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Nel silenzio della notte
Nel silenzio della notte
Nel silenzio della notte
E-book351 pagine4 ore

Nel silenzio della notte

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Info su questo ebook

Chicago, all’agente speciale Annie Marino è affidato il caso di una giovane donna morta all’interno del bagagliaio di un’auto. La vittima ha un tatuaggio con l’impronta della zampa di un orso, lo stesso trovato sui corpi di molte ragazze russe morte di recente. Il mistero di quel simbolo si infittisce sempre più quando una ragazza, anche lei col medesimo tatuaggio, riesce a scappare dai sui rapitori e a incontrare Annie. Le rivela dettagli importanti prima di suicidarsi non riuscendo a superare il trauma subito. Grazie a queste scoperte l’indagine entra nel vivo, portando l’agente speciale a stretto contatto con l’ambiente degli strip club di Chicago e delle persone che li popolano. Lì si immergerà in un terribile mondo di perdizione, dietro cui si cela un traffico di esseri umani e una pericolosa rete di criminali russi. Chi è il grande burattinaio che tira i fili? Quali segreti custodisce l’impronta dell’orso?
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2019
ISBN9788863938975
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    Anteprima del libro

    Nel silenzio della notte - Raymond Benson

    1

    Inizio maggio

    «Quindi vuoi andare in America?»

    L’uomo aveva una bella voce. Piena e profonda, con un timbro piacevole. Le sembrava una versione più gentile di suo padre.

    «Sì» rispose lei.

    D’altronde, era quello che aveva sempre sognato. Finalmente era arrivata l’occasione.

    «È una decisione importante, dovresti valutarla con attenzione. Ti cambierà la vita.»

    «Lo so.»

    «Yana, come fai di cognome?»

    «Kravec.»

    «Ah, giusto, Borya me l’aveva detto. Scusami.»

    Era vestito in modo elegante. Un completo. Avrà avuto quarant’anni o forse cinquanta… Le ricordava vagamente l’attore americano George Clooney. Era facile parlarci.

    «Borya ha detto che potevi darmi un lavoro.»

    L’uomo annuì. Si chiamava Nikolai, e a Yana piaceva.

    «Esatto. A una ragazza come te, sì, lo posso trovare un lavoro in America. Con la bellezza ne fai di strada, da quelle parti. Te la caverai, fidati di me.»

    Erano seduti sul retro del nightclub, vicino all’entrata secondaria dei dipendenti. Yana aveva solo qualche minuto prima di dover tornare a ballare.

    «Che devo fare?»

    «Ci serve una tua foto, così possiamo farti preparare il passaporto e il visto. Tutto legale.»

    «Quanto ci vorrà?»

    Lui scrollò le spalle. «Una settimana. Massimo due.»

    Yana non era una stupida. Sapeva che i soldi non crescevano sugli alberi. Sarà pure stata originaria di un paesino, ma era abbastanza sicura di saper distinguere i truffatori dagli imprenditori onesti. Era un bell’affare, quello. Poteva fidarsi? Faceva bene a fidarsi? Da come si vestiva, l’uomo lasciava intendere che aveva un sacco di soldi. Yana aveva incontrato molti tizi della Bratva – membri della criminalità organizzata russa –, anche loro indossavano vestiti di marca e puzzavano di ricchezza. Nikolai, però, aveva un’aria più sobria. Era diverso dai delinquenti che a volte venivano al nightclub.

    «Parlami ancora del lavoro. Per chi lavorerò?»

    «All’inizio farai la cameriera o la domestica nel New Jersey, forse a New York. Tutte cominciano da lì. Ma poi sarai libera di fare quello che vuoi. Alcune ragazze si spostano a ovest, a Chicago o a Los Angeles. Se sposi un ricco americano, be’, sarai sistemata a vita.»

    «Vorrei fare la modella.»

    «Avresti tutte le carte in regola, Yana. Lo dico con rispetto. Sei una bellissima ragazza. I nostri soci in America sapranno come farti notare dalla gente di quell’industria. Non saresti la prima.»

