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La bibbia della salute: I 5 pilastri del benessere
La bibbia della salute: I 5 pilastri del benessere
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E-book498 pagine4 ore

La bibbia della salute: I 5 pilastri del benessere

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Info su questo ebook

Solitamente i libri che trattano di benessere trattano ognuno di un singolo argomento: nutrizione, oppure fitness, oppure medicina alternativa e così via. Lorenzo Zarone ritiene che, per poterraggiungere il benessere, non è sufficiente focalizzarsi su un solo aspetto, ma su cinque: alimentazione, integrazione, allenamento, detossificazione e riposo notturno.

Cosa potrai apprendere con la lettura di questo libro
1.
Quali sono i falsi miti della nutrizione
2.
Le basi della dieta del benessere
3.
I motivi per cui il cibo non è sufficiente ed è necessario integrare
4.
I benefici dell’utilizzo dei multivitaminici scelti bene
5.
Le proprietà di vitamine e sostanze indispensabili al corpo umano
6.
Perché è importante il movimento
7.
Benefici dell’allenamento con i pesi e dell’H.I.I.T.
8.
L’importanza degli amminoacidi essenziali
9.
L’importanza di una buona detossificazione
10.
Quali sono le principali sostanze che ci fanno intossicare
11.
Metodi di disintossicazione dai metalli pesanti mediante sostanze chimiche e naturali
12.
L’importanza del riposo notturno
13.
Problemi di salute legati alla carenza di sonno
14.
Integratori utili per riposare meglio
15.
E tanto altro...
LinguaItaliano
EditoreBookness
Data di uscita20 mar 2023
ISBN9791254891919
La bibbia della salute: I 5 pilastri del benessere

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    Anteprima del libro

    La bibbia della salute - Lorenzo Zarone

    INTRODUZIONE

    Ascolta queste due storie che mi sono state raccontate da un mio amico nutrizionista e docente di scienze. ‘’Un giorno come tanti altri, tenevo la mia consueta lezione a scuola, e mentre spiegavo l’argomento del giorno, mi accorsi che un’allieva seduta in prima fila, proprio davanti a me, manifestava un aspetto sofferente. Interruppi per un momento la lezione e gli chiesi ‘’Stai male? Non ti senti bene?’’ La ragazza allora decise di raccontare la sua storia e di confidarsi dinanzi l’intera classe. Ecco la sua vicenda.

    ‘’Sono tanti anni che soffro di diarrea cronica quotidiana e sto veramente male. Come se non bastasse, soffro anche di candidosi vaginale cronica sempre da tanti anni, non ce la faccio più. Sto male, mi sento stanca e senza speranza’’. Gli chiesi: ‘’Ma non sei stata visitata da qualche specialista?’’ La sua risposta. ‘’Sono stata da tanti specialisti della mia regione, tutti mi hanno dato la stessa diagnosi di colite nervosa’’. Gli chiesi ancora: ‘’Hai fatto gli esami della celiachia?’’. Mi rispose: ‘’Ho fatto decine di esami, compresi quelli per la celiachia, tutto negativo. Sono anche stata presso una clinica privata di Roma, tutto a pagamento, ho speso migliaia di euro, ma stessa diagnosi.’’. Io, con tanti anni di esperienza come nutrizionista, gli dissi che avevo già capito il suo problema, e la ragazza venne a consulenza nel mio studio. Gli prescrissi una dieta priva di glutine, a dispetto dei suoi esami negativi. Risultato: tutti i suoi sintomi spariti nell’arco di un mese e completa remissione delle patologie. Ti starai domandando come mai prescrissi una dieta senza glutine, dal momento che i suoi esami erano negativi. Il motivo è che non esiste solo la celiachia ma anche la Pseudoceliachia, patologia simile ma non rilevabile con i consueti esami, ecco il motivo per cui questi ultimi risultavano negativi. Solo eliminando dalla dieta il glutine, si possono vedere i risultati. Ma al di là di questo, anche se una persona non soffre di Celiachia o Pseudoceliachia, il glutine fa danni a tutti quanti, come dimostrerò in un capitolo apposito. Perciò una dieta con esclusione o ridotto apporto di glutine, può solo apportare benefici’’.

    Ascolta ora la seconda storia.

