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Agli ordini di sua maestà: Harmony Destiny
Agli ordini di sua maestà: Harmony Destiny
Agli ordini di sua maestà: Harmony Destiny
E-book163 pagine2 ore

Agli ordini di sua maestà: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Quando il suo capo, il milionario Jake Mondragon, accetta di tornare nel regno di Ruthenia per indossare la corona, Andi Blake lo segue senza esitare. Lei vuole solo aiutarlo ad affrontare il nuovo compito che lo aspetta, e l'ardore che prova nei suoi confronti non ha nulla a che vedere con la decisione. Jake in lei vede solo un'efficiente segretaria, fino a che uno scherzo del destino non la fa cadere tra le sue braccia. Quel corpo di solito fasciato da abiti formali si rivela così caldo e morbido che Jake non vede l'ora di toccarlo di nuovo. In fondo, diventare re avrà pure i suoi vantaggi, tra cui pretendere che ogni richiesta venga soddisfatta.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2018
ISBN9788858979815
Agli ordini di sua maestà: Harmony Destiny
Autore

Jennifer Lewis

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Agli ordini di sua maestà - Jennifer Lewis

    1

    Non ti perdonerà mai.

    Andi Blake osservò il proprio capo mentre analizzava la disposizione degli invitati che lei gli aveva sottoposto. In abito nero, coi capelli corvini pettinati all'indietro, appariva calmo, composto e incredibilmente bello, come sempre.

    Si domandò se quello che aveva da dirgli avrebbe causato in lui una qualche reazione. Più probabilmente, non gliene sarebbe importato nulla. Niente riusciva a scuotere Jake Mondragon: per questo non aveva avuto problemi a passare dalla carriera di investitore di successo a Manhattan al ruolo di sovrano del regno montagnoso di Ruthenia.

    La sua partenza gli avrebbe provocato una qualche ruga sulla fronte maestosa? Andi sentì il cuore contrarsi. Sicuramente no.

    Serrò il palmo sudato sulla busta sempre più stropicciata che conteneva le dimissioni; la lettera scritta le rendeva ufficiali, non solo una vacua minaccia e neppure uno scherzo.

    Fallo subito, prima di perdere il coraggio.

    Il fiato le si bloccò in gola. Sembrava impossibile avvicinarlo e dirgli Jake, me ne vado. Se non l'avesse fatto, però, presto si sarebbe ritrovata a organizzare il suo matrimonio.

    Da tre anni si erano trasferiti dall'ufficio di Manhattan allo sfarzoso palazzo della Ruthenia, e in quel periodo Andi aveva sopportato tanto, ma non sarebbe rimasta a guardarlo sposare un'altra donna.

    Ti meriti di avere una vita. Reclamala.

    Raddrizzò le spalle e attraversò il grande salone, oltrepassando il tavolo elegantemente apparecchiato per una cinquantina dei suoi amici più intimi.

    Jake alzò lo sguardo. Le si riscaldò il sangue, come sempre, quando i suoi occhi scuri si fissarono su di lei. «Andi, potresti mettermi accanto a Maxi Rivenshnell invece che ad Alia Kronstadt? Ero seduto vicino ad Alia ieri sera, dagli Hollernstern, e non voglio che Maxi si senta trascurata.»

    Andi rimase di sasso. Possibile che il suo lavoro si fosse ridotto a gestire le relazioni che il suo capo aveva con queste donne? Le famiglie potenti del piccolo stato scalciavano e sgomitavano per vedere una loro figlia incoronata regina, e a nessuno importava che l'insulsa Andi da Pittsburgh rimanesse calpestata nel processo.

    Tanto meno a Jake.

    «Potrei sistemarti in mezzo a loro.» Cercò di mantenere un tono neutrale; in quel momento avrebbe voluto gettargliela in faccia, quella lettera di dimissioni. «Così potresti sviolinare tutte e due contemporaneamente.»

    Jake la squadrò con un sopracciglio inarcato. Non gli si rivolgeva mai a quel modo, non c'era da meravigliarsi che fosse sorpreso.

    Raddrizzando di nuovo le spalle, Andi gli porse la lettera. «Le mie dimissioni. Me ne vado non appena conclusa la festa.»

    Il suo sguardo non vacillò. «È uno scherzo?»

    Andi fece una smorfia: sapeva che non le avrebbe creduto. «Niente affatto. Questa sera farò il mio lavoro; non ti lascerei mai nei guai nel bel mezzo di un evento, ma me ne andrò domani mattina all'alba.» Non le sembrava vero di riuscire a sembrare tanto calma.

    «Ti chiedo scusa per non averti dato il preavviso di due settimane, ma negli ultimi tre anni ho lavorato notte e giorno in un paese straniero senza nemmeno una settimana di ferie, quindi spero vorrai perdonarmi. Le celebrazioni per la Festa dell'Indipendenza sono tutte organizzate, ogni compito è stato delegato. Sono certa che non sentirai la mia mancanza.» Si costrinse a pronunciare quelle ultime parole nonostante fosse ormai a corto d'animo.