    Yana sapeva di piacere agli uomini. Vent’anni, alta, snella, mora e molto carina. Durante la pubertà, aveva imparato a usare l’aspetto per raggiungere i propri scopi. Purtroppo, nel paesino di Chudovo la vita non offriva molte opportunità, se si esclude quella di sposare qualche bracciante rozzo e ignorante e lavorare in una fattoria per il resto dei propri giorni. La scelta di scapoli a Chudovo era raccapricciante. Yana non avrebbe mai potuto accantonare i suoi sogni per uno di quei tipi. Si era fatta coraggio e se n’era andata di casa, trasferendosi nella grande città di San Pietroburgo. Aveva rimediato una stanza in una pensione sulla sponda meridionale del fiume Neva, da cui ammirava la maestosa cupola della Cattedrale di Sant’Isacco. La città più occidentalizzata della Russia era un coacervo di cultura, arte, moda e divertimento, una metropoli che da secoli agognava di essere parte dell’Occidente.

    A spingerla ad andarsene era stato il litigio coi genitori. Non capivano che quel paesino di campagna era un vicolo cieco per le sue ambizioni. La madre si era arrabbiata quando Yana aveva annunciato la propria partenza. Il padre non aveva detto nulla: era ubriaco. Yana non si era neanche presa il disturbo di farsi sentire appena arrivata a San Pietroburgo. Che cuocessero nel proprio brodo. Il padre con la vodka giornaliera, la madre con le critiche continue. Solo perché Yana era la prima di quattro figli, non doveva mica fare il genitore surrogato. Avrebbero sentito la sua mancanza? No. Secondo lei ai genitori sarebbe mancato soltanto l’essere serviti e riveriti.

    Li avrebbe sorpresi ricevere una lettera dall’America?

    Nikolai Babikov aprì una cartelletta con delle brochure illustrate e ne estrasse una rivista femminile americana. La aprì a una pagina con un angolo piegato e le mostrò le foto di una modella stupenda in una pubblicità.

    «Lei è Tania. Viene da Kiev. Vado in Ucraina e aiuto ragazze anche lì. Tania l’hanno presa alla Ford Model Agency. L’ho aiutata ad attraversare l’Atlantico neanche quattordici mesi fa. Te l’ho detto, ho organizzato i trasferimenti negli Stati Uniti di tante ragazze. Non sei l’unica che vuole lasciare la Russia. Non ti biasimo. Per i giovani qui non ci sono prospettive.»

    Yana aveva incontrato Borya poco dopo essere arrivata a San Pietroburgo. Era un uomo bello, aitante, e faceva il buttafuori allo Spy Bar, un fumoso nightclub alla moda sulla Prospettiva Nevskij, appena a ovest del fiume Moyka. Essendo sul corso principale della città, non lontano dalla zona della Dumskaya Ulitsa, dove vivevano gli studenti, attirava una folla di giovani a cui piaceva ballare. Le ragazze in bikini assunte dal nightclub, volteggiando sui tavoli in stile film di spionaggio anni Sessanta, servivano da incentivo per i clienti. Go-go girls. Il design dello Spy Bar era piuttosto retrò, in pendant con il tema del locale. Ma la cosa più importante era che gli alcolici costavano poco.

    Si era accaparrata un posto da go-go girl in pochi minuti. Era stata tentata di chiamare i genitori per sbatterglielo in faccia. Lavorava nella via più cosmopolita di tutta San Pietroburgo, dove c’erano più negozi di lusso americani che in qualsiasi altra strada in Russia. Purtroppo, però, c’erano anche tantissimi senzatetto.

    A dirla tutta la pagavano poco, ma le entrate erano costanti e poteva tenersi le mance. Non era poi così male. Dopo un mese di lavoro, tuttavia, aveva accennato a Borya che avrebbe desiderato andarsene in America. Lui le aveva parlato del suo amico Nikolai, di come aiutava la gente a emigrare negli Stati Uniti senza spendere troppo. Borya le aveva riferito che si trattava di un tipo a posto, che riusciva sempre in quello che faceva, così Yana gli aveva chiesto di organizzare un incontro.

    Quello che stavano facendo ora.

    «Quando vuoi farmi la foto?»

    «Perché non ora?» Prese il cellulare dalla tasca interna della giacca. «Alzati, mettiti davanti al muro.»