    ‘’Arriva nel mio studio una donna che aveva necessità di perdere peso. Soffriva anche di alcune patologie, tra cui una brutta psoriasi con annessa artrite psoriasica. Era in cura con specialisti e pertanto seguiva un trattamento farmacologico specifico. Gli chiesi se aveva mai sentito parlare del legame tra alimentazione e malattie autoimmuni. Mi rispose di no e che anche il suo medico riteneva che non ci fosse nessuna relazione con l’alimentazione. Gli proposi una dieta senza latticini, cereali, legumi e solanacee e lei accettò come prova. Dopo un mese la psoriasi si era ridotta notevolmente e dopo sei mesi scomparve quasi del tutto, compresa l’artrite’’.

    Questo è il racconto del mio amico nutrizionista, che ringrazio per la sua gentile testimonianza. Davvero notevole, a mio parere.

    Un miracolo? No, questi sono i benefici di un regime alimentare diverso da quello consueto. Che si chiami Paleo dieta o ancestrale o in altro modo non importa, quello che conta è che funziona. Sinceramente non mi piacciono le etichette, per cui preferisco chiamare una dieta che funziona, dieta del benessere.

    La nutrizione umana rappresenta per me uno degli argomenti più affascinanti in assoluto, per certi versi ancora un mistero. Per questo motivo ho iniziato a documentarmi in modo serio, senza preconcetti. I preconcetti sono purtroppo il muro più duro da abbattere, l’ostacolo più difficile da superare.

    Che tu sia una persona che ci tiene alla salute, avrai un grande beneficio dalla lettura di questo libro. Se hai qualche malattia cronica o autoimmune, troverai ancora più beneficio con i consigli presenti e ti potrai sentire molto meglio, soprattutto se in associazione con il tuo specialista di fiducia. Se sei uno sportivo, ma anche una persona attenta al suo benessere, che si è stufato di assumere decine di integratori, troverai la soluzione mediante l’utilizzo di quelli da me formulati, potendo assumerne uno o due al massimo o quelli che riterrai più opportuni per la tua situazione. Ma in ogni caso, ritengo sinceramente che il benessere sia un argomento che per ovvi motivi possa davvero interessare tutti quanti.

    LA MIA STORIA

    Mi chiamo Lorenzo Zarone. Ho una laurea triennale in Scienze Motorie, e una specialistica in Nutrizione con indirizzo in Nutraceutica. Da diversi anni sono appassionato di nutrizione, benessere e attività fisica, e dal 2011 circa leggo e studio tutto ciò che riguarda nutrizione e integrazione.

    Amo lo sport, non sono un atleta agonista, non ho mai amato fare gare ad alto livello, ma pratico sport in maniera continuativa dall’età di 16 anni (dai 10 ai 13 calcio con la squadra del quartiere: che bei ricordi) e ho sempre cercato, nel mio piccolo, di tenermi in forma. 

    Insomma, la ricerca del benessere rappresenta per me la principale idea di vita e ho capito che senza una giusta nutrizione ed una buona attività fisica il benessere te lo puoi dimenticare. Recentemente mi sono anche reso conto che oltre a nutrizione e attività fisica, per raggiungere il benessere sono indispensabili altri tre capisaldi che ho definito pilastri del benessere. Te ne parlerò in maniera esaustiva nel corso del libro. La ricerca del benessere non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza; richiede studio, dedizione, applicazione, pazienza, una mentalità aperta a nuove idee. Ma se farai tutto questo vedrai che i risultati non tarderanno ad arrivare, così come è successo a me.

    Credo che la scintilla che ha dato inizio a tutto sia scoccata a settembre del 2011. In quel periodo mi sono approcciato all’alimentazione ancestrale (i dettagli di come è iniziato tutto li puoi trovare nel mio primo libro ‘’L’integrazione nella Paleodieta’’). Nutrendomi in questo nuovo modo, mi sono accorto di stare molto meglio e così ho continuato. Poi, studiando tutti i dettagli di questa nutrizione, ho capito che solo l’alimentazione non era sufficiente per i motivi che ti spiegherò nel libro.

    Mangiare gli alimenti giusti è la base di quel tipo di dieta, purtroppo però mi rendevo conto che era quasi impossibile consumare ogni giorno carne grass fed (cioè di animali allevati solo ad erba) e pesce pescato (non di allevamento), di verdure fresche del proprio orto e frutta tutto a km zero e ancora più importante a tempo zero!