    «Non sentire la tua mancanza? La Festa dell'Indipendenza è l'evento più importante nella storia della Ruthenia – be', perlomeno dalla guerra civile del 1502. Non possiamo cavarcela senza di te, nemmeno per un giorno.»

    Andi deglutì. Non gli importava niente di lei, ma solo dell'occasione imminente. E non era sempre stato così? Per Jake esisteva solo il lavoro. Dopo aver lavorato insieme per sei anni non sapeva praticamente niente di lei; il che non era giusto, dato che lei sapeva quasi tutto di lui. Negli ultimi sei anni non aveva fatto altro che mangiare, dormire e respirare Jake Mondragon, e nel mentre si era innamorata di lui.

    Peccato che lui non notasse nemmeno che era una donna.

    La guardò dall'alto in basso, la preoccupazione negli occhi. «Ti ho suggerito di prenderti una vacanza. Non ti avevo detto di tornare a casa per qualche settimana, la scorsa estate?»

    A casa? Quale casa? Quando si erano trasferiti nella Ruthenia aveva rinunciato all'appartamento di Manhattan. I genitori avevano lasciato il quartiere in cui era cresciuta, spostandosi in un'altra periferia, perciò se fosse andata da loro probabilmente avrebbe finito con l'aggirarsi per casa loro, agognando Jake.

    Non era una situazione accettabile. Avrebbe trovato una nuova casa e avrebbe ricominciato. Aveva fissato un colloquio per un impiego promettente come organizzatrice di eventi, la settimana successiva, a New York, ed era la strada migliore per arrivare un giorno a mettersi in proprio.

    «Non voglio restare un'assistente personale per il resto della mia vita; sto per compiere ventisette anni, ritengo sia arrivato il momento di dedicarmi alla mia carriera.»

    «Possiamo cambiare il tuo titolo. Che ne dici di...» Strinse gli occhi, e ad Andi accelerò il battito. «Responsabile esecutivo capo.»

    «Molto divertente. Peccato che continuerei ad avere le stesse mansioni.»

    «Nessun altro le sa svolgere bene quanto te.»

    «Sono sicura che ve la caverete.» Il palazzo aveva uno staff di una trentina di persone, non lo stava piantando in asso. E non voleva essere presente il giorno della Festa dell'Indipendenza, previsto per la settimana successiva: da quando era stato incoronato re, la stampa aveva fatto pressioni perché scegliesse una moglie, poiché ne dipendeva il futuro del regno. Quasi per scherzo, lui si era dato un limite di tre anni, che scadevano proprio in quell'occasione.

    Ora tutti si aspettavano che mantenesse la promessa, e da uomo d'onore qual era, sicuramente l'avrebbe fatto. Andi ne era certa. Maxi, Alia, Carina... aveva solo l'imbarazzo della scelta, e lei non sopportava l'idea di vederlo con nessuna di loro.

    Jake posò la lista degli invitati, ma non fece alcun gesto di accettare le sue dimissioni. «So che hai lavorato sodo. La vita a palazzo è un po' come una grande festa che dura ventiquattr'ore al giorno e sembra non finire mai; tuttavia sei tu a stabilire i tuoi orari, e non ti sei mai fatta remore nel chiedere un adeguato compenso.»

    «Sono molto ben pagata e lo so.» Ne faceva un punto d'orgoglio il chiedere regolarmente l'aumento; sapeva che Jake la rispettava per la sua intraprendenza, e probabilmente era questa la ragione che la spingeva a farlo. Come risultato, aveva messo via una cifra cospicua che sarebbe stata di grande aiuto nell'intraprendere una nuova carriera. «Ma è ora di voltare pagina.»

    Perché era pazzamente innamorata di Jake, poi? Lui non aveva mai mostrato il minimo segno di interesse.

    La sua irritazione si innalzò un altro po' quando Jake diede un'occhiata all'orologio. «Gli ospiti saranno qui a momenti e ho bisogno di fare una telefonata a New York. Ne parleremo più tardi, troveremo una soluzione.» Tese una mano per batterle una pacca sul braccio, come se fosse un vecchio compagno di squadra. «Ti faremo felice.»

    E detto ciò si voltò e se ne andò, lasciandola sola a reggere la lettera di dimissioni tra dita tremanti.

    Quando la porta si fu richiusa, rilasciò un grugnito di frustrazione. Ovvio che pensasse di poter trovare una soluzione – non era per questo che era diventato così importante e rinomato?

    Tanta arroganza avrebbe dovuto essere imperdonabile, se non fosse che la sconfinata fiducia che Jake nutriva nelle proprie capacità di risolvere qualunque situazione era probabilmente una delle caratteristiche che Andi più ammirava in lui.

    L'unico modo che avrebbe avuto per renderla felice, però, sarebbe stato prenderla tra le braccia e dirle che l'amava e che voleva sposarla.

    Ma i sovrani non sposano le segretarie da Pittsburgh, nemmeno i re di strani piccoli regni come Ruthenia.

    «I vol-au-vent sono pronti, il cuoco vuole sapere dove sistemarli.»

    Andi sussultò alla voce dell'assistente alle proprie spalle. «Perché non li fai offrire ai primi ospiti? Insieme agli sformati di cetriolo con ripieno di formaggio.» Si infilò la busta nella cintola dei pantaloni, dietro la schiena.

    Livia annuì senza scomporsi, i riccioli rossi che rimbalzavano sul colletto della camicetta bianca, come le aveva visto fare molte altre volte durante quei tre anni.

    Andi realizzò in quel momento che quella sarebbe stata la sua ultima cena a palazzo.

    «Allora, ti hanno convocata per un colloquio?» le domandò poi la ragazza con un sussurro cospiratorio.

    «Non posso confermare né negare niente.»

    «Come puoi andare a New York se sei imprigionata qui?»

    Lei alzò le spalle: non aveva detto a nessuno che intendeva andarsene, se ne sarebbero accorti a cose fatte.

    Livia si piantò le mani sui fianchi. «Ehi, non puoi prendere e tornartene in America senza di me. Sono io che ti ho detto di quel posto.»

    «Ma non hai detto che lo volevi.»

    «Ho detto che sembrava fantastico.»

    «Allora dovresti mandare il tuo curriculum.» Andi voleva allontanarsi. Quella conversazione non era produttiva e non si fidava di Livia.

    La quale strinse gli occhi. «Magari lo farò.»

    Andi si costrinse a sorridere. «Tienimi da parte un vol-au-vent, okay?»

    L'altra arcuò le sopracciglia, ma poi scomparve dietro la porta.

    Chi si sarebbe occupato della scelta dei menu e di come servire il cibo? La cuoca, probabilmente, anche se dimostrava un certo caratteraccio quando si sentiva sotto pressione. Livia, forse? Non era una campionessa di organizzazione, e più di una volta si era fatta sfuggire la possibilità di avanzare di grado. Probabilmente era per questo che voleva andarsene.

    Comunque fosse, non era un suo problema e Jake avrebbe trovato qualcuno per rimpiazzarla. Le si strinse il cuore all'idea, ma prese un profondo respiro e uscì in corridoio, diretta all'ingresso. Sentiva già il mormorio delle voci dei primi ospiti che toglievano i lussuosi soprabiti e li porgevano agli attendenti, mettendo in mostra eleganti abiti da sera e preziosi gioielli.

    Andi si lisciò il fronte dei pantaloni neri. Non era appropriato che un membro dello staff si agghindasse come un ospite.

    Tutti gli occhi si voltarono verso lo scalone quando Jake comparve per venire a salutare le signore con un bacio sulla guancia. Andi cercò di ignorare il moto di gelosia che le incendiò il petto. Ridicolo: una di quelle ragazze presto sarebbe diventata sua moglie e lei non aveva alcun diritto di lasciarsi turbare dalla cosa.

    «Mi troveresti un fazzoletto?» le domandò Maxi Rivenshnell. La sinuosa brunetta rivolse la domanda nella sua direzione senza però darsi la pena di guardarla in faccia.

    «Ma certo.» Andi recuperò dalla tasca uno dei fazzoletti che teneva sempre con sé. Maxi glielo prese di mano, infilandolo nel lungo guanto di satin senza nemmeno una parola di ringraziamento.

    Per quella gente lei non esisteva. Era lì solo per servirli, proprio come il personale di tutte le loro case aristocratiche.

    Comparve un cameriere con un vassoio di flûte di champagne e lei aiutò a distribuirli, quindi invitò gli ospiti ad accomodarsi nel salotto verde, riscaldato dal fuoco del camino in pietra intagliata riportante gli stemmi della famiglia reale.

    Jake si aggirava chiacchierando un po' con tutti mentre la stanza si riempiva di sudditi ben vestiti. Molti di loro erano tornati a Ruthenia da poco, dopo decadi di esilio in luoghi come Londra, Monaco o Roma, pronti a godersi il promesso rinascimento del paese dopo anni e anni di fallito socialismo.

    Per ora le promesse si stavano avverando. I ricchi diventavano più ricchi, e grazie alle idee innovative di Jake anche tutti gli altri stavano raggiungendo una certa prosperità. Persino i consolidati antimonarchici che si erano opposti al suo ritorno protestando nelle strade e nelle piazze ora ammettevano che Jake Mondragon sapeva ciò che faceva.

    Aveva trovato dei mercati per i prodotti agricoli, e incoraggiato le multinazionali ad approfittare della posizione strategica della Ruthenia, proprio al centro dell'Europa, e della grande forza lavoro del posto. Il prodotto interno lordo era cresciuto del quattrocento per cento in tre anni, suscitando stupore e ammirazione nel resto del mondo.

    Andi si irrigidì al sentire la sonora risata di Jake. Le sarebbe mancato, quel suono. Voleva

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