecchio e scalcagnato triciclo, così si sarebbe distratta un po’ anche lei.

    Era ormai molto grandicello per il triciclo, ed avrebbe già dovuto passare da un pezzo alla prima piccola bicicletta, quella con le routine laterali, che alla sua età sarebbero già state tolte. Comperarne una era fuori discussione, però aveva adocchiato quella del nipote dell’anziana signora del secondo piano, scala B, che stazionava dietro la porta di ingresso da quando i nonni avevano comperato quella nuova al nipote. Per quella signora Margherita stava curando la ricerca e la sostituzione dello scaldabagno, impegno da classificarsi fra quelli importanti. In qualche chiacchierata avrebbe cercato di far cadere il discorso sulla bicicletta, affinché alla cliente venisse l’idea di sdebitarsi regalandogliela.

    Si fece il solito appunto mentale.

    «Ricordarsi di entrare nel parco dall’ingresso laterale, e non da quello principale, dove c’è il gelataio».

    La moneta da due che aveva nel portafoglio doveva essere preservata, anche questa poteva contribuire a fare la differenza con l’orribile abisso dello zero.

    ** II **

    MARGHERITA

    Margherita Perti aveva ricevuto dal papà la carnagione finemente olivastra, quasi ambrata, l’altezza non eccessiva, ma non al punto da rappresentare un problema, ed i capelli castani, che aveva sempre tenuto molto corti.

    Dalla mamma invece gli occhi chiari, gli zigomi alti e pronunciati ed il fisico longilineo e prestante.

    Presto aveva rivelato una bellezza non prorompente o vistosa, ma fiera e sicura, originale ed intrigante, che non passava inosservata. Non era stata mai particolarmente sportiva, ma prima le lunghe corse in bicicletta da bambina e poi il nuoto ed un periodo di arti marziali orientali, le avevano conferito una agilità ed una presenza non insignificante.

    Se non fosse stato che sin da ragazza aveva amato poco i luoghi affollati o rumorosi, ossia tutti quelli dove la mamma diceva si trovassero ‘tanti e belli spasimanti’, avrebbe potuto senza difficoltà fare ‘una vera strage di cuori’, come la mamma aggiungeva sempre.

    Margherita invece riteneva che il cervello dovesse essere il vero punto di forza di ogni persona, e che ciò dovesse valere in primo luogo per lei.

    Aveva una personalità forte, anche se piuttosto poco incline al compromesso, ed il dono di una intelligenza spiccata che a scuola le avrebbe subito spianato la strada.

    Era figlia unica, e adorava entrambi i genitori.

    Però per il papà davvero stravedeva, e via via che lei cresceva il loro rapporto si faceva sempre più profondo e speciale, quasi simbiotico.

    Il papà era un uomo di famiglia contadina, umile ma dignitosa, ed aveva due fratelli e due sorelle.

    Terminata la scuola dell’obbligo, con esiti però abbastanza scarsi, di fatto si sarebbe dovuto avviare al lavoro nei campi. Ma lui non voleva rassegnarsi, voleva sfuggire al destino già scritto, vedere luoghi ed incontrare persone. Sentiva di avere una carica, una forza, e di doverla sfogare costruendo qualcosa tramite l’impegno.

    Al momento della chiamata al servizio di leva, aveva quindi deciso di prolungare la ferma e di scegliere la marina. Suo padre non aveva apprezzato per nulla la scelta, e ciò gli era costato l’incomprensione perenne dei genitori ed un progressivo allontanamento dalla famiglia.

    Era stato assegnato alla principale base militare navale della Nazione.

    Faceva parte di un reparto operativo e quindi aveva avuto la possibilità effettiva di imbarcarsi davvero a bordo delle navi, e non di stare chiuso in uffici o magazzini.