    Con un’alimentazione basata su cibi industriali, l’apporto di vitamine e minerali è scarso e di conseguenza ero a rischio di quella che viene chiamata carenza subclinica di Nutrienti, soprattutto di micronutrienti come vitamine e minerali e di acidi grassi Omega 3. La carenza subclinica è subdola perché passa sotto traccia, non dà nessun segno evidente nel breve periodo, ma costringe l’organismo a non funzionare al 100% e, nel lungo periodo, ad ammalarsi.

    Ecco spiegato il perché è così importante assumere integratori.

    E così un bel giorno decido di realizzare una mia linea di integratori che ho chiamato Paleocomplex (e a questi ne seguiranno altri nel tempo), che naturalmente ho immediatamente testato su me e la mia famiglia. I cambiamenti furono a dir poco esaltanti.

    Fu così che, dopo averne testato gli effetti positivi e la semplicità di utilizzo (in famiglia ora lo prendono tutti, compresi i miei nipoti), decisi di fare il passo successivo.

    L’avevo creato per me stesso, non avevo previsto di venderlo al pubblico e sinceramente non sapevo nemmeno come fare. Come primo tentativo comunque scelsi la via più semplice: venderlo su Amazon.

    Il risultato?

    Andò letteralmente a ruba senza neanche aver fatto un minimo di pubblicità e in poco tempo ricevette moltissime recensioni positive, alcune delle quali mi fecero emozionare non poco.

    Successivamente creai il sito store Paleocomplex.com che ad oggi è l’unico canale di vendita ufficiale dei miei integratori.

    Io sono sempre stata una persona che ha fatto attività fisica e sport, per cui già sapevo dell’importanza dell’attività fisica, al di là del regime nutrizionale seguito. A maggior ragione, se ti stai alimentando con la dieta ancestrale che apporta benefici, l’aggiunta dell’attività fisica non può portare altro che ancora più benefici.

    In seguito ho avuto altre intuizioni, per cui ho capito che per stare ancora meglio era necessaria una detossificazione. Non possiamo negare di vivere in un mondo pieno di tossine e sostanze inquinanti, purtroppo. 

    E infine mi sono reso conto che è importante il riposo notturno per recuperare appieno le energie e per essere in forma durante il giorno. Sono così nati i cinque pilastri del benessere:

    Pilastro 1: alimentazione. 

    Pilastro 2: integrazione

    Pilastro 3: allenamento

    Pilastro 4: detossificazione

    Pilastro 5: riposo notturno

    In questo libro ti parlerò in dettaglio dei cinque pilastri del benessere in modo che anche tu possa trarne tutti i potenziali benefici.

    CAPITOLO 1

    Primo pilastro: Alimentazione

    Bene, ora si comincia a fare sul serio.

    Prima di addentrarmi nell’alimentazione del benessere, è giusto partire con tutti quei falsi miti che per decenni ci sono stati inculcati dai mass-media, riviste di settore ed esperti di settore. Sarà un compito arduo, lo so perfettamente. Ma prima di farti capire come un essere umano dovrebbe mangiare, credo che la cosa più opportuna sia farti capire come NON bisogna mangiare. E, soprattutto, smontare, dati scientifici alla mano, tutto ciò che fino a ieri credevamo la verità scientifica, insomma tutti quei FALSI miti che oramai quasi tutti ripetiamo senza neanche rendercene conto.

    Sei pronto? Allora partiamo…

    1.1 - I falsi miti

    1.1.1 - Il mito del sale che fa male

    Tutti i medici affermano che assumere meno sale abbassa la pressione sanguigna e di conseguenza si riduce il rischio di patologie cardiovascolari. Pare proprio che la maggior parte delle persone in tutto il mondo abbia ascoltato queste direttive mediche e ridotto l’apporto di sale. Negli USA gli americani assumono circa un cucchiaino e mezzo di sale al giorno, mentre la dose raccomandata è meno della metà. Ma siamo davvero sicuri che il sale sia un nemico della salute? Negli anni ’50, Lewis K. Dahl, ricercatore di Upton, New York, notò che le persone che assumevano meno sale soffrivano meno di ipertensione, un fattore di rischio cruciale per le malattie cardiovascolari (Dahl, 2005).