    «C’è abbastanza luce?»

    «Sì.»

    Le fece diversi scatti.

    «Quando hai i turni?»

    «Ogni sera tranne la domenica.»

    «Tornerò quando avrò i tuoi documenti pronti. Puoi partire su due piedi? Non è come prenotare un volo di linea. L’intervallo di tempo è limitato. Il Porto Grande è trafficato. È il porto più trafficato del Paese. Devi essere al posto giusto al momento giusto. Dovrai mettere da parte un mucchio di soldi. Se provassi a lasciare il Paese normalmente incapperesti in tutta una serie di problemi. Così invece avrai un visto di lavoro. Si chiama H-2B. Puoi cercarlo su Internet.»

    La pausa era finita. Yana si alzò e tese la mano. «Va bene. Ci sto.»

    Nikolai gliela strinse. «Mi farò sentire io. Ricorda…»

    Si portò un dito alle labbra.

    «… non parlarne con nessuno. Potremmo finire nei guai.»

    «D’accordo.»

    L’uomo annuì, sorrise e fece un mezzo inchino. Poi disse «dasvidania» e se ne andò.

    Yana, lo stomaco in subbuglio per un improvviso nervosismo, rientrò nel locale, salì sul tavolo e iniziò a ballare sulle note di Twist and Shout dei Beatles.

    La vita di Yana Kravec stava per cambiare. Sarebbe andato tutto per il verso giusto in America.

    2

    Fine maggio

    E ciao ciao al fine settimana libero, pensò Annie quando alle sei squillò il telefono. Era il venerdì che precedeva l’ultimo lunedì del mese, il Memorial Day. Si era appena alzata dalla scrivania disordinata nella sede dell’Fbi di Chicago, pronta a spegnere il computer, chiuderla lì e godersi i tre giorni del ponte senza casi a cui lavorare. Una specie di vacanza.

    Il display indicava che a chiamare era l’agente speciale supervisore.

    «Ehi, John» rispose lei.

    «Parlo con l’agente speciale Annie Marino?»

    Sorrise. «No, se n’è già andata. Non ci sarà per tutto il ponte. Sarà del tutto irraggiungibile. Spegnerà il cellulare e non lo riaccenderà fino a martedì mattina. Ma se vuole lasciarle un messaggio, glielo farò recapitare.»

    Il supervisore John Gladden ribatté: «Se n’è andata? Ma sono appena le sei! Gli agenti speciali lavorano almeno fino alle dieci il venerdì prima di un ponte di tre giorni. Vorrà dire che dovrò degradarla. Si assicuri che non vada più a lezione di tip tap. Magari la metta a riordinare scartoffie per una settimana».

    «Ah! Non faccio altro da due giorni. E mi licenzio piuttosto che lasciare le lezioni di tip tap. Che c’è, John?»

    «Niente di che, almeno credo. Devi metterti in contatto con Bill Daniel, il capo della polizia di Lakeway, Michigan.»

    «Michigan?»

    «Già, la contea di Newaygo. Lo so che è fuori dalla nostra giurisdizione, ma potrebbero avere qualcosa che ti interessa.»

    «Ovvero?»

    «Un cadavere. Donna bianca, ancora non identificata, appena vent’anni. Non sono sicuro dei dettagli, ma il comandante ci ha avvertiti quando è giunto alla conclusione che probabilmente è una vittima della tratta.»

    «Non dovrebbe pensarci Detroit?»

    «Infatti. Harris Caruthers, agente speciale dell’unità CV-2 di Detroit, sta seguendo il caso.» Crimini violenti 2 era la stessa unità di Annie. La sua squadra, Diritti civili, era una branca della CV-2. «A quanto pare la vittima ha uno dei tuoi tatuaggi.»

    Questo catturò la sua attenzione. «Gli artigli d’orso?»

    «Già. Sul collo, sotto l’orecchio destro. Come le altre volte.»

    «Ah, mi chiedevo proprio quando li avremmo visti di nuovo. Che devo fare?»

    «Chiama Caruthers.» Il supervisore le diede il numero dell’agente. «Verifica se c’è un legame con gli altri casi che segui.»

    «D’accordo. Grazie.»