    Era stato solo un marinaio semplice, a causa della scarsità della preparazione scolastica, ma i suoi viaggi e i suoi sbarchi erano l’oggetto dei racconti mirabolanti che elargiva tutte le sere alla famiglia riunita alla fine della cena, oppure negli incontri con parenti ed amici, appena aveva la possibilità di introdurre il discorso.

    Margherita ascoltava estasiata, ipnotizzata, quelle avventure. Le conosceva tutte, quasi a memoria, e spesso correggeva il papà che amava eccedere in sceneggiatura ed immaginazione, proprio per fare colpo sulla figlia.

    Durante uno degli sbarchi aveva conosciuto la donna che sarebbe diventata sua moglie.

    La mamma abitava in una capitale nel profondo nord del Continente, e da lì non si era mai mossa.

    Se al papà si faceva notare che in quella città il mare non c’era, ogni volta lui cambiava la trama del racconto e dava una spiegazione diversa. La più ripetuta, seppure piuttosto incredibile, come del resto anche tutte le altre, era che la nave era attraccata nel porto principale, un commilitone si era ammalato e si era dovuto andare a cercare dappertutto un misterioso medicinale che potesse salvarlo. E proprio lui era stato incaricato ‘dal capitano della nave in persona’ di guidare l’ardimentosa spedizione di ricerca.

    Margherita era innamorata proprio di queste circostanze, di questi dettagli, che sapeva essere di pura fantasia, ma che rendevano mitologici i racconti paterni, splendidi prodotti del carattere eclittico e scanzonato del papà.

    E comunque il papà nella capitale del nord si era fermato davvero, per molte settimane.

    E lì aveva incontrato la mamma.

    Lei lavorava come commessa in un grande magazzino, ed in che modo preciso il papà la avesse conosciuta restava ignoto, dato che lui ogni volta dava appunto una nuova versione. E Margherita fantasticava che forse era un piccolo mistero che lui non voleva condividere con nessuno.

    La leggenda proseguiva con la mamma che doveva rispettare gli orari del suo lavoro, e quindi nei giorni feriali non potevano che incontrarsi nella squallida bettola di fronte al grande magazzino.

    «Ho mangiato salsiccia e patate al forno, tutti i giorni, per settimane» esclamava il papà, fingendo disperazione.

    Quando la mamma non lavorava, sempre secondo il mitico racconto, andava ancora peggio. Potevano incontrarsi solo a casa di lei, sotto il controllo diretto dei genitori, oppure a volte avevano l’autorizzazione ad un breve giro del parco vicino a casa, però rigorosamente accompagnati dalla zia nubile che viveva con loro, e che aveva l’esplicito compito di una sorveglianza severissima.

    Questa parte della narrazione era di esclusiva competenza della mamma, ed infatti il papà si fermava sempre e la lasciava continuare. «Però noi avevamo corrotto la zia. Lei aveva problemi di salute e le erano proibiti tutti gli alimenti grassi o zuccherati, ma lui fingeva di voler essere premuroso ed insisteva fino a quando lei accettava un gelato oppure un dolce, e lei poverina cedeva prestissimo alla tentazione. Allora noi la lasciavamo su una panchina a godersi il suo pasto peccaminoso, e ci allontanavamo per poter stare un pochino insieme».

    «Non immaginate chissà cosa!» riprendeva subito a raccontare il papà. «Avevamo al massimo mezzoretta, oltre a qualche carezza e qualche bacetto comunque non si poteva andare».

    Tutti ridevano a questa immancabile conclusione, ma doveva essere era una delle parti più vere di tutta la leggenda.

    Però quando il papà aveva dovuto rientrare alla base il loro legame non si era interrotto, ed anzi si erano tenuti in contatto per quasi due anni.

    «La tecnologia non era diffusa ed alla portata di chiunque ai miei tempi, e comunque io non potevo permettermi dispositivi di nessun genere» raccontava il papà.

    «Allora scrivevo lettere, di carta, che impiegavano dieci giorni ad arrivare» aggiungeva. «Oppure cercavo di scroccare a qualcuno una telefonata dall’ultima cabina telefonica rimasta in caserma».