    Sulla base dei dati limitati che aveva raccolto, Dahl affermò che la causa principale dell’ipertensione e delle patologie cardiovascolari fosse il consumo eccessivo di sale. Lo scienziato iniziò così a raccogliere prove a sostegno di questa tesi e si mise a studiare in laboratorio alcuni ratti geneticamente modificati per essere sensibili al sale. Sottoporli a una dieta ricca di sale prevedibilmente li portò a soffrire d’ipertensione. Trarre delle conclusioni da questo tipo di ricerca però è abbastanza ridicolo, dal momento che i ratti erano stati geneticamente modificati per sviluppare pressione alta. Infatti la quantità di sale somministrata ai ratti, in proporzione, equivaleva ad assumere 4,5 tazze di sale al giorno per un essere umano: una quantità assurda. Ma Dahl estrapolò i dati in modo inappropriato, applicandoli ai bambini, e suggerì che un alto apporto poteva contribuire alla mortalità infantile (Dahl, 1968). La sua opinione ebbe un’influenza tale da indurre l’industria alimentare a ridurre il sale nel latte in polvere per neonati. Ipotizzò che il sale causasse una lieve dipendenza e il suo consumo ne stimolasse il desiderio (Dahl, 2005). Nel 1976 Meneeley e Battarbee dichiararono che gli americani avrebbero dovuto assumerne il minimo indispensabile compatibile con la vita, ossia 3 grammi al giorno (Dahl, 1968).

    Questa ipotesi non dimostrata influenzò i primi Dietary Goals for the United States (Obiettivi nutrizionali per gli Stati Uniti) del 1977, diventando così un dogma consacrato della dottrina nutrizionale. Tuttavia, questa raccomandazione si basava quasi esclusivamente sui discutibili risultati di studi condotti su ratti geneticamente modificati, e all’epoca non erano disponibili dati sull’uomo. Malgrado l’assenza di vere prove scientifiche, il governo ed i mass media avevano già convinto l’opinione pubblica americana della pericolosità del sale. Gli ‘’esperti’’ ripetevano il loro ritornello sull’importanza di evitare un consumo eccessivo di sodio.

    La prima revisione sistematica delle sperimentazioni cliniche sugli effetti delle diete povere di sale sulla pressione sanguigna fu pubblicata solo 15 anni dopo. Si scoprì che i problemi di salute dipendevano non dal sale, ma dallo zucchero (DiNicolantonio et al, 2014). Nel 1982 la copertina della rivista Time definì il sale come il ‘’nuovo nemico’’. Successivamente, la pubblicazione nel 1988 dello studio INTERSALT sembrò sancirlo in modo definitivo. Questo enorme studio si proponeva di esaminare il rapporto di sale e la pressione sanguigna in 52 campioni di popolazione in 32 paesi. Si scoprì che maggiore era il consumo di sale, più alta era la pressione sanguigna. Però, diminuendo l’apporto di sodio del 59%, la pressione si abbassava di soli 2 mmHg, decisamente troppo poco. Ad esempio, partendo da una pressione sistolica di 140 mmHg, una rigida diminuzione dell’apporto di sale potrebbe portarla a 138. Poco allettante davvero. Come se ciò non bastasse, non c’erano prove che un’eventuale riduzione della pressione si traducesse in un minor numero di infarti e ictus. 

    Malgrado ciò, in America si stabilì che gli americani avrebbero dovuto assumere solo 2400 mg di sale al giorno, circa un cucchiaino (DiNicolantonio, 2017). Tuttavia, rimaneva il dato inoppugnabile che quasi tutte le popolazioni sane al mondo ne consumavano molto di più. I miglioramenti generali di salute dell’ultimo mezzo secolo si sono avuti in un’epoca in cui praticamente tutti assumevano più sale di quello raccomandato.

    Perciò, la diffusa convinzione che il sale facesse male era basata sulla disinformazione. Dahl sosteneva che l’eccessivo consumo di sale fosse un’acquisizione recente. Ma dai dati degli archivi militari sulla guerra del 1812 risulta invece che i soldati, e presumibilmente il resto della società occidentale, assumevano ogni giorno tra i 16 e i 20 grammi di sale (Satin, 2015).