    «Non penso sia così urgente da rovinarti la vacanza.»

    «Questo è tutto da vedere. Lo chiamerò. Buon fine settimana, a te perlomeno.»

    «Grazie, altrettanto.» Riattaccò.

    Annie fissò il numero scribacchiato sul taccuino. Era meglio chiamarlo adesso o poteva aspettare fino a martedì mattina?

    La vittima ha uno dei tuoi tatuaggi.

    No. Non poteva aspettare. Compose il numero.

    «Agente Caruthers.»

    «Salve, sono l’agente speciale Annie Marino dalla sede di Chicago. Sono nella squadra Diritti civili. Mi pare di capire che ha tra le mani un caso di tratta di esseri umani lì nel Michigan?»

    «Sì, grazie per la chiamata. Conosco Rick Perrin, è nella sua squadra, vero?»

    «No, Rick è nella CV-1, ma ci conosciamo.» Crimini violenti 1 era l’unità più grande dell’Fbi. Si occupavano di omicidi seriali, stupri, furti, rapimenti e altra roba forte. La CV-2 collaborava spesso con la CV-1, ma anche con le tre succursali nei sobborghi a nord, sud e ovest di Chicago.

    «Ne parlavo con Rick poco fa e mi ha suggerito di contattarla. Io e lui abbiamo lavorato insieme a molti casi sul confine tra i due stati.»

    «Come posso aiutarla?»

    «Sono alla stazione di polizia di Lakeway, Michigan. Rick mi ha detto del suo caso… Ho visto nel database che ha richiesto di contattarla se avessimo trovato qualcuno col tatuaggio degli artigli d’orso.»

    «Esatto. Ha qualcosa per me?» 

    «Il capo della polizia ha chiamato l’Fbi per chiedere aiuto con quello che sembra un rapimento e un omicidio, ed è toccato a me. Una donna bianca, che pare sia stata rapita e trattenuta contro la sua volontà, è rimasta uccisa durante un incidente d’auto. Può darsi, però, che fosse già morta prima dell’incidente perché era nel bagagliaio.»

    «Cristo, e quando è successo?»

    «Due giorni fa. Il corpo è ancora in obitorio. Non è stata identificata. Avrà avuto all’incirca diciannove, vent’anni.»

    «Chi era il conducente?»

    «Un tale di nome Vladimir Markov, residente a Chicago, morto anche lui nell’incidente.»

    «Com’è successo?»

    «Era notte fonda e diluviava. Markov guidava una Chrysler Sebring del 2010 sulla statale 82, non molto lontano da Lakeway, ma fuori dalla zona urbana. Doveva essere un caso della contea, ma è capitato alla polizia di Lakeway. La macchina pare fosse diretta a Chicago, ma non ne conosciamo la provenienza. Il furgoncino di un panificio si è fiondato dritto verso di loro, e Markov ha sbandato sulla strada bagnata. Il furgoncino si è schiantato contro la berlina. La colpa, però, era di Markov: guidava sulla linea che divide le corsie. Aveva un alto tasso alcolemico. L’autista del furgone sta bene.»

    «Quindi il fatto che la donna fosse nel bagagliaio…»

    «… ha portato il comandante a pensare che fosse stata rapita. Per me è una vittima della tratta. La polizia di Chicago ha controllato l’indirizzo di Markov. Ci vive la sua ex, che però sostiene di non vederlo da due anni. Ne ho parlato al telefono con Rick, e mi ha detto di parlarne con lei, dato che è la sua squadra. In ogni caso ha il tatuaggio sul collo, come l’ha descritto lei.»

    Annie guardò l’ora e disse: «Vorrei vedere il corpo. Ha detto che è nell’obitorio di Lakeway?».

    «In realtà l’obitorio si trova in un’altra città, ma è vicino. Pensavo di tornare a Detroit domenica. Può salire domani? Ci vogliono tre ore e mezza da Chicago. Lo so che è il ponte del Memorial Day.»

    Come sospettava. Era nella natura della sua professione andare oltre i normali turni lavorativi: dal lunedì al venerdì, dalle nove alle cinque. A volte faceva orari impossibili. Per fortuna le infinite scartoffie in ufficio si bilanciavano con il lavoro sul campo, che era interessantissimo ed era diventato per lei una questione personale. Trattandosi del tatuaggio, rinunciava senza rimorsi ai tre giorni di vacanza.

    «D’accordo» rispose. «Salgo domattina. Penso di poter arrivare per le undici. Le va bene?»

    «Certo. Ci vediamo alla stazione di polizia. Ho la sua mail; le mando i dettagli e il file del caso, così può darci un’occhiata stasera.»

    «Grazie.» Si scambiarono i numeri di cellulare e sul computer le arrivò una notifica. Una mail da harris.caruthers, con oggetto Artigli d’orso. «Mi è appena arrivato il messaggio. Okay, a domani. Grazie per la chiamata.»

    «Si figuri. Buona serata.»

    Annie si sedette alla scrivania. Aprì gli allegati e trovò i soliti verbali lacunosi sulle scene del crimine redatti dal capo della polizia locale e da un capitano, corredati da alcune fotografie e dai risultati delle autopsie.

    No, non avrebbe lasciato l’ufficio subito, anche se la giornata nel cubicolo era già stata lunga. L’aveva trascorsa leggendo i verbali degli analisti, vedendo i file dei nuovi casi e sistemando le scartoffie burocratiche. Aveva un sacco di arretrati ed era contenta che le fossero capitati ben due giorni di relativa tranquillità lì al decimo piano. Non capitava spesso. Di solito era sempre in giro per Chicago e dintorni, interrogando vittime e sospetti, o trattando con le organizzazioni no profit.

    Quel tatuaggio era diventato quasi un’ossessione per Annie. Dopo aver studiato i due precedenti casi di tratta/omicidio – uno a Minneapolis e uno a Chicago –, si era convinta che tra Stati Uniti e Russia si fosse sviluppata un’ampia rete criminale dedita alla tratta delle bianche. Nei due casi precedenti, e forse anche nel nuovo, le donne erano state vittime della tratta prima di essere uccise. Entrambe avevano sul collo, dietro l’orecchio destro, il tatuaggio della zampa d’orso con gli artigli allungati.

    Il caso di Minneapolis risaliva al 2009, l’anno in cui Annie aveva cominciato a interessarsi all’Fbi come possibilità di carriera. Aveva ventiquattro anni, si era appena laureata alla magistrale in psicologia forense e aveva fatto domanda senza pensarci troppo. Non si aspettava di essere presa, e invece, da lì in poi, si ritrovò coinvolta in un turbine di attività: cinque mesi di addestramento in autunno a Quantico, e poi il trasferimento dalla sua città, Chicago, a New York per lavorare come analista dell’intelligence a Manhattan. Nel 2014 le avevano concesso di tornare a Chicago, dove era stata promossa ad agente speciale.

    Uno dei suoi primi compiti, quell’anno, una volta entrata nell’unità Diritti civili, era stato investigare su un altro caso di tratta, sempre un omicidio, nei sobborghi a ovest. Nel corso dell’indagine, Annie aveva notato molte somiglianze con l’omicidio del 2009. Oltre a condividere lo stesso tatuaggio, entrambe le vittime erano immigrate illegali russe di appena vent’anni. Il corpo della donna del 2009 era stato rinvenuto in una camera d’albergo a Minneapolis, mentre il cadavere del 2014 in un cassonetto in una zona a sud di Chicago. Nessuno dei due casi venne mai risolto, ma il secondo era stato un crimine così efferato che, da quel momento in poi, Annie aveva tenuto d’occhio qualsiasi informazione sulle ragazze tatuate.

    I verbali sulla scena dell’incidente nel Michigan evidenziavano quanto scoperto dal comandante Bill Daniel e dal capitano Mike Baines partendo dagli indizi a loro disposizione. Lo scontro era proprio come l’aveva descritto Caruthers. La donna era stata rinchiusa nel bagagliaio della Sebring. Dall’autopsia si deduceva che prima di morire era stata immobilizzata, picchiata e stuprata. Senza dubbio, il conducente, che era ubriaco, la stava trasportando da una scena del crimine all’altra. I documenti d’immatricolazione dell’auto erano contraffatti. Era registrata sotto un nome diverso da quello del conducente che, a detta dell’agente Caruthers, non esisteva.

    Annie mise i file su una pendrive e spense il computer. Avrebbe studiato il resto del materiale a casa mangiando gli avanzi del cinese che aveva ordinato la sera prima e bevendo un bicchiere di vino rosso. Il piano iniziale di fermarsi un’ora e mezza alla scuola di danza per esercitarsi con gli ultimi passi di tip tap era andato a farsi friggere. Proprio una bella idea prendere lezioni di danza nel tempo libero!

    Salì sull’auto civetta dell’Fbi, una Ford Fusion blu del 2008, e lasciò il parcheggio della sede di Chicago sulla Roosevelt per dirigersi a nord sulla Damen. Di venerdì, nel tardo pomeriggio, imboccare la superstrada sarebbe stata una follia, perciò Annie scelse il tragitto alternativo che usava per andare a casa durante le ore di punta. Tagliava diagonalmente a nord-est in mezzo alla vicina zona a ovest tra Ogden Street e Larrabee Street. Abbassò il finestrino del lato autista per far cambiare l’aria nella vettura bollente, mentre accendeva l’aria condizionata. A un semaforo si slegò la coda, liberando sulle spalle i lunghi capelli. Notò nello specchietto retrovisore che, dopo una giornata intera passata al computer, i suoi occhi scuri, tipicamente italiani, apparivano iniettati di sangue.

    Uff. Vorrei un bel bicchiere di vino ma, se devo lavorare al caso, quello di cui ho bisogno è un po’ di caffeina.

    Sulla Fullerton girò a est verso Lincoln Park e il parcheggio del suo condominio, i Cakewell Apartments a West Fullerton Parkway. Sebbene nel palazzo vivessero più che altro giovani – be’, in ogni caso con meno di trentun’anni, la sua età –, ad Annie il posto piaceva molto e l’affitto non era altissimo. Era stata la prima scelta sulla lista dell’agente immobiliare quando era tornata a Chicago. Con lo stipendio da agente speciale si poteva appena permettere un appartamento in una zona così alla moda, quindi, perché non cogliere l’occasione? Facendo un lavoro molto pericoloso, aveva ogni diritto di godersi il posto in cui viveva. Andare a fare jogging in mezzo al parco fino alla sponda del lago Michigan era un ottimo passatempo per allentare la tensione. Un ex ballerino di Broadway, Derek McGraith, aveva una scuola di danza a soli due isolati di distanza, dove lei cercava di prendere lezioni di tip tap una volta a settimana. La vita notturna in zona era vivace e c’erano tantissimi ristoranti eccellenti. I mezzi pubblici erano anche facili da raggiungere. Se non voleva usare l’auto civetta o la sua, una Honda Civic del 2011, le linee del treno erano a due passi dalla Clark e dalla Fullerton. Per quasi tutto ciò che le serviva poteva andare a piedi, tranne che per fare la spesa. Per quello doveva prendere la macchina.

    E c’era anche uno Starbucks all’angolo, dall’altro lato della strada rispetto al parcheggio.

    Entrando nel bar, sentì una voce familiare chiamarla da uno dei tavoli. «Oh! Ehi, Annie.»

    Si voltò sorridendo. Era una vista familiare: lui seduto davanti al computer e a una tazza di caffè.

    «Ciao Jason, come va?»

    S’incontravano spesso; lui viveva in un palazzo nelle vicinanze grazie al fondo fiduciario che uno dei nonni gli aveva lasciato. Anche se Jason Ward era uno studente di cinque o sei anni più giovane di lei, da quando si era trasferita nel quartiere avevano stretto amicizia. Intravedendosi per strada, e specialmente da Starbucks, scambiavano spesso quattro chiacchiere. Jason era il tipo di ragazzo che trasudava intelligenza e sensibilità, il contrario degli aspiranti machi italiani in cui Annie si era imbattuta per gran parte della sua adolescenza. Voleva fare lo scrittore e aveva già finito un romanzo, che ancora non era riuscito a piazzare.

    «Benone» disse Jason. «E tu? Hai passato una lunga giornata a combattere i cattivoni?»

    Lei rise. «Lunga giornata, quello sì. Combattere i cattivoni, invece, oggi no. Solo scartoffie.» Ordinò da bere (un mezzo decaffeinato, non voleva passare mica tutta la notte in bianco) e si mise al suo tavolo a sorseggiare la bevanda fumante.

    «Be’, messa così non sembra divertente» disse lui. «Anche se le scartoffie probabilmente sono l’unica cosa di cui mi potrei occupare io all’Fbi. Pronta per il ponte?»

    «Scherzi? Domani devo lavorare… Poi si vedrà.»

    «Ah, peccato.»

    «È da un po’ che non ci si becca. Ti sei laureato?»

    «Sì. Magistrale umanistica. Chissà quante porte mi si apriranno con una laurea del tutto inutile.» Fece un cenno al computer con la testa. «E un libro da scrivere.»

    «È una bella notizia, Jason. Congratulazioni. Non sarà inutile.»

    Lui roteò gli occhi. «Grazie. Speriamo sia così.»

    «Che piani hai per il ponte?»

    «I genitori di Nat hanno organizzato per noi un’enorme festa di laurea domani a Highland Park. Lei ha finito la magistrale in psicologia.»

    «Davvero? Anch’io sono laureata in psicologia, ho la triennale. E quindi vi sposate questo autunno?»

    «Sì. A ottobre.»

    «Allora congratulazioni a entrambi. La conoscerò mai la tua fidanzata?» Annie si chiedeva com’era Nat. Jason, con i suoi capelli scuri, gli occhi azzurri, il fisico snello e quel sorriso dolce, era un bel ragazzo. Ed era anche sveglio.

    «Ancora non l’hai conosciuta? Mi spiace. Viene da me spesso, pensavo che ormai vi foste già incontrate.»

    «Be’, è pur vero che vivo in un’altra palazzina e a conti fatti non sono mai a casa. Senti un po’, non la puoi mica sposare se non hai la mia approvazione, eh.»

    Jason disse: «Wow, che ansia. Combinerò un incontro, dai».

    «Ottimo. Okay, ora devo scappare. Buona serata.»

    «Ci vediamo, Annie.»

    Camminò mezzo isolato fino al condominio, prese la posta dalla cassetta nell’ingresso e salì con l’ascensore al terzo piano. Aprendo la porta e accendendo le luci del suo appartamentino, Annie sorrise tra sé e sé. Sapeva di piacergli. Avevano sempre flirtato un po’, anche se li separavano cinque o sei anni di età. La cosa la lusingava, in un certo senso.

    «Lascialo perdere, Annie» si disse ad alta voce. «È già impegnato ed è troppo giovane per te.» Chiuse la porta a chiave, il segnale con cui Aloisio lasciava il suo trono sul letto nell’altra stanza per venirle incontro miagolando. «Ma ciao, e anche tu sei troppo giovane per me. Quanto anni hai ora? Quattordici?»

    Il gatto miagolò ancora.

    «Okay, un attimo e ti servo la cena.»

    Prima di togliersi i tacchi a zeppa, Annie eseguì una rapida serie di passi di tip tap, tenendo il tempo a mente:

    Destra taratà, sinistra taratà 

    Destra tarattatà, destra taratà

    Sinistra taratà, destra taratà 

    Sinistra tarattatà, sinistra taratà

    Poi posò il caffè, la borsa e le chiavi, e cominciò a darsi da fare con i compiti della serata. Primo, dare da mangiare al gatto. Secondo, prendere gli avanzi dal frigo e riscaldarli nel microonde. Terzo, mettere da parte la Glock 27 e togliersi la fondina dalla caviglia. Quarto, accendere l’iPad per trasmettere la musica alle due casse che aveva dai tempi del college. Cosa ascoltare? Bonnie Raitt. Nick of Time. Sua madre era stata una grande fan delle cantautrici degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, e questa passione era entrata nel sangue di Annie per osmosi. Quinto, togliersi i vestiti da lavoro e mettersi in vestaglia. Poteva studiare i file del caso mentre cenava e poi a letto. Avrebbe dovuto svegliarsi presto l’indomani.

    Mentre metteva i croccantini nella ciotola di Aloisio e la poggiava

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