    Se però il legame tra il papà e la mamma avesse continuato ad andare avanti in quel modo provvisorio e pericolante, prima o poi si sarebbero persi di vista.

    Ma il papà era determinato a che ciò non accadesse, e con il coraggio e la tenacia che lo avevano sempre contraddistinto aveva colto l’occasione, forse irripetibile, non appena si era presentata.

    Quando si era trovato a pochi mesi dalla data nella quale sarebbe scaduto il periodo di ferma prolungata, ed avrebbe dovuto rinnovarla, oppure abbandonare la vita militare, per caso era venuto a conoscenza che un commilitone aveva acquistato i locali e la licenza di un bar con permesso di vendita al dettaglio nel paese dove abitava.

    L’idea gli era sembrata splendida.

    Nella Cittadina lui aveva uno zio che gestiva qualcosa di simile, ma era solo ed anziano e sarebbe andato in pensione tra poco. Lo aveva contattato e si era offerto di rilevare la licenza commerciale ed il locale nel quale si trovava l’esercizio.

    Per la sola licenza avrebbe dovuto spendere tutti i suoi risparmi e chiedere prestiti a tutto il parentado. E per la proprietà dei locali, perché di affittare non ne voleva neppure sentir parlare, avrebbe dovuto invece stipulare con Prima Banca un mutuo di ben quaranta anni. Per entrambe infatti il caro zio non intendeva concedere particolari sconti. Però alla fine di una serrata trattativa lo zio aveva accettato l’offerta.

    Al papà non mancava una volontà ferrea, seppure lasciare un impiego sicuro e tranquillo nella marina per lanciarsi in una avventura nella quale l’unica certezza erano i debiti poteva sembrare a chiunque una follia. E forse lo era.

    Ma aveva deciso che avrebbe tentato. Ma solo se avesse avuto il sostegno di cui sentiva il bisogno irrinunciabile.

    Aveva preso il treno e dopo un viaggio di venti ore era tornato nella capitale del nord.

    Era andato dalla mamma senza neppure avvisarla, le si era presentato davanti direttamente nel grande magazzino e dopo averla aveva portata nella loro bettola ‘con la forza’, come diceva, le aveva raccontato il suo folle progetto.

    Lei era stata felice della sua scelta, si era complimentata, ma non aveva capito subito il motivo per il quale lui avesse affrontato un viaggio tanto pesante per informarla di una tale decisione, della quale avrebbe potuto parlarle alla prima occasione.

    «Perché se venuto fin qui per dirmelo di persona? Potevi raccontarlo al telefono fra qualche giorno» aveva detto.

    «Perché ho bisogno del tuo aiuto, ho bisogno di te» le aveva semplicemente risposto il papà.

    «Non disse niente altro» raccontava la mamma. «Ho dovuto capire da sola che era una proposta di matrimonio, la più strampalata che fosse mai stata fatta. Ma mi è sembrata tanto romantica e sincera. Tanto da strapparmi l’anima, da rubarmi il cuore».

    E la mamma aveva risposto semplicemente ‘si’, mentre la cameriera posava loro davanti il solito piatto di salsiccia e patate.

    Nel giro di una settimana aveva lasciato il lavoro e sistemato le incombenze burocratiche, aveva salutato i genitori, disperati per una scelta così insensata ai loro occhi, ed aveva raggiunto il papà nella Nazione.

    Un mese dopo l’apparizione del papà nella capitale del nord si erano sposati in una chiesetta nella periferia della Cittadina.

    E dopo appena un altro mese apriva ‘Noi Due’, un esercizio commerciale che il papà, con una lungimiranza non comune aveva concepito come i locali tipici di oltre oceano, dove si vende quasi di tutto. Ed avevano iniziato a lavorare entrambi come dannati.

    «Per il viaggio di nozze avremmo dovuto andare da mio cugino che abitava sulla costa, ma ogni volta c’era un motivo per rimandare. Dobbiamo ancora partire!» raccontava sempre la mamma.

    Dopo poco più di un anno era nata Margherita.

    La sua infanzia era stata quella comune e banale di tutti i bambini, come anche l’adolescenza. La scuola non aveva mai rappresentato alcun problema, anzi era sempre stata fonte di interesse e soddisfazione, e le sue giornate si dividevano tra la frequenza scolastica, i compiti, gli svaghi. Praticava molto sport, ma più per sfogare energia che per vera passione.

    Già da bambina aveva scoperto che ciò che l’appassionava davvero era gironzolare nel negozio dei genitori. Era sempre disponibile, qualsiasi compito le fosse affidato. Aiutava nello scaricare le merci e nella distribuzione sugli scaffali, ma anche per le pulizie ed il facchinaggio.

    Appena più grandicella, aveva anche iniziato ad aiutare il padre nella contabilità, per la quale lui era invece completamente negato, e si era presto accorta della naturale confidenza che aveva con un ambito considerato da tutti noioso e arido.

    Aveva superato la scuola secondaria superiore senza il minimo sforzo ottenendo i pieni voti, e poi aveva scelto l’indirizzo universitario economico, con specializzazione gestionale. Ai genitori, che alla laurea tenevano moltissimo, specialmente il padre che aveva studiato solo fino a quattordici anni, aveva promesso che avrebbe completato il ciclo degli esami senza alcun ritardo, e la medesima promessa l’aveva fatta con convinzione anche a sé stessa. Non voleva essere un peso per i suoi che tanto avevano lavorato, e che desiderava potessero rallentare un poco i ritmi concitati e sfiancanti che il negozio imponeva.

    E proprio per non pesare sulla famiglia, nel periodo universitario aveva colto tutte le occasioni di lavoro che capitavano, passando da un tirocinio ad un altro, senza disdegnare anche impieghi stagionali nelle campagne, se si presentava l’occasione. Aveva anche fatto la barista e la cameriera, ed era stato un periodo davvero duro e pesante, perché questi impegni si sommavano a quelli imposti dallo studio.

    Sveglia presto, treno fino al Capoluogo per le lezioni, al pomeriggio sui libri fino a tardi. Nelle mattine in cui non aveva lezione incastrava impegni lavorativi, e se doveva lavorare anche nel pomeriggio studiava la sera dopo cena, fino a notte. Il giorno dopo ricominciava, sabati compresi.

    Le restava solo la domenica, che invece riservava al papà, per salvarlo dalla marea di adempimenti burocratici e contabili che lo travolgevano, e quindi aveva dovuto limitare molto l’attività sportiva, riducendola a lunghe camminate, sempre con un testo da studiare sotto braccio.

    Non era stata quindi una scelta consapevole e deliberata, ma per i ragazzi non era rimasto molto tempo.

    Aveva conosciuto Fausto, un compagno di scuola della classe successiva, a quattordici anni, ed avevano continuato a frequentarsi, ma Margherita teneva come in sospeso questo rapporto, perché neppure lei sapeva bene come gestirlo. Lui invece era molto più coinvolto e determinato a fare in modo che il loro legame diventasse qualcosa di più serio e profondo.

    Ma Margherita, senza però ammetterlo neanche a sé stessa, non vedeva fra loro due quella intesa speciale che continuava a esserci fra i suoi genitori, nonostante avessero già passato tanti anni insieme.

    Il giorno del suo primo esame universitario, il suo primo trenta, a dispetto di quanto previsto non era stato purtroppo possibile festeggiare.

    Quella mattina ‘Noi Due’ aveva subito la sua prima rapina.

    Margherita era già in facoltà, la mamma invece era ancora a casa perché arrivava al negozio solo dopo aver sbrigato le faccende domestiche.

    Il papà era solo.

    L’episodio in sé era stato poco doloroso. Erano entrati in due, a volto scoperto, subito dopo che il papà aveva alzato le serrande e disattivato l’antifurto, e lo avevano minacciato con un coltello. Lui aveva consegnato subito tutto il contenuto della cassa, che non era neppure molto perché ogni due giorni versava il contante in banca, ed i criminali si erano dileguati. In pochissimi minuti era tutto finito.

    Ma per la famiglia era stato un evento tremendo, a maggior ragione perché ingenuamente inatteso ed imprevisto.

    La loro quieta tranquillità era stata colpita nel profondo, in modo irreparabile, come un vaso di cristallo che cadendo esplode in mille pezzi e non sarà mai più possibile far ritornare come prima.

    Dal quel maledetto giorno il papà non aveva più voluto la mamma in negozio, approfittando della circostanza che lei iniziava a manifestare problemi di salute, che però sembravano essere solo passeggeri. Avrebbe gestito tutto lui da solo, mentre lei che si occupava dei cibi freschi e di qualche piatto pronto, li avrebbe preparati a casa e si sarebbe solo limitata a portarglieli.

    Il papà non aveva voluto sentire ragioni.

    Lentamente, ma inesorabilmente, aveva anche smesso di cercare nuovi prodotti da offrire ai clienti, e di industriarsi per rendere l’attività sempre più diversificata e produttiva.

    Il suo entusiasmo, la sua voglia di fare, erano andati perduti per sempre. Il vaso di cristallo non si poteva riparare.

    Anche per Margherita il colpo era stato terribile. Era dovuta diventare adulta, scoprendo sulla sua pelle che esisteva anche il Male.

    Neppure sei mesi dopo il negozio del papà aveva subito una pesante ispezione dei servizi sanitari.

    Qualcuno particolarmente zelante o invidioso doveva aver segnalato che la mamma preparava appunto cibi vari, panini e biscotti presso la loro abitazione, e poi li portava in negozio dove il papà li vendeva.

    Entrambi, ingenuamente ed in buona fede, non avevano proprio pensato che ciò fosse totalmente al di fuori delle normative, che con il tempo si erano fatte sempre più stringenti. Anche perché questa parte del commercio era davvero marginale rispetto alle vendite complessive del negozio.

    Si erano presentati in sei, tre ispettori dell’Ufficio per la Salute Pubblica e tre appartenenti alle Forze Dell’Ordine, del Reparto Controlli Sanitari.

    «Ero solo, contro sei. Mi hanno trattato come un delinquente» aveva raccontato il papà a Margherita, che per fortuna in quel momento era in facoltà. Entrambi infatti, solo in quel momento avevano compreso che anche le mansioni di contabilità che lei svolgeva in negozio erano molto discutibili e pericolose dal punto di vista fiscale e contributivo, dato che lei non aveva alcuna veste ufficiale rispetto all’esercizio dell’attività commerciale.

    La verifica si era conclusa con una sanzione economica molto pesante, e soprattutto con il definitivo allontanamento della mamma dal negozio. Anche Margherita, seppure molto a malincuore, aveva dovuto cedere alla volontà del papà che aveva stabilito che lei si dedicasse solo e soltanto allo studio, e non più alla contabilità familiare. Ciò però aveva comportato un ulteriore aumento di costi, a fronte di ricavi sempre in diminuzione a causa della sua progressiva stanchezza ed il conseguente disimpegno dal negozio nel quale era rimasto veramente solo, senza neanche più Margherita ad incoraggiarlo.

    Per il papà il negozio si era purtroppo trasformato da sogno di una vita a gravoso impegno da onorare in ogni caso, da coronamento e premio per una infinità di sacrifici a quasi prigione. Anche solo perché prima di terminare il mutuo avrebbe dovuto versare pesanti rate ancora per molti anni.

    Margherita si era laureata entro il minimo tempo necessario, a pieni voti e con lode.

    Il giorno della discussione della tesi, nell’aula magna della università, oltre alla mamma che piangeva come una fontana per la gioia, al padre che eccezionalmente aveva chiuso il negozio ‘perché mia figlia si laurea’, come aveva scritto su un cartello che aveva appeso sulle serrande abbassate, ed a qualche amica, era presente anche Fausto. Anche lui era in lacrime, anche se sosteneva con convinzione che si trattasse di allergia ai pollini.

    Poi tutto era successo in poche settimane.

    ‘La vita è quella cosa che accade mentre noi stiamo facendo altri progetti’, come le diceva sempre la mamma, pensando a sé stessa ed alle svolte della sua vita.

    Margherita era stata convocata dal professore con cui aveva preparato la tesi, che a sua volta era stato cercato da un collega della prestigiosa università del Centro Finanziario. Il collega gli aveva riferito che il suo ateneo aveva una collaborazione con una rinomatissima società internazionale di revisione contabile, la quale ogni anno offriva ai quattro migliori laureati dell’anno un corso post-laurea della durata di dodici mesi completamente spesato, presso la loro divisione estera più importante. La società internazionale, probabilmente per motivi di reputazione e di pubblicità, aveva deciso di offrire il corso ad un ulteriore studente da ricercare in una università meno conosciuta e più periferica. Il collega aveva quindi fatto arrivare l’offerta all’università del Capoluogo, ed il professore a sua volta aveva creduto che Margherita avesse sicuramente tutti i titoli, e soprattutto le capacità, per un impegno del genere. In caso di esito positivo, alla fine dei dodici mesi le successive possibilità di impiego presso la società internazionale sarebbero state concretissime.

    Una occasione unica, forse irripetibile.

    Margherita era stata sconvolta dalla meravigliosa prospettiva, dodici mesi all’estero. Nella peggiore delle ipotesi avrebbe migliorato notevolmente la sua conoscenza della lingua straniera che aveva studiato a scuola, che sapeva essere non proprio eccellente. E invece, con un pizzico di fortuna, le si sarebbero offerte possibilità lavorative insperate ed eccezionali.

    I suoi genitori erano entusiasti come e più di lei.

    Però quando aveva comunicato la notizia a Fausto, la sua reazione era stata veramente inaspettata, e opposta.

    L’aveva supplicata di non partire, di non lasciarlo, letteralmente in ginocchio.

    Margherita non aveva previsto nulla del genere, anche se stare separata da lui per dodici mesi era una prospettiva spiacevole anche per lei. «Con un volo a basso prezzo possiamo vederci tutte le volte che vogliamo» aveva pensato.

    Però era rimasta davvero interdetta, e non riusciva più a procedere con una decisione che all’inizio le era sembrata ovvia e scontata.

    Quattro giorni dopo la scenata di Fausto il negozio del papà aveva subito la seconda rapina, e si era trattato di qualcosa di molto più violento di quella precedente.

    I rapinatori avevano trovato la cassa quasi vuota e nessun oggetto di valore da rubare, e avevano sfogato la loro rabbia iniziando a devastare il locale. Il papà aveva cercato inutilmente di fermarli, e nella colluttazione era stato ferito, seppure non in modo serio.

    Appena avvisate, Margherita e la mamma si erano precipitate in ospedale, e lo avevano trovato su una barella, con una flebo al braccio, la testa ed una gamba bendati, il volto tumefatto e lividi ovunque.

    Ma soprattutto sconvolto, e disperato.

    Margherita gli aveva subito chiesto cosa avevano detto i rappresentanti delle Forze Dell’Ordine, chiamati dai passanti che avevano sentito le grida provenienti dal negozio. «Che non posso vendere panini!» aveva risposto il papà, riferendosi all’ispezione subita in passato. Avrebbe dovuto essere una imprecazione ironica, ma la disperazione gli aveva strozzato in gola la frase, e la aveva pronunciata tentando di sorridere ma invece quasi piangendo.

    In ospedale, con grande sorpresa di tutti perché non era stato avvisato da nessuno, era piombato anche Fausto, che aveva saputo del fatto perché la notizia aveva immediatamente fatto il giro della Cittadina, dove in fondo episodi del genere avevano almeno il pregio di smuovere la sonnacchiosa quotidianità e quindi volavano in fretta sulla bocca di tutti.

    Lì, in ospedale, dopo qualche parola di incoraggiamento al papà, aveva preso Margherita da parte.

    Le aveva detto che i suoi genitori erano stanchi, ed iniziavano ad invecchiare. Le aveva ricordato lo stato di salute della mamma, che negli ultimi tempi aveva iniziato ad aggravarsi.

    Le aveva detto che il suo posto era con loro, con lui.

    E in mezzo al disordine ed al frastuono di un pronto soccorso le aveva chiesto di sposarlo.

    «Subito! Adesso!».

    Aveva già persino pronto un appartamento. ‘Il nostro nido d’amore’ lo aveva definito.

    Se avesse rifiutato Margherita lo avrebbe perso, per sempre.

    «Non ci vedremo mai più!» aveva giurato.

    Margherita non era per nulla pronta ad una richiesta del genere. Glielo aveva detto, e gli aveva anche detto che non poteva pretendere una risposta immediata, e che voleva riflettere.

    Fausto aveva risposto che avrebbe aspettato che lei decidesse, ma solo per un paio di settimane al massimo.

    Margherita avrebbe voluto confidarsi con i genitori, ma già la sera stessa aveva compreso che la scelta non poteva che spettare solo a lei. Le sarebbe costato moltissimo perdere Fausto, ma restare con lui avrebbe automaticamente significato perdere l’opportunità di una carriera che aveva sempre sognato. Una possibilità unica, che non si sarebbe mai più ripresentata, il proverbiale treno che passa una sola volta.

    Intanto, però, il destino si era già incaricato di decidere per lei.

    La settimana successiva aveva ricevuto una convocazione da NovaGlobal.

    NovaGlobal era l’ultima reincarnazione di una realtà industriale nata molti decenni prima nell’ambito del Programma di Intervento Economico Statale. E come tante altre, dal Programma aveva preso l’abbrivio per un percorso iniziale di prepotente ascesa, all’interno di un progetto industriale complessivo che pur con limiti e contraddizioni aveva contribuito alla rinascita della Nazione. Ma il Programma, e la Nazione con esso, dopo l’esaurimento della spinta pragmatica dei primi tempi, erano con il tempo sprofondati in una lenta ma ineluttabile decadenza.

    Era stata fondata come NovaProduzione, ed ai tempi d’oro dava occupazione ad oltre ottomila persone. Alla prima seria ristrutturazione, conseguente alla ondata di privatizzazioni imposta nel passato dal debito della Nazione già diventato enorme, era passata in mani private con il nome di NovaInternational.

    In breve tempo i dipendenti si erano ridotti a quattromila, ma i risultati gestionali dei nuovi proprietari si erano comunque rivelati un autentico disastro.

    Dopo un ulteriore passaggio di proprietà, accompagnato da generose sovvenzioni concesse ufficialmente con l’ingenua speranza che il nuovo piano strategico potesse avere successo, sempre tramite vari strumenti di assistenza a carico della collettività gli occupati erano diventati poco più di mille.

    Il nuovo nome era appunto NovaGlobal. Ed anche se molto ridimensionata, restava una realtà di primo piano nell’ambito del desolato panorama industriale locale, e c’erano ben poche altre aziende di dimensioni comparabili anche considerando tutto l’ambito del territorio regionale.

    La sede legale si trovava nel Capoluogo, ma le attività amministrative e contabili si svolgevano negli uffici annessi agli enormi stabilimenti adibiti alla produzione situati a pochi chilometri dalla Cittadina, in una frazione che era stata pomposamente ribattezzata ‘zona di espansione industriale’, anche se ospitava solo NovaGlobal.

    Era a tutti gli effetti un dinosauro, il lascito di un sistema che non esisteva più.

    Ma era anche tutto quello che restava della economia produttiva della Cittadina, e di estrema importanza anche per quella del Capoluogo. Non c’era, e probabilmente non ci sarebbe più stato, niente di altro.

    NovaGlobal aveva aperto la ricerca di una posizione nell’ambito del controllo di gestione interno ed aveva contattato tutti coloro i quali avevano effettuato tirocini presso di loro, oltre cento persone.

    Margherita si era presentata.

    Aveva il punteggio massimo di laurea, ed una lettera di presentazione entusiastica dello stesso professore universitario della tesi, il quale l’entusiasmo aveva dovuto simularlo con gran fatica, e solo perché lei lo aveva implorato, essendogli sembrato pazzesco che la sua allieva migliore potesse anche solo considerare di rinunciare alla possibilità che le era stata offerta all’estero.

    Aveva superato senza problemi la prova scritta che l’azienda aveva richiesto, ed anche il colloquio con l’incaricato della società di ricerca personale aveva avuto un esito ottimo. Aveva sbaragliato tutti gli altri candidati, e se avesse voluto il posto in NovaGlobal era suo.

    A tempo indeterminato, tredici mensilità da millecinquecento ciascuna, con concrete possibilità di carriera con la conseguente crescita retributiva. Per moltissimi un sogno.

    E vicino a casa.

    Vicino al papà ed alla mamma. Non per sfruttare la loro presenza ed il loro aiuto, ma anzi per poter essere lei di riferimento e di sostegno, per ricompensare i loro sforzi e ringraziare di tutto quello che le avevano dato.

    E poi c’era anche Fausto.

    Margherita aveva iniziato a pensare di aver troppo sottovalutato il loro legame, e che poteva essere irresponsabile rinunciare ad una persona che dimostrava verso di lei un sentimento così profondo, e che lei si domandava se forse stava ricambiando da sempre, senza rendersene razionalmente conto.

    La scelta della trasferta estera cominciava ad apparire anche a lei come un miraggio, una chimera. Addirittura il capriccio di una bambina viziata, che aveva a portata di mano un compagno, i genitori, un lavoro, e rinunciava a tutto per inseguire non si sa bene quale sogno insensato.

    L’offerta di impiego di NovaGlobal le era arrivata la mattina in cui il papà era tornato in ospedale per rimuovere le ultime fasciature ed i punti di sutura delle ferite conseguenti alla rapina. Era guarito, almeno nel fisico.

    A Margherita era parso un segno, anche se forse aspettava solo una ulteriore motivazione per prendere una decisione che aveva comunque già inconsciamente maturato.

    Aveva chiesto a Fausto di venire a casa sua, la sera dopo cena, con la scusa di festeggiare la definitiva guarigione del papà, e mentre erano tutti nel salotto a chiacchierare Margherita aveva chiesto il silenzio ed aveva detto che doveva comunicare una decisione.

    Avrebbe rinunciato all’offerta del corso all’estero, con tutto quello che ciò comportava.

    E avrebbe sposato Fausto.

    Papà e mamma erano pazzi di gioia. Perché loro, sotto sotto, non volevano che la figlia andasse così lontano e per così tanto tempo. E perché Fausto piaceva a tutti e due, e non avevano mai trovato il modo di dire a Margherita che prima o poi avrebbe dovuto fare una scelta rispetto al rapporto tra di loro.

    Fausto fra le lacrime si era di nuovo inginocchiato ed aveva porto a Margherita una scatolina di raso viola. Conteneva l’anello di fidanzamento. «L’ho comprato già due anni fa, e lo porto sempre con me. Ma non ho mai avuto il coraggio di offrirtelo» le aveva detto.

    Dentro l’anello erano incise delle parole. ‘Ti amo. Ti ho sempre amato. Ti amerò sempre’.

    Margherita aveva posto a tutti la condizione di sposarsi

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