    Fu dopo la seconda guerra mondiale, quando la refrigerazione sostituì la salatura come metodo primario di conservazione degli alimenti, che gli americani ridussero l’apporto medio di sale a 9 grammi al giorno, e tale è rimasto da allora. Prima della seconda guerra mondiale nessuno si preoccupava dell’elevata mortalità per cardiopatie, ictus e patologie renali, ossia quelle minacce utilizzate per ridurre il consumo di sale.

    I guerrieri Samburu (Gleibermann, 1973) assumono quasi due cucchiaini di sale al giorno e arrivano persino a mangiarlo direttamente dai blocchi di sale destinati al bestiame. Pur ingerendo tutto questo sale, la loro pressione sanguigna media è di soli 106/72 mmHg e non aumenta con l’età. In confronto, negli Stati Uniti all’incirca un terzo della popolazione adulta è ipertesa, con una pressione sanguigna di almeno 140/90, malgrado gli sforzi sanitari per cercare di ridurre l’introito di sale.

    Gli abitanti del villaggio di Ktyang, in Nepal, assumono 2 cucchiaini di sale al giorno, senza soffrire d’ipertensione (DiNicolantionio, 2017).

    Dalla più recente indagine sull’apporto globale di sale, risalente al 2013, risulta che nessuna zona del mondo si attiene alle indicazioni sulla limitazione del consumo di sale promosse dall’American Hearth Association o dall’O.M.S. L’alimentazione giapponese, ad esempio, è notoriamente ricca di sodio per via del consumo di salsa di soia, miso e verdure in salamoia. In compenso, i giapponesi possiedono una vita media di 83,7 anni: la più lunga al mondo. Singapore è terza nella classifica con 83,1 anni. Se il sale fa davvero tanto male alla salute, allora come si spiega che le popolazioni più longeve al mondo siano anche quelle che consumano più sale?

    I primi dubbi scientifici sulla validità delle diete iposodiche sorsero nel 1973 quando un’analisi (Gleibermann, 1973) scoprì sei popolazioni la cui pressione sanguigna media era bassa nonostante un’alimentazione molto ricca di sale. Per esempio, gli abitanti di Okayama, in Giappone, assumevano più sale (oltre tre cucchiaini al giorno) di quanto faccia attualmente la maggior parte delle nazioni, eppure la loro pressione media era tra le più basse al mondo.

    In alcuni casi, la pressione sanguigna diminuiva all’aumentare dell’apporto di sale. Nell’India settentrionale, ad esempio, ne consumavano in media 2 cucchiaini e mezzo (15g) al giorno, ma la pressione sanguigna era nella norma: 133/81. Nell’India meridionale l’apporto medio di sale era circa la metà di quello della regione settentrionale, ma la pressione sanguigna media era molto più alta: 141/88 mmHg (Satin, 2015). Questa anomalia non avrebbe dovuto presentarsi. Tuttavia, restavano comunque le conclusioni dello studio SALT, spesso citato come prova definitiva dei pericoli di un consumo eccessivo di sale. Ricerche più approfondite portarono però a risultati differenti. I ricercatori inclusero nell’analisi iniziale quattro popolazioni primitive (Yanomamo, indigeni del parco dello Xingu, papuani e kenioti). In quelle società l’apporto medio di sale era nettamente inferiore al resto del mondo. Ma avevano anche uno stile di vita primitivo molto diverso dagli altri.

    Quelle quattro società primitive differivano da quelle moderne per ben altro che la dieta. I nativi americani yanomamo del Brasile, ad esempio, vivono ancora in modo tradizionale, di caccia e raccolta, proprio come secoli fa. Praticano l’endocannibalismo (si nutrono delle ceneri dei propri cari) perché pensano che questa pratica li mantenga in vita. Non consumano cibi trasformati (non ne hanno). Non usano pesticidi o conservanti. Non conoscono la medicina moderna. Non si può paragonare uno yanomamo con un cittadino di New York. Isolare un singolo aspetto dell’alimentazione (il sodio) e sostenere che sia l’unico responsabile dell’ipertensione è semplicemente assurdo. Sarebbe anche come dire che indossare un perizoma e nutrirsi delle ceneri dei propri parenti defunti abbassi la pressione sanguigna.

    Eliminando i dati relativi a quelle quattro popolazioni primitive e analizzando le restanti 48 occidentalizzate, i risultati erano l’opposto di quelli iniziali: la pressione sanguigna diminuiva all’aumentare dell’apporto di sale. Di conseguenza, per ridurre la pressione sanguigna, non bisogna ridurre il sale, ma aumentarlo!

    E quello studio non fu il solo a confermare questi incredibili risultati. Anche un’altra ricerca giunse a risultati simili (Alderman et al, 1998).

    Nel 2003, i Centri per il controllo delle malattie degli USA, iniziarono ad allarmarsi e chiesero all’Istituto di Medicina (IOM) di riconsiderare le prove disponibili, concentrandosi sulla mortalità e sulle patologie cardiovascolari anziché sul dato della pressione sanguigna (MacGuire, 2013). In altre parole, l’IOM si assunse il compito di scoprire se limitare il consumo di sale contribuisse a ridurre gli attacchi cardiaci e la mortalità, un effetto molto più importante del semplice miglioramento temporaneo dei valori pressori. Dopo un’approfondita ricerca della letteratura medica, lo IOM trasse  la conclusione che ‘’i dati attuali non supportano un effetto positivo o negativo della limitazione dell’apporto di sodio a meno di 2300 mg di al giorno in termini di rischio cardiovascolare o di mortalità nella popolazione generale (Meneely, 1976). Detto in parole povere, assumere meno sale non diminuisce il rischio di infarto o di morte. Tuttavia, per chi è affetto da insufficienza cardiaca, ‘’la commissione è giunta alla conclusione che ci sono prove sufficienti per ipotizzare un effetto negativo di un apporto ridotto di sodio’’. Ossia esattamente l’opposto di quello che dicono sempre i medici. Incredibile.

    Il sale è essenziale per mantenere una pressione e un volume sanguigno tali da garantire l’irrorazione dei tessuti con sangue ossigenato e sostanze nutritive. Il sangue di norma contiene circa 140 mmol/L di sodio e 100 mmol/L di cloruro. La concentrazione di potassio nel sangue è solo 4 mmol/L, mentre quella del calcio è 2,2 mmol/L. perciò, la quantità di sodio nel sangue è 50 volte superiore a quella del calcio. Non c’è da stupirsi che abbiamo così tanto bisogno di sale. Il motivo per cui conteniamo tanto sale nel corpo, pare sia dovuto alla nostra storia evolutiva. Secondo alcuni, la nostra specie si sarebbe evoluta a partire da organismi unicellulari che vivevano (Meneely, 1976) nei mari primordiali della Terra, motivo per cui era indispensabile conservare una certa quantità di sale di provenienza marina.

    Ma cosa succede se consumiamo poco sale? Se consumiamo meno di mezzo cucchiaino di sale al giorno, si può ridurre il volume del sangue del 10-15% (Meneely, 1976). Ciò può determinare un calo della pressione quando si assume la posizione eretta, e vertigini. Inoltre, un ridotto apporto di sale aumenta la disfunzione erettile, i disturbi del sonno e la spossatezza (Meneely, 1976).

    Durante l’esercizio fisico, l’individuo medio espelle con il sudore più di 2/3 di cucchiaino di sale all’ora (Sharp, 2006), ossia la quantità che l’AHA raccomanda di assumere durante l’intera giornata! Se l’organismo ha delle scorte limitate di sale, in poco tempo si potrebbe incappare in basso volume ematico e disidratazione. In realtà si attribuiscono al sale molti dei disturbi legati allo zucchero come ipertensione, patologie renali croniche e malattie cardiovascolari (DiNicolantonio, 2014).

    Già nel 1973, un editoriale sul prestigioso New England Journal of medicine espresse il timore che in presenza di un ridotto apporto di sale, il tono simpatico degli ormoni aldosterone e angiotensina II andassero incontro a un aumento. È noto che tassi elevati di questi ormoni giocano un ruolo nell’insorgenza di malattie cardiovascolari, motivo per cui li si blocca grazie a farmaci salvavita, come lo spironolattone, gli ACE-inibitori ed i betabloccanti.

    Di conseguenza, adottare comportamenti che rischiano di aumentarne i livelli, come ridurre l’apporto di sale, è potenzialmente pericoloso, se non letale.

    Questo incremento del rischio venne confermato anche da uno studio del 2011 (Stolarz-Skrzypek et al., 2011). I pazienti che assumevano la quantità minore di sale avevano un tasso di morte cardiovascolare tre volte superiore rispetto a chi ne assumeva la quantità maggiore. Inoltre, gli scienziati hanno sistematicamente riscontrato che un basso apporto di sale peggiora l’insulino-resistenza (Feldman et al, 1999) e alza i tassi di insulina a digiuno (Patel et al.,2015), un fattore che potenzialmente potrebbe favorire l’aumento del tessuto adiposo, essendo l’insulina un ormone che ne stimola l’accumulo. Di conseguenza, ridurre l’apporto di sale, potrebbe aumentare il rischio di diabete e obesità.

    Oltre ad aumentare gli ormoni che contribuiscono all’irrigidimento delle arterie, (Graudal et al, 1998), una dieta iposodica induce proprio quelle malattie che in teoria dovrebbe aiutare a prevenire: ipertensione, patologie renali, insufficienza cardiaca e malattie cardiovascolari. Incredibile, vero? Questi risultati spiegano perché paesi come Giappone, Corea del Sud e Francia, hanno livelli di mortalità per coronaropatia fra i più bassi al mondo e sono fra i più longevi in assoluto (DiNicolantonio, 2017).

    Gli studiosi dello studio PURE (Prospective Urban Rural Epidemiology) hanno tenuto sotto osservazione più di 100.000 persone in 17 paesi, e i dati dimostrano in modo definitivo che il minor rischio di morte per eventi cardiovascolari si associa a un apporto tra i 3000 e i 6000 mg di sodio al giorno (O’Donnell et al, 2014). Un consumo tra i 2645 e 4945 mg di sodio al giorno si associa al rischio di morte ed eventi cardiovascolari minore in assoluto (Graudal et al, 2014).

    Una revisione sistematica del 2016 giunse alla conclusione che le diete a basso tenore di sale non riducono la pressione sanguigna nei pazienti non ipertesi (Kelly et al, 2016)

    Messaggio: il sale non è un nemico da combattere.

    QUALE SALE

    Quale sale consumare? Non certo quello raffinato, il comune cloruro di sodio. Migliore è sicuramente quello marino integrale, naturalmente ricco di tanti minerali. O se preferisci qualsiasi altro sale colorato!

    Ovviamente non sto dicendo che puoi mangiare chili di sale, ma spero avrai capito che è stato demonizzato e reso un nemico immaginario, quando il problema risiede altrove!

    NON SOLO SODIO: IL MAGNESIO

    Il magnesio è necessario per il corretto funzionamento di circa 600 enzimi (de Baaij, 2015), fra cui l’importante Na+/K+ ATP asi) e per la sintesi del DNA, RNA e delle proteine (DiNicolantonio et al, 2018). L’eliminazione del magnesio dall’organismo è regolata principalmente dai reni. La dose giornaliera raccomandata è 420 mg per gli uomini e 320 mg per le donne. Bisogna però ricordare che l’eccesso di metalli pesanti, l’uso di fertilizzanti e pesticidi e l’erosione del suolo hanno drasticamente ridotto la quantità di magnesio presente nel cibo (Guoa et al., 2017).

    Inoltre, i carboidrati raffinati non ne contengono quasi, perché il magnesio viene eliminato durante i processi di lavorazione degli alimenti (Temple et al. 1983). La carenza subclinica di questo minerale coinvolge fino al 30% della popolazione americana. Esistono più di 60 fattori che possono indurre una carenza di magnesio (DiNicolantonio, 2018). Alcuni dei più comuni sono il consumo di alcool e zucchero, l’uso di antiacidi, l’assunzione di diuretici e di integratori di calcio, alcune patologie gastrointestinali come celiachia, morbo di Crohn e colite ulcerosa, un eccesso o carenza di vitamina D e un deficit di sodio.

    Il deficit di magnesio è molto difficile da diagnosticare in quanto i sintomi sono aspecifici e i livelli ematici possono risultare nella norma anche in presenza di una generale carenza. I sintomi meno gravi includono: ansia, crampi muscolari, contrazioni muscolari involontarie, fotosensibilità, acufene, tremori. Fra i sintomi più gravi ricordiamo: aritmie, calcificazioni